Aneddoti

Il difetto, ’u difètt’

di Sandro Russo

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Abitavano sulla via Nuova di fronte alla casa dei miei nonni, quand’ero ragazzino, Adduluràta e Ninando – la madre anziana, vedova e il figlio già in età. Lui faceva il sarto. Si chiamava Ferdinando (credo!), ma era conosciuto da tutti come Ninando. Aveva grandi labbroni su un volto buono, di gran timido. E una voce moto profonda

Ho scoperto poi che lo conosceva già mio padre (quello che sarebbe diventato poi mio padre) quando era militare a Ponza, quindi ancor prima di conoscere mia madre. Pare che tra militari – per il vocione profondo lo chiamavano “L’Omo” – lo invitassero qualche volta a bere un bicchierino, e quando tutto il vetro scompariva tra i suoi labbroni, c’era sempre qualcuno che  gridava (…mi raccontava mio padre): – Nina’.. ’u bicchiér’… ’u bicchiér’..!

Il buon Ninando nello svolgimento del suo lavoro di sarto era rifinito e coscienzioso, tanto da fare una precipua attenzione al cavallo dei pantaloni che – secondo lui – faceva spesso difetto per un particolare anatomico che stava, il più delle volte, nel posto sbagliato… Può diventare un pensiero ossessivo, per un sarto!

Ora che è scomparso, di lui rimane – …cosa va a rimanere di una persona, a volte! – una frase (potentemente metonimica): – Vussignurì’.. ..vuie, ‘u difètt’, ‘u purtate a dest’… o a sinist’?

Per estensione, quando si parla di ‘difetto’, dalle parti di Ponza, non si dimentica mai il doppio senso; per dire, quanto è complicato entrare nel mondo segreto di un dialetto…

 

 

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