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Nostalgia di Ponzadi Silverio Schiano Con una presentazione di Gennaro Di Fazio Se il sito “Ponza racconta” chiudesse oggi, avremmo comunque fatto opera meritoria non solo per tutto quello che è stato raccolto, ma perché abbiamo stimolato i cuori di tanti che nel rivedere la storia della loro terra sono andati a scovare nei cassetti, nella memoria e tra la gente. Siamo riusciti a smuovere le persone e a far parlare Ponza. Ponza è ricca di storia e di cultura, di grandi personaggi e di tante altre cose, dobbiamo solo scoprirlo. A dimostrazione di tutto ciò pubblico una lettera, arrivatami dal mio caro amico di infanzia e di vita, Silverio Schiano, che pubblico con piacere insieme a due suoi brevi racconti che testimoniano in modo forte la nostalgia e l’amore per la sua e nostra isola. Gennaro Di Fazio Carissimo Gennaro Mi congratulo per tutto quello che state facendo attraverso “Ponza racconta”, è sicuramente una iniziativa stupenda. Il sito mi ha riportato indietro nel tempo, quando Ponza conservava le sue caratteristiche di isola “incantata”, ancorata lontana dal continente, nel profondo Mar Tirreno. Custode gelosa di valori “antichi e forti” di una comunità di pescatori e contadini, uniti da un forte senso di appartenenza e da grandi sentimenti di solidarietà. Mi piace ricordare di quell’ isola “incantata” due momenti estivi: i bagni dietro la Caletta e quando arrivava la nave cisterna “Frigido” Silverio Schiano
La Caletta Avevamo dodici – tredici anni, le acque del porto erano limpide e trasparenti, c’erano pochissimi motoscafi in banchina e nella rada. Ci tuffavamo dalla punta del molo e poi ci spostavamo verso “La Caletta”. Eravamo una “marmaglia” di dieci, quindici ragazzi. La Caletta per noi era una spiaggia meravigliosa, piccola e protetta dalla scogliera di massi color grigio perla. Nella foto: al centro Gennaro Di Fazio con a cavalcioni Giuseppe Colella; alla sua sinistra in basso Mariano Picicco, più a sinistra Giuseppe Tricoli; alla sua destra leggermente in lontananza Silverio Tomao, in primo piano sempre a destra Tonino Coppa detto Tony perché veniva dall’America Alla fine della spiaggia, dove terminava il molo, erano ormeggiate una decina di barche a remi. Lì tra quelle barche, spesso giocavamo a nascondino: con un grande masso tra le mani – o’cantone – ci lasciavamo andare giù fino a toccare con i piedi il fondo e camminando, riemergevamo tra le barche senza farci vedere, per prendere una rapida boccata d’aria e giù nuovamente per riapparire tra i massi della scogliera. E così andavamo avanti per ore, fino a quando esausti, ci lasciavamo trasportare dalla leggera risacca fin sulla spiaggia e lì rimanevamo distesi a riposare nella sabbia, felici. Nelle calde giornate estive quando il mare era calmo come l’olio, facevamo delle gare di apnea: ci tuffavamo dalla punta del molo e percorrevamo sott’acqua la breve distanza tra la banchina e la scogliera, fino allo “scoglio di fuori”, innumerevoli volte, fino a quando, senza fiato, riemergevamo con i polmoni che stavano per scoppiare. Ci tuffavamo tutti insieme ed emergendo uno alla volta, salivamo sulla banchina per osservare dall’alto chi, avendo ancora fiato nei polmoni, continuava a nuotare sott’acqua. Di gran lunga il più bravo era Giuseppe Colella, quando noi ragazzi eravamo tutti sulla banchina, lui era ancora sott’acqua e nuotava tranquillamente. Lo guardavamo ammirati, si muoveva lentamente, con dolcezza, non faceva nessuna fatica, sembrava un pesce. Anche quando emergeva lo faceva con delicatezza, con eleganza, non lasciava trasparire nessuno sforzo. Quelle rare volte che si metteva il levante, dietro a La Caletta il bagno si poteva fare perché la scogliera proteggeva la piccola spiaggia che diventava quindi un luogo incantato, mentre tutto intorno si scatenavano gli elementi della natura. Ma a noi con il levante ci piaceva correre a piedi nudi sulla scogliera. Saltavamo da un masso all’altro senza mai fermarci. Andavamo da una estremità all’altra e ritorno. Venivamo raggiunti dagli spruzzi violenti del mare che spesso ci colpivano in pieno volto ; la cosa ci esaltava, ci sentivamo tanti lupi di mare. Bisognava saltare senza mai fermarsi, avendo cura nel salto di scegliere lo scoglio giusto, quello più vicino, quello più liscio, quello dalla forma più regolare. Alla fine sentivamo di aver compiuto una grande impresa!
Il Frigido Il Frigido era una nave militare che negli anni cinquanta e sessanta portava l’acqua a Ponza. Assomigliava ad un rimorchiatore con un lungo fumaiolo al centro.
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