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Il mare in tempesta

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di Gennaro Di Fazio

Sfogliando il libro di Ernesto Prudente “Vocabolario illustrato del dialetto parlato dai pescatori e dai marinai ponziani”, così come faccio spesso per inserire i suoi vari capitoli nelle rubrica “Vocabolario marinaresco”, ho trovato una descrizione di una tempesta vissuta da un marinaio, un grande marinaio, i cui avi erano ponzesi. Oggi anch’egli fa parte della nostra comunità,  lo dimostra la cittadinanza onoraria ricevuta e, soprattutto, la grande stima che tanti Ponzesi , me compreso, hanno di lui. Sto parlando di Vincenzo Onorato, famoso soprattutto per la sua partecipazione alla “America’s cup con  “Mascalzone latino”. Non ho avuto la possibilità di chiedergli il permesso di pubblicare questo articolo perché non ho i suoi recapiti, spero però non me ne voglia a male per questa mia iniziativa visto la mia intenzione di voler esprime, attraverso questo suo racconto, la maestosità e la bellezza del mare che lui sicuramente tanto ama.

A tale proposito mi piace ricordare anche una frase che compare  in una lettera scritta alla moglie, dopo un naufragio avvenuto durante una gara velica intorno al mondo, da un altro grande velista, ponzese, da poco scomparso, Giovanni Verbini detto Jepson. Era il 20 giugno, S. Silverio, di non so quale anno, forse la fine degli anni 60 o inizi ’70, ad un certo momento della serata Ernesto Prudente (ma lui non ricorda) dal palco lesse questa lettera che si concludeva così:

“……e se non dovessi più tornare, insegna ai bambini ad amare il mare”

Una frase di grande commozione e sensibilità che riesce a  scrivere solo chi conosce ed ama il mare in maniera intensiva,…… nonostante tutto. Così come noi tutti ponzesi e tutti gli isolani ai quali il mare li ha accompagnati, con la risacca o con il suo fragore,  sin dai primo giorni della loro esistenza. Solo chi non conosce il mare non lo sa amare.

“Il sole calò e una leggera brezza di maestrale prese a soffiare sul mare. Quattro ore dopo, l’uragano esplose con tutta la sua violenza. Il vento, con impressionante progressione, andava rapidamente aumentando di intensità. Camilo dispose la prua della nave al mare, ma aspettò, fin quando fu possibile, a diminuire l’andatura. Le onde erano ancora domabili e la “Helena” procedeva a quasi diciassette miglia di velocità. L’anemometro segnò un vento reale di quaranta, cinquanta, poi sessanta nodi e, quando raggiunse i settanta, il rilevatore fu divelto dall’albero. La notte era limpida e livida. Una luce sinistra illuminava il mare bianco, dove onde di sei – sette metri si rincorrevano per aggredire la prua della nave. Poi la straordinaria visibilità fu inghiottita, all’improvviso, da un sudario di vele d’acqua, nebulizzate dalla tempesta. Sul ponte di comando, a poppa della nave, il beccheggio era insopportabile nelle gole tormentate dei crateri delle onde. La paura era sommersa dalla furia del mare, ed era una impresa riuscire a governare la nave in modo che non si traversasse  alla tempesta”

Vincenzo Onorato