Racconti

L’inverno del ’44 (2)

di Gino Usai

Alle ore 19 del 23 Febbraio una nave da trasporto americana, classe “Liberty”, la USS LST 349, proveniente da Anzio e diretta a Napoli, appoggiò a Ponza. Vi era un forte levante e il comandante decise di riparare nella baia di Cala dell’Acqua.

Nella notte il vento cambiò direzione e alle 5,30 s’alzò una forte ponentata che scagliò la nave sugli scogli di Forte Papa facendola naufragare. A bordo, oltre all’equipaggio e diversi passeggeri, vi erano 51 prigionieri tedeschi e tre italiani che vennero portati in salvo e ospitati, bagnati fradici, nei locali del Dopolavoro della SAMIP. I fornesi furono molto generosi nell’aiutare i superstiti a mettersi in salvo e a rifocillarsi, benché non avessero molto da mangiare. Ma furono ben 40 i morti tra equipaggio e prigionieri.

Un ufficiale di Marina statunitense, un certo Inrving B. Gerson, che sopravvisse al naufragio, nelle sue memorie racconta della situazione alimentare in quei giorni a Ponza e dice: ”il problema principale della sera era il cibo. I civili non avevano da mangiare. Andavano avanti a stento.”

Infatti la fame nell’isola, nonostante qualche elargizione da parte degli Alleati, imperversava ancora. I traffici col continente erano ridotti al lumicino.

I gatti erano spariti dalla circolazione. Venivano uccisi e spellati, quindi tenuti appesi a testa in giù per una giornata, prima di essere cucinati.

Proprio in quei giorni, il 23 febbraio, Tagliamonte Chiara, che abitava sopra i Guarini, morì di fame all’età di 39 anni. Il giorno dopo toccò a Conte Camillo di anni 84; il mese successivo a Migliaccio Giovanni, 71 anni.

I morti di Le Forna venivano trasportati a spalla nel lontano cimitero sulla Madonna. I parenti e gli amici seguivano il feretro a piedi, scalzi, con le scarpe a tracolla per non consumarle nel lungo e impervio tragitto. Invece il parroco, don Francesco Sandolo, procedeva sul dorso di un asino, sotto la guida del padrone che lo teneva per la cavezza.  Per l’occasione l’asino veniva dotato di una sella sulla quale veniva piegata una coperta, e steso un piccolo lenzuolo bianco come ornamento. Giunto a Tre Venti il corteo tagliava per la ripida scorciatoia che mena ai Conti, mentre il Parroco procedeva per la strada principale (la scorciatoia era troppo ripida per la bestia). All’incrocio dei Conti il morto veniva adagiato a terra e si atteneva pazienti l’arrivo del parroco. Altra sosta veniva fatta  nei pressi della grotta del Serpente, all’ingresso del villaggio di S. Maria, di fronte alla casa di Ciro Mazzella (detto “i Zeppetella”). Qui venivano calzate le scarpe ed entrando in paese si assumeva un atteggiamento più composto. Anche nel periodo invernale si procedeva scalzi, nonostante i piedi diventassero rossi dal freddo. A S. Maria il prete scendeva dall’asino e proseguiva a piedi, fino al cimitero.

Sul finire di febbraio del 1944  Ponza, isolata e senza viveri, era allo stremo. Il sindaco Peppe Di Monaco si recò al Comando Alleato a Napoli per cercare di far giungere nell’isola un po’ di viveri. Intanto il parroco Luigi Maria Dies insieme all’ex sindaco Salvatore Vitiello e al Comandante del Porto Giovanni Di Cecca, fece pervenire al Governatore Alleato ad Ischia il seguente drammatico telegramma: “Popolo Ponza muore fame”.

Domenica 5 marzo si scatenò una tempesta furibonda che isolò completamente Ponza. Nel giornalino “San Silverio di Ponza” dell’Aprile del 1958, Dies racconta:

“5 Marzo 1944. E’ il giorno in cui S. Silverio ci ha liberati dal flagello della fame…Pensare…su uno scoglio in mezzo al mare…, d’inverno…, durante la guerra, che spettro terribile quello della fame… Era il primo inverno dopo l’armistizio e il vapore postale ci era stato già affondato. I Tedeschi stavano al Garigliano e noi, all’altezza di Terracina, anche se in comunicazione con Napoli lontanissima, restavamo bloccati. Pochi ardimentosi marinai, coi gozzi da pesca si avventurarono sulle coste di Mondragone e del napoletano per barattare con oro e lini preziosi mele, patate, granone e legumi: il cibo dei privilegiati.

Il mare d’inverno, diventa avaro dei suoi pesci e il Comando Alleato di Napoli ci mandava pochi viveri, tempo permettente. Alla fine di Febbraio ci fu un periodo di tempeste a catena…In una sola settimana, per autentica fame, morirono quindici persone, tra i vecchi e i bambini. Avevamo divorato le rare erbe invernali e si tentò anche di ammannire le foglie immangiabili dei fichi d’india, cibo da capre. A Firma di D. Salvatore Vitiello e del parroco, il Com. del Porto Cap. Di Cecca fece partire un telegramma diretto al Governatore d’Ischia così concepito: “Popolo Ponza muore fame”. Inutili erano restate le nostre preghiere al Comando Inglese della R.A.F. sul Campo. Lassù si ballava al suono di jazz…

Nelle case si moriva… La sera del 2 Marzo, il tempo divenne pessimo e la chiesa si affollò al grido: “S. Silverio, salvaci!!” Iniziammo un triduo di preghiere al nostro potentissimo Protettore. Al termine, era di domenica, avvertii che l’indomani avremmo celebrata la S. Messa di ringraziamento, conclusiva del triduo, come se avessimo ottenuto ciò che chiedevamo. Un brivido di fede e di fame serpeggiò nell’uditorio…Aggiunsi: “Del resto il proverbio dice: In un’ora Dio lavora” E fu così. L’uragano sull’isola, fischiando, squassava porte e finestre. “A casa”; gridai; e, reggendosi per mano, grappoli umani, sospinti dal vento, raggiunsero le case, freddi e fidenti in Dio.

Alle ore diciotto di quel 5 Marzo, forti colpi alla porta della Chiesa mi fecero accorrere. Il popolo erasi ivi accalcato e gridava: “Ma come, parroco, solo voi non sapete che è giunto un vapore coi viveri da Ischia?”

Al telegramma del giorno due, infatti, il Governatore aveva dato ordine di trasportare le vettovaglie dai due velieri nostri, di servizio, su un vapore britannico, al comando del famoso Capitano Simpson…Tra i ponzesi che vollero accompagnare i viveri, c’era Antonio Feola, detto Totonno primo, preoccupato delle sorti dei suoi paesani e tanto animoso che, quando il Comandante, atterrito dal mal tempo diede ordine di rientrare nel porto, sturò una bottiglia di wiski e confortando…il Simpson, prese la ruota del timone e puntò pazzescamente su Ponza. Il popolo in lacrime si era prostrato innanzi all’immagine taumaturga del suo Santo e il giorno seguente, nell’isola sembrava il giorno di Pasqua.”

Ma secondo un’altra versione, le cose non andarono esattamente così. Da una deposizione scritta consegnatami personalmente da Rinaldo Graziosi, vergata di suo pugno il 2 luglio del 1985 a futura memoria e “per il ripristino della verità”, estraggo:

“Appunti perché alfine sia resa giustizia a chi ne ha diritto, facendo finalmente sapere chi furono gli uomini che, nel lontano 1944 e in piena guerra partirono una mattina all’alba dall’Isola di Ponza ove non esistevano né americani né tedeschi ma soltanto l’abbandono e la fame, che già incominciava a mietere vittime nei bambini e per tali motivi, mettendo a repentaglio la vita, sfidando ogni genere di pericoli, affrontando mine vaganti, ricognitori tedeschi e tutto quello che allora offriva il mare, si misero in viaggio su un piccolo peschereccio denominato “Antonio Feola” dirigendosi verso l’Isola di Ventotene ove sapevano esserci le truppe americane e per chiedere a quel comando che finalmente si decidesse l’occupazione dell’Isola di Ponza e con questa riportare la vita a quella popolazione dispiaciuta e affranta.

(…) Ogni anno ricorre l’anniversario dell’occupazione di Ponza da parte degli Alleati e ogni anno il Parroco lo commemora in chiesa nella sua omelia mettendo in evidenza l’arrivo della nave Alleata guidata da Antonio Feola, detto “Totonno Primo”, uomo degno d’essere ricordato fra suoi tanti meriti nella sua vita di coraggioso capitano marittimo sempre pronto ai fabbisogni dell’Isola e della popolazione, ma non viene detto né rammentato che detta persona faceva parte del nostro equipaggio che per primo andò a chiedere l’intervento americano e che poi  Feola rimase a Ischia per pilotare la nave assegnata a prendere possesso dell’Isola e non viene accennato quali rischi noi affrontammo perché ciò avvenisse e quante indescrivibili difficoltà accorsero per approdare a Ventotene ove non si sapeva chi fossimo né da dove si proveniva…né quando nell’interrogatorio che ci fu fatto il comandante del presidio americano ci disse queste testuali parole: “Ricordatevi che se tutto quello che ci avete esposto non corrisponde a verità e se a Ponza troveremo un solo tedesco voi sarete fucilati!” E poi, convinti della nostra lealtà, ci permisero di fare un carico di farina a Ischia a altri generi di prima necessità. Da Ischia poi avemmo via libera per il ritorno a Ponza col nostro peschereccio.

Grazie al Cielo la sorte ci aiutò ancora e riuscimmo a raggiungere la nostra Isola col carico di Vita e di speranza e fummo accolti dai compaesani con gioia inimmaginabile.

Questa fu l’unica riconoscenza da parte della popolazione e ci sarebbe bastata se poi tutto non fosse sprofondato nel dimenticatoio e nell’indifferenza

(…) Non mi dilungo in particolari che sarebbero troppi e potrebbero far credere di essere io in cerca di gloria. Spero soltanto che da quanto ho esposto, nella mia limitata possibilità, vanga tratto motivo di giustizia per chi disinteressatamente ha offerto la propria persona al bene di tutti.

Di quella impresa siamo rimasti in pochi, quelli ancora vivi avranno certamente lo stesso mio desiderio a che le cose siano dette come realmente avvennero, tra questi miei compagni rimasti posso menzionare Maurino Di Lorenzo Cav. del lavoro, titolo ben meritato e indiscutibile e tutt’ora presente a Ponza.

Gli uomini che presero parte furono i sotto elencati

Mario Di Fazio, vivente;

Rinaldo Graziosi, vivente;

Mauro Di Lorenzo, vivente;

Geppino Vitiello, deceduto;

Luigi Parisi, deceduto;

Antonio Feola, deceduto;

Silverio Scotti, deceduto.

In fede

Rinaldo Graziosi.

A distanza di così tanto tempo sono finalmente riuscito a rendere pubblico questo importante documento e ad esaudire la volontà del caro Rinaldo, che da qualche anno non c’è più. Spero che dall’alto ci osservi con sguardo benevolo e sorrida delle pochezze umane, insieme al suo eroico gruppo di argonauti, a cui saremo eternamente riconoscenti. Dobbiamo essere orgogliosi di avere avuto antenati di questa stoffa, una stoffa preziosa, oggi fuori commercio, praticamente introvabile.

[L’inverno del ’44. (2) – Continua]

Gino Usai

il relitto del Liberty sui fondali di Forte Papa

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