di Maria Conte
Ogni anno, verso la fine di ottobre, immancabilmente, reti televisive e giornali, soprattutto locali, ci assillano con la loro sarabanda di spot per l’arrivo di Halloween. Altrettanto immancabilmente, puntuale, mi prende un senso di insofferenza per questa festa, la cui smodata e consumistica celebrazione in Italia non riesco a capire. Allora, cullata dal grigio delle giornate padovane in questa stagione, mi ripasso, al computer, le notizie sugli usi e le tradizioni di casa nostra in occasione del 2 novembre e, poi, parto… per Ponza… con la commossa nostalgia di sempre… E rivedo il nostro Cimiterino, la Chiesetta, le tombe dei miei Cari, Familiari, Parenti, Amici, Conoscenti, e lo sguardo attraverso una lacrima si protende verso il panorama che abbraccia questa collina di pace e di serenità.
“Ai tempi della mia infanzia e dell’adolescenza, nell’isola, la sera di tutti i Santi i bambini erano soliti mettere una scarpa sotto il letto, a casa propria, e portarne un’altra in quella dei nonni o zii: durante la notte, i Morti sarebbero tornati nella loro dimora da vivi ed avrebbero riempito di doni le scarpette (in alcune case si preparavano sulla tavola pane e vino per loro). …Doni? Si fa per dire: fichi secchi, confetti conservati da qualche bomboniera, qualche caramella, qualche soldino… Ma eravamo felici di quel poco che scoprivamo il giorno dei Defunti al mattino: felici anche perché, la sera precedente, ci eravamo ficcati a letto con un po’ di batticuore, per la paura che qualche nostro Caro defunto ci svegliasse di soprassalto…, e constatavamo che ciò non era avvenuto… Con il nostro bottino nella borsettina o in tasca, seguivamo gli adulti nella visita al Cimitero: recitavamo una preghiera, ci soffermavano a leggere la dedica su qualche lapide, raccattavamo qualche piattino… di lumini ormai consumati (…sarebbero stati utili per i nostri giochi)”
Vorrei tanto sperare nel contrario, ma temo che, anche a Ponza, nessuno più, non dico osservi questa tradizione, ma neppure ne conservi il ricordo. Al tempo stesso, mi piacerebbe averlo suscitato, almeno in una sola persona, io, con questa modesta descrizione. E vi chiedo un sorriso! In casa nostra, qui, a Padova, noi, ormai adulti, anzi… diversamente giovani.., la sera di Tutti I Santi, mettiamo la scarpa in attesa dei nostri Morti e dei loro doni. Anche così, ci sentiamo più vicini alla nostra isola.
Maria Conte
Lino Pagano
30 Ottobre 2011 at 13:28
Carissima Maria
sei riuscita a farmi venire le lacrime, si anche io come te ancora oggi a a 63 anni la vigilia dei morti la sera quando vado a dormire lascio sul tavolo vivande e vino per i morti se qualcuno di loro passando avesse fame avrebbe da soddisfare la sua sete e fame, che bei ricordi di quando si era bambini veramente che con poco eravamo felici, fichi secchi confetti e cioccolatini, io mettevo sempre lo scarpone di mio nonno era piu grande e capiente della mia scarpetta, ma nello scarpone trovavo carbone nella mia scarpa i dolcetti,stupefatto al mattino mi dicevano che i morti mettevano i dolcetti nelle scarpe dei bambini e in quelle dei grandi carbone, ma come eravamo ingenui ma buoni di animo i tempi cambiano velocemente come dici tu oggi non sanno neanche cosa voglia dire ricordare i morti come facevamo noi.
Ti faccio pervenire i miei più cari saluti
Lino Pagano
michelino
30 Ottobre 2011 at 22:04
Carissima Maria,
condivido con Lino la grande emozione che hai provocato rievocando i ricordi della mia fanciullezza… Pur non vivendo a Ponza la mia mamma la sera della vigilia del 2 novembre mi faceva mettere le scarpe vicino al letto… ed io non riuscivo ad addormentarmi per la paura… La mattina mi svegliavo di soprassalto ed andavo a guardare le mie scarpe… e felice mi prendevo i doni… Grazie.
Carissimi saluti
Michele Tomeo (figlio di Gilda sul Pizzicato)
Luisa Guarino
31 Ottobre 2011 at 17:43
Ricordo anch’io la consuetudine del 2 novembre quando da bambini, in occasione della Commemorazione dei Defunti, nonna e mamma facevano mettere a me e mio fratello le pantofole bene in mostra ai piedi del letto, la sera della vigilia; al mattino al risveglio le trovavamo piene di caramelle e cioccolatini, altri dolciumi, frutta secca e qualche piccolo giocattolo. Non ho mai provato timore. Forse ho sempre immaginato che c’era un affettuoso tramite terrestre che ci aiutava a tenere sempre vivo il ricordo di chi non era più tra noi.
Diventata a mia volta madre, ho provato anch’io a trasmettere questa bella tradizione a mio figlio, bambino. La sera del 1° novembre ho messo le sue pantofole ai piedi del letto, e il mattino seguente lui le ha potute trovare piene di ogni ben di Dio. Ma non avevo fatto i conti con la sua testolina, già ‘guastata’ e ‘infarcita’ da cinema, tv e fumetti, poco incline alla poesia, e al contrario molto realista e dissacrante. Così, quando gli ho accennato ai nostri cari che non ci sono più e che portavano i dolci in dono mi sono sentita rispondere con una risatina
ironica: “Ma come sarebbe, vorresti dirmi che sono arrivati… i morti viventi, gli zombies?”.
Mi sono cadute le braccia. Mi si è frantumato un mondo intero. Inutile dire che da quel giorno, ora lontano, quel bel rito a casa mia non ha avuto mai più un seguito. Per questo mi ha dato una particolare gioia ritrovarlo qualche anno fa, durante un soggiorno di novembre, a casa delle mie cugine di Padova, Maria e Rosanna.
Un modo dolcissimo per sentire insieme, sempre più forte, il legame tra presente e passato.
Luisa Guarino
Carmela Argiero
1 Novembre 2011 at 13:07
Mi riallaccio al ricordo del 2 novembre. Oggi a Monza giornata triste e nebbiosa nel ricordo d’infanzia della Celebrazione dei Morti, per me orfananella non troppo bello. Prima il giro per tutte le cappelle e non, a dir rosario e altro, per tutto il giorno. Parliamo di bambinette dai 5 a 13 anni. Ho bene in mente la visione di alcune cappelle addobate con cuscini neri di velluto, ricamati, messi lì per terra con crisantemi e tanti lumicini accesi, che a volte irritavano la gola; forse si usava così. Poi ricordo la sera prima dei morti le suore ci mandavano a letto presto perchè i defunti dovevono portare i doni, si fa per dire: fichi secchi, caramelle, carboni anche se eravamo state bravissime. Ma il ricordo peggiore per me che ero terrorizzata, era che le suore si coprivano con un telo bianco addosso, con il volto coperto, in mano un piattino con dentro un pezzo di ovatta inbevuta nell’alcol, che accendevano e si illuminava la camerata. Noi bimbe eravamo spaventate, ci mettevamo la testa sotto le coperte. Al mattino se eravamo state buone c’era qualche cosa oppure no. Così erano le cose, altro che Halloween, festa che detesto, che non fa parte della nostra cultura: è solo una festa industriale, nel mio modo di vedere.
Un saluto affettuoso agli amici di ponzaracconta e non, da Argiero Carmela
polina ambrosino
2 Novembre 2011 at 22:34
Carissima Signora Maria, anche io da piccola avevo la scarpa sotto il letto, ma le rispondo per darle una buona notizia: ci sono ancora bambini ponzesi che la sera di Ognissanti vanno a dormire con un pò di ansia perchè arriverà un nonnino, una nonnina o una persona a loro cara dal mondo dell’aldilà, a regalare loro le cose buone, se sono stati bravi… Ad esempio, i miei tre cuginetti, nipoti di zio Luigi, sono fra quei bimbi… qualcosa di vero esiste ancora, a Ponza… Saluti carissimi!!