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Palmarola vista dal mare (2)


di Lino Catello Pagano

Per il precedente reportage dello stesso Autore, “Ponza vista dal mare”: leggi qui

 

Lasciata Ponza si fa rotta, in barca, verso l’isola di Palmarola, passaggio obbligato per chi vuole veramente conoscere la bellezza del mondo in cui vive. Il nome di questa isola deriva da una specie di palma nana (Chamaerops humilis) che riesce ad attecchire anche su queste rocce poverissime di terra. Ma non solo: su queste rupi sono presenti altre numerose specie di piante, oltre a quelle tipiche della macchia mediterranea, come il finocchio selvatico, il raperonzolo (Campanula rapunculus), il cocomero selvatico (Ecballium elaterium), nonchè piante esotiche che gli uccelli hanno portato dalle coste africane.

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La costa sud, molto tormentata, si allarga in una piccola ansa naturale protetta da una serie di scogli: Cala Brigantina, dove possono trovare rifugio barche di medio tonnellaggio. Come un libro aperto, la parete della baia mostra gli strati sovrapposti di roccia con i quali l’isola si è formata durante le eruzioni vulcaniche. Il porticciolo naturale, nella buona stagione sempre affollato di barche, prende il nome dal brigantino, qui stazionante, che Re Ferdinando IV di Borbone aveva destinato alla protezione dei pescatori isolani. Il riverbero della bianca roccia e il riflesso della sabbia del fondo colorano l’acqua di uno splendente azzurro smeraldo, nel quale è impossibile non bagnarsi.

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Per la barca che viene da Ponza, superata Cala Brigantina, all’isola si accede attraverso  la Porta grande (’a porta ’ranne); ma se invece di fare il giro stretto ci si allarga verso fuori, si trovano quattro rocce imponenti che la proteggono da Sud. Su quelle più alte nidificano il Gabbiano reale e la Berta maggiore. Girando intorno al faraglione più grande si entra nella grotta-canale detta Grottone di Mezzogiorno. L’ampia volta simile ad un pantheon naturale, costituisce una delle meraviglie dell’isola: il colore del mare passa dall’azzurro turchese al giallo oro, fino al nero passando per il rosso. Entriamo nella grotta con la barca e scopriamo ciò che la natura riesce a fare.

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Procedendo con la barca verso la spiaggia principale posta a ponente, vediamo il Faraglione di San Silverio chiamato così dai coloni settecenteschi che credettero di ravvisare su quel masso di trachite la cella penale ove morì esule il nostro Patrono, mentre si trattava solo di alcuni ruderi d’una vedetta Farnese.

Ogni anno, prima della ricorrenza della festa del Santo che si festeggia il 20 giugno, una processione di barche, lance e gozzi si reca al faraglione per rendere omaggio con una messa al Santo.

Ancorata la barca, senza dare disturbo alle altre barche arrivate prima di noi, scendiamo sulla spiaggia, e qui vi è luce, sole, candore di tufi chiari. in mezzo all’alto dorsale dei colli tra un filone di riolite e cinque di retinite, sgorgati dall’unico cratere dell’isola, torreggia quella guglia bianca che rassomiglia al frontale di una chiesa gotica, che chiamano la Forcina. In mezzo ai torrenti di luce che scendono da ogni dove, smorzati a mala pena dai bassi filari dei vigneti, notiamo che su tutta la parete di roccia alle spalle della spiaggia si aprono grotte manufatte, ognuna con la sua porta imbiancata. In esse abitavano temporaneamente i contadini che venivano ad attendere con pena e fatica, alle poche colture.

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Riprendiamo la barca e muoviamo verso la Cattedrale. È la maggiore attrazione dell’ isola: le rocce riolitiche sono qui disposte ordinatamente a formare una maestosa facciata gotica, arricchita da pinnacoli, solenni colonne, ombrose cappelle che custodiscono segrete spiaggette, avvolte dai vapori che salgono come l’incenso a glorificare tanta bellezza.

Tirata nuovamente l’ancora in barca, riprendiamo il giro e ci imbattiamo in un altro scoglio, lo Spermaturo. L’isola non finisce mai di sorprendere. Il pennacchio rosso di questo formazione rocciosa sembra essere appena emerso dal mare con il guizzo di un delfino. Il nome un po’ astruso, deriva probabilmente dall’omonimo attrezzo (‘spalmatoio’) usato dai calafatari per stendere sulla carena dei bastimenti lo speciale miscuglio di pece e altre sostanze che preserva lo scafo dall’azione del mare.

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Tirata nuovamente l’ancora in barca, riprendiamo il giro e ci imbattiamo in un altro scoglio, lo Spermaturo. L’ isola non finisce mai di sorprendere. Il pennacchio rosso di questo formazione rocciosa sembra essere appena emerso dal mare con il guizzo di un delfino. Il nome un po’ astruso, deriva probabilmente dall’omonimo attrezzo usato dai calafatari per spalmare sulla carena dei bastimenti lo speciale miscuglio di pece e altre sostanze che preserva lo scafo dall’azione del mare.

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Passiamo dai Vricci (‘ghiaia’ o ‘breccia’, in  italiano), altra cala caratteristica dell’isola e puntiamo verso Ponza, per il rientro.

Arrivati a terra resta poco tempo per farsi una doccia e scendere per un buon aperitivo, e decidere dove andare a cena; optiamo questa volta per le Forna, presso il villaggio dei pescatori.

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Questo villaggio si affaccia sulla meravigliosa caletta di Cala Feola, tra le case tipiche del posto, ad un passo dalle piscine naturali.

Prenotiamo presso un ristorante dove i nostri amici sono stati accolti da un ambiente familiare, con una cena a base di pesci e una cucina molto gradevole.

Vino locale e cosa vuoi di più… che l’estate a Ponza non finisse mai..!

 

Lino Catello Pagano