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La Quindicina

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di Gennaro Di Fazio

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“La Quindicina”, che cos’è

15 giorni dedicati alla Madonna Assunta, dal 31 luglio al 14 agosto.

In tutte queste sere in alcuni luoghi di Ponza, all’aperto, gruppi di donne si riuniscono e recitano il rosario e le canzoni Mariane.

Non si sa se questa è una tradizione Ponziana  importata da qualche immigrato nei secoli passati, né si sa da quanto tempo essa è iniziata, sicuramente da oltre 100 anni visto che mia nonna, nata alla fine dell’800, già la recitava. In quelle epoche tale tradizione  si svolgeva in molti luoghi dell’isola, spesso nei cortili, “dint i curteglie” di qualche case del rione, sul far della sera, nel silenzio più romantico che un’isola potesse esprimere, visto che  non c’erano rumori di alcun genere. Immagino di come allora queste recitazioni  si potessero propagare, tra voci vicine di cortili e quelle lontane di altri   rioni,  fino a riempire l’intera atmosfera dell’isola creando una condizione quasi mistica di echi di canti e cantilene di rosari.

Perché non pensiamo ad una “notte nera e di silenzio” magari di un solo quarto d’ora e chissà che non ritroviamo un po’ della nostra identità ormai dispersa nei vicoli del consumismo e dell’aridità umana.

Gennaro Di Fazio

 

Segue adesso, sullo stesso argomento, un breve racconto di Franco De Luca

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La quindicina

 

“ Sedevamo sui gradini della scalinata, di fronte al muro, dove in alto si apriva la cappelletta con il quadro della madonna del Carmine. Era adorna di fiori e di luci. L’ avevano addobbata al mattino le donne del vicolo, zia Miliuccia i vasi di vetro per i fiori, Ferminia le teste con le ortensie, Giovanni allacciava la corrente elettrica al telaio con le lucette, e il piccolo altare era pronto. A noi ragazzi davano l’incarico di ritagliare nella carta velina sagome di bandiere. Alle quali l’infaticabile Luigi incollava le asticelle. Venivano fissate tutt’intorno, come festoni colorati.

Poi, al cadere della sera ci si radunava per la quindicina. Le mamme col rosario in mano, e le bambine anche. Le donne anziane si portavano le seggiole. Noi eravamo sparsi per i gradini, sotto il tiro vigile dell’occhio materno. Rosa iniziava a sgranare il rosario. Si rispondeva. Poi veniva il canto di una preghiera mariana.

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Era questo il momento più atteso. Perché la canzone aveva l’andamento strascicato del dialetto, in cui spesso  cadeva. Era un sinuoso, sommesso dialogo cantato. Come fra gente che si conosce. Pregava il vicolo con la sua canzone e le voci si intridevano con la sera, realizzando una atmosfera intima di chiesa.

Un bivacco di gente d’altri tempi. Irreale nella dislocazione e nella motivazione. Così dovevano giudicarci quei pochi turisti che sporgevano la testa per sincerarsi del fatto.

Anche noi ci sentivamo diversi. La quindicina in mezzo alle scale, sotto le stelle incipienti, metteva una emozione vivace. Era una preghiera reale, che partiva dalla vita e saliva direttamente, senza intermediazioni ecclesiastiche, a quel quadro stinto dalla pioggia. A cui le madri imploravano segrete, dolorose grazie. Verso cui, fra un dispetto e una burla, alzavamo gli occhi, noi ragazzi. Imparando a costruirci una fede con un muto dialogo con la coscienza. (da “ Un’isola da vivere – Pro-Loco Ponza 1988 – di Francesco De Luca )

Questa pratica di religiosità “popolare” (perché non condizionata dal tempio, dal sacerdote, dal rito) mons. Dies lasciò che si divulgasse io credo perché non riusciva, specie negli ultimi del suo sacerdozio, a imbrigliare i fedeli alla liturgia (il turismo e le sue incombenze preponderavano sulle abitudini ).

Oggi, grazie ad alcune donne  “devote”,  si rinnova la pratica della  “quindicina” (perché perdura per quindici giorni).

Sulla Parata, sul Corridoio, sulle Case Popolari, sulla Dragonara, dove un’immagine sbiadita della Madonna in una edicola ricavata nel muro, riunisce le mamme e i bambini, alla luce del tramonto. Inviano al cielo la richiesta di una “grazia” in cui si racchiude tutta la fragilità della condizione umana.
Che cerca un appiglio per sentirsi degna del dono della vita.

Così recita la canzone:

“Regina de lu cielo

Potentissima maistà

Chesta grazzia ca ve cerco

Fammella pe pietà

Fammella o Maria

Me la faie pe caretà

Pe lu dono ca receviste

Dalla Santissima Trinità”

La durezza della vita a Ponza, ha fatto nel passato da sostrato a questa religiosità, vero collante per la comunità isolana. Oggi, nelle mutate condizioni, potrebbe fungere ancora da collante sociale e da stimolo per migliorarne la qualità.

Franco De Luca