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La Chiesa di San Silverio e Santa Domitilla. Un po’ di storia di San Silverio

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di Lino Catello Pagano

Nel 1940 il parroco di Ponza, don Luigi Dies, decise di ampliare la Chiesa trasformandone l’originaria pianta centrale in pianta longitudinale. Venne così ridotta la scalinata d’ingresso e chiuso il pronao.

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Dal libro dello stesso Dies su Ponza e dalle fonti orali sappiamo che nell’impresa venne coinvolto tutto il paese: donne e uomini aiutarono gratis a trasportare dal Bagno Vecchio le pietre destinate all’ampliamento, pittori di Ponza e ‘forestieri’ si occuparono della decorazione delle pareti interne seguendo le precise istruzioni iconografiche del parroco Dies. Oltre alla SS. Trinità sull’altare maggiore e ai santi titolari della chiesa e patroni dell’isola Silverio e Domitilla, vennero raffigurati episodi della storia sacra, santi martiri e pontefici che avessero avuto un particolare collegamento con Ponza.

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L’interno della Chiesa, com’era

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Com’è oggi

Non solo, vennero anche chieste in prestito alla Soprintendenza di Roma ‘L’Adorazione dei pastori’ di Antonio Greccolini e ‘La Natività della Vergine’ di Michelangelo Cerruti, passate dalla distrutta chiesa romana di S. Venanzo alla Galleria Nazionale d’arte antica a Palazzo Barberini e diventate infine un ulteriore abbellimento della rinnovata parrocchia di Ponza. Prima dell’intervento di Dies l’interno della chiesa della SS. Trinità era quasi spoglio, a parte la presenza delle statue di S. Silverio e della Vergine, già segnalate dal Tricoli ai lati di una pala dell’altare raffigurante la Trinità.

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La prima statua di S. Silverio che si portava in processione a Ponza venne trasferita alle Forna per fare in modo che i pescatori che lasciavano l’isola  per andare a pescare – le aragoste in Sardegna, a La Galite in Tunisia, in Toscana – festeggiassero il Santo in anticipo, visto che a giugno nessuno era presente sull’isola (i festeggiamenti di San Silverio alle Forna vengono fatti l’ultima domenica di febbraio).

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La seconda statua del Santo

Un detto popolare dice, che la statua del Santo è stata scolpita al fine ’800 a Napoli da un solo pezzo di un albero di ciliegio.

Non tutti sanno che il cuore che porta San Silverio al collo non è un ex-voto, ma un pegno d’amore, che i ponzesi che partivano per la Prima Guerra Mondiale avevano regalato al Santo, con la speranza di ritornare vivi alle loro case.

Il cuore è d’argento ed è cavo; al suo interno sono scritti, su foglietti di carta,  i nomi di coloro che si recavano al fronte.

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S. Silverio di Frosinone

Anche a Frosinone viene festeggiato San Silverio, insieme a S. Ormisda, padre del Santo e Papa anch’esso, Patrono della Città. Nel 1956 fu ivi realizzata la statua dedicata a San Silverio.

Essa rappresenta, nella profonda sconsolazione ed umiliazione, colui che subì l’esilio: San Silverio, con il capo scoperto e la tiara appoggiata a terra, accanto alla palma del supplizio, recante nella mano sinistra, penzoloni, il libro seminascosto per non essere riuscito del tutto a completare la sua opera pontificale. L’altra mano, che stringe sul petto la croce cristiana, mostra con drammaticità la lunga catena della tortura dell’esilio sull’isola di Palmarola.

Nel suo libro ‘Da Frosinone a Ponza’ Don Dies racconta che era l’anno 1942 quando una grossa mina subacquea fu avvistata alla deriva alla Parata che rotolava tra i flutti. Venne chiusa la Chiesa dopo la prima messa, ma la curiosità della gente era tanta: tutti accorsero per vedere come rotolava tra gli scogli quell’enorme ordigno, che se fosse esploso avrebbe portato via mezza Ponza. All’improvviso Don Dies venne chiamato con urgenza in una casa: una bambina aveva un messaggio per lui. Arrivò a casa e la bambina, tra lacrime e singhiozzi gli disse: – “Mi ha detto San Silverio, va dal parroco e digli che non si deve preoccupare, che sono tre giorni e tre notti che la tiene lui, la grossa mina, e che non scoppierà”.

La gente credeva che quella mina fosse disattivata, per non esplodere nonostante i violenti urti che prendeva sugli scogli, ma così non era. Quando il mare si calmò e la mina venne recuperata e aperta, i tecnici  trovarono con stupore il piatto idrostatico sollevato e le campanelle di vetro degli urtanti ancora intatte. I ponzesi non si capacitavano di come un ordigno grosso come una botte non fosse esploso: ma lo sapeva la bimba Antonietta Tagliamonte fu Raffaele, che aveva visto e udito in sogno le parole di San Silverio.

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Lino Catello Pagano