Libri

“O’ Razione” (2)

O’ Razione (*)

dal libro “Racconti dall’isola”

di Franco Schiano

(*) La traduzione del titolo in Ponzese è l’Orazione

Leggi qui la prima parte

 

I  cani latravano rabbiosi.

Sentivano gli ordini, in tedesco, secchi e perentori sempre più vicini. Capirono che non ce l’avrebbero fatta a tornare all’isola affamata con le derrate che erano riusciti a raccogliere.

Ma fino all’ultimo sperarono che forse non li avrebbero trovati nascosti in quella grande botte vuota.

“Raus!” – gridò il caporale tedesco, con tutto il fiato che aveva in gola, sollevando il coperchio della botte. Era finita, li avevano scoperti!

Nella piazza del paese erano una cinquantina i rastrellati ammassati.

Furono caricati tutti su tre camion e partirono.

A Littoria furono interrogati da un ufficiale delle SS, che fu molto interessato dal fatto che i nostri tre non fossero di S. Felice, né una località vicina, ma addirittura di un’isola, dall’altra parte del mare. Era sospettoso, quei tre non gliela contavano giusta! Possibile che erano lì solo per acquistare derrate alimentari da portare a Ponza dove i viveri scarseggiavano? Non era affatto persuaso: e se fossero spie? O sabotatori? O uomini mandati in avanscoperta per effettuare ricognizioni sul posto per preparare eventuali sbarchi?

Giosuè, Salvatore e Gaetano cercarono di convincere il capitano tedesco ed i suoi collaboratori che potevano controllare, la Madonna dell’Arco stava lì nascosta nel canneto, a bordo c’erano già ammucchiati gran parte dei viveri che erano riusciti a reperire nelle campagne vicine.

L’unica cosa che riuscirono ad ottenere fu quella che li separarono dagli altri.

Furono rinciusi in una stanza di una caserma della Milizia con due finestre, munite di sbarre, che davano su un ampio cortile.

La mattina dopo, all’alba, dalla prigione improvvisata nella quale avevano trascorso la notte dormendo sul pavimento, videro caricare su alcuni camion diversi uomini, tra cui riconobbero alcuni dei San Felicesi del giorno prima.

*  * *

La camicia nera che portò un po’ di caffè d’orzo dopo qualche tempo disse lo che quegli uomini sarebbero stati portati a Roma e da lì in Germania a lavorare per il terzo Rech. Servivano 100.000 lavoratori, inquadrati in un’organizzazione che si chiamava Tod, per tentare di ripristinare l’industria bellica tedesca massacrata dai massicci bombardamenti dell’aviazione anglo-americana.

I giorni passavano nell’inerzia più totale e nell’assoluta mancanza di notizie sulla loro sorte. Il rancio diventava sempre più schifoso e sempre più irregolare. Il movimento dei rastrellati era continuo. Ogni giorno arrivavano due o tre camion carichi di uomini di ogni età ed il mattino dopo li smistavano verso la Germania, via Roma.

Poi un bel giorno il cortile della caserma si animò all’improvviso, ordini gridati, un via vai di soldati, camion, carri armati, una confusione totale.

“Sono sbarcati gli alleati sulla spiaggia di Anzio!! Bisogna ripiegare!! – disse il milite in camicia nera che faceva da secondino ai nostri. “Preparatevi, tra poco si parte!”.

C’era poco da prepararsi, non avevano nessun bagaglio!

Era ormai notte da parecchio quando furono caricati su un camion con i cassone coperto da un telo. Insieme a loro salirono sei Camicie Nere. Erano tutti giovanissimi, nessuno di loro raggiungeva i 20 anni. Li comandava un anziano capo manipolo che portava i distintivi della marcia su Roma.

Era una colonna di una decina di camion, il loro era l’ultimo. Si diressero a velocità sostenuta verso il centro di Littoria.

Era quasi l’alba quando i camion della colonna si fermarono nella piazza della Prefettura, dalla parte opposta del Palazzo del Governo, davanti alla Banca d’Italia.

Dopo alcuni minuti sentirono due forti esplosioni provenire dall’interno dell’Istituto di emissione. I militi scesero e rapidamente caricarono sui camion tante balle, si proprio balle!

Erano biglietti di banca da 100 e da 50 lire!

Giosuè ed i suoi compagni non credevano ai loro occhi, anche se la luce era ancora poca, si vedeva perfetta­mente che si trattava di milioni e milioni di lire. Quanti non riuscivano a calcolarli, erano numeri al di fuori della loro conoscenza.

Il massimo di cui Giosuè, Salvatore e Gaetano potevano avere coscienza, seppur vaga, poteva essere un milione di lire. Oppure, con uno sforzo immane e con contorni non ben definiti, forse, potevano immaginare dieci milioni!

Ma quelli erano tanti, ma tanti di più.

Furono spinti in fondo al camion. Le balle furono sistemate in quattro o cinque file in altezza fino a riempi­re del tutto il camion. Due militi armati presero posto nella cabina a fianco dell’autiere.

“So’ miliune e miliune” – disse Gaetano con lo sguardo perso, quasi in trance, rivolto ai suoi compagni di avven­tura.

Ogni cento biglietti erano tenuti insieme da una fascetta: una mazzetta. Ogni dieci mazzette erano legate insieme con uno spago, in gergo bancario dette ballette.

La balla era composta da dieci ballette tenute insieme legate con fu di ferro. Si trattava di biglietti nuovi di zecca, mai messi in circolazione. Quando il piccolo convoglio tornò sull’Appia alla volta di Roma, era ormai giorno pieno.

*  *  *

Mezzanotte è l’ora propizia per ‘o razione. Si sceglieva un posto solitario dove era difficile che l’oracolo potesse essere influenzato da fattori umani, occasionali. Dovevano esserci le condizioni per fare spazio a eventi e situazioni trascendenti.

A Ponza uno dei posti preferiti era Chiaia di Luna. Era distante ma non troppo dal centro abitato e dava sull’aperto mare. La profondità della prospettiva era quasi una porta su un’altra dimensione. La dimensione del sovrannaturale, del trascendente.

Maria ‘e Sciammerica e Marietta ‘a Gaetana, sorreggendosi a vicenda e facendosi coraggio con l’ininterrotto sal­modiare di giaculatorie, arrivarono sopra la spianata di Chiaia di Luna che mezzanotte era passata da pochi minuti. A dispetto del nome, la luna non c’era e quindi neanche il chiaro. Il buio si tagliava con il coltello come il silenzio alto e profondo, anzi quasi assordante.

C’era una calma totale, anche il vento tratteneva il respiro.

“Santa Lena , Santa Lena (Elena), per mare ‘iste e pe’ terra veniste, tu che truvast’ ‘a croce ‘e Cristo, famme truvà ‘a via ‘e sapè notizie ‘e Giosuè… Damme ‘nu segnale, per amor della Croce di Cristo.” – attaccò con voce cantile­nante Marietta.

Poi Pater, Ave e Gloria e giaculatorie a volontà. Le pre­ghiere e le invocazioni cessarono e le due donne si posero in vigile attesa del segno, dell’indizio rivelatore (2) della sorte dei nostri tre dispersi.

“Sento rumore di catene… ” – disse dopo un tempo senza tempo Marietta ‘a Gaetana.

Maria ‘e Sciammerica si scosse dal torpore nel quale era piombata e si protese per sentire il rumore di catene. Mentre cercava di percepire il rumore, Marietta continuò: “Rumore i’ catene…. segnale malamente. . . Mari, Giosuè è prigioniero, sta in galera…” – Maria, annichilita da questo tremendo oracolo non ebbe la forza di aprire bocca. Sprofondò, inane, sopra un mucchio di paglia.

Ma non era ancora finita. Il peggio arrivò dopo un po’.

“Sento battere un martello… batte su chiodi… Se ‘nchiova nu’ scudillo (bara). Mari’, fatti coraggio, Giosuè è morto !! ”

* * *

Al cenno di Giosuè’ spinsero con forza tutti insieme. Le balle cominciarono prima ad ondeggiare poi, ad una ad una a cadere dal camion, che continuava regolarmente la sua corsa.

Una, due, tre, quattro balle. Appena riuscirono ad aprirsi un varco, si lanciarono in sequenza dal camion atterrando ognuno su una balla di biglietti di banca spinti fuori dai camion.

Corsero a perdifiato lontano dalla strada, verso un pic­colo boschetto di betulle che si indovinava in lontananza.

La colonna dei camion si fermò dopo alcuni minuti. Si accorsero che la loro fuga era stata scoperta dalle voci concitate dei militi che giungevano dalla strada.

Non sapevano dove mettevano i piedi anche perché il terreno lo sfioravano appena, non correvano, volavano. In realtà dovettero la loro salvezza al fatto che i solda­ti si fermarono a cercare e raccogliere le balle di banconote sparse lungo la strada. Erano disseminate per alcune centinaia di metri e qualcuna era anche finita nei canale che fiancheggia la strada statale numero 7. Operazione ostacolata dalla confusione e dalla concitazione, che di contro favoriva la fuga dei nostri.

Quando le operazioni di recupero delle banconote furono completate, Giosuè ed i suoi compagni di avventura erano ormai lontani dalla strada. D’altronde i militari ritennero prioritario proseguire la ritirata e salvare le ban­conote piuttosto che inseguire i tre fuggiaschi, con scarse probabilità di raggiungerli.

Dopo circa due ore, ritenendosi ormai fuori dalla por­tata dei militi dei camion, decisero di fermarsi perché stan­chissimi ed anche perché non avevano la più pallida idea di dove si trovassero.

Si riposarono nei pressi di un pagliaio, non distante dalle prime pendici dei monti Lepini dalle parti di Cori. Le tasche della giacca di Gaetano ‘a Bisuogna erano gonfie di banconote da 100 lire.

* * *

L’alba era passata da poco quando nella chiesetta della Madonna della Salvazione nel cimitero di Ponza, don Luigi M. Dies inizia la messa in suffragio di Giusuè’ e forse dei suoi due compagni.

Nei primi banchi era seduta Maria, affranta e vestita col nero del lutto. Circondata da amiche, commari e parenti. Nella chiesetta c’erano anche i parenti di Salvatore ‘o Luongo e Gaetano ‘a Bisuogna, ma erano meno affranti, avevano la faccia triste di circostanza ma in fondo non erano affatto certi che i loro cari Salvatore e Gaetano fossero morti. In fondo ‘o razione era stata fatta per Giosuè, mica per Salvatore e Gaetano. Le catene della galera ed i chiodi della bara erano segnali riferiti a Giosuè. Non era detto che gli altri due avessero subìto la stessa sorte.

Lo aveva detto anche il parroco don Luigi Dies: aveva cercato di spiegare che ‘o razione non era una cosa cattiva, ma non poteva essere assolutamente presa come una verità evangelica, che potevano esserci delle interferenze… del ‘maligno’ e che insomma non era affatto detto che Giosuè, e tantome­no i suoi compagni di viaggio, fossero imprigionati e morti come aveva vaticinato l’oracolo di Marietta ‘a Gaetana.

Ma alla fine, dopo mesi di insistenza di Maria e di tutto il suo clan di assidue frequentatrici della parrocchia della Santissima Trinità di Ponza, Don Luigi dovette cedere ed acconsentì a celebrare l’ufficio funebre.

L’ora quasi antelucana e la piccola chiesetta fuori mano del cimitero fu il massimo che don Luigi riuscì a fare, per ridurre la pubblicità di questo funerale senza il morto, per di più legata ad una credenza quasi in contrasto con il credo della religione di Roma. Durante l’omelia il buon don Luigi dovette far ricorso a tutta la sua notevole abilità oratoria per riuscire a parlare di Giosuè e degli altri defun­ti senza dire che erano defunti o cose che comunque lasciassero intendere situazioni definitive, nonostante si stesse officiando un servizio funebre. Comunque, nonostante queste prudenze e precauzioni del parroco, tutto il paese dava per assodata la dipartita di Giosuè e quasi certa quella dei due compagni.

Maria vestita di nero osservava un lutto stretto considerandosi vedova a tutti gli effetti.

* * *

Giugno 1944: finalmente gli Alleati liberano Roma

La pianura pontina è completamente sgombra dai tedeschi e finalmente Giosuè, Salvatore e Gaetano possono scendere a valle, e raggiungere la spiaggia di San Felice Circeo.

La Madonna dell’Arco è ancora là, intatta, protetta dal canneto e da sanfelicesi amici. I viveri ovviamente sono spa­riti, come sparite sono pure le due preziose latte di nafta.

Procurasi altro combustibile è impresa titanica, anche perché i soldi arraffati da Gaetano durante la fuga dai camion sono stati tutti distribuiti a contadini e pastori dei monti tra Cori e Bassiano per procurasi viveri e protezione.

Alla fine decisero sarebbero rientrati a vela. Erano dei buoni marinai, anche se gli ultimi mesi li avevano trascorsi in montagna tra boschi e dirupi di cui non avevano mai avuto idea.

* * *

La processione stava ormai rientrando in chiesa. Tutta la popolazione era ammassata sul sagrato in attesa che il parroco terminasse la breve omelia finale. Poi ci sarebbe stata la benedizione conclusiva e l’assalto dei fedeli ai garofani rossi di San Silverio, mentre la statua del santo sarebbe rientrata in chiesa procedendo a ritroso.

La possente voce del parroco fu coperta dall’urlo che uscì dalla gola di Pasquale Moriconi: – “Chella è a Madonna ‘e ll’Arco guardate là, là,  fora ‘a Ravia. . . Giosuè sta a timone… so’ loro, so’ vive, so’ salve” e poi con la voce rotta dalla commozione: – Evviva San Silverio!! “.

Spinta da una leggera brezza di maestrale ‘La Madonna dell’Arco’ entrava trionfalmente nel porto di Ponza, proprio quel giorno, proprio mentre si concludeva la solenne processione del 20 giugno, ricorrenza di San Silverio, papa e martire, portentoso patrono dell’isola di Ponza e di tutti i ponzesi.

 

Note

(2) Alcuni esempi di indizi rilevatori:

Una carta che vola: segno buono, notizie in arrivo.

Un cane che abbaia: segno buono, il cane è fedele.

Una luce si accende nel buio della notte:

segno buono, la luce rompe le tenebre.

Un rumore di catene: segno brutto, significa prigione.

Rumore di martello: segno bruttissimo. Si inchioda la bara!

. . . . «Il quindici di Agosto ‘na rosa spampanataaa. . . una strofa di un canto sacro dedicato alla Madonna Assunta che si festeggia a Le Forna in 15 di Agosto. . . se si fermava qui era segno buono specie se “l’orazione” era fatto per conoscere l’evoluzione di una malattia ritenuta grave con rischio di vita. Opposto significato se la stofa della stesso canto continua: – ‘Maria se l’è chiamata per l’eternità”. . . In tal caso il significato era inequivocabile: il malato per cui si chiedevano segni sarebbe presto passato a miglior vita. Certo in un’epoca in cui le poste funzionavano male, la gente non aveva dimestichezza con la penna e i telefoni pratica mente non esistevano, l’unico modo per colmare il desiderio di notizie non poteva essere altro che o’ razione).

 

Franco Schiano

O’ Razione (2) – fine

To Top