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L’inverno del ’44 (1)

[1]di Gino Usai

A Ponza lo sbarco in armi da parte delle truppe Alleate avvenne il 12 gennaio del 1944. Quella mattina un reparto del “Regement RAF” sbarcò a Lucia Rosa. Gli inglesi salirono per l’impervio viottolo che porta sopra il Campo e la prima casa che incontrarono fu quella di Gennaro e Caterina Romano. Quando bussarono alla porta, Caterina per precauzione mandò le quattro figlie femmine al piano di sopra per non farle scorgere dai militari, i quali si comportarono civilmente e non successe nulla, per fortuna. Proseguirono poi la marcia e si sistemarono sul fortino (attuale caserma dell’aeronautica). Nella zona requisirono tutte le abitazioni, compreso uno sgabuzzino a Pacchianella, la casa di Pia Pacifico (che adibirono a cucina per la truppa, dove oggi è ubicato il ristorante “Il Core” ), tre stanze e un piccolo deposito a Vitiello Anna.

Successivamente un altro mezzo sbarcò alla Piana Bianca, sul versante di Chiaia di Luna. Scese un drappello di soldati americani che inerpicatosi per l’erta costa s’infilò per i Conti attraversando la contrada lungo la strada odierna che passa per la Cappella dell’Addolorata e si getta nel tunnel di S. Maria. I contadini che avvistarono lo sbarco si precipitarono a casa e avvertirono gli abitanti del villaggio. E come ai tempi dei turchi, le donne corsero a chiudersi in casa. Eleonora Mazzella da una fessura della finestra ben serrata vide i soldati sfilare dinanzi casa sua. Erano in tutto una ventina, equipaggiati di zaino, elmetto e fucile bilanciarm. Sembrava una scampagnata più che una marcia di conquista. Molta gente si precipitò al loro seguito, con la speranza di rimediare scatolame e sigarette. Le donne, timorose, si chiusero in casa. Il drappello si acquartierò infine nell’odierno Hotel Bellavista.

Gli Alleati stavano preparando l’operazione Shingle che avrebbe cambiato le sorti della guerra. L’operazione prese il via alle ore 2,45 del 22 gennaio, quando, al comando del generale John P. Lucas, il VI Corpo d’Armata USA sbarcò nel porto di Anzio. Intanto, un po’ più a sud, gli Alleati con fatica tentavano di superare i fiumi Rapido e Garigliano, sulla Linea Gustav, per prendere Cassino e puntare su Roma

Lo sbarco colse i tedeschi di sorpresa, cionondimeno la loro risposta fu rabbiosa e le spiagge di Anzio e di Nettuno ben presto si coprirono di decine e decine di morti. Ponza fungeva da testa di ponte e  il porto e la rada si riempirono di navi militari; alcuni zatteroni si sistemarono al Mamozio, altri lungo il porto e in rada. Gli americani distribuivano alla popolazione affamata farina, zucchero rosso, caffè, sigarette, marmellata, biscotti, cioccolato, panette di burro da 1 Kg. La gente accorreva numerosa. Le mamme portavano i bambini per essere favorite nelle elargizioni dei viveri.

Ponza era da qualche mese senza pane e il primo forno venne fatto da Miliuccia (che aveva il negozio sul corso Pisacane, accanto al portone di Pascarella) con la farina americana a base di legumi. Il pane venne distribuito solo ai bambini minori di otto anni, con una razione di 50 grammi cadauno. Ma fu solo un palliativo: la fame nell’isola restava tanta e diffusa.

Tutte le sere un aereo tedesco passava in ricognizione sul porto. Una volta lanciò una bomba che cadde in prossimità della casa di Civitella ‘a Sacrestana, moglie di Gennaro Sandolo, attuale villa Ca’ Marina. Lo scoppio lesionò la struttura e mandò in frantumi i vetri delle finestre; ma la rottura dello specchio in camera da letto fu la cosa che più di tutte preoccupò, perché nell’immaginario popolare era segno di più gravi sventure. Al momento dello scoppio, poco distante, Assuntina Di Fazio era con la figlia nella cantina di Salvatore Galano; vennero sorprese dal boato e si spaventarono enormemente. Un’altra bomba esplose nel Casino.

Se quelle bombe fossero cadute nel porto, con i mezzi da sbarco carichi di munizioni, sarebbe accaduto un immenso disastro. Con questo timore quella sera la famiglia D’Atri lasciò la casa del porto e si rifugiò da zia Civitella sulla Dragonara in una grotta (di fronte l’attuale abitazione di Michele Rispoli) insieme a tanta altra gente. Restarono tutti seduti vegliando e pregando per l’intera nottata. Una vecchia si portò il materasso e stesolo a terra tentò di dormire. Si andò avanti così per alcune sere.

Di notte veniva imposto l’oscuramento e l’isola piombava nel buio più profondo. L’illuminazione pubblica era spenta; nelle case si tappezzavano i vetri delle finestre e dei balconi con carta scura e tendoni.

Altre conseguenze dell’inferno che si stava scatenando sulla costa prospiciente cominciavano a farsi sentire sull’isola. Nel mese di febbraio sulle spiagge di Ponza vennero recuperati ben 34 cadaveri di militari Alleati caduti nella battaglia d’Anzio. Una volta Dora Conte ne vide uno stracquato tra gli scogli sotto casa sua (dinanzi l’odierna Agenzia Magi; a quel tempo la banchina nuova non c’era e il mare lambiva il palazzo di Maria Grazia Migliaccio). Aveva gli occhi fuori dalle orbite e la ragazza rimase molto scossa e impaurita da quell’orribile spettacolo. I cadaveri dei soldati rinvenuti a mare, non essendoci bare a sufficienza, venivano avvolti in teli e portati al cimitero.

Una volta identificati – quando era possibile farlo – venivano sotterrati nella vigna di Montella, a ridosso del cimitero, per essere successivamente traslati e consegnati alle autorità militari Alleate. Velia Tuccillo si recava spesso al cimitero e una volta nella sala mortuaria vide il cadavere di un ufficiale della marina americana, in mutandine e con la giacca, rinvenuto sulla spiaggia del Core; i pesci gli avevano mangiato gli occhi e sfigurato il viso.

Intanto gli inglesi si erano ben sistemati sul Campo. Ma essendo il loro presidio fuori zona e distante dal porto, diedero ordine di assestare la strada che collegava Ponza a Le Forna. L’incarico venne affidato alla ditta Perrotta Raffaele per una cifra di L. 3.240.000, a spese del Comune. Un certo Castagna faceva da cuoco agli Inglesi, che avevano vitto a sufficienza e  mangiavano bene. Non avevano certo i problemi degli isolani: le loro navi ancorate nel porto stipavano nelle cambuse ogni ben di Dio. Non si facevano mancare niente, neanche il cinema; infatti usarono  il “Cinema Primo” di Michele Regine per la proiezione dei film, senza corrispondergli alcuna indennità.

Al Campo vi erano posteggiati diversi camion carichi di mercanzia: una vera tentazione! A Ponza un proverbio dice: “’a famm’ fa ‘sci’ ‘u lupo d’u vosco!” E così una notte alcuni ladruncoli  decisero di sottrarre un po’ di viveri da un camion ma vennero sorpresi e inseguiti nel buio fino a S. Maria, ove scomparvero all’altezza della casa di Eleonora Mazzella, in prossimità della Cappella dell’Addolorata. I militari, guidati dal figlio di Castagna armato di fucile, spararono dei colpi in aria, poi bussarono bruscamente da Eleonora gridando: ”Aprite…dove sono i ladri,.dove sono i ladri!” Eleonora e la madre, sole in casa, si spaventarono e rimasero impietrite. I militari entrarono di prepotenza e con una torcia elettrica frugarono dappertutto, persino sotto il letto, senza trovare nessuno. Dei ladri non vi era più traccia.

Nella libera uscita i soldati frequentavano il Dopolavoro della miniera di Le Forna, dove ci si radunava con le ragazze e si ballava. Don Francesco Sandolo, parroco di Le Forna, dal pulpito raccomandò ragazze e famiglie di non uscire per strada, perché sul Campo vi erano i marocchini che violentavano le fanciulle. Ma il prete restò inascoltato e molte ragazze di Ponza e di Le Forna accorrevano al Dopolavoro e sul Campo per ballare e mangiare qualche dolce. Un giorno alcune ragazze riferirono agli inglesi il sermone del parroco. Il Comando inglese sentì il dovere di redarguire il prete per le gravi accuse invitandolo a occuparsi di funzioni religiose e non di altro.

Ma quelle frequentazioni suscitarono scandalo nel paese e quando cominciarono a diffondersi le malattie veneree il Comando dovette correre ai ripari. Tutte le ragazze che avevano frequentato il Dopolavoro vennero portate a Ischia e sottoposte a visita medica e a profilassi. L’isola si coprì di vergogna. Per disprezzarle venne persino coniata una canzoncina intitolata “’I femmene ‘i Ponza camminano ‘i renze” .

Le mamme di Le Forna sconvolte andarono dal parroco a chiedere aiuto, ma lui sconsolato rispose: “Vi avevo avvertite!”

(Continua)

Gino Usai