Lontano da Ponza

…E l’Ulisse di Ponza trovò una gemella tunisina

di Lino Catello Pagano

S. Silverio era un diacono di Ceccano, nel frusinate, con due problemi che non riuscì a risolvere: era figlio «legittimo» di un Papa, visto che il genitore Ormisda prima di salire al soglio era stato regolarmente sposato; e finì esiliato dopo essere diventato Papa egli stesso, vittima innocente di una guerra feroce tra l’ imperatrice Teodora e il re ostrogoto Teodato. Nella Roma turbolenta del 537, voluto dal re, cacciato dall’ imperatrice, il povero Silverio finì esiliato nell’ isola meno ospitale tra quelle a disposizione dei contendenti: Ponza. E qui, secondo la leggenda sullo scoglio che porta il suo nome nella vicina Palmarola, morì di stenti dopo pochi mesi. Fatto santo dai ponzesi prima, e dalla chiesa poi, Silverio è il patrono di Ponza.

Antonio D’Arco, il fondatore della comunità

Ed è con una sua immagine, che nel 1872 un figlio di quest’isola, Antonio D’Arco, si sarebbe lanciato nell’ impresa più audace mai tentata da un ponzese: colonizzare un’ altra isola. Intendiamoci, allora, nel 1872, anche Antonio D’ Arco, qualche problema lo aveva. Magari non era innocente come Silverio, ma le autorità di uno Stato italiano appena costituito gli avrebbero rivolto volentieri qualche domandina. Sarà per questo che veleggiando sulle coste tunisine, alla ricerca di un approdo non frequentato da divise di qualsiasi colore, vide all’ orizzonte la fisionomia di un’ isola che somigliava tanto alla sua Ponza: era La Galite e lì decise di approdare.

Povero D’Arco, come dargli torto? Isola vulcanica, la sua, circondata dalla corona formata da Palmarola, Gavi e Zannone. Isola vulcanica La Galite, sdraiata davanti alla costa tunisina di Biserta, solo centocinquanta chilometri a sud della punta sarda di Capo Spartivento, anch’essa circondata da una corona di isolotti. Antonio D’ Arco non ebbe dubbi: caricò su un battello «la moglie e i figli, pochi mobili, ben sette fucili da caccia, un po’ di sementi, qualche animale» e con questa piccola arca di Noè prese possesso dell’ isola, fondando una comunità. La sua. Avventura coloniale e migrazioni partorite dalla disperazione hanno nelle vene sangue simile: come il sudore speso da Antonio D’ Arco per innestare tracce di Ponza nelle rocce tufacee della Galite (Galite  in arabo Jazirat o Jalitah).

E allora ecco Monte della Guardia, la cappella dedicata a San Silverio, le capre italiane, che ancora scalpitano sull’ isola, pronte a confondersi con le più magre capre africane. Ma soprattutto un mare straordinariamente ricco e pescoso.

Qui sopra e le precedenti: foto d’epoca dell’avventura dei ponzesi a La Galite

Qui, nell’indifferenza dei tunisini, si sviluppa la comunità, mentre Antonio D’Arco chiama altri ponzesi, e si spinge perfino a chiedere a Roma – inascoltato – di poter issare il tricolore sull’ isola.

Piano piano si ingrossa un nucleo che nel 1903 conterà 103 persone e salirà a 250 negli anni Trenta, complice la fuga di molti antifascisti dall’Italia di Mussolini. Ma in quello scorcio dell’800 i problemi ai ponzesi verranno dai francesi: dai militari che nel 1881 hanno di fatto occupato la Tunisia e mal tollerano questa presenza italiana, e dagli anarchici parigini che invece l’ hanno scoperta ed esaltano il puro spirito dei Ponzo-Galitesi, dimostrazione che si poteva vivere «senza governo e senza sfruttamento dell’ uomo sull’ uomo». Insomma l’Isola felice, senza gendarmi e senza chiese, cappella di San Silverio a parte.

Non poteva durare senza complicazioni. I francesi imposero la loro nazionalità ad una comunità che della nazionalità avrebbe fatto volentieri a meno.

Il gruppo originario di Ponzo-Galitesi si confuse con i ponzesi non stanziali che alla Galite cercavano ricche stagioni di pesca. Due guerre mondiali hanno fatto tremare la terra intorno a questi scogli, seppur protetti dall’isolamento e dalle sorgenti d’ acqua dolce che li rendevano autonomi.

 

La Galite. La rada dell’attracco

Perfino l’indipendenza tunisina passa per La Galite, dove venne esiliato in un vecchio fortino tra il 1952 e il ’54 il leader del movimento Habib Burghiba. Ma la riconquista della propria terra da parte dei tunisini segna, cinquant’ anni fa, anche la fine di questa storia italo-tunisina, con una «coda francese»: perché gli ultimi discendenti della comunità fondata da Antonio D’ Arco si trasferiscono a Le Lavandou, sulla Costa Azzurra.

Nel cerchietto giallo, si trovava su La Galite la cappella dedicata a S. Silverio

Curioso triangolo che unisce tre punti del Mediterraneo in una storia comune e insegna quanto poco saggio sia identificare – intorno a questo mare – lembi di terra come fonte di emigrazione e altri come punti di approdo. La storia del Mediterraneo è un continuo, incessante e spesso doloroso viaggiare. Con uomini che in queste isole vedevano quello che avevano nell’ anima. Antonio D’Arco ha visto a La Galite la libertà. Solo pochi decenni prima Ponza era stata scelta, insieme a Ventotene, come destinazione di penitenza per i nemici dei Borboni. Nel periodo fascista come luogo di confino. Oggi, nel chiassoso affollamento dei turisti, varrebbe la pena guardarle come luoghi di incontro tra civiltà, una lezione di sofferenza e civiltà.

Mi viene da dire, che i Ponzesi nel momento in cui di arrivano in qualsiasi posto al mondo, mettevano e mettono davanti a tutto S. Silverio a mo’ di vessillo, per dire: prima arriva Lui e poi noi dietro, come è successo a La Galite: prima di costruire le case  hanno costruito la cappella per il Santo.

Lavandou dove si trasferirono i Ponzesi da Galite con chiesetta a S. Silverio

Lino Catello Pagano

Su ‘La Galite’, testi e foto: vedi anche su questo stesso sito al link: http://www.ponzaracconta.it/2011/03/16/ragazzino-dell’isola-e-le-fere-1/

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