Racconti

U’ vapore ed i viaggi (1)

“E se da lungi i miei tetti saluto…” ( U. Foscolo: In morte del fratello Giovanni)

Forse perché, ahimè, sempre lontano, sono rimasto ancorato ai miei  ricordi come in un “fermo immagine”. Sicuramente scriverò cose che tutti conoscono più di me, ma mi piace rivivere i tempi della mia fanciullezza andando indietro nel tempo …sull’onda dei ricordi.

“U’ vapore ed i viaggi”

di Pasquale Scarpati

Mi piace ricordare quando arrivava “u’ vapore”. Tutti andavamo a “poppa u’ vapore” perché era un evento, e chi arrivava era obbligato a  passare “’ncoppa a scaletta”,  come su una passerella di una sfilata di moda. Ricordo  i collegamenti: “u’ vapore” partiva la domenica mattina alle sette per Napoli e, dopo aver toccato Vientutene, Santo Stefano, Forio d’Ischia, Casamicciola, porto d’Ischia e Procida arrivava a Napoli alle ore 14.30: sette ore e mezzo di viaggio! Il lunedì non esistevano collegamenti. La nave ritornava, dopo aver compiuto lo stesso “giro” il martedì sera alle cinque. Cominciava a scaricare e le barche di “Muscardino” facevano la spola da e per la banchina, a volte fino a tardi, perché quasi tutti i prodotti alimentari arrivavano da Napoli.  Il mercoledì mattina partiva alle 4 e trenta per Formia, dopo aver fischiato un’ora prima (non disturbava nessuno!) . Impiegava, tra navigazione e manovre, quasi tre ore e mezzo. Ritornava la sera stessa, alle diciannove. Il giovedì mattina alle cinque, ripartiva per Formia ma facendo “u’ gir e’ Vientutene”: cinque ore. Il giovedì sera: nulla e neppure il venerdì mattina. Ritornava il venerdì sera, alle diciannove, rifacendo lo stesso “ giro”. Il sabato come il mercoledì. D’estate si aggiungeva, tre volte a settimana, nei giorni pari, la corsa da e per Anzio. La SPAN era la compagnia di navigazione ed i biglietti si staccavano nel locale di Michele Regine  dove c’era anche l’unica cabina telefonica per cui, quando si riceveva una telefonata, all’interessato veniva consegnato un bigliettino su cui c’era scritto l’orario di ricevimento della stessa.

Ricordo le navi, quelle a vapore: l “Equa”(già Regina Elena) ed il “Gennargentu” da cui, una volta, scesero degli extracomunitari prima del tempo: il vento aveva fatto abbassare il fumo  nero e denso, che usciva dalla ciminiera…! Il “Ponza”, dai motori, a nafta, con le valvole scoperte, che si sentivano fino a Frontone, il “Mergellina” che “si tirava” l’ancora prima di partire e poi il “Falerno” nel quale, quando era maltempo, entrava l’acqua sotto le panche vicino alla sala motori. Ricordo come si viaggiava: o in terza o in prima classe (non esisteva la seconda). In prima c’erano le poltroncine e la sala era chiusa da una vetrata. In terza “…E’ meglio  pecché puo’ durmì sdraiat’” ; se poi si va più giù “…o’ mare si sente chiù poco”. Immaginavo e vanamente speravo che il rollio o il beccheggio fossero “riservati” solo ai “piani superiori” e che laggiù ci fosse calma piatta. Mi accoglieva una nuvola di fumo. Si giocava a carte:  “la maniglia”, un gioco tra la briscola ed il tresette. Vicino alla sala macchine, dove si sarebbe potuto respirare un po’ d’aria fresca, si sentivano invece  vari “effluvi”… Nafta, fumo di sigari e sigarette, fumo di pipa (trinciato forte) si mescolavano agli odori forti che provenivano dalla piccola cucina (mamma diceva che era tutta roba “soffritta”) che neppure il vento marino riusciva a disperdere, anzi venivano accentuati se spirava lo scirocco quando “pur o’ mare puzz”. Nei pressi della cucina c’era un rubinetto dell’acqua con una targhetta “acqua non potabile” (sob!). E guai se per caso ci si trovava vicino alla “toilette” e la porta si apriva…  In tolda poteva accedere solo chi  era in possesso del  biglietto di prima classe. Ricordo… la nave, quando entrava nel porto, fischiava;  poi, nel silenzio, sentivo il tuffo dell’ancora e lo srotolamento della catena. La  manovra era molto lenta. Quando attraccava, sotto il “Lanternino”, dalla luce rosso-fioca, se il mare era “buono” si lasciava guidare dagli uomini e dal suono del fischietto del “secondo” – per questo si diceva, dopo aver mangiato il primo piatto e poi non c’era più nulla: “u’ sicond sta a buord o’ vapore” – che in questo modo lanciava nell’aria i segnali ai marinai che stavano a prua a controllare la catena dell’ancora, ed al comandante ritto in alto fuori dalla cabina di comando; ma se c’era vento e “risacca”, la manovra diveniva piuttosto difficoltosa; la nave si muoveva a destra e a manca, diveniva “disubbidiente” ma alla fine doveva cedere alla volontà dell’uomo.

Poiché si doveva scendere in “modo decente”, tutti i passeggeri si  rassettavano e si componevano, alcuni  anche nella “toilette”: le donne si pettinavano e si davano, chi l’aveva, un tocco di trucco; noi bimbi eravamo spinti a fare gli ultimi bisogni, mentre gli uomini recuperavano il bagaglio sparso anche sotto le panche di legno. Qualcuno  portava anche “na’ guantiera e’ paste”. Poi si andava sotto il Comune, chiamando e aspettando che uscisse Vicienz “o’ pustin” che cominciava a distribuire la posta. Era un evento! Quando cominciarono a venire i primi “furastieri”, quanti di noi non sono andati a prendere le valige? E le ragazze di Baridon? Mi piaceva la piccola nave cisterna che si metteva in rada e lanciava lateralmente, in modo ritmato, uno sbuffo di vapore e la serpentina dei manicotti dell’acqua da dove uscivano vari zampilli, per la nostra felicità. Ricordo i pozzi dove andava a finire il liquido prezioso e la fatica per prenderlo: se non c’era la carrucola, bisognava essere rapidi ed esperti per far ribaltare il secchio( era senza pesi laterali) e poi tirarlo su grondante d’acqua. Ricordo i bimbi, in fila, della “colonia marina” che cantavano: “Oggi è la vigilia, domani è la partenza, addio Ponza bella, non ci rivedremo più”

(1. segue)

Pasquale Scarpati

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