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‘A Puteca (1)

di Pasquale Scarpati

 

È stato nel marzo-aprile del 2011 appena trascorso che abbiamo cominciato a pubblicare i ‘pezzi di ricordi’ di Pasquale Scarpati, molto apprezzati dai nostri lettori, per la precisione e la vividezza delle immagini che richiamano alle memoria (leggi qui [1]); poi un lungo silenzio. Pasqualino riprende ora, con questo e altri scritti a seguire, le sue storie interrotte…

A lui gli Auguri della Redazione di Ponzaracconta

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Gentile redazione

Dopo un’assenza dovuta a varie vicissitudini riprendo il mio racconto/diario. Nel dare il mio modesto contributo, penso che la storia e/o le storie oltre a far rivivere i ricordi possano contribuire, tra le pieghe – ma, ahimè, non sempre è così – a trarre insegnamento per il presente e per il futuro. La mia fanciullezza è costellata di esperienze a me molto care e, dati i tempi ed i luoghi particolari, impresse nella mia mente in modo indelebile. I luoghi, il tempo, le persone citate non solo fanno parte di me e della mia vita, ma sono anche l’emblema di un modo di vivere e di pensare: rivivo il tutto con gli occhi da fanciullo…

 

‘A puteca

A volte, d’inverno, quando il mare per lunghi giorni è così agitato che non arrivano né ’u vapore né Sigarett’ e neppure le barche riescono ad uscire per pescare, bisogna ‘spugnare’ l’odioso baccalà e arrangiarsi con una bella cotta ’i lummìccul’ o ’i fasùl’ , ’i chichierchie o di fave secche. Nonna Tumm’tellancopp’ i Cuònt’, ne ha una bella scorta; le tiene chiuse a chiave in una cassa, come i fichi secchi. Quando le usa, le mette ad ammorbidire nell’acqua la sera prima e poi le bolle con le bucce e le condisce con un po’ di sale; oppure le insaporisce con le cipolle o ancora, tolte le bucce e bollite, forma una purea chiamata favetta che piace molto a mio padre. A me per niente; le preferisco abbrustolite sotto la cenere d’u’ rasiere: diventano croccanti e mi piace sgranocchiarle. La pasta viene cotta solo nei giorni di festa perché “non rende”. Arriva in grosse casse di legno, in grosse confezioni, avvolta in una carta azzurra. Tutti i formati – non molti in verità – sono piuttosto lunghi, così per forza e con forza devono essere spezzati; sul fondo delle casse c’è il residuo, ’a munuzzaglia, che si vende a meno prezzo e che dovrebbe essere cibo soltanto per gli animali… Se ne può comprare anche a etti, quanta se ne vuole, come del resto un po’ tutto.

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’A puteca resta aperta sette giorni su sette, a qualsiasi ora. La mattina presto o la sera arrivano, infatti, quelli che trasportano la merce con gli asini. Arriva Peppe ’a copp’i Cuònt (da sopra i Conti); arriva Restituta (’a zi’ Restetuta): è venuta a piedi dalle Forna, più precisamente da  vascie’ u’ camp’ dove gestisce un piccolo negozio. È passata per la Via Nova fino a Trebbiente,  per poi imboccare la strada sterrata dei Petruni e scendere quindi per il ciottolato dei Conti, fino a Santa Maria. Ordina ciò che le serve: vrenna (crusca), granone, patate, pasta, baccalà e legumi. Al trasporto provvederanno Cuncetta ‘a Tiramole che abita giù alla banchina o Pall’ a Cannone che abita a Le Forna. Con i loro  vuzz’ a rimme fanno la spola tra la Banchina Di Fazio e Cala D’Inferno; poi la merce s’inerpica per i millenari scalini e viene portata, con gli asini o a spalla, a destinazione.

Durante tutto il giorno c’è il via vai dei clienti al minuto.

– Mi daje duicient’ gramm ’i pasta ammescata – dice Furtunatina, poi discute animatamente sulla qualità e sul prezzo del provolone piccante, chiaita come tutte le donne e alla fine ne compra un etto che viene pesato sulla bilancia a due bracci: da una parte si mettono i pesi, dall’altra la merce; se il peso supera di poco la richiesta, Furtunatina lo fa togliere perché diventa troppo sicc’ e al marito non  piace. Bisogna essere oculati nello spendere altrimenti si diventa sciauràt’; ha da ridire se ciò che compra viene pesato nella carta-paglia, pesantissima e oggetto di mille discussioni, ma nulla dice se lo si avvolge in un foglio di giornale.

Il giornale arriva quando arriva ’u vapore, pertanto le notizie sono stagionate come il prosciutto; pochi lo leggono, perché analfabeti o per mancanza di tempo: la sera si va a dormire presto, si è stanchi, manca l’energia elettrica, bisogna risparmiare la candela o il petrolio del lume. Il foglio di giornale, però, non viene sprecato ma assolve altre funzioni, per noi più piccoli diventa materia prima nella costruzione di aerei (esistono vari modelli) e barchette (spero che oggi non mi legga qualcuno dell’Agenzia delle Entrate!), ma soprattutto non disdegna pavoneggiarsi sui capelli di muratori e operai a mo’ di cappello a due punte (forse il luogo che più si addice al giornale è quello di stare in testa).

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Quando si entra in una puteca le narici si fanno odore: di qua proviene quello del provolone piccante, di là quello polveroso dei legumi e dei cereali, dall’altra parte quello aspro della cunserva che rossa, fiammeggiante e molto densa, aspetta di essere avvolta  nella carta oleata, come i salumi tagliati a mano e in diagonale. Su una mensola si nota una pila di barattolini di conserva da trenta grammi: alla cottura il contenuto si scioglie nell’acqua. Il tutto si mischia al profumo del sapone muoll’ contenuto in un barattolo grande, venduto a etti, che serve per la culata ma, a volte,viene usato anche per ungere ’a falanga, in mancanza d’u’ siv’.

Tutto viene coperto da una rete che dovrebbe proteggere i prodotti dall’assalto delle mosche che ronzano numerose nonostante, a volte, vengano abbattute spruzzando con una piccola pompa a mano il DDT, il cui profumo di petrolio si mescola magnificamente agli altri.

Anche dall’alto piovono odori  forti: quelli del lardo, dei salumi e dell’immancabile vescica ’i ’nzogna, bianca e untuosa come untuoso, molte volte, è il pavimento del negozio allorché la pompa dell’olio, nel travasare l’olio da un fusto più grande a quello semicoperto che serve per la vendita al dettaglio, lascia cadere qualche goccia o schizzo del prezioso nutrimento. Azionata  a mano, formata da due cilindri e da una leva che con forza bisogna tirare e spingere, risulta pesantissima nell’utilizzo. Nei pressi del fusto semicoperto giacciono, in attesa di essere utilizzati, contenitori di differenti capacità; sono tutti lucidi ed untuosi ad eccezione di quello da un litro che, chissà perché, invece è appiccicoso e sa di rancido. In agguato, in un angolo, c’è un altro strumento di tortura: la stadera che serve per pesare i sacchi da un quintale, o più voluminosi.

L’olio, generato dall’albero della pace, è preziosissimo come la pace stessa, e di conseguenza va usato con molta parsimonia: al pollice viene affidata la tremenda responsabilità di trattenerlo nel contenitore (di solito una bottiglina); il suo fallimento è foriero di sciagure. Il pollice egregiamente assolve il suo compito volteggiando più e più volte su ciò che deve condire ma lasciando cadere solo poche gocce; per la sofferenza diventa violaceo.

In cucina il povero olio viene confinato nella credenza; lo si lascia uscire solo in rare occasioni o per gli ammalati. E’ beffeggiato dal lardo e dalla sugna, rispettivamente re e regina del condimento.

 

Pasquale Scarpati

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[’A puteca. (1) – Continua]