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Andrea Zanzotto

di Gino Usai

E’ morto questa mattina il poeta veneto Andrea Zanzotto. Era nato a Pieve di Soligo, in provincia di Treviso, il 10 ottobre 1921, aveva quindi appena compiuto 90 anni.

Laureatosi in Lettere all’Università di Padova nel 1941, ebbe come insegnanti il poeta Diego Valeri e il latinista Concetto Marchesi.

Zanzotto partecipò alla Resistenza veneta nelle file di Giustizia e Libertà occupandosi della stampa e della propaganda del movimento.

Nel 1950 concorse al Premio San Babila per la sezione inediti: la giuria, composta da Giuseppe Ungaretti, Eugenio Montale, Salvatore Quasimodo, Leonardo Sinisgalli, Vittorio Sereni, gli attribuì il primo premio per un gruppo di poesie, composte tra il 1940 e il 1948, che sarà poi pubblicato nel 1951 con il titolo ”Dietro il paesaggio”.

La raccolta di versi ‘La Beltà’, pubblicata nel 1968 e considerata ancora oggi l’opera fondamentale di Zanzotto, venne presentata da Pier Paolo Pasolini e Franco Fortini e consacrò Zanzotto al grande pubblico, grazie anche all’apporto critico di Eugenio attraverso le colonne del ‘Corriere della Sera’.

Spirito critico e attento osservatore del nostro tempo, disse: “scrivo versi per attraversare quest’epoca rotta e accidentata”.

Pasolini, che lo apprezzava moltissimo, lo definì  l’“ultimo petrarchista impazzito” aggiungendo che era un poeta “Comico e cosmico, ricorrendo ai gerghi della letteratura, della medicina, della psicologia, della storia delle religioni, egli si è inventato un “campo semantico” dove impiantare uno degli edifici poetici più alti della nostra epoca letteraria”.

Entrambi erano legati al mondo contadino e preindustriale, innocente e incontaminato dalle storture della civiltà borghese e consumista.

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Nella poesia che segue, affiorano chiare le sue radici contadine e la sottile e mordace ironia nei confronti della società moderna. Una volta, recitandola in pubblico, disse:  “Questa poesia qua bisogna dirla: perché è troppo attuale!…  e non sarà inattuale penso per qualche millennio“.

Dintorni natalizi
1997


Natale, bambino o ragnetto o pennino
che fa radure limpide dovunque
e scompare e scomparendo appare
come candore e blu
delle pieghe montane
in soprassalti e lentezze
in fini turbamenti e più
Bambino e vuoto e campanelle e tivù
nel paesetto. Alle cinque della sera
la colonnina del meteo della farmacia
scende verso lo zero, in agonia.
Ma galleggia sul buio
con sue ciprie di specchi.
Natale mordicchia gli orecchi

glissa ad affilare altre altre radure.
Lascia le luminarie
a darsi arie
sulla piazza abbandonata
col suo presepio di agenzie bancarie.
Natali così lontani
da bloccarci occhi e mani
come dentro fatate inesistenze
dateci ancora di succhiare
degli infantili geli le inobliate essenze.

Addio dolce e caro poeta.

 

[2]

Andrea Zanzotto

Gino Usai