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Le zampogne, la lyra calabrese e… il filo della memoria
di Mario BalzanoMaranola, per chi tra i nostri lettori non la conoscesse, è un paesino ben tenuto sulle colline dietro Formia; per capirci, dal traghetto che sta entrando nel porto di Formia, la si localizza per la sua torre, in alto a destra. Sono convinti di essere degli storici e non dei nostalgici… E hanno ragione! In una delle edizioni passate del Festival un etnomusicologo e musicista di strumenti popolari, Ettore Castagna, tenne una dotta e al tempo stesso appassionata relazione su un piccolo e a me quasi sconosciuto strumento popolare, chiamato lyra calabrese, che ancora oggi, in Calabria, viene suonata insieme ad altri strumenti tradizionali, nelle feste di paese. In associazione a questo strumento, che arriva in Calabria con le immigrazioni dal medio Oriente tra l’alto e basso medioevo, il relatore evocava masse di uomini che si muovevano, si insediavano, si mischiavano con le popolazioni locali scambiando geni e tradizioni. Leggere, per credere, la monografia di Tricoli,che scriveva nel 1855-59 [pag. 247 dell’edizione a cura di Riccardo Navone edita da “Ultima spiaggia” – NdR], che così riferisce: “Lira. Meglio detto la barberina, è un disco ricavato da un pezzo di duro legno in forma ovale il corpo, assimilandosi al guscio della tartaruga terrestre, avendo il manico senza la tastatura, e forma un piano orizzontale col coperchio di legno abeto, in uno la lunghezza è di circa un palmo e mezzo, con le due intagliate esse di luce e lo scannetto come il violino. A tre corde di budella come terza di questo, ed attaccate ad un bottone nell’estremo inferiore del guscio, pel cennato scannetto sono distese ed affidate ai piroli, e senza altro appoggio. Esse ricevono modificazioni per essere toccate dalle unghie della mano sinistra che vi tasta prossimo ai pischeri, mentre con l’altra vi si strisce la ciocca de’ crini tesi dalla forza dell’archetto, confrigati sulla pece-greca; ma il corpo dello strumento si stringe fra le gambe, portando ad appoggiare l’estremo del manico sul ventricolo del lirista. Da esso liredìa si à aspra musica, mancando essa di varietà e melodia, e può dirsi una vera cacofonia, sebbene vi ci cantano e ballano ad un tuono monotono”.
Nella lettera si accenna ad alcuni versi della canzoncina che le orfanelle cantavano nell’ultimo giorno di vacanza. Beh! poco male, abbiamo solo un anno di vita e faremo in tempo a correggerci.
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