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Storia di mare: il marrobbio

[1]di Ernesto Prudente

Marrobbio – marrobbio s.m. Nome usato per indicare rapide variazioni del livello del mare dovute al temporaneo svuotamento e accumulo di acqua lungo la costa. Sono prodotte dalla azione del vento e dalla depressione atmosferica. Nei paesi asiatici si chiama Tsumani che il 26 dicembre 2004 ci ha fatto essere testimoni di un disastro incredibile.

Ho vissuto in prima persona un fenomeno simile ma non della stessa portata..
Quando accesi la luce, perché svegliato dal trillo del campanello, l’orologio, a cui diedi subito lo sguardo, con gli occhi assonnati, segnava l’una e dieci di notte. Scesi dal letto, mi portai nelle scale, che a casa nostra hanno funzione di corridoio, perché le camere sono su piani diversi, e, ad un nuovo trillo, a voce alta chiesi: “Chi è”? “Sono Belvisella, non aver paura, non è successo niente di strano”. “Indosso i pantaloni e vengo ad aprirti”.
Fu questo il concitato dialogo tra me e la nostra vicina di casa. Indossai i calzoni e le ciabatte e andai ad aprirla. Il solito sorriso di Belvisella dissipò il mio stato di inquietudine. “Vorrei gli stivali di Danny perché Giuseppe deve andare a tirare a secco la barca perché il tempo cattivo”. Presi gli stivali e nel consegnarglieli le chiesi se il marito disponesse di un mezzo di locomozione. Alla risposta affermativa le dissi di farmi attendere perché volevo andare anch’io a constatare quanto stava avvenendo nel porto di Ponza.
Impiegai non più di un minuto a vestirmi. Ricordo che misi in tasca il mio coltello da caccia, dalla lama molto affilata. Poteva sempre servire, come servì.
Nell’ambito portuale c’era la fine del mondo! La salsedine la faceva da padrone rendendo tanto opaco l’ambiente da togliere la visibilità anche alle cose vicine. Le luci dei riflettori, su ogni barca c’ era uno acceso, diffondevano un velo giallastro. Su ogni barca c’era gente. Per arrivare al molo Musco, dietro la Caletta, dove Giuseppe Valiante aveva la sua barca, attraversammo Corso Pisacane. La banchina Di Fazio e, meglio ancora, la Banchina Mamozio, per le tante piccole barche che vi erano state ammucchiate, non consentiva il transito di un automezzo. Giuseppe guidava veloce e capii il suo stato d’animo quando arrivammo dietro la Caletta. Che spettacolo! Il vento da scirocco e levante era forte e teso.
I cavalloni si infrangevano contro la scogliera, che ne limitava la libertà, e gli spruzzi, determinati dall’impatto, “s’annariavene” cadendo, poi, come un piovasco. C’erano diverse persone e tutte indossavano indumenti antipioggia, con il cappuccio o berretto talmente calato sulla testa da non consentire di riconoscerle. Guardai attentamente le barche che, sospinte dalla risacca, superavano di molto la superficie della banchina. All’improvviso mi sentii gli stivali pieni d’acqua. Il livello del mare si alzava di oltre un metro e inondava la banchina per poi riversarsi dal lato del porto. Pensavo che fosse acqua di ondate. Mi resi conto della situazione e dissi a Giuseppe che non era possibile doppiare la testata del molo per entrare nel porto.
I marosi erano talmente grossi e prepotenti che avrebbero affondato la barca, senza ombra di dubbio. Emilio, il fratello che avrebbe dovuto aiutarlo nell’impresa, manifestò apertamente sintomi di paura. Consigliai di tirarla nel piccolo scalo d’alaggio che si trova nella banchina della caletta e nell’aiutarli a salire a bordo diedi il mio coltello a Giuseppe dicendogli: “ti potrebbe essere utile”. E così fu, quando, nel districarsi tra le tante barche e tra le tantissime cime, una di queste si avvolse nelle sua elica. Notai che non era in condizione di dipanarla e subito gli gridai: “taglia e annoda”, cosa che fece immediatamente usando il mio coltello. Chiamai a raccolta le gente che operava intorno alle proprie barche, che immediatamente accorse, e aiutammo Giuseppe a far mettere il muso della sua barca nello scivolo e a tirarla all’asciutto. Operazione che venne subito seguita da altre barche. Finita questa operazione mi ritrovai, come gli altri, il pantalone inzuppato fino ai ginocchi.
Mi tolsi gli stivali per sgottarli dell’acqua che continuamente vi penetrava. Mi fermai sul ciglio banchina per rendermi conto di questo strano fenomeno.. Il mare, il vento e, di tanto in tanto, qualche scroscio di pioggia da scirocco inondavano Ponza.
Risacca a non finire tanto da diventare un tormento per le barche ancora ormeggiate. Quel repentino sommovimento del mare che riusciva a svuotare la caletta creava una scena surreale a cui volevo dare una spiegazione. Posi l’attenzione di alcuni amici, marinai e pescatori, sul piccolo specchio d’acqua della Caletta che quando si prosciugava le imbarcazioni si poggiavano su un fianco. Tutti affermavano che non avevano mai visto uno spettacolo del genere. E neanche io ero stato mai spettatore di una simile manifestazione e né mai ne avevo sentito parlare. Ben altra cosa è la bassa marea che viene a prodursi anche per miglia e miglia in alcune zone della terra.
Questo era un fenomeno nuovo, una manifestazione irreale che mi venne confermata da quello che vidi, poi, mentre con Valiante ci dirigevamo a Santa Maria per vedere i pescherecci, tirati a secco, come se la stavano cavando in quel trambusto.
Il tratto di strada Galleria- Centrale elettrica era zeppo di pietrame, bottiglie e barattoli e tanti altri piccoli oggetti, legname compreso. Il motorista di turno in centrale ci disse che era stato il mare a depositarli. “ Non i cavalloni ma l’acqua dell’alta marea che aveva superato l’arco che sta sotto il grottone ed era arrivata fino alla nostra porta”.
Quando, alcuni giorni dopo, incontrai Silverio Vitiello, il comandante del Maddalena e gli raccontai di quanto ero stato testimone, mi spiegò che quella specie di marea anomala e tempestosa era dovuta ad una rapida variazione del livello del mare e al temporaneo accumulo di acqua presso la costa determinati dall’azione del vento e dalla depressione atmosferica.
Quel fenomeno si chiama “marrobbio”.
Quello che in seguito causò la morte di centinaia di migliaia di persone, nel sud-est asiatico, di intensità maggiore, imparammo a chiamarlo Tsunami.

Ernesto Prudente

Dal libro “Vocabolario illustrato del dialetto parlato dai pescatori e dai marinai ponziani”