proposto da Silverio Lamonica
Tempo fa, su questo stesso sito ponzaracconta, ho pubblicato un pezzo sul domicilio coatto di Ponza, riportando alcuni articoli della Stampa di oltre un secolo fa (Leggi qui). In quegli articoli i cronisti, se qualcuno vi ha fatto caso, trattavano l’argomento con una certa superficialità: era un sollievo, per il nord “perbenista” liberarsi di certi ceffi e spedirli in località “amene” come Ponza. Leggendo invece quest’articolo del medesimo giornale, risalente alla medesima epoca, lo stesso provvedimento restrittivo appare in una luce ben diversa. Evidentemente i coatti mandati a Ponza non davano molti problemi perché in qualche modo riuscivano a trovare qualche occupazione, sia pure precaria, nell’agricoltura, nell’artigianato e nell’edilizia (logicamente non nella pesca per ovvi motivi di eventuale fuga). Ventotene, invece, essendo più piccola, non offriva possibilità di lavoro, come viene ben evidenziato, nella relazione riportata integralmente, dall’anonimo parlamentare; probabilmente, doveva trattarsi di quell’Onorevole Gigante, di Itri, il quale chiese spiegazioni al Ministro dell’Interno circa il diniego del sussidio di diecimila lire al Comune di Ponza, immediatamente dopo l’Unità d’Italia. Comunque si tratta di un parlamentare degno di questo nome, che difendeva a spada tratta il territorio in cui veniva eletto e si batteva per migliorare le condizioni di vita della popolazione più umile. Credo che si sia celato dietro l’anonimato perché, come potete leggere, rivolgeva accuse più o meno velate al direttore del domicilio coatto di quell’isola, relative a presunti maltrattamenti dei relegati a libertà vigilata. Il giornale diede ampio risalto all’articolo pubblicandolo, pensate, in prima pagina!
Mi auguro che questa mia iniziativa sia seguita da altre, soprattutto da parte dei concittadini ventotenesi – viviamo nel medesimo arcipelago, infine! – per illustrare le meravigliose bellezze culturali e paesistiche di quest’altra ‘perla del Tirreno’.
Silverio Lamonica
GAZZETTA PIEMONTESE Torino, martedì 16 dicembre 1879
ITALIA
Il domicilio coatto e la colonia di Ventotene
Richiamiamo colle più vive istanze l’attenzione dei pubblicisti, dei magistrati e dei nostri deputati sopra la seguente lettera piena d’interesse sul domicilio coatto in genere e sulla colonia di Ventotene in specie.
Quando, non è gran tempo, i giornali di Napoli ci giunsero con la notizia di gravi disordini avvenuti nella colonia dei coatti di Ventotene, disordini che in certa guisa ripercotevano l’eco di quelli avvenuti l’anno precedente nella colonia dei coatti di Favignana, abbiamo cercato di conoscere se codesti fatti anomali dovessero considerarsi come puramente accidentali e se per avventura non traessero la loro origine da qualche condizione intrinseca dell’ordinamento (che è – N.d.r.) stato dato alle colonie dei domiciliati coatti. Ed essendoci a tal uopo rivolti anche ad un nostro onorevole amico che credevamo in grado di parlarci, con qualche cognizione precisa, dalla colonia di Ventotene, ne abbiamo avuto lo scritto seguente, che noi ci affrettiamo d’inserire, grati all’egregio personaggio che ha voluto favorircelo.
Roma 12 dicembre
Non farò scuse, né darò spiegazioni del ritardo che frapposi a rispondere alla vostra lettera. Né le une né le altre interesserebbero i vostri lettori.
Vi dirò piuttosto che non vi siete ingannati nel ritenere che io conosca Ventotene, qualche volta dimenticata nelle enciclopedie e persino nei dizionari geografici; è sorta dalle onde del Mar Tirreno per effetto di qualche convulsione tellurica, come lo prova il suolo che è tutto di tufo vulcanico. Essa è costantemente e spesso, furiosamente, dominata dai venti e appunto perché sempre tiene vento, e sempre il vento la tiene, ebbe il nome moderno di Ventotene.
Ma, se con questo è poco conosciuta, lo è più assai con lo antico nome di Pandataria. E chi si compiace di reminiscenze storiche può popolarla con le ombre invendicate di Agrippina, moglie di Germanico, di Ottavia, prima moglie di Nerone, di Giulia, figlia di Augusto, di Flavia Domitilla, moglie cristiana del Console Flavio Clemente; e può abbandonarsi a lunghe meditazioni sulle strane vicende di una piccola terra, che fu teatro delle proscrizioni dei Romani, delle deportazioni dei primi confessori della religione cristiana, delle relegazioni di tanti martiri della fede dell’unità italiana e che oggi è ricovero forzato di gente trista e facinorosa.
Non temiate però ch’io non m’abbandoni alla seduzione dell’argomento e trascorra a digressioni che mi allontanerebbero di troppo da quanto è oggetto dei vostri desiderii. Consentite tuttavia qualche altro cenno che valga a darvi la fisionomia del luogo.
Si calcola che la circonferenza dell’isola sia di circa sedici chilometri; ma fuor di dubbio essa era per lo meno doppia in antico e tutto porta a credere che le onde ed i venti, proseguendo il loro lavoro di distruzione, la condurranno ad estrema rovina.
Se guardate il censimento ufficiale della popolazione del Regno, troverete che Ventotene, facendo unico comune con lo scoglio che le sta di rimpetto e sul quale sorge il Bagno penale di Santo Stefano, ha 2.234 abitanti.
Non v’illuda questa cifra e non lasciatevi tentare a giudicare da essa la popolazione vera della povera isola. Voi dovete infatti cominciare a sottrarre gli ottocento forzati di Santo Stefano e i quattrocento coatti di Ventotene; e così già più di metà di quella cifra sparisce. Poi dovete dedurre centoventi soldati di linea, 30 soldati di marina pel servizio di una scorridora che stanzia in quelle acque, un drappello di guardie doganali, la forza dei Reali carabinieri, gli impiegati preposti alla direzione e governo del bagno e della colonia dei coatti, cioè in complesso da centodieci a centoventi persone, più, finalmente, una trentina di miserabili che appartengono a famiglie di domiciliati coatti, le quali, a costo di qualunque sacrificio e affrontando la miseria più spaventosa, hanno lasciato il proprio paese natale per non vivere lontano dal marito, dal padre, il quale, per sé e per loro, non può disporre che di cinquanta centesimi al giorno!
In sostanza dunque, la popolazione di Ventotene non può essere che di cinque o seicento abitanti, una parte della quale va alla pesca del corallo, un’altra parte, in certe determinate stagioni, può vivere colla caccia alle quaglie; il resto vive come si può vivere in un paese che, tranne fichi d’India e qualche altro frutto, non produce che vino, in quantità oggidì appena bastante al consumo locale.
Del resto, la prova più eloquente della straordinaria infelicità del luogo è la immunità necessariamente statagli consentita dal pagamento dell’imposta fondiaria.
Un’altra prova, pur concludente, è il grido di angoscia e di invocazione d’aiuto che, interpretando i voti ed i bisogni della popolazione, manda quell’Amministrazione comunale tutte le volte che corre voce o di abolizione del domicilio coatto o di concentramento ad Ischia dei coatti di Ventotene, od anche soltanto di riduzione del numero di questi.
Imperocché, se i cinquanta centesimi al giorno che percepisce ciascun coatto sono spesso insufficienti ai loro bisogni, sommati insieme formano circa dugento lire su cui non son pochi gli isolani che trovano il mezzo, se non di fare lucri, almeno di campare la vita.
Non penserete perciò di trovare colà un qualsiasi simulacro di Opera pia. Gli è gran mercé se vi calate, perché lo vuole la legge, una Congregazione di carità, la quale non fa che distribuire i pochi denari che a scopo di beneficenza è costretta a stanziare nel proprio bilancio l’Amministrazione comunale.
Ma il peggio si è che questa desolante condizione di cose fa sì che l’isola non possa offrire occasione di lavoro ai coatti, che pure, come avrete compreso, costituiscono la maggioranza valida della popolazione attuale.
Immaginate voi alcune centinaia di uomini, quasi tutti nell’età più vigorosa, tolti al loro paese a scopo di emendarli o di procacciarne la riabilitazione morale, immaginateli trasportati in luogo dove sono inesorabilmente condannati all’ozio forzato! Poi dite se il Governo possa assistere imperturbabilmente a questo spettacolo e lasciare che se ne svolgano tutte le naturali e disastrose conseguenze!
Il domicilio coatto, sul quale vi è tanto da discutere, non lo si può né accettare né ammettere, anche da chi è maggiormente inclinato a difenderlo, se non a condizione che esso rechi, non un sollievo momentaneo alle brighe di questo o quel questore, ma un miglioramento morale negli individui che vi sono assoggettati.
Silverio Lamonica
[Ventotene e il domicilio coatto (1) – Continua]