Il quadro appare chiaro, purtroppo. La crisi economica, unita ad una sorta di incertezza e sfiducia generale che sembra aver preso tutto e tutti, sta penalizzando ogni cosa e minaccia di far fare un altro flop estivo a Ponza, dopo un inverno molto duro. Bisogna correre urgentemente ai ripari.
Il turismo, risorsa base della nostra economia, è e resta la maggiore chance per migliorare la qualità della vita e garantire livelli sufficienti a tutta la popolazione. Per poter affrontare la grande sfida, a mio avviso, bisogna attivare nuove risorse e guardarsi attorno con molta attenzione.
E’ evidente che noi ci muoviamo e ci dobbiamo confrontare in un clima di accanita concorrenza, dove la vince chi riesce a proiettare una migliore immagine all’esterno, essendo poi in grado di mantenere le promesse. Ci dobbiamo confrontare, in un’epoca di globalizzazione, con il mondo intero. Una sfida che sta diventando veramente epocale.
Partendo dal presupposto che la nostra offerta turistica ha il suo punto di forza nella natura straordinaria e nella bellezza del nostro mare, ma anche nelle nostre tradizioni e identità, è necessario che note stonate non vengano ad appannare il messaggio. Va innanzitutto ricordato ancora una volta che Ponza dipende dalla costa, alla quale è collegata con, per il momento, servizi assolutamente insufficienti e obsoleti. E se ciò non bastasse anche con prezzi sempre più proibitivi, che assottigliano ancora più la già scarna pattuglia dei vacanzieri. Appare prioritario che i collegamenti sono essenziali per immaginare qualsiasi sviluppo turistico e sociale. Bisogna insistere perché migliorino in tempi rapidi e diventi operativa la nuova società laziale, la sola in grado di far fare il salto di qualità. Senza collegamenti adeguati Ponza non potrà mai decollare. Mi si dirà: se Ponza piange la costa non ride. E’ vero, ma la costa ha dalla sua la facilità di collegamento che anche alla luce delle prossime nuove arterie rapide che stanno per essere realizzate, potrà essere facilmente percorsa e raggiunta. Il problema della lontanzanza e dei collegamenti resta un problema grave, del quale anche i nostri antenati avvertivano l’enorme importanza. Un proverbio ottocentesco recita, tradotto, “vale di più il più piccolo pesce di Miseno, che i più grandi pesci di Ponza e Ventotene”. Cioè la distanza penalizzava la pur ricca e varia fauna pregiata dell’isola. Se questo era la situazione normale un secolo e mezzo fa, oggi non è più accettabile. A me sembra che senza collegamenti adeguati e, aggiungo, anche economici, non sarà possibile nessuno sviluppo e tanto meno promuovere un buon turismo.
Quello che a me sembra è che la costa, forse con l’eccezione di Terracina, viva una sorta di assenza ignava, non collaborando sinergicamente per favorire il collegamento con le isole ponziane, nella convinzione che i “turisti che non vanno alle isole, potranno fermarsi da noi”. E’ assolutamente vero il contrario! La forte attrazione delle nostre isole, e delle isole in genere, sono invece il volano di arrivi numerosi che, nell’occasione, avranno l’opportunità di conoscere e apprezzare i bei centri della costa. Non organizzare collegamenti tra le stazioni ferroviarie e i porti di imbarco, lesinare sulle informazioni, sfavorire in una parola l’approdo alle nostre isole, è non solo una cosa stupida, ma anche controproducente. Bisogna cambiare registro. Nella nuova visione si muove il “distretto industriale turistico”, sperimentato per la prima volta efficacemente con una legge regionale in Sicilia, dove sta cominciando a dare i primi frutti. Distretto industriale turistico significa armonizzazione e collegamenti tra le diverse realtà, perché il flusso turistico si sposti e alimenti in maniera organica tutto il territorio. Organizzare tour che comprendano non solo la gita alle isole, ma la riscoperta di bellezze naturalistiche e archeologiche presenti in grande abbondanza su tutta la costa laziale. Il turismo con “destinazione unica” è un relitto del passato e non ha futuro.
Su questa linea da anni si sta battendo il mio omonimo collega di Ischia che nell’offerta globale delle “isole partenopee”, Ischia, Capri, Procida, Ponza, Ventotene e la costa laziale e campana, vede un futuro turistico promettente. Un punto di vista che condivido e che mi auguro possa essere apprezzato e sostenuto da un numero sempre maggiore di ponzesi e cittadini della riviera laziale.
Secondo punto, e parlo adesso solo per Ponza, non abbiamo ancora imparato a promuoverci. Siamo ancora lontani dal pianificare le nostre attività, coordinare gli eventi e pubblicizzarli, collaborare sinergicamente perché tutto questo avvenga. Continuiamo a fare “ognuno per sé e Dio per tutti”, con i risultati che abbiamo sotto gli occhi. Occorrebbe una unica cabina di regia, con l’apporto di tutti, perché la promozione della nostra isola possa essere efficace e dare i frutti che tutti ci auguriamo. Cioè significa riunire enti pubblici e privati, associazioni, commercianti di ogni settore, enti turistici, e concertare una politica omogenea di promozione, coordinandola con quella delle realtà confinanti, in uno scambio reciproco che non potrà dare che buoni frutti.
Inoltre, mi preme ancora sottolineare, Ponza subisce una continua aggressione mediatica che non le rende giustizia. Assistiamo, infatti, ad un’opera di disinformazione, non sappiamo se in mala fede o determinata solo dalla cattiva conoscenza dei problemi, che quasi quotidianamente ci viene riversata addosso. Non credo meritiamo questo trattamento. Ponza racconta è anche la risposta orgogliosa della nostra identità, alla quale non intendiamo rinunciare.
Io sono convinto che abbiamo le risorse per legittimamente valorizzare noi stessi. So bene come siamo fatti, quale è la nostra ostinata visione personalistica, ma è arrivato il momento di imparare a fare gruppo, a cooperare per un progetto comune e condiviso. So che è difficile, ma continuare così a viaggiare divisi non può portarci che verso il fallimento.
Giuseppe Mazzella
Silverio Tomeo
9 Maggio 2011 at 08:52
Molto pacatamente, voglio dire che non concordo con questa visuale delle cose. L’identità, peggio ancora la “nostra identità”, non è un dato antropologico certo, anzi è molto ambiguo. Volerne poi fare un brand da vendere sul mercato dell’offerta turistica mi sembra ancora più confuso e sbagliato. Il titolo di un’opera del 1971 del premio Nobel Dario Fo è: “Tutti uniti! Tutti insieme! Scusa, ma quello non è il padrone?”. Voglio dire che una cosa è l’identità dei ponzesi isolani, residenti o altrove, e neppure unitaria, da prendere in considerazione, e un’altra è l’immagine dell’isola di Ponza “da proiettare” per lo sviluppo turistico visto come unica chance di sviluppo, e anche questo è analizzabile con criterio critico, ovviamente, in una conversazione argomentativa democratica.
Il tema identitario storicamente serve per trovare nemici interni o esterni, rafforzare l’idea di “piccola patria”, premere il piede sul populismo, chiamare a un’unità pilotata e senza princìpi certi ma che si vorrebbero condivisi da tutti. Il tema identitario è un tema topico del discorso di potere, piccolo o grande che sia. Viceversa l’idea che esista una caratteristica della parte migliore dei figli dell’isola è bella, a me richiama l’orgoglio dell’emigrante, la sobrietà e la pazienza dei pescatori e degli agricoltori, l’autonomia nelle scelte e nei pensieri, l’onestà personale come codice del sé e come pulizia mentale, la custodia comunitaria di valori che seppure secolarizzati restano dentro. Si vede subito come questa idea di identità storica non c’entra con lo spirito di competizione, l’illegalità irresponsabile, la volgarità aggressiva e il culto dell’ignoranza e del semi-analfabetismo, per esempio…
Veniamo allora al punto dolens dell’intervento di Giuseppe Mazzella: la presunta campagna mediatica aggressiva contro l’immagine dell’isola. Per me non si tratta di nessuna campagna aggressiva quanto di attenzione democratica e civile sui rischi che si intravedono e che stanno portando a denunce e procedimenti giudiziari, vale a dire atti, fatti, non propaganda o contropropaganda. Si va dalle aggressioni violente inaudite ai giovani volontari ambientalisti alle inchieste sui collegamenti con i sottoclan dell’entroterra, dall’abusivismo allo scempio paesaggistico. Quindi nessun complotto, nessuna campagna diffamatoria, meglio sarebbe che la classe politica locale non desse scandalo, mascherando le proprie intime propensioni politiche populistiche dietro il paravento delle liste civiche. La dialettica democratica vuole che ci sia maggioranza e opposizione, che le elezioni siano di democrazia competitiva tra gente e programmi diversi, possibilmente anche tra visioni e valori. Non sarà l’unità identitaria, che è pura costruzione culturale e politica, a salvare l’isola dalle sue difficoltà e dal suo declino che tanto ci allarma. Sarebbe meglio auspicare una riscossa civica, la cittadinanza attiva dei residenti, il rinnovarsi dell’impegno pubblico, la trasparenza amministrativa, il risveglio dell’etica pubblica, come altrettanti anticorpi alla passività e al discorso di potere del populismo italico e insulare.