Cucina

Andavamo “a maruzze”…


di Noemi D’Andrea

Come spesso succedeva, dopo ferragosto il tempo “si rompeva” e spesso venivamo colti, sempre di sorpresa, dagli impetuosi temporali estivi.

Sentivi l’aria che cambiava odore, in genere ci coglieva il primo pomeriggio mentre eravamo ancora al mare; in poco tempo il cielo diventava plumbeo, l’aria “pizzicava” il naso e poco dopo cominciava a tuonare.

Scappavamo sempre all’ultimo momento quando cominciavano i goccioloni veri, quelli grossi, quasi a voler, ad ogni costo, infradiciare i pochi vestiti che portavamo sul costume, maglietta ed al massimo un pantoloncino.

E di corsa sotto il tunnel di Chiaia di Luna, dove il vento si infilava dappertutto. Cercavamo di coprirci con gli asciugamani, in genere duri e pieni di sale, ma il vento ci spingeva come a volerci cacciare, come a dirci: “Ve ne volete andare o no?”

Arrivavamo a S. Antonio zuppi come spugne, con il solo vantaggio di trovarci già docciati, che a quei tempi dove spesso mancava l’acqua portata dalla cisterna, era un vantaggio non da poco.

Durante il tragitto di ritorno già ci eravamo accordati: stasera si va a  maruzze!!!

In genere l’appuntamento era al calare del sole, quando ci ritrovavamo al luogo stabilito muniti di torce, che avevano quasi sempre le pile scariche.

Cominciavamo ad inoltrarci sulla panoramica, i più temerari si arrampicavano verso la strada che porta al Fieno, noi “ragazze” in genere ci limitavamo a stare sul bordo strada, arrivando passo passo sino all’incrocio che scende poi per i Conti di S. Maria.

La cattura di ogni “maruzza” era un evento da annunciare a gran voce, come una sorta di gara a chi prendeva la più grande, la più cicciona.

E subito veniva gettata, con un certo schifo, dentro la busta viscida di muco, a fare compagnia alle altre.

Era il periodo che cominciavano le prime passioni, beata adolescenza, e la cosa bella che non c’era distinzione tra il “ponzese genetico”, come li definisco io e il “ponzese di adozione”: eravamo tutti uguali, tutti animati da quel gran sentimento che è lo stare insieme.

Alla fine della serata il gruppetto si ritrovava a S. Antonio, davanti al bar di Gigliola e Bruna, ed ognuno confrontava la busta con quella degli altri, anche se in verità mai è stato proclamato nessun vincitore.

Le povere maruzze venivano in seguito “fatte spurgare” e cucinate dalla mamma di qualcuno di noi, e si aspettava il temporale successivo, per poter andare di nuovo, tutti insieme.

Noemi d’Andrea

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