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A mbrucchièlle

Dal libro di Ernesto Prudente “Vocabolario illustrato del dialetto parlato dei pescatori e dai marinai ponziani”

Mbrucchièlle – burchiello s.f. Bastimento a vivaio per il trasporto delle aragoste e dei capitoni vivi.

Il vero burchiello è una piccola barca fluviale per il trasporto di passeggeri e merci. E’ da ritenere che il travaso del suo nome, dal fiume al mare, vada ricercato nella sua fattura che gli consente navigazioni tranquille anche con il mare grosso.

Questo tipo di imbarcazione, come mi raccontava Geppino Vitiello, il cosiddetto Geppino dell’Ave Maria, uno dei più noti marinai della marineria ponziana del secolo scorso, è stata rubata agli spagnoli.
Raffaele Vitiello fu il primo ponzese, che all’inizio del ventesimo secolo, si trasferi in Sardegna per la pesca delle aragoste.
Quando ne accumulava una certa quantità le portava a Genova o a Marsiglia. Le sistemava, in ceste avvolte in foglie di canne, in un cesto che copriva con un telo di iuta che veniva continuamente bagnato. Solo così le aragoste riuscivano a sopravvivere per qualche giorno fuori dall’acqua. Come arrivava a destinazione metteva le aragoste in vasche contenenti acqua di mare. Ma nonostante tutti gli accorgimenti, la mortalità era sempre rilevante. Sul mercato di Marsiglia arrivavano aragoste anche dalla Spagna. Il sistema di trasporto era, all’inizio, identico.
Ma, un bel giorno, il Vitiello notò che gli spagnoli scaricavano le aragoste direttamente dalla nave, prelevandole dalla stiva di un bastimento, ancorato in rada. Subito scattò l’allarme nel suo cervello. Ma come era possibile tutto ciò? Il suo primo pensiero, non potendo visitare la barca iberica, fu quello che gli spagnoli avessero riempito la stiva di acqua. Della cosa ne parlò al fratello Erasmo appena mise piede in Sardegna dove lo stesso si trovava con altri familiari sempre per la pesca. Dopo il consulto Erasmo partì per Livorno in cerca di un bastimento da usare, a suo giudizio, come quello spagnolo. La sua attenzione si posò sulla Ida, una goletta di ventidue metri. Si fece dire ogni notizia utile sull’imbarcazione e sul prezzo di vendita. Venne a Ponza per racimolare il danaro necessario che poté raccogliere con una ipoteca su due abitazioni della famiglia. Ritornò a Livorno, con alcuni marinai, che dovevano formare l’equipaggio, e con un carpentiere, che aveva preso a Torre del Greco, per far calafatare l’interno del bastimento per evitare che l’acqua penetrasse, poi, per tutta la nave. Sistemata la calafatura, a Olbia riempirono la stiva d’acqua con un lavoro immane. Per il travaso usarono secchi e bidoni. Caricarono le aragostee fecero rotta su Marsiglia. Non una tempesta ma “nu poche i màzzeche è spute” li costrinse a ritornare a Olbia. Per poco non affondarono.
Sulle piccole onde, l’acqua contenuta nella stiva si riversava da una murata all’altra, provocando sbandamenti paurosi. Raccontarono di aver visto la morte con gli occhi.
Continuarono il commercio delle aragoste con le ceste.
Erasmo si trasferì a Marsiglia, con Gennaro, il calafato che aveva chiuso, con la stoppa e il catrame, le connessure della Ida con la speranza e l’intento di visitare la barca spagnola per vedere come fossse fatta all’interno.
Fu una caccia al concorrente. Erasmo fece l’impossibile, ed in questo venne aiutato anche dal grossista a cui entrambi portavano le aragoste, per conoscere il capitano spagnolo e la sua nave. Come lo incontrava lo invitava a bere in una di quelle tante bettole caratteristiche dei bassifondi marsigliesi.
Bevi oggi e bevi domani, l’amicizia si saldò tanto che un giorno il capitano spagnolo sentì il dovere di invitarlo a bordo della sua nave a bere un Calvados.
Era quello che aspettava. Come era logico si fece accompagnare da Gennaro.
Quando varcarono la murata della barca spagnola Erasmo scese nel quadrato con il capitano mentre Gennaro si mise ad osservare attentamente come era strutturata la nave. Anzi, cacciò il metro dalla tasca e prese pure qualche misura suscitando la reazione furiosa del capitano spagnolo che, salito in coperta per invitarlo a scendere nella saletta, lo aveva notato di soppiatto a prendere misure.
Con il buon senso, raccontando tutte le peripezie a cui erano andati incontro e la situazione economica della sua famiglia, Erasmo riuscì a calmare l’ira del collega spagnolo assicurandolo che non avrebbe svelato il segreto.
La “Ida” venne portata a Torre del Greco dove Gennaro, con l’aiuto di altri carpentieri, la sottopose a quelle modifiche che riteneva necessarie per averle viste, notate e annotate sulla barca spagnola.
In quella circostanza lo spagnolo svelò anche che, nella stiva piena d’acqua, teneva sistemati una serie di cesti di vimini dove le aragoste si agguantavano per evitare di essere sbatacchiate da una murata all’altra.
Quando la Ida, dopo le modifiche, fu messa in acqua risultò molto appruata, un difetto che si è portato dietro fino alla distruzione, nonostante che la sottocoperta della poppa fosse stata riempita con pesanti massi.
Nacque così il primo bastimento vivaio, la prima ‘mbrucchiélle, della marineria ponzese.
Nelle prime decade del millenovecento Ponza aveva una flotta di circa venti mbrucchiélle: “Ida”, Armatore Vitiello; “Angelo Raffaele”, affondata nella prima guerra mondiale, armatore Vitiello; “Giuseppe D.” di Benedetto Feola; “ Maria G. di Michele Conte e Cristoforo Mazzella; “S. Giuseppe Padre” di Antonio Vitiello (Carròcchje); “Santa Filomena” di Raffaele e Benedetto Sandolo; “San Salvatore” di Benedetto e Gennaro Sandolo; “ San Silverio” poi chiamata “Vittoria” di Aniello Sandolo; “San Gennaro” di Giuseppe Sandolo; “Bellonia” di Francesco Sandolo (Ndupitte); Mariù di Gennarino e Silverio Sandolo; “Nuova Maria”, meglio conosciuta come Porta pesce, di Gennaro Vitiello; “San Michele” detta ‘a miciose, di Cristoforo Tagliamonte; “San Ciro”, poi “Maria Feola”, di Antonio Feola; “Narduccio” poi “Antonio Feola” , anch’esso di Antonio Feola; “Margherita Luisa” di Silverio Russo e Salvatore Romano; “Maria della Salvazione” di Antonio e Francesco De Luca; “ Rosalia” di Gavino; “Fiore del mare” di Catello Pagano.
“La goletta vivaio, scrive Giulio Vitiello, nave rivoluzionaria per sicurezza di navigazione e per la facilità della conservazione dell’aragosta, ha aperto orizzonti più vasti ed ha segnato un nuovo ciclo storico della marineria ponzese”

Ernesto Prudente

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