Ambiente e Natura

Passioni botaniche ponzesi (7). I chiappariell’

di Sandro Russo

Una pianta diffusa, ambita e benemerita, a Ponza, è il cappero, Famiglia delle Capparacee. Esiste in due varietà – Capparis spinosa, Capparis inermis. La varietà diffusa a Ponza è quella inermis (senza spine).

Un desiderio insopprimibile di ogni ponzese che si rispetti è averne almeno una pianta in giardino – meglio se più di una – sui muro a secco di proprietà. O una pianta di esclusiva fruibilità: su una roccia scoscesa, per esempio, che si possa raggiungere solo dal mare e che nessuno conosca. Un rovello costante, riguardo al cappero, è come trapiantarlo e farlo crescere, dato che è, per sua natura, una pianta libera che cresce dove e quando decide lei e non a comando dell’uomo. Con qualche eccezione e molte cose da sapere, in proposito.

Ai tempi in cui Mario (Balzano – N.d.R.) e l’Autore spartivano un ‘interesse militante’ per le piante di Ponza, presi da raptus classificativo battevamo colli e declivi dell’isola alla ricerca di stranezze botaniche. Anche noi ci eravamo incuriositi per l’inaccessibilità dei posti dove i capperi andavano a radicare (nel profondo delle rocce e nei luoghi più improbabili). A quel tempo avevamo sviluppato una nostra teoria sulla riproduzione ‘in natura’ di questa strana pianta. Avevamo notato che il contenitore dei semi del cappero – ‘cucuncio’‘capperone’; non è noto avere un nome in dialetto ponzese – a maturazione completa è costituito una specie di sacchetto in cui sono immersi i semi in una pasta vischiosa. Molto appetita dalle formiche, che lo invadono e lo svuotano completamente in poco tempo, per stivare poi i semi nei loro depositi. Le formiche hanno sviluppato un particolare trattamento per tutti i semi: ovviamente non possono permettersi che i semi che conservano così gelosamente nella profondità delle loro tane in alcune condizioni di temperatura e umidità si mettano a germogliare, vanificando i loro sforzi e in più distruggendo le tane. Secernono così con la loro saliva una particolare sostanza con proprietà ‘antivegetative’ cui sottopongono tutti i semi che mettono da parte.

Pochissimi sono i semi che sfuggono a questo trattamento e, dal profondo delle tane delle formiche, riescono a germinare e a farsi strada verso la luce, oltre a quelli sfuggiti alle formiche e disseminati per altre vie (vento, ingestione e poi deiezione da parte degli uccelli).

Quando invece è l’uomo a voler riprodurre la pianta del cappero, l’operazione si presenta difficile e di non sicuro successo. La riproduzione per talea risulta, per esperienza personale, fallimentare. Si può provare ad estrarre ‘molto delicatamente’ qualcuna delle piantine più piccole che si trovano alla base di una pianta ‘madre’ e poi mantenerle con estrema cura – umide ma non troppo – fino a che non prendono il via.

Il metodo che favorisce il più sicuro attecchimento è comunque quello di soffiare in profondità nei buchi dei muri, con un tubicino, i semi raccolti a fine estate. Centinaia di semi danno luogo a pochissime piantine attecchite, che vengono fuori ‘a sorpresa’, nella primavera di qualche anno dopo, quando ormai se ne sono perse le speranze. Altri metodi prevedono l’inserimento di un certo numero di semi in un fico secco o in una pallina fatta di calcinacci e terra, sempre infilati poi in fondo ai buchi dei muri.

Nella foto qui sopra, e sotto: la più famosa parete di capperi a Ponza, all’uscita dal tunnel di Santa Maria

 

I capperi degli altri – A Pantelleria i capperi si trovano dovunque, spontanei e ‘coltivati’ in campi. Soprattutto in quest’ultima sede suscitano la curiosità e l’invidia di un occasionale ponzese in visita, che non è abituato a vederli così ‘addomesticati’.

Colture isolane caratteristiche di Pantelleria: viti (tenute basse o anche protette in buche, per proteggerle dal vento quasi costante) e capperi, sui muri perimetrali

Capperi in piena terra a Pantelleria; in basso particolare dei fiori, dei boccioli e dei contenitori dei semi

L’uso gastronomico del cappero prevede la raccolta dei boccioli nel periodo che va dai primi di giugno alla fine di luglio e la loro conservazione in salamoia. Anche i cosiddetti ‘frutti’, ovvero i contenitori dei semi – raccolti nelle prime fasi di sviluppo – quando i semi sono ancora bianchi – sono commestibili. Generalmente sono conservati sottaceto.

Il cappero nella cucina isolana ponzese. L’associazione classica – ’a morta soia – è con le olive (obbligatoriamente di Gaeta), i’’llicie salate e i pignuòle in varie ricette ‘marinare’. Dal condimento per la cernia alla marinara (con la salsa di pomodoro), alla scarola maritata, agli spaghetti ‘alla puttanesca’, alle varie pizze salate (alla maniera delle tielle gaetane). Altri impieghi culinari del cappero: la guarnizione del vitello tonné, e dei peperoni prima arrostiti e poi gratinati. Poco conosciuto e (credo) non praticato a Ponza, l’impiego delle foglioline giovani della pianta, crude in insalate, per un tocco di sapore in più.

Capperi ‘fronte mare’ a Pantelleria

Sandro Russo

[Passioni botaniche ponzesi. (7) – Continua]

1 Comment

1 Comment

  1. eduardo filippo

    9 Novembre 2015 at 15:00

    Qui, in Calabria, particolarmente nel coriglianese, nei locali tipici ti offrono una vera leccornia, capperi freschi alla pizzaiola e per antipasto piccole fresine con cimette di capperi sott’olio o sott’aceto.
    Straordinari per sapore solo… un po’ pesanti… per il portafoglio..!

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