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U’ maest’ Anzalòn’ (Il maestro Anzalone)

[1]U’ maest’ Anzalòn’
di Isidoro Feola

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Mentre facevo la fila ad una biglietteria, davanti a me c’era un vecchietto, non ponzese,  che  tamburellava con le dita sopra un pacchetto di sigarette Nazionali Esportazione con filtro, quelle con un pacchetto quadrato bianco recante al centro un veliero nero a vele spiegate stilizzato in una barra di timone.

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La vista del pacchetto (che pensavo, erroneamente,  che i monopoli di stato non producessero più da molti anni), mi ha fatto venire in mente Giovanni Anzalone – (nella foto) – che negli anni sessanta è stato un personaggio importante per Ponza. Era il maestro della banda musicale di allora, ed anche il professore di educazione musicale alla Scuola Media e, prima ancora, alla scuola di avviamento professionale a tipo marinaro maschile ed industriale femminile .

Il maestro Anzalone  me lo ricordo con una sigaretta (nazionale esportazione con filtro, appunto)  perennemente accesa  tra le dita , anche in classe, e con il pollice , medio ed indice di entrambe le mani sempre di un colorito marrone – brunastro, conferito alla pelle dal catrame e dal condensato sprigionato dalla combustione del tabacco .

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Il pomeriggio lo trascorreva, quando non aveva impegni musicali, al  bar “Miramare” – (vedi foto in alto) – di Veruccio u’ chiatton’ (Silverio Parisi) – (vedi foto in basso insieme a 2 bambini) – dove, nella sala interna ed in quella laterale a destra (se non c’erano turisti) si giocava a maniglia, batuff’, briscola, tre sette, menangoppa. La sala del bar era completamente  satura della nebbia dovuta alle sigarette che 20 – 30 avventori  fumavano quasi simultaneamente .

Noi ragazzi andavamo al bar di Veruccio perché c’era il primo flipper arrivato a Ponza (quello con la scimmietta che batteva la campana quando si superavano i cinquanta punti e suoi multipli; ve lo ricordate ?? ) e c’era sempre da fare una lunga fila per poter giocare e Veruccio intimava di non scuotere troppo il flipper altrimenti  “…fa tif’ e io nun v’ faccio chiù jucà ! “ (tif’ = tilt ). Altra prerogativa di Veruccio era che in 19 marzo, festività di San Giuseppe, era il primo bar a vendere i gelati “Alemagna” confezionati .

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Ritornando al nostro maestro Anzalone, non ho mai saputo di dove fosse (forse napoletano) e se avesse famiglia. Le uniche cose certe erano quelle che trapelavano dai racconti che faceva in classe quando in un’ aula adiacente c’era qualche compito in classe e , quindi, per non disturbare la concentrazione dei ragazzi intenti a fare il compito, raccontava di quando lui, militare in Libia, doveva commettere, suo malgrado, delle nefandezze contro la popolazione locale perché comandato o, come diceva lui , “su ordinazione” (Un libico assurto al potere parecchi anni dopo, siamo proprio sicuri che avesse tutti i torti cacciando gli italiani dalla Libia?).

Con gli occhi che tradivano una certa commozione raccontava di come camminava nel deserto libico, a quaranta gradi, con delle scarpe fatte con una suola che era una sorta di autarchico cartone pressato, e con le stesse scarpe, invece,  un suo cugino aveva fatto la campagna di Russia con l’ARMIR, ed aveva fortunatamente fatto ritorno a casa anche se con sette dita dei piedi su dieci mancanti, nonostante le pezze ai piedi, a 25 gradi sotto zero .

Comunque, a proposito delle scarpe dei nostri soldati di truppa (non degli ufficiali), i calzaturifici che lavoravano per conto del regime, facevano le scarpe con un numero approssimativo (es. da 40 a 43 ) e non c’erano la destra e la sinistra perché era più veloce e meno costoso farle dritte. Quindi i piedi venivano fasciati con degli stracci, e le “pezze ai piedi’’ avevano sia la funzione di isolare dalle escursioni termiche, sia quella di cercare di adattare il piede alla scarpa come riempitivo e come differenza destra – sinistra (il modo di dire “avere le pezze ai piedi” ha questa origine).

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Comunque l’ora di educazione musicale iniziava sempre cantando l’inno nazionale e si chiudeva, sempre cantando, con “La canzone del Piave”, “Si scopron le tombe si levano i morti”, “Quel mazzolin di fiori”, ed altre canzoni tra cui  il coro “Va’ pensiero” dal Nabucco di Giuseppe Verdi (anzi, il maestro ci teneva a precisare che si chiamava “Nabucodonosor”). A tal proposito ancora non mi è chiaro cosa c’entri la fuga del popolo dalla cattività babilonese con una presunta “identità padana”, dato che un partito del Nord  ha stabilito che quest’aria è il loro inno identificativo. Boh!

Poi si passava al solfeggio: con la semibreve, minima e semiminima eravamo tutti in grado di solfeggiare;  i problemi iniziavano dalla croma in poi perché buona parte della classe ignorava, in prima media, le frazioni aritmetiche. Dopo quattro – cinque tentativi di solfeggiare andati a vuoto, il maestro chiedeva qualcosa sulla vita di Verdi, Mozart, Rossini, Puccini (che lui stesso aveva dettato in altre lezioni), ed anche qui le risposte erano, per la maggior parte, non soddisfacenti. Allora pur di non mettere un’insufficienza,  faceva l’ultima domanda: “Che cos ‘è la musica?”

Alunno: “La musica è fra le arti la più bella, quella che più penetra nell’animo, quella che più si avvicina agli alti ideali della vita. La musica può essere vocale o strumentale: vocale quando è espressa dalla voce umana, strumentale quando è espressa da uno strumento musicale.  La musica si scrive sul pentagramma, o rigo musicale, composto di cinque righe a quattro spazi. Le note che si scrivono sui righi sono mi, sol, si, re, fa; quelle che si scrivono negli spazi sono fa, la, do, mi”.

Anzalone: “Bravo, sette, torna a posto “.

Questo componimento, scritto dal maestro, lo avevamo tutti imparato a memoria .

Nel 1968, quando ho frequentato la terza media, il maestro Anzalone era andato in pensione.

Contemporaneamente all’insegnamento il maestro era anche il Direttore della banda musicale di allora, che faceva tutte le processioni religiose, suonava ai funerali (su richiesta), faceva dei matiné e soiré musicali alla Torre dei Borboni gestita dal mitico prof. Baridon.

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[7]                                                                                                                          Foto qui sopra, da sinistra a destra:  Silverio Piscopo, Biagio De Luca,                                                                                             Antonio De Luca, Tonino Esposito e Luigi Ambrosino

Dalla pg 2 di “Ponza Mia” (anno II n 4, aprile 1966) si riportano alcune tariffe “suggerite” per i servizi della banda musicale: S. Silverio 20 giugno £ 300.000 tutto compreso ; S. Giuseppe e Madonna Assunta £ 200.000;  Madonna di Pompei ed Immacolata: £ 80.000; venerdì santo e 4 novembre £ 50.000; ogni intervento in private cerimonie  £ 30.000.

[8]In alto da sinistra: Tommaso Pacifico, Antonio De Luca e Tonino Esposito. In basso a sinistra: Luigi Ambrosino. In basso a destra: Silverio Piscopo
Isidoro Feola
P.S : quelli più grandi di me, soprattutto quelli che hanno fatto parte della banda musicale, hanno tanto da aggiungere… (anche le ragazze che lo hanno avuto come professore)