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Vocabolario marinaresco

[1]

di Ernesto Prudente

Lettera P

 

prima parte

 

Paccuttìgle

– paccottiglia s.f. Si usa per indicare una piccola quantità di merce, poco voluminosa, che viene trasportata da un porto all’altro. Indica anche i rami di corallo di prima scelta.

Paciélle

– pagello Pagellus centrodontus. Occhialone, pesce di prima categoria.

Padrone

– padrone s.m. Con questo nome si indica una persona, iscritta fra la gente di mare, che, con apposito esame, gli viene riconosciuta la capacità di comandare navi mercantili di qualsiasi portata, a motore o a vela, destinate alla navigazione e al traffico, nel mare Mediterraneo. Il consenso del Ministero della marina mercantile, su esplicita richiesta, lo abilita anche ad uscire dallo stretto di Gibilterra per arrivare, navigando lungo la costa, nel mar Baltico. La stessa autorizzazione è valida per uscire dal mar Rosso ed arrivare nel golfo Persico.

Paglìcce

– nuvolaglia s.f. Caligine, nebbia, foschia

Pagliètte

– Paglietto s.m. Pezzo di tela, di dimensione variabile, ricoperto, da un lato, con uno strato di filacce di canapa cucite alla tela. Viene usato nel caso di una falla o di una via d’acqua. Si pone all’esterno facendolo aderire ai bordi della falla. L’acqua nel penetrare si trascina le filacce che, inserendosi nelle vie d’acqua, ostruiscono le ferite attenuando il cammino dell’acqua verso l’interno della nave. Con lo stesso nome si indicano anche quei parabordi che si ottengono con l’intreccio di filacce di vecchie corde e gli stuoini che si pongono sulle soglie delle cabine o a capo delle scale per far pulire i piedi a chi entra o esce.

Pagliuole

– pagliuolo s.m. L’insieme del tavolame, di legno o metallo, che copre il fondo del natante. Il pagliuolo viene fatto anche per collocarvi sopra, all’asciutto, qualsiasi tipo di merce.

Palàje

– Sogliola s.f. Solea vulgaris. Fra le diverse varietà di sogliola è quella più nota e più ricercata per la squisitezza delle sue carni. Ha gli occhi e il colore solo dal lato destro del suo corpo.

Palamiénte

– palamento s.m. Dotazione dei remi su una imbarcazione.

Palammetàre

rete s.f. Rete volante simile ad una tonnara adibita alla pesca dei tonni, dei palamiti e delle ricciole

Palàmmete

– palamite s.m. Katsuwonus pelamis, degli scomberidi. Tonno bonino, pesce migratore che viaggia in gruppi molto numerosi. Frequenta le acque di Ponza nel periodo autunnale. Viene pescato con reti da posta, con reti da circuizione e con la traino. Segue, sott’olio, il percorso della alalunga. Attrezzo da pesca comunemente chiamato coffa. Viene arrotolato in una cesta di fattura particolare con una striscia di sughero per conficcare gli ami che, una volta innescati, vengono riposti sull’altra metà della cesta. E’ composto da un lungo filo, u trave, a cui sono annodati, ad eguale distanza, i filaccioli con all’estremità l’ amo che va innescato. Si butta in mare ritirandolo dopo alcune ore. L’armamento della coffa è sempre in ragione della pesca che si vuole fare. Vi sono palamiti di fondo per la pesca del merluzzo; palamiti per la pesca sulle secche e palamiti per i mari profondi, centinaia di metri, per la pesca di cernie di profondità e di squali. I filaccioli di queste coffe venivano avvolti da un filo di rame per evitare che i pesci li rodessero.

Palanghesare

– palangaro s.m. Pescatore di coffe.

Palàte

– palata s.f. Colpo di remo. Il suo tragitto va da quando il rematore, tenendolo fuori dall’acqua, porta il remo il più possibile a prua e immerge la pala di taglio. Poi, sempre forzando sull’impugnatura del remo, porta la pala il più possibile a poppa e la toglie dall’acqua per ripetere la stessa azione.

Pàle

– pala s.f. Attrezzo che i fuochisti usavano per introdurre il carbone nelle caldaie e i marinai per riempire i bidoni di cereali imbarcati alla rinfusa. Vi è poi: la pala del remo corrispondente alla parte estrema, larga e spianata, che si immerge nell’acqua e la pala d’elica, di forma elicoidale, disposta intorno ad un mozzo rotante. Le eliche sono formate da due a quattro pale.

Palettià

– palettare v. Muoversi nell’acqua agitando le pinne,  nuotare come la tartaruga.

Palummare

– palombaro s.m. Operaio specialista capace di immergersi per lavorare sott’acqua. L’apparecchiatura che lo protegge si chiama scafandro. Il palombaro usava una imbarcazione su cui era installata una pompa d’aria che, azionata da un operatore, gli mandava l’aria. Egli si immergeva sospeso all’imbarcazione da una corda legata alla cintola. Questa corda era anche il mezzo di comunicazione con le persone che stavano sulla barca. La “conversazione” tra il palombaro, sul fondo, e la guida, sulla barca, avveniva tramite leggeri strattoni che, chi aveva necessità di comunicare, dava alla corda. Il riemergere del palombaro da una profondità superiore ai quindici metri doveva avvenire in modo lento e graduale. Questo procedimento, che ha precise norme, va sotto il nome di decompressione. Il palombaro munito di scafandro è una figura quasi all’estinzione. Il ricordo, a Ponza, va a Nicola Fragliassi, un palombaro che, nella decade successiva agli anni cinquanta, si immerse a Punta Papa per recuperare parte della nave LST 349, affondata, a causa di una mareggiata, il 23 febbraio 1944. Oggi ci si immerge coperto da una muta e usando l’autorespiratore. Il palombaro è diventato un sub. Ed a questo tipo di subacqueo che si affidano i lavori in immersione. Si è scesi a profondità abissali. Fabio Pajoncini Ottavini, maestro subacqueo, il 22 ottobre 2004, con l’assistenza e la collaborazione del Ponza Diving  Center di Andrea Donati, è sceso, nelle acque tra Ponza e Palmarola, a 202 metri di profondità, stabilendo un nuovo record.
Io c’ero.

Palumme

palombo s.m. Mustelus mustelus. Appartiene al vastissimo gruppo dei pescecani. Abbonda nei nostri mari. E’ ricercato per la bontà delle sue carni.

Paluorce

– cima. S.m. Grosso cavo di ormeggio, di canapa o di manilla, che si mette a poppa per assicurare la tenuta durante i temporali.

Panatiche

– panatica s.f. Il vitto che l’armatore somministra all’equipaggio attraverso una impresa. In alcuni casi l’armatore dà direttamente all’equipaggio l’equivalente in danaro del vitto medesimo e l’equipaggio provvede alla spesa.

Pànfile

– panfilo s.m. Barca da diporto.

Panje

gavitello s.f. Segnale galleggiante di sughero.

Panne

– panna s.f. Momento in cui un bastimento, per un motivo qualsiasi, è tenuto a fermarsi. La panna, nelle barche a vela, è determinata dalla mancanza totale di vento.

Pannià

– panneggiare v. Rimuovere la rete stesa al sole.

Papagne

– sonnellino s.m. Colpo di sonno.

Paparià

– guazzare v. Galleggiare, stare a galla come se giocherellasse.

Papore

– vapore s.m. Nave con macchina alternativa.

Pappafìche

– pappafico s.m. Nelle barche a vela indicava un pennone e la relativa vela.

Parabòrde

– parabordo s.m. Specie di cuscino, fatto in diversi modi e con diverso materiale, che si mette fuoribordo per attutire i colpi di altre imbarcazioni.

Parafulmine

– parafulmine s.m. Attrezzo per difendere l’imbarcazione dai fulmini. E’ situato sulla cima degli alberi e con una corda di rame è collegato con il mare.

Paràgge

– paraggi s.m. Vicinanza, intorno.

Paràllèle

– parallela s.f. Attrezzo da disegno usato per tracciare la rotta e per carteggiare.

Paramezzàne

– paramezzale s.m. Pezzo di legno sovrapposto, da poppa a prua, all’intermo del natante, sulla chiglia.

Paranche

– paranco s.m. Attrezzo formato da due bozzelli e da una corda passante per essi. Delle due carrucole una viene assicurata ad un punto fisso mentre l’altra viene agganciata al fardello che si vuole muovere o spostare. Vi sono diverse specie di paranchi: il paranco semplice quello composto da una carrucola a due rotelle e dall’altra ad una sola rotella; il paranco doppio quello in cui le carrucole hanno ambedue due rotelle; il paranco differenziale, quello usato per sollevare pezzi molto pesanti, è formato da due carrucole di ferro e da una catenella senza fine. Una delle due carrucole, quella destinata ad agganciarsi al peso ha una sola rotella, l’altra carrucola, che si aggancia ad un punto fisso, ha due rotelle con diametro diseguale che portano dei denti a cui la catenella si ingrana. Questo paranco, oltre a sollevare qualsiasi peso, ha la proprietà di consentire che il peso rimanga sospeso all’altezza che si vuole senza che possa ricadere.

Parànze

– paranza s.f. Barca da pesca dotata di rete a strascico. La rete che ha due ali laterali e un sacco centrale è trainata da due cavi d’acciaio legati alle estremità delle due ali.

Parapiétte

– parapetto s.m. Ringhiera, spalletta.

Paratìje

– paratia s.f. Tramezzo verticale, in legno o in lamiera, che suddivide gli spazi interni delle navi.

Pàrde

– cerchia s.f. Cinta che si fa con gli ami di una coffa per ripescare gli attrezzi da pesca rimasti sul fondo.

Paréte

– rete s.m. Rete a maglia larga sistemata ai due lati di una rete normale per facilitare l’impigliarsi dei pesci e delle aragoste. Una rete così armata dicesi tramaglio.

Parià

– variare v. Spostare una barca che è a secco per creare spazio libero.

Parlante

– parlante s.m. Si dà questo nome ad un uccello: la berta maggiore della famiglia dei procellaridi. E’ un uccello sedentario che non si muove dal suo luogo natio. Di colore grigio cenere e bianco di sotto. Vive quasi sempre sul mare, nutrendosi di pesce. Nidifica sulle isole. A Ponza nella zona della “scarrupate” e a Palmarola nella zona dei Guarnieri. Lo si chiama “parlante” perché vagisce, di notte e solo di notte, come un bambino.

Parlate

– parlato s.m. Nodo. Uno dei tantissimi nodi.

Parme

– palmo s.m. Nella marineria isolana costituiva la misura di centimetri 26,5.

Pàsse

– passo s.m. Anche il passo costituisce una misura di lunghezza corrispondente a metri 1,83. E’ la classica misura marinaresca determinata dalla apertura delle braccia.

Passèrèlle

– passerella s.f. Tavola in legno o in lamiera, in alcuni casi fornita anche di ringhiera, che serve per salire o scendere da un bastimento attraccato alla banchina

Pastécche

– pastecca s.f. Carrucola ad una sola puleggia di forma ovale, solitamente rinforzata, munita di un gancio girevole per poterlo agganciare dove necessita. La caratteristica della pastecca è che una parte della carrucola è aperta. Per passare una corda nella pastecca non è necessario infilarla per un capo per cui si può inserire anche una cima le cui estremità sono impegnate. E’ un attrezzo della cianciola.

Patèlle

– patella s.f. Con questo termine si designano vari tipi di patelle: patella cerulea, patèlle i funnale; liriola pectinata, patèlle i scògle; deodora greca, patèlla montagnola; orecchietta di mare, patella reale. La patella è stata sempre ricercata per la sua prelibatezza. Il risotto e gli spaghetti con le patelle sono piatti da re. Le patelle vanno staccate dal guscio e, insieme all’acqua che producono, vanno frullate perché, al naturale, intere, nel soffriggerle diventano callose e immangiabili.

Patèrne

– paterna s.f. Gruppo di dodici nasse. Treccia di canapa o di amianto usata per impedire infiltrazioni di acqua.

Patià

– patire v. Subire, soffrire, provare, sopportare.

Pàtte

– pala s.f. Pala dell’elica. L’elica può essere formata da due, tre o quattro patte.

Pavése

– pavese s.m. Cala di bandiere.

Pecchettà

– picchettare v. Martellare la lamiera con un particolare attrezzo per staccare la ruggine.

Pècòrélle

– pecorella s.f. Particolare formazione e disposizione di nuvole.

Pède i galline

piede di gallina s.m. Aporrhais pesplecani, conchiglia.

Pède i nasse

– piede di nasse s.m. Gruppo di due nasse.

Pelose

– granchio peloso s.f. Eiphia verrucosa, dei brachiuri.Questo granchio che ha il corpo ricoperto di peli, da cui il nome, esce di notte, come i rufoli. Vive e si annida nella roccia tufacea ricca di spaccarure. Si raccolgono di notte alla luce di una torcia. Bisogna essere molto attenti e prudenti perché hanno delle chele micidiali. A Zannone sono stato spettatore della rottura di una lumaca di mare. Sono sicuro di affermare che le pelose, tra i vari crostacei, dànno il migliore sugo per condire le linguine.

Pennacchje

– pennacchio s.m. Filo di fumo denso che esce dal fumaiolo.

Pénne

– Penna s.f. Estremità superiore della vela latina.

Pénnèllare

– pennellare, v. Appennellare. Far scendere l’ancora di qualche metro dalla cubia per tenerlo pronto per dar fondo.

Pennése

– pennese, s.m. Magazziniere. Il marinaio addetto alla custodia dei materiali necessari per la manutenzione della nave.

Pennone

– pennone s.m. Sbarra di legno che viene appesa orizzontalmente agli alberi, nel suo punto centrale, per sostenere le vele che ad essa vengono allacciate. I pennoni, a seconda della loro sistemazione, hanno un nome proprio: pennone di trinchetto, quello legato all’albero di trinchetto; pennone di parocchetto quello posto sopra il trinchetto; pennone di velaccino, immediatamente sopra il parocchetto; pennone di controvelaccino, quello posto il più in alto, sopra il velaccino; pennone di maestra, quello legato all’albero di maestra; pennone di gabbia, quello posto sopra il maestro; pennone di gran velaccio, quello posto sopra il pennone di gabbia e al sopra di esso vi è quello di controvelaccio; all’albero di mezzana sono legati il pennone di mezzana e quello di contromezzana. Su quelle stupende e meravigliose navi a vela dei secoli scorsi vi erano ancora altri pennoni. In generale i pennoni hanno un nome generico: i pennoni maggiori vengono appellati quelli di trinchetto, maestra e mezzana; con il nome di gabbia si indicano i pennoni di parocchetto, gabbia e contromezzana; con il nome di velaccio i pennoni di velaccino, velaccio e belvedere; si chiamano controvelacci i pennoni di controvelaccino, controvelaccio e controbelvedere. In genere, nel linguaggio marinaresco, per essere brevi nelle manovre, si usava solo la parola contro. Sull’Amerigo Vespucci, dopo i rituali fischi, il nostromo ordina: “mollare, bordare, imbrogliare, serrare i contro”. L’Amerigo Vespucci è il fiore all’occhiello della sezione velica della Marina Militare italiana.

Pennulià

– penzolare v. Stare sospeso nell’aria, ciondolare.

Pèrchje

– perchia s.f. Serranus cabrilla. Sciarrano. Vive su fondali rocciosi. E’ curiosa per cui si avvicina ai subacquei. Si pesca con il lentino. E’ saporitissima e per questo è molto ricercata. Peccato che è ricca di spine.

Percià

– perforare v. Bucare, forare, penetrare, trapassare, trasudare. Termine sicuramente scaturito dai perciformi, categoria di pesci che perforano e sfondono le reti.

Persunale

– personale, s.m. Parola generica che viene usata per indicare: personale di coperta con cui si designa l’insieme di tutte le persone addette ai lavori marinareschi; personale di macchina, quelli addetti al servizio degli apparati motori e personale di camera, le persone destinate al servizio degli  alloggi e delle mense.

Pescà

– pescare v. Catturare, fiocinare, arpionare

Pescàgge

– pescaggio, s.m. Con tale parola si designa la misura, in metri o in piedi, dell’altezza della parte immersa di una nave che va dal pelo dell’acqua alla chiglia.

Pescatore

– pescatore, s.m. Colui che esercita la pesca per mestiere.

Pescatrice

– rana pescatrice s.f. Lophius piscatorius. Comunemente chiamata anche coda di rospo. Mostruosa ma squisita. Peccato che la mia cuoca, eccellente per altri piatti, non azzecca mai la giornata buona. Quando la cucina è sempre una giornata di scirocco. Una sera, in un ristorante di Ponza, un gruppo di commensali, mentre piluccavano scorfani in umido, chiesero al proprietario perché mai nei locali di Ponza non venisse servita la zuppa di pesce. “Non la si può preparare perché se non vi è richiesta bisogna buttarla. La prepariamo solo su ordinazione”, fu la risposta del proprietario. Quel gruppo, amante del buono, la ordinarono per l’indomani sera. Il mattino seguente, il ristoratore, che è anche pescatore professionista, selezionò il pesce che aveva pescato per vedere se c’erano tutte le qualità che il piatto richiedeva. Mancava solo il grongo, pesce base per la zuppa, che si apprestò a prendere in pescheria. Fra i vari pesci destinati per la zuppa vi inserì anche una rana pescatrice che pulì, come fece per le altre qualità, senza buttare la testa da cui ricavò diversi pezzi. Alla sera, i clienti, puntuali, presero posto intorno al tavolo, a loro riservato, e subito venne servita la zuppa di pesce. Dopo un po’, al tavolo si presentò il proprietario per chiedere se l’avessero gradita. Il consenso favorevole venne espresso da tutti con un fragoroso battimani ma ci fu una signora che volle fare una precisazione di altra natura. Lo chiamò vicino a sé e gli disse: “Eccellente e prelibato il cucinato. I nostri complimenti alla cuoca. La stonatura sono queste ossa che sembrano di un balena”. “Sono della coda di rospo”, rispose il trattore. Al che la signora non potendo fiatare sulla coda di rospo di cui conosceva i pregi per averne sentito parlare sempre bene, fece presente che sarebbe stato meglio se non avesse messo anche la testa. La giustificazione fu : “Signò, je pure me vuléve spusà a muglièreme d’u llicule a gghì abbasce pecché u late i ccòppe è sule spése ( signora, io pure volevo sposare mia moglie dall’ombelico in giù perché la parte di sopra è soltanto spesa)” La risata fu generale e fragorosa.

(continua)