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Cari amici

[1]di Arturo Gallia

Cari amici,

sto leggendo con grande interesse gli interventi che si concentrano sul futuro di Ponza.

In particolare mi vorrei riallacciare a quanto scritto qualche giorno fa da Tobia (mio fratello).

Si tratta di pensieri che personalmente condivido in pieno. Soprattutto alcuni punti, se dibattuti nelle sedi appropriate, possono diventare un vero programma elettorale. E come dice lui, non è una questione di colori o di bandiere. C’è poco da essere di qua o di là, quando ci conosciamo tutti in volto, solo perché dalla “dirigenza nazionale” hanno promesso mari e monti. Non si può pensare all’interesse pubblico in una comunità che conta solo poche migliaia di persone. Bisogna pensare agli interessi dell’isola, della sua popolazione, dei suoi figli, finché ci rimarranno. E bisogna farli rimanere, e tornare! 

Dibatterne, quindi, nelle sedi appropriate. Quali sono? Ma ci sono? Che aspettiamo? CREIAMOLE! I punti sono pochi, chiari, essenziali, ma vanno perseguiti con determinatezza!

Parlo da “ponzese acquisito”, perché quando sento il profumo del mare e vedo la luce riflettere sulle case imbiancate a calce mi sento a casa. Perdonatemi, quindi, quando uso il NOI nel riferirmi alla comunità ponzese e scusate le mie parole, a volte rudi, a volte polemiche, ma poste, vi giuro, sempre in maniera propositiva, perché amo Ponza e la sua gente.

Ahimè, tutto gira intorno ai soldi. Va bene, allora, accettiamo la sfida. Il fine ultimo è favorire ed ottenere lo sviluppo economico dell’isola. Ci sono, però, alcune condizioni: 1) deve essere per l’isola TUTTA, e non solo per pochi; 2) deve essere di lunga durata; 3) non può prescindere dalla tutela ambientale.

Quali sono i settori economici da incrementare per ottenere uno sviluppo duraturo, nonché durevole, per l’isola di Ponza e la sua gente? Tradizionalmente, le piccole isole, Ponza compresa, vivevano grazie alla pesca e all’agricoltura di sussistenza. Entrambe oggi rendono molto meno di quanto possano rendere altre attività, soprattutto nel rapporto ricavo/”dispendio energetico”. Si sa, le industrie sulle piccole isole si possono sviluppare molto marginalmente. Ecco, quindi, che entra in gioco il terzo settore, quello dei servizi e delle attività commerciali. Intorno a cosa si possono far ruotare queste attività? Il commercio destinato alla sola comunità insulare sarebbe ben poca cosa. Il turismo, invece, permette già il benessere di molte famiglie dell’isola, ma è EVIDENTE, potrebbe rendere molto di più. Ad oggi. Ad, infatti, e come Aggiungi un appuntamento persottolineato da Tobia, il turismo a Ponza è solo ed esclusivamente balneare e ha la durata dei soli mesi estivi. Anzi, diciamo da San Silverio alla prima settimana di settembre. E gli altri mesi? E le altre tipologie di turismo che si potrebbero praticare sull’isola? Perché stiamo buttando tutti questi soldi? Perché tutto il mancato introito equivalerebbe ad una seconda stagione estiva. 

Dunque, una proposta è il prolungamento della stagione estiva, magari non per tutto l’anno, ma quanto meno nei mesi primaverili e autunnali. Quest’anno settembre sembrava agosto, per clima e bellezza dell’isola, ma non certo per i servizi offerti. Poche barche in affitto, meno corse verso Frontone, traghetti dalla terraferma ridotti, bus sull’isola inesistente. Ed anche ottobre ha riservato giornate splendide, e ancora a novembre le giornate sono perlomeno accoglienti. E’ chiaro che non si vive solo di mare, ma attraverso il mare può avvenire il rilancio turistico. Una regolamentazione della navigazione costiera delle grandi imbarcazioni, innanzitutto, permetterebbe alla flora e alla fauna marittima di vivere in santa pace e ripopolarsi, così da poter tornare ad ammirare le seppie e i felloni andando sott’acqua, nonché permetterebbe bagni tranquilli a tutte le persone che non vanno in giro in yacht. Il parco sarebbe un’ottima soluzione, sia naturalistica che economica. Gente, checché ne dica qualcuno, con la cultura e la natura ci si mangia e ci si campa pure bene. Un parco naturale attrae visitatori, che devono essere portati in giro da qualche parte, sia per mare che per terra, che la sera hanno voglia di svago (non necessariamente discoteca), che magari un bel film al cinema di ottobre se lo vedrebbero volentieri, che uno spettacolo di teatro della compagnia locale se lo gusterebbero di sicuro, che se fuori piove, al museo ci andrebbero volentieri e che devono dormire e mangiare da qualche parte. E che cosa mangiano? I prodotti locali, magari provenienti dal mare! Quel mare che con il parco si sta ripopolando e riempie le reti e le tasche dei pescatori. Perché, è chiaro, il parco può essere modulato anche in aree, che permettono lo svolgimento di diverse attività, dalla semplice balneazione, al solo transito, alla pesca sportiva, alla pesca commerciale: si può fare! 

Ma chi accoglie questi turisti? Chi conosce l’isola, ovvio, ma anche chi sa come funziona l’accoglienza e la ricettività turistica. Non ci si può inventare  dall’oggi al domani albergatori, ristoratori, guide naturalistiche e storico/artistiche. Serve un istituto/scuola alberghiero, turistico, o affine. Serve la specializzazione! E dove apprendere meglio se non sullo stesso luogo dove poi domani esercitare?!? Ma perché fermarsi alla scuola secondaria? La specializzazione universitaria vedrebbe un’isola come Ponza un luogo ideale per gli studi di qualsiasi, e ripeto QUALSIASI, disciplina, sia umanistica che scientifica! Qualche esempio? Ponza, come tutte le isole minori, dispone di una quantità di flora e di fauna a carattere endemico enorme ed è, dunque, un serbatoio genetico di primaria importanza, con diversi esempi di unicità. Una tra tutte, forse, quella particolare palma da cui prende il nome Palmarola ha un valore da non sottovalutare. Storicamente, poi, la nostra bella isola è ricchissima: ci passarono fenici, greci ed etruschi, si fermarono i romani e la resero grande. Diversi ordini religiosi l’abitarono sapravvivendo alle scorrerie dei “saraceni”. Queste scorribande hanno reso l’isola difficile da governare e hanno richiesto la costruzione di forti, prima da parte dei Farnese, poi da parte dei Borbone, a cui si deve un pezzo unico nell’architettura d’età moderna: il porto, opera di Don Antonio Winspeare (al tempo, il Don “alla spagnola” era segno di grande rispetto e prestigio) e del suo assistente Francesco Carpi, che operarono anche a Ventotene e diedero forma al carcere di Santo Stefano, la cui pianta ricalca quella del teatro San Carlo di Napoli.

Dal punto di vista geologico, Ponza è un unicum in Italia, e lo disse già agli albori del 900 il botanico Beguinot e ancor prima Dolomieu (sì, proprio quello). Ne è testimonianzala Bentonite, rara in Italia (solo in Sardegna ve ne è in abbondanza), importante per l’isola, nel bene e nel male, nel periodo della miniera. Né è testimonianza l’ossidiana, ritenuta così pregiata da esser stata ritrovata in molti porti del Mediterraneo (si, proprio quella proveniente dalla vena nera di Palmarola).

E si potrebbe andare ancora avanti. 

Ci sono, poi sedimenti immateriali, che possono percepire solo quelle persone che vivono l’isola e la sua gente, che se dimenticati, adranno persi per sempre. Sto parlando delle tradizioni, dei racconti mai scritti tramandati di nonna in figlia in nipote, di quei saperi e di quelle conoscenze, anche tecniche, che hanno permesso all’uomo non di sopravvivere, ma di vivere e rendere sovrappopolato un piccolo lembo di terra di meno di 10 kmq. Le arti della pesca, le fatiche della terra, i segreti del vino, dal sapore diverso a seconda dell’esposizione ai venti, al sole, al mare della vigna. Tutto questo deve rendere ricca Ponza. Una possibilità passa anche attraverso la musealizzazione di questi saperi, ma non solo. Anche attraverso la condivisione con gli altri dei propri saperi e il confronto con i loro. 

Tutto questo richiede tempo, richiede dei passi preliminari, richiede la creazione di posti di lavoro, richiede uno studio, e anche qui diceva bene Tobia, delle realtà simili, vicini o distanti, da cui poter trarre spunto. Innanzitutto, le altre isole minori italiane. Poi ci sono quelle greche. Perché vanno tutti là? Perché i loro alberghi sono pieni da aprile ad ottobre? Perché ora c’è il boom della Croazia e delle isole sparpagliate lungo la costa? Che servizi danno? Cosa offrono? Qualità o quantità? Impariamo dal nostro passato, certo, ma anche dal presente che ci è intorno. ACCOGLIAMO CHI CI PORTA I SOLDI E INVITIAMOLO A RESTARE E A TORNARE A TROVARCI! Non lo facciamo scappare, non lo lasciamo andare via, perché “tanto domani arriva un altro pollo”! Pianifichiamo la stagione lunga, pubbliciziamoci al mondo, partecipiamo alle fiere del turismo e mostriamo che il nostro mare è il più bello di tutti, la terra è la più accogliente e ci si può sentire a casa, non solo d’estate! Lavoriamo per far venire la gente sull’isola. Senza trasporti, non c’è sviluppo. Non è possibile metterci 6 ore da Roma a Ponza (se il traghetto e il treno non ci impiegano più del previsto). Non è possibile che il primo rifornimento della giornata sbarchi sull’isola alle 12,30. Serve un coordinamento nelle comunicazioni con la terraferma, sia fisico che “politico”. La terraferma, inevitabilmente, è il punto di riferimento dell’isola, da cui essa dipende. Comunicazione, coordinamento, cooperazione. E Ponza si trova in una posizione fortunata per questo. Roma a Nord, Napoli a Sud, ed in mezzo una ricchezza di realtà importanti come Anzio, Nettuno, il Circeo, Terracina, Sperlonga (quanti turisti!), Gaeta, Formia, Minturno, ma anche le isole vicine, Ventotene, Ischia, Procida e, più in là, Capri.

Insomma, la faccio breve. Ponza ha le risorse per il suo sviluppo economico e per favorire il benessere della popolazione. Le ha già. Sono risorse materiali ed immateriali, ambientali e umane. Deve solo essere in grado di incanalare le forze nella giusta direzione, senza chiudersi all’esterno per aprirvisi solo quando quando c’è bisogno di soldi. Bisogna riequilibrare il rapporto con la terraferma, quel rapporto centro-periferia tanto squilibrato a svantaggio di Ponza. Bisogna sapersi ascoltare ed ascoltare, vedere, carpire, “rubare” il meglio di quello che è fuori. Non bisogna essere furbi, bisogna essere bravi. E di possibilità ce ne sono. Tante. Almeno quante le piante di ginestre che “imbiondiscono” il Monte Guardia, o quanti sono i secoli di storia dell’isola, o a quante sono le cisterne romane per la raccolta dell’acqua, o a quanti sono i ciottoli del Core.

Facciamolo per le isole di Ponza!

Arturo Gallia