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L’estate del ’77 a Ponza, tra chitarre e antifascismo

di Silverio Tomeo

Quell’anno era già successo di tutto. Un lungo ciclo di movimento finiva, tra bagliori e furori, con l’irruzione di nuova gioventù e nuove modalità di conflitto sociale, la crisi delle vecchie culture militanti e le suggestioni successive alla crisi delle diverse vulgate marxiste e rivoluzionarie. A Roma era stato allegramente contestato Silverio Corvisieri, allora parlamentare della lista unitaria della nuova sinistra e da poco espulso dalla sua organizzazione militante, di cui peraltro era uno dei leader e per cui dirigeva il “Quotidiano dei lavoratori”. Quelli del movimento degli “Indiani metropolitani” lo dipinsero in piena assemblea con pennarelli sul viso, con colori svariati, forse a voler significare che lo vedevano renitente al conflitto in corso per via della sua marcia di avvicinamento al PCI. Ma Corvisieri, pur accigliato, rimase imperturbabile, narrano le cronache dell’epoca. Quell’anno, oltre la creatività e l’ironia, ci fu anche uno stillicidio continuo di caduti nelle piazze e nelle vie. Il 12 marzo a Roma ci fu la manifestazione più incendiaria della storia dei movimenti in Europa. A maggio era stata uccisa Giorgiana Masi dalle squadre speciali di Cossiga, all’altezza di Ponte Garibaldi sul Tevere, dove ora una targa la ricorda.

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“Una risata vi seppellirà” (Slogan degli indiani metropolitani)

Nell’agosto di quell’anno sull’isola, informalmente e spontaneamente, militanti napoletani e pugliesi, con sempre qualche romano nei paraggi, si riconobbero e si frequentarono. Qualcuno dei pugliesi s’era già visto nell’estate fondativa del ’72. La cosa appariva  naturale; altre presenze  di un’area alternativa ci ruotavano attorno, alcune e alcuni vendevano collanine orecchini e cavigliere sui tappetini. L’estate è sempre estate, così la gioventù e la voglia di divertirsi. Le chitarre e le stelle non mancavano. Ho poi saputo per sentito dire che nel ciclo finale degli anni ’70 a Ponza, d’estate, passarono le vacanze anche frange di organizzazioni clandestine, dalle Brigate rosse ai nuclei del terrorismo neofascista di Roma.

Quell’estate un manipolo di giovani neofascisti romani, con a capo un tipo aggressivo, iniziò una serie di provocazioni arrivata sino al pestaggio di un noto ponzese “alternativo”, peraltro un mio cugino di non so che grado. Stazionavano spesso nella piazzetta principale dell’isola, i pariolini e squadristi romani,  avevano denaro da spendere nei ristoranti più cari. Le cose andarono inevitabilmente avanti. Sino alla lezione che un gruppo di militanti in tenuta estiva dovette loro impartire. Per qualche motivo, forse in relazione al fatto che si presumeva io fossi troppo riconoscibile, fui esentato da questa azione. Che nella sua ricostruzione più veritiera e verificata si svolse più o meno così nella piazzetta davanti al Municipio all’ora di cena. Un gruppone di una ventina di antifascisti scese per corso Pisacane, con aria indifferente e vacanziera, sino ad arrivare alla vista della tavolata dove mischiato tra turisti-bene il manipolo trangugiava e sbevazzava. Il capomanipolo, che doveva essere un tipo sveglio e allertato, si accorse subito del gruppo in arrivo, avvisò i suoi e si pose a tagliare la strada in posa da karateca. Al che, senza troppo esitare, il gruppo antifascista a un simpatico segnale di Pino il barese si lanciò compatto verso i neofascisti, e volarono via sedie, cassette della frutta, posate. Dalla parte della Torre di Borboni un altro piccolo gruppo di antifascisti con Antonino il barese tagliò loro la via di fuga e presero pure loro a malmenarli. Queste cose in realtà non durarono che pochi minuti, e nella baraonda i turisti-bene ignari capirono che conveniva loro scappare, e così fuggirono con ancora le chele di aragosta nelle mani! La retrovia della gioventù militante era come sempre S. Antonio, e qui infatti subito ritornarono, mimetizzandosi tra la folla serale – sulla spiaggia c’era una partita di pallavolo in corso – non identificabili.  Quando la scarsa guarnigione dell’Arma intervenne, si trovò davanti solo i neofascisti romani doloranti ammaccati ed eccitati, che immediatamente fermarono per l’identificazione. Ebbene: il capo manipolo era un latitante, un pericoloso ricercato per sparatorie effettuate proditoriamente a Roma; venne quindi portato via l’indomani stesso. Qualche giorno dopo si vociferò di un tentativo di rivincita del gruppetto residuo dei fascistelli romani, e all’appuntamento della festa dell’Assunta alle Forna ci si andò bene organizzati, perché si prevedeva la loro possibile presenza. E difatti qualcuno di loro venne avvistato, ma i pariolini pensarono bene di darsi subito alla fuga, vedendo gente già pronta a ricacciarli in malo modo. Il movimento del ’77 era finito, vietate le manifestazioni a Roma e a fine anno solo il corteo dei metalmeccanici potè marciare nella capitale. Al convegno nazionale contro la repressione, a settembre a Bologna, nel corteo finale molto teso, uscii dal mio ferreo inquadramento per salutare Ciro il napoletano e la sua compagna, anche loro protagonisti dell’estate ponzese. A novembre in Puglia ci fu l’ultimo caduto di quell’anno, Benny (Benedetto) Petrone, un ragazzo della città vecchia ucciso dagli squadristi usciti dalla sezione del MSI.

Non tutte le estati ormai passavo sull’isola. Ne ricordo vagamente una successiva, più rilassata, con amici da Lecce e qualcuno di quelli del ’77, e i primi spinelli che circolavano. Non ricordo se fu allora o nel ‘72 che i ragazzi del baretto di S. Antonio spesso la sera ci passavano le sfogliatelle avanzate. Un ricordo impreciso da collocare temporalmente è anche quello che, sempre a S. Antonio, coinvolse anche i ragazzi ponzesi. Avevano messo su una pattuglia di accalappiacani comunali, e la cosa, vista la proverbiale libertà dei cani di Ponza, spesso apparentemente senza padroni ma pronti a ritrovarli nella stagione venatoria, era insopportabile per la sua brutalità.

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Quindi si andò direttamente agli incaricati che giravano con il furgoncino seguendo l’idea che a volte è meglio una minaccia seria che un danno sicuro. Gli addetti abbozzarono e sparirono dalla vista. Ecco che poi, nottetempo, mani sconosciute forzarono il cancello del grottino dove tenevano chiusi una trentina di cani catturati, che tornarono liberi a scodinzolare per l’isola.Forse quel decennio si era veramente concluso quella mattina quando andammo muti, io e la mia compagna, tra tanta altra gente silenziosa, alla punta del molo ad attendere l’aliscafo con i quotidiani della domenica del 3 agosto del 1980. Il giorno prima era stata fatta saltare per aria la stazione di Bologna con un carico pesantissimo di vittime. Il partito informale del golpe e delle stragi lanciava in quel modo un avvertimento molto chiaro da interpretare.

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Silverio Tomeo