Prudente Ernesto

“Alfazeta” voci del dialetto ponziano (2)

N

Na – uno  art., agg, pron.   Il primo numero della numerazione.

Nàfte – nafta s.f. Nome generico  per tutti i combustibili che si usano sulle navi.

Nànanne – nonna sf. La mamma di un genitore.

Nanàsse – ananas  sf.  Pianta e frutto

Nasconnere – nascondere v. Sottrarre alla vista, acquattare, occultare, mascherare, rintanare.

Nase – naso  sm.  Prominenza del volto, organo dell’odorato.

Nasse – nassa s.f. Attrezzo da pesca. La nassa è una cesta intrecciata con rami di mirto, giunchi e canne tagliate a listelli. E’ composta da due parti unite saldamente da sembrare un tutt’uno. La parte esterna, a forma di campana, da cui il nome,  ha una apertura al vertice che serve per fare uscire la preda catturata e per introdurre l’esca. E’ dotata di coperchio, una porticina che rimane chiusa durante la pesca. La parte interna, a forma conica, ha la base circolare leggermente inferiore a quella della campana perché possa entrarvi ed essere ad essa legata in modo da formare un corpo unico. Il vertice termina con le punte dei  vimini che convergono a cono senza essere legate perché devono costituire un ostacolo per l’uscita dei pesci che sono penetrati all’interno.

I pesci, attratti dall’esca, penetrano dalla apertura troncoconica che sta alla base della nassa e non possono più uscire perché impediti dalle punte dei vimini.

Una volta, prima della invenzione della rete, qualsiasi tipo di pesca veniva effettuata con le nasse per cui le si costruiva a seconda del tipo di pesca da effettuare. Le nasse venivano impiegate, secondo la formazione del fondale marino, a gruppo di due o più di due. Raramente veniva calata da sola.

Il gruppo di due era chiamato “péde i nasse”.  Quello di più nasse, fino ad un massimo di dodici, era chiamato “patèrne”.

Non è cosa semplice, come potrebbe sembrare, piazzare le nasse sul fondo in modo che possano pescare. Le nasse erano  tenute sul fondo da una grossa pietra, “ a màzzere”. Il tutto era legato ad una corda, a calòmme,  che arrivava in superficie dove era legata ad un galleggiante, “u petàgne”.

Il ritiro delle nasse avveniva giornalmente. Prima di portarsi sul luogo dove avevano affondato le nasse per tirarle, i pescatori tiravano le reti  per racimolare l’esca. Il tiro di qualsiasi attrezzo avveniva  a braccia. Di quei tempi non esistevano verricelli e scandagli. Il fondo marino si conosceva con l’uso delle coffe. Nel ritirarle, quando l’amo rimaneva impigliato in qualche ostacolo, che in genere era lo scoglio, si facevano dei rilevamenti a terra per stabilire la sua posizione.

La bravura di un pescatore consisteva proprio nella sua capacità di leggere il fondo marino.

Nassiélle – nassotta s.m. Piccola nassa usata per la pesca di polipi e  murene.

Natà – nuotare v. Muoversi nell’acqua in modo da stare a galla e avanzare.

N’atu-tante – Altrettanto avv. e agg.  La stessa quantità, la stessa misura, la stessa cosa.

Naufràge  – naufragio s.m. Affondamento con perdita della nave. Può essere causato dal mare tempestoso o da un urto.

Nautiche – nautica s.f. L’arte del navigare.

Nave – nave s.f. Designazione generica di tutti i galleggianti. Può essere in legno o in ferro. Ha denominazione particolare a seconda dell’uso: da carico, passeggeri, cisterna, da diporto, da guerra, carboniera, idrografica, officina, ospedale, portaerei, posacavi, dragamine, rompighiaccio, scuola, traghetto.

Navigà – navigare v. Percorrere il mare su un galleggiante.

Navigabilità – navigabilità s.f. Condizioni per cui una nave può prendere il mare.

Navigazione – navigazione s.f.  Il viaggio fatto per mare.

Navìgle – naviglio s.m. L’insieme dei natanti.

Nbanne – imbando  avv. Per indicare lo stato di una cima allentata o disciolta

Ncacaglià – tartagliare v.  Balbettare

Ncacàzze –  andare in brodo loc.avv.  Giuggiolarsi, divertirsi

Ncafucchià – infossarsi  v.  Rimpiattirsi, nascondersi,  rintanare, insaccare.

Ncaglià – incagliare v. Impigliarsi della chiglia sul fondo marino a causa di un mare poco profondo rispetto alla immersione della nave.  Anche l’ancora si incaglia.

Ncammenà – incamminare  v.  Avviare, istradare, mettersi in cammino.

Ncannaccate – orpellato   agg.  Di persona che porta al collo una vistosa collana o che veste in modo pacchianesco.

Ncannarì – allettare v.  Smuovere il desiderio con allettamenti.

Ncannarute – goloso agg.  Ghiottone, ingordo, lerccardo, mangione, crapulone, buongustaio.

Ncannucciate – incannata s.f. Attrezzo da pesca formato da due reti di cui una è perpendicolare al fondo marino, ed è il tramaglio, su cui deve poggiare orizzontalmente l’altra che è sfornita di piombo e sughero ma legata a delle canne che la tengono aperta e galleggiante sulla superficie del mare.

E’ la classica rete per cingere e catturare i cefali i quali vengono spinti, dal rumore che i pescatori fanno, dopo aver steso le reti, picchiando con bastoni sulle barche e sull’acqua, verso lo sbarramento. Una volta a contatto con la rete perpendicolare saltano fuori dall’acqua per superarla ma vanno a cadere nella rete posta orizzontalmente.

Ncantà – incantare v. Ammaliare, rimanere attonito, affascinare, avvingere, sbalordire.

Ncantate – incantato agg.   Ammaliato, stupito.

Ncantéseme – incantesimo  sm. Incanto, seduzione, persuasione.

Ncaparrà – accaparrare v.  Incettare, fare monopolio.

Ncape a pède – dalla tesra ai piedi loc.  Sempre, continuamente, in ogni momento.

Ncappà – prendere v.  Acchiappare, incontrarsi per caso, cadere in qualche tranello.

Ncappellà – incappellare v. Termine molto usato perché serve ad indicare azioni diverse.  Si usa quando si fanno manovre di unione di ognuno dei pezzi di cui è composto un albero con il cordame che lo sostiene come le sartie, gli stralli e i paterazzi che terminano superiormente con un anello, gassa. Questi anelli si incappellano all’albero. Si dice anche per una cima che deve essere posta intorno ad una bitta o ad una munachètte.

Ncappètte – gancetto sm.  Ferro ripiegato ad uncino, gaffa.

Ncappuccià – incappucciare v.  Mettersi il cappuccio, intabarrarsi..

Ncapputtà – incappottare v.  Mettere il cappotto, coprirsi bene.

Ncaprecciate – incapricciato agg.  Intestardito, incaponito, ostinato, tenace, allettato, invaghito.

Ncapucchià – incappellare  v.  Mettere la cima attorno alla bitta.

Ncapunite – incaponito agg. Ostinato, caparbio, cocciuto, irremovibile, testardo, persistente.

Ncarà – rincarare v.  Aumentare il prezzo, divenire più caro.

Ncaramà – incagliare v. E’ proprio dell’ancora quando si inceppa tra gli scogli.

Ncaramature – incaglio s.f. Inceppamento di un  qualsiasi attrezzo sul fondo.

Ncarnate – incarnato  agg. Di qualcosa che è penetrato nella carne, in modo particolare si riferisce alle unghie.

Ncarrà – indovinare  v. Prendere la giusta decisione di un problema.

Ncartà – incartare v.  Avvolgere  nella carta, incartocciare

Ncarugnute – accanito agg.  Tenace, furiosamente ostinato, di cosa fatta  con accanimento.

Ncasà – calcare v.  Premere, pressare, pigiare, aumentare i prezzi, divenire più fitta la pioggia, più teso il vento.

Ncastagnà – sorprendere  v.   Prendere sul fatto, cogliere in fragranza, mettere con le spalle al muro.

Ncatarrate – raffreddato agg. Accatarrato,  infreddato, influenzato

Ncatastà – Accatastare v.  Ammucchiare, sorprendere, prendere in fragranza.

Ncatenà – incatenare v. Arrestare, fortificare i muri con catene di ferro.

Ncatramà – incatramare v. Spalmare il catrame per chiudere vie d’acqua.

Ncattivà – incattivare v. Dicesi di una corda che assume, su se stessa,  un attorcigliamento vizioso. Cocca, aggrovigliatura, accavalcatura.

Ncavallà – accavallare v.   Sovrapporre, mettere una cosa su un’altra.

Ncavate – incavato  agg.  Bucato, scavato, incanalato.

Ncazzate – incazzato agg. Infuriato, arrabbiato

Ncazzellàte – rete s.f. Tramaglio sottile di nailon a cui è sovrapposto una rete singola creando un attrezzo  molto alto da arrivare dal fondo alla superficie.

Ncazzuttà – Incazzottare v. Avvolgere, piegare. Si incazzotta una bandiera arrotolandola ben stretta.

Ncenzià – incensare v. Adulare, ciondolare, andare avanti e indietro oziando.

Ncenziére – incensiere sm. Turibolo.

Nceppà – inceppare v. Si dice dell’ancora che abbia la propria catena avvolta intorno al ceppo. Ostacolo che impedisce il funzionamento di un motore, di un meccanismo.

Nceppate – inceppato agg. Causato da un ostacolo che impedisce il funzionamento di un motore, di un meccanismo, di un’arma.

Nceràte – incerata s.f. Telo grosso e consistente usato per coprire i boccaporti della stiva per evitare infiltrazioni d’acqua e per riparare  le merci caricate alla rinfusa perché  non si bagnino.

Nchianate– spianata  sf. Tratto di terreno piano, pianoro, pianura, tavoliere, spiazzo.

Nchiavecà – insozzare v.  Insudiciare, infangare, abbruttire, lordare, sporcare.

Nchippe – ostacolo sm.  Inciampo, difficoltà, intoppo, intrigo.

Nchiuccà – suggellare v. Insegnare bene,  imprimere con forza persuasiva un concetto nella mente di qualcuno.

Nchiummà – impiombare v.  Suggellare con piombo, mettersi impalato e aspettare.

Nchiuse – chiuso agg. Serrato, fermato, circondato, sbarrato, assiepato, ostruito, intasato, otturato, sprangato, turato, tappato, recintato.

Nchiuvà – inchiodare v.  Fermare con chiodi, bloccare con argomenti incontrovertibili.

Nciampecà – inciampare v.  Incespicare, imbattersi, incappare, intoppare.

Nciarme –  incantesimo sm. Incanto, fascino.

Ncignà –  cominciare v.  Mettersi la prima volta una cosa nuova, iniziare, dare principio; avviare, inaugurare. “Agge ncegnàte” rispose al mio sguardo Luigi i mangiaualle. La sua risposta non si riferiva ai tordi che, quel sabato di ottobre, svolazzavano anche fra le case. Luigi aveva capito il mio sguardo interrogatorio e mi aveva dato la giusta risposta. Aveva abbattuto una beccaccia, la prima di quell’anno che venisse uccisa a Ponza. Ognuno la pensi come si vuole, la libertà è proprio questa, ma la caccia alla beccaccia è simile al corteggiamento di una femmina. Suscita le stesse emozioni, le stesse sensazioni. Lo stesso “agge ncegnate” me lo diceva Paolo Cristo quando rientrava dalla prima pescata a pezzogne. Ncignà, poi, era il commento continuo che i giovani, schierati in piazza per assistere, nei giorni festivi,  alla parata delle donne che andavano in chiesa.  Ludovica s’è ncegnàte nu cappòtte a tre quarte e cu  i scarpe cu nu pare i tacche c’a fanne paré aute duje mètre. La parate vera e propria si faceva nel giorno di San Silverio. Era nu ncégne-ncégne. La piazza diventava una passerella.

Ncimme –sopra   avv.   In cima, sulla parte alta, sulla sommità.

Nciùcià – pettegolare   v:  Riportare chiacchiere e maldicenze. Questo verbo si adopera per creare o propagare pettegolezzi, a mettere discordia, a sobillare, a soffiare su un fuoco già ardente. A nciucésse è l’artefice primaria del pettegolezzo, è quella che mette in giro, spanne i pénne pecché sape  c’u viénte i spatrogle é nun se ponne cchiù arraunà,  fatti e misfatti. Poeti e  scrittori hanno fatto largo uso di questa parolina.  Ferdinando Russo:  in  N Paraviso:  “ Tutt’i mbruogle, tutte i nciuce, tutt’i pile e tutt’i trave”. Nicolardi nelle Bizzòche : “Se restaieno zitelle, nun ve dico che nciucesse”  e in Nu munne piccirillo:  “mmidia e furbizia, nciuce e gelusie”. Eduardo int’u  Munne de parole confessa: “ Se capisce ca parlanno nciucio, mbroglio e facce ammore”. Salvatore Di Giacomo in Ventariello: “ E cu ll’acqua, ca risponne, fanno nzieme uno ciù-ciù”.  Arriniamo a E.A.Mario che nella Funtana all’ombra:

“ Accuminciaieno a se parlà  c’u vuje, mentre stì fronne alleramente facevano ciù-ciù”.

Ncontratiémpe – fuori tempo avv.  Fuori stagione.

Ncòppe – sopra avv. Su , nella parte più alta.

Ncrespà – increspare v.  Ondulare, arricciare, dare il primo strato di malta alla muratura.

Ncrespature – increspatura sf. Arricciatura, sottointonaco.

Ncrià – creare v. Inventare, fondare, generare,  produrre  dal nulla.

Ncriccate – preparato agg.  Elegante, lindo, arzillo,  arrabbiato, ostinato.

Ncruattàte – incravattato agg.  Elegante, leggiadro, attillato, ricercato.

Ncruccà – uncinare v.  Aggraffare, restringersi su se stesso, contrarsi di muscoli.

Ncrucià – incrociare v. Attraversare una cosa con un’altra. Passare lateralmente ad una imbarcazione.

Ncrudelute – incrudito  agg.  Di norma sono i legumi che, per quanto si prolunghi la ebollizzione, non riescono a cuocersi al punto giusto. Ciò vale anche per i frutti  che, quasi sempre a causa delle condizioni atmosferiche, non vanno oltre un certo grado di maturazione e non bisogna dimenticare che certe malattie, pecché se so ncrudelute, non guariscono mai del tutto..

Ncuccià – incocciare v. Agganciare, collegare, unire,

sorprendere, arrovellare..

Ncucciuse – ostinato agg.  Intestardito, incaponito.

Ncufanà – affondare v.  Affondare su una poltrona, sistemare i panni nel “cufunature” per fare il bucato.

Ncugnà – inzeppare v.  Mettere la bietta, incuneare.

Nculà – buggerare v.  Frodare, ingannare, raggirare, molestare.

Ncumbènze – incombenza sf.  Incarico, onere.

Ncummenzà –incominciare v. Dare inizio, avviare.

Ncumpènze – corrispettivo sf. Per ricompenso, in cambio, d’altronde.

Ncuntrà – incontrare v. Imbattersi, incrociare, incappare, intoppare.

Ncuolle – addosso avv. In collo, sulle spalle.

Ncurdàte – incordato agg.  Irrigidito, che ha perso la flessibilità

Ncùnje – incudine sf.  Strumento di ferro si cui si battono e si forgiano i metalli, ceppo.

Ncuntrà – incontrare v. Imbattersi, andare incontro.

Ncuorpe – in corpo  loc. avv.  Dentro , all’interno del corpo.

Ncupèrte – in coperta avv. Per tutto quello che non è nella stiva ma sistemato sui ponti della coperta. Ponte principale dell’imbarcazione.

Ncurdate – teso agg. Irrigidito, indurito, rattrappito, teso.

Ncurnà – ostinarsi v.  Puntare le corna,  intestardirsi, incaponirsi.

Ncurrive – in ira loc. avv.  A  dispetto.

Ncusciénze – in coscienza loc. avv.  In fede mia.

Ncutrenute –  incartapecorito agg. Di panno, carta, pelle che, perdendo la propria elasticità, diventi duro  come una cotenna; diventato arido e giallastro.

Ncuttate – ammuffito agg. Alterato, guastato per la muffa. Ma nce sta pure chi ncotte ncuorpe pecché nun a putute sfucà, chi si chiude in sé per malumore, chi è stato costretto a trattenere il proprio disappunto e la propria ira.

Ncutugnà – percuotere v.  Colpire, dare pugni; ammassare, accatastare.

Ncuzzute – lercio agg.  Sporco, unto, poco pulito.

Ndebulute – indebolito agg.  Debilitato, infiacchito.

Nderizze – indirizzo sm. Direzione, avviamento, complesso di indicazioni per rintracciare una persona.

Ndiavulate – indiavolato agg.  Infuriato, inferocito.

Ndicchje – briciola sf.  Piccolissima quantità.

Ndracumane – imbroglione sm.  Ingannatore, di persona che non ha una condotta lineare, che vive di espedienti, pronto ad ogni esperienza.

Ndràgge – ostacolo s.m. Impedimento, contrasto, impaccio, impiglio.

Ndrille– punta sm. Arnese  con punta di acciaio tagliente per rompere la roccia.

Ndummate – Colpito agg.  Bastonato, percosso, gonfiato, enfiato, inturgidito.

Nduppà – urtare v. Sbattere, cozzare, inciampare, toccare.

Ndurà – odorare v. Fiutare l’odore, indorare.

Ndurzà  –  Gonfiare v. Enfiare, bastonare.

Nduvinà – indovinare v.  Azzeccare, cogliere nel vero, imbroccare, intuire, presagire.

Nduzzàte – urtato agg. Scontrato, cozzato.

Négle – nebbia s.f. Massa di vapori condensati nelle vicinanze della terra. Caligine, offuscamento della vista. Da non confondersi con la foschia.

Nennélle – bambina  sf.  Fanciulla, innamoratella.

Nennille – bambino  sm. Fanciullo

Nèpete – nepitella  sf.  Pianta  selvatica con cui si faceva un decotto per i dolori intestinali.

Nervature – nervatura sf. L’insieme del sistema nervoso degli animali, degli insetti  e delle piante.

Nescà – innescare v. Mettere l’esca agli ami, adescare.

Nève – neo sm. Malformazione della pelle in forma di piccola tumefazione o macchiolina di colore nerastro che può degenerare anche in tumore maligno.

Nfamità – infamità sf.  Infamia, cattiveria, malvagità, azione delittuosa.

Nfànfere – Pesce pilota s.m. Naucrates ductor. Si mangia anch’esso.

Nfasciate – infasciato agg. Avvolto nelle fasce, bendato.

Nferetore – imbastitura s.f.  Cucitura alla buona e meglio. Si usa per le vele  quando si devono legare e per le reti quando, a seguito di un incaglio, hanno bisogno di essere riparate istantaneamente.

Nferì – inferire v. Mettere le vele ai loro posti. Inserire la cima nei bozzelli. Unire, con legamenti provvisori, una rete strappata per poterla rimettere subito in mare.

Nfèrmèrje – infermeria s.f. Locale adibito ai malati.

Nferùte –  cucito  agg.  Impastito, cucito, riparato  alla bella e meglio.

Nfèrte – regalo sf.  Offerta, omaggio, dono.

Nfettà – Infettare v.  Contagiare, ammorbare.

Nfì – fino a prep. Finché, anche, altresì, persino.

Nfiéte – a male loc avv.  Di cosa che va in rovina, fatta male, che finisce male.

Nfiglianze – durante il parto  loc. avv. Di cosa che avviene durante il parto.

Nfile – fila s.f.  Di persona o cosa messe l’una vicino all’altra, sulla medesima linea, allineato e coperto.

Nfinucchià – Ingannare v.  Abbindolare, raggirare, infinocchiare.

Nfizzà – ficcare v.  Infilare, penetrare

Nfonnere – bagnare v.  Inzuppare, lavare, irrorare.

Nfracetà – infracidire v:  marcire, inzuppare.

Nfrische – in attesa  loc. avv. Mentre che, nel frattempo.

Nfromme – come avv. Appena, nel mentre che.

Nfrusce – travaglio  loc.avv. Muoversi per noie, andare avanti e indietro senza concludere nulla, fastidio per malattie  o altro grosso inconveniente.

Nfucate – infuocato agg.  Sobillato, istigato, accaldato, adirato, arrabbiato. Preso da fuoco amoroso che per le donne anziane significa che le ragazze di oggi sono tutte  nfucate, affamate di lussuria, dimenticando il loro passato giovanile.

Nfummà – adirasi v:  Inferocirsi,  arrabbiarsi.

Nfumme – in fumo loc. avv.  Svanito come fumo.

Nfunne – fondo sm. Fondale, sul fondo.

Nfunnute – bagnato agg. Inzuppato, intriso, intinto.

Nfurmà – informare v.  Portare a conoscenza, rendere edotto.

Nfuscàte – offuscato agg. Annebbiato.

Nfuse – bagnato agg. Inzuppato, inumidito, intriso.

Ngàgle – intralcio s.m. Intoppo, inciampo.

Ngaglià – incagliare  v.  Arenare, toccare il foindo con la chiglia.

Ngalà – tingere v.  Colorire, colorare, smacchiare, dare un colore diverso da quello che la stoffa ha.

Ngannà –  Ingannare  v. Abbindolare, frodare, adescare, gabbare, imbrogliare, raggirare, truffare.

Ngannarì – allettare  v.  Smuovere il desiderio con allettamenti.

Ngànnarute – goloso  Agg.  Ghiottone, ingordo, mangione, crapulone, buongustaio.

Nganne – in gola loc.  Controvoglia, avere antipatia per qualcuno.

Ngannucciate – incannata sf.  Attrezzo da pesca . Vedere ncannucciate

Ngantà – incantare  v.  Ammaliare, rimanere attonito, affascinare, avvingere, sbalordire.

Ngantate – incantato  agg. Ammaliato, stupìto.

Ngaparrà – accaparrare  v.  Incettare, fare monopolio.

Ngape a pède – dalla testa ai piedi   loc. avv. Totalmente, sempre, continuamente, in ogni momento.

Ngappà – prendere  v.  Acchiappare, sorprendere, incontrare per caso, cadere in un tranello.

Ngappellà – incappellare  v.  Termine  generico che indica l’azione di porre un cerchio, un anello, un collare metallico o di corda sulla estremità di un albero, di una asta, di una antenna, di una bitta.

Ngappètte – Gancetto  sm.  Ferro ripiegato ad uncino per afferrare, sospendere, trattenere o collegare qualcosa. In particolare i gangherini usati soprattutto nell’abbigliamento femminile.

Ngappuccià – incappucciare  v.  Mettersi il cappuccio, intabarrarsi.

Ngapputtà – incappottare  v.  Mettere il cappotto, coprirsi bene, capovolgimento di un natante.

Ngaprecciàte – incapricciato  agg.  Incaponito, intestardito, ostinato, tenace.

Ngaprecciuse – capriccioso  agg.  Incostante, volubile, bizzarro, puntiglioso,  frenetico, estroso.

Ngapucchià – Incappellare  v.  Mettere la cima attorno alla bitta, infinocchiare, ingannare.

Ngapunite – incaponito  agg.  Ostinato, caparbio, cocciuto, testardo, persistente, irremovibile.

Ngarà – rincarare  v.  Aumentare il prezzo, divenire più caro.

Ngaramà – Incagliare  v.  Sia dell’ancora quando si inceppa tra gli scogli  che dell’attrezzo da pesca quando rimane agguantato al fondo scoglioso.

Ngaramatùre – incaglio  sf.  Inceppamento di un qualsiasi attrezzo sul fondo marino.

Ngarnate – incarnato  agg.   Di qualcosa che è penetrato nella carne, con particolare riferimento alle unghie.

Ngarrà – indovinare  v.  Cogliere nel vero, imbroccare, prendere la giusta misura in un qualsiasi problema.

Ngartà – incartare  v.  Avvolgere nella carta, incartocciare.

Ngarugnute – accanito  agg.  Perseverante, tenace,   ostinato,  costante, irremovibile.

Ngarzellate – sbandata s.f.  Inclinazione del natante su di un fianco dovuto al mare in poppa.

Ngasà – premere  v. Pressare, pigiare, calcare, comprimere, schiacciare, spingere; aumentare il prezzo, divenire più scrosciante la pioggia , più teso il vento, più grosso il mare.

Ngasciàte – malridotto  agg.  Malconcio,  riduzione difettosa di una serie di organi causata da infermità.

Ngastagnà – sorprendere  v.  Prendere sul fatto, cogliere in fragranza, mettere con le spalle al muro.

Ngatarrate – raffreddato   agg.  Accatarrato, infreddato, influenzato.

Ngatastà – accatastare  v.  Ammucchiare, sorprendere,  prendere in fragranza.

Ngatenà – incatenare  v.  Arrestare, chiudere un cancello con catena, fortificare i muri con catene.

Ngatramà – incatramare  v.  Spalmare il catrame per chiudere o evitare vie d’acqua.

Ngattevà – incattivare  v.  Di corda che assume su sé stessa  un attorcigliamento vizioso, di aggiungere al cibo  molto peperoncino.

Ngavallà – accavallare  v.  Sovrapporre, mettere una cosa su un’altra.

Ngavàte – incavato  agg.  Incanalato, scavato, bucato.

Ngavunà – ingavonare v. Si dice di una nave che, durante una tempesta, si inclina pesantemente sul lato opposto da dove soffia il vento.

.

Ngazzate – incazzato  agg.  Infuriato, arrabbiato.

Ngazzellate – rete  sf.  Tramaglio sottile di naylon a cui è sovrapposta una rete singola creando così un attrezzo molto alto da arrivare dal fondo alla superficie, sbarramento.

Ngazzuttà – incazzottare  v.  Avvolgere, piegare. Si incazzotta una bandiera  arrotolandola ben stretta.

Ngégne – ingegno s.m. Qualsiasi attrezzo per la pesca. Il classico ingegno era quello usato per la pesca del corallo.

Ngenzià – incensare  v.  Adulare, ciondolare, andare avanti e indietro oziando.

Ngenziére – incensiere  sm.  Turibolo.

Ngeppà – iceppare  v.  Si dice dell’ancora che abbia  la catena avvolta intorno al ceppo, ostacolo che impedisce il funzionamento di un motore, di un meccanismo, di una arma.

Ngeppate – inceppato  agg.  Arresto del funzionamento di un meccanismo, di un motore, di un’arma, causato da un qualsiasi ostacolo.

Ngerate – incerata  sf.  Telo grosso e consistente usato per coprire i boccaporti della stiva per evitare infiltrazioni di acqua e per riparare le merci caricate all rinfusa onde evitare che si bagnino.

Nghianate – spianata  sf.  Tratto di terreno piano, pianoro, pianura, spiazzo.

Ngiàle – legatura s.m. Particolare annodamento e allacciatura della rete alla corda sia quella contenente il piombo che a quella con il sughero.

Nghiavecà – insozzare  v.  Insudiciare, infangare, lordare, sporcare, abbruttire.

Nghippe – ostacolo  sm.  Inciampo, difficoltà, intoppo, intrigo.

Nghiuccà – suggellare  v.  Imprimere con forza un concetto nella mente di qualcuno.

Nghiummà – impiombare  v.  Suggellare con piombo, stare impalato e aspettare.

Nghiuse – chiuso  agg.  Serrato, fermato, circondato, sbarrato, assiepato, ostruito, intasato, otturato, sprangato, turato, tappato, recintato.

Nghiuvà – inchiodare  v.  Fermare con chiodi, bloccare con argomenti incontrovertibili.

Ngiampecà – inciampare  v.  Incespicare, imbattersi, incappare, intoppare.

Ngiàrme – incantesimo  sm.  Incanto, fascino.

Ngignà – cominciare  v.  Mettersi la prima volta una cosa nuova, dare principio, avviare, inaugurare.

Ngìne – riccio s.f. Nelle nostre acque vivono diversi tipi di ricci: Paracentrotus lividus, Phaerechinus granularis, Stylocidaris affinis, Bressus unicolor, Centrosphefanus longispinus, Eschimus melo, Albagia ligula, Spatamgus purpureus.

Le uova del paracentritus lividus sono una leccornia. Con una buona raccolta, cosa non semplice, si possono condire gli spaghetti. Soffriggere l’aglio schiacciato nell’olio con qualche cucchiaio di sugo di pelati. Quando l’aglio ha raggiunto la sua doratura, spegnere. Fare raffreddare, togliere gli spicchi d’aglio  e versare le uova di riccio così che mantengano il loro caratteristico sapore di mare.

E’ il non plus ultra dei sughi marini.

Ngiurgià – bere  v.  Tracannare, alzare il gomito.

Ngiurjà – Ingiuriare  v.  Offendere, insultare, diffamare, dileggiare, riversare ingiustamente contumelie e improperie.

Ngranà – ingranare v. Congiungere le ruote dentate di un congegno meccanico per farlo funzionare, innestare, iniziare un lavoro, imbroccare un lavoro.

Ngrassà – ingrassare v. Ungere di grasso, oleare.

Ngrefàte – risentito  agg.  Impennato, adirato, arricciato.

Ngrespà – increspare  v.  Ondulare, arricciare, dare il primo strato di malta alla muratura.

Ngrespature – increspatura  sf.  Arricciatura, sottointonaco.

Ngrià – creare  v.  Inventare, fondare, generare, produrre dal nulla.

Ngriccàte – preparato agg.  Elegante, lindo, arzillo, arrabbiato, ostinato.

Ngrillà – apprestare  v.  Preparare e approntare l’arma allo sparo, alzare il grilletto

Ngruattate – incravattato  agg.  Elegante, attillato, leggiadro.

Ngruccà – uncinare  v.  Aggraffare, restringersi su sé stesso, contrarsi della  muscolatura.

Ngrucià – incrociare  v.  Attraversare una cosa con un’altra, passare lateralmente ad una imbarcazione.

Nguccià – incocciare  v.  Sorprendere, agganciare, collegare, unire.

Nguacchjà – imbrattare v. Sporcare, insudiciare, insozzare.

Nguàcchje – sporcizia sm.  Lordura, sgorbio, avaria, danno, raggiro.

Nguacchìuse – sporco sm Sudicione, immorale.

Nguaià – inguaiare v.  Porre nei guai, infelicitare, danneggiare, rovinare, sposare.

Nguàrtate – corrucciato agg.  Adirato, infuriato, crucciato.

Nguattà – nascondersi v.  Rifugiarsi, acquattarsi, celarsi, coprirsi, rintanarsi.

Nguità – infastidire v.  Molestare, disturbare, seccare, annoiare, imbarazzare, incomodare, crucciare.

Ngummà – ingommare v.  Riattaccare.

Ngurdate – teso  agg. Irrigidito, indurito, rattrappito.

Ngurnà – incornare  v.  Ostinarsi, incaponirsi, intestardirsi, puntare le corna.

Ngurrive – in ira  . avv  A dispetto.

Ngutrenute – incartapecorito  agg.  Di panno, carta, pelle che, perdendo la propria elasticità,  diventi duro  come una cotenna; diventato arido e giallastro.

Nguttà – ingoiare v.  Ingozzare, ammuffire.

Nguttàte – ammuffito agg. Avariato, guasto, reso fradicio dalla umidità, che non ha dato sfogo al proprio disappunto.

Ngutugnà – ammassare  v.  Accatastare, percuotere, colpire, dare calci e pugni.

Nguzzute – lercio  agg. Spalmato di sporco, unto, lordato, imbrattato.

Nire – nero agg. Arrabbiato, di cattivo umore.

Nnacedite – inacidito agg. Inasprito, di zitella che diventa anziana ed astiosa.

Nnànte – avanti avv. Davanti, innanzi, prima del tempo.

Nnogle – salame sf.  Salame un po’ scadente, fatto con le interiora di maiale  e con tritumi di carne varia.

Nnucènte – innocente agg. Incolpevole, illibato, irreprensibile, intemerato.

Nòbbele – nobile  agg. Generoso, magnanimo, prodigo, benefico, grande d’animo. Biagio Rispoli, il papà del geometra Michele, grande personaggio della sua epoca, per le feste natalizie usava esporre nel cortile della sua casa, come negli stadi, uno striscione  con scritto: Buone Feste a nòbbele e snòbbele.

Nòcche – fiocco  sf.  Nappa, legatura di un nastro o delle stringhe.

Nòle – nolo s.m. Mercede corrisposta per il trasporto di merce.

Nòmme – nominativo s.m. Termine con cui si designa una persona, un natante o qualsiasi altra cosa. Il nome del natantesi può anche indicare con un  gruppo di bandiere che, nel codice della segnalazione, rappresentano il nome della barca.

Nord – nord s.m. Punto cardinale. Tramontana.

Nòre – nuora sf.  La moglie del figlio.

Npènnere – appendere v. Sospendere.

Npiérne – al di sopra loc.  avv.  A perpendicolo, dritto in alto davanti.

Npizze – in punta loc. avv. Là, al limite.

Nstallà – installare  v:  Mettere a posto, sistemare, disporre in ordine, apprestare, coordinare, assestare.

Ntaccà – intaccare  v. Ferire, fare un taglio, incidere sul legno, guastare il filo di uno strumento tagliente.

Ntàcche – briciola sf.  Piccola quantità.

Ntagnàte – Intaccato  agg.  Guasto, marcito, corrotto, malaticcio.

Ntallìà – sostare v.  Soffermarsi per curiosità, perdere tempo volutamente, andare piano.

Ntanà – intanare v.  Accasarsi, intanarsi.

Ntànne – allora   avv. In quel momento.

Ntappà – tappare v.  Chiudere

Ntartaglià – tartagliare v.  Balbettare, farfugliare.

Ntasà – intasare v. Otturare, occludere, ingombrare.

Ntavulà – intavolare v. Cingere con tavole.

Nténne – antenna s.f. Lungo palo di legno a cui veniva fissata la vela latina.

Ntènnere – intendere v.  Capire, comprendere, udire, sentire, ascoltare.

Ntenerì – intenerire  v.  Commuovere, impietosire, impressionare, turbare.

Ntèrcapedine – intercapedine s.f. Interstizio, fodera,  spazio minimo che separa due parti di un corpo che occupa uno spazio.

Ntesecute – intirizzito agg. Infreddolito, irrigidito, impettito .

Ntestà – intestare v. Incaponirsi, ostinarsi; mettere le estremità di due pezzi l’una contro l’altra, a contrasto.

Ntìcchje- briciola sf.  Minima parte di qualsiasi cosa.

Ntise – sentito agg. Ascoltato,  di persona potente che ha peso.

Ntòneche – intonaco sf. Rinfazzo, copertura liscia di calcina che si applica sopra l’arricciatura del muro.

Ntose – lesionato agg.  Di oggetti che presentano crepe e screpolature, di persona abbastanza malaticcia.

Ntrà – tra  prep. Fra,  per indicare  lo spazio tra un punto ed un altro, si riferisce anche al tempo da impiegare.

Ntragge – fastidio  sm. Molestia, seccatura, noia, ostacolo.

Ntrallazze – intrallazzo sm.  Di ogni cosa combinata attraveso imbroglio e illegalità, intrigo, compromesso disonesto, attività equivoca.

Ntrànchete – improvvisamente avv. Capitare qualcosa senza preavviso, che viene ad un tratto impreveduto, inaspettato.

Ntrappaglià – impaperarsi v. Perdere il filo del discorso, non sapere più che dire e come andare avanti.

Ntrasatte – inaspettato agg. Senza preavviso.

Ntrattiéne – trattenimento sm.  Ricevimento, modo di distrarre e tenere lontano chi avrebbe potuto dar fastidio. Indugio, scusa per trattenere. Sosta. La mamma, quando all’improvviso arrivava il marito marinaio, che doveva ripartire subito, mandava il figlio dalla amica facendogli dire: à ditte mammà che me daje mezore i ntrattiéne.

Ntravugliàte – imbrogliato agg. Aggrovigliato, avviluppato.

Ntrecà  – impicciarsi v.  Ingerirsi in una cosa altrui, intromettersi, immischiarsi.

Ntrèppese – interprete sm.  Gioco del tris  con pedina, un po’ simile a quello della dama.

Ntrezzià – intrecciare v.  Unire come la treccia, raddrizzare, imboccare la strada giusta.

Ntrìdece – in mezzo avv  Essere al centro di una cosa.

Ntròcchje – prostitura sf. Malafemmina, si usa dire: si nu figle i ntròcchje. .

Ntrufulià – penetrare v.   Introdursi, insinuare, immischiarsi in cose non sue.

Ntrugle – intruglio  sm:  Miscuglio, miscela.

Ntrulià – intorbidire v. Annebbiare, turbare.

Ntrunate – tuonata sf.  Colpo inaspettato e inatteso, improvvisata.  Agg. intontito.

Ntrunature – slogatura sf.  Stiramento, colpo a vuoto.

Ntruppecà- inciampare v.  Incespicare, intoppare, inciampicare.

Ntruppecuse – scabroso agg. Malagevole, permaloso, scontroso.

Ntruvuglià – aggrovigliare v. Annuvolare, imbrogliare, disordinare, arruffare.

Ntruvuliàte – annuvolato agg.  Turbato, oscurato, agitato, commosso, perturbato, sconcerto, scompigliato, scombussolato, smarrito, concitato.

Ntufate– gonfiato agg.  Avariato, stantio.  Di cosa che ha perduto la freschezza  perché tenuta in un luogo umido.

Ntummà-  – percuotere v. Dare percosse, colpire fortemente.

Ntunà – intonare v.  Prendere a cantare, dare il giusto tono ad un canto, a un suono, agli strumenti.

Ntunecature – intonaco sf.  L’insieme dell’intonaco

Ntunne – netto agg.  Brusco, sbrigativo, risoluto,  senza tentennamenti.

Avv.  Bruscamente, decisamente, recisamente.

Ntuppà –  intoppare v. Urtare all’improvviso, inciampare, colludere, investire, irritare.

Ntuppe – intoppo sm.  Ostacolo, inciampo, impedimento.

Nturcegliàte – attorcigliato agg. Aggrovigliato.

Nturnià – circuire v.  Attorniare, insidiare, cingere, girare intorno con moine e affettuosità

Nturzà – gonfiare v.  Intumidire, riempire, tumefare, inturgidire.

Nturzate – gonfiato agg. Tumefatto, dilatato, saturo, riempito, saziato. Sf. Mangiata, abbuffata.
Nturzore – gonfiore sm.  Tumefazione, turgore, tumidezza, edema, enfiagione.

Ntuse – guasto agg.  malato, marcio, cagionevole, paziente, indisposto, infermo, che ha una malattia.

Ntussecà – avvelenire v.  Amareggiare, intossicare, far dispiacere.

Ntussecamiénte – intossicazione sm. Dispiacere,  collera, rammarico, amarezza, cruccio, rincrescimento, malcontento, disgusto, travaglio, dolore.

Ntussecàte – collera sf.  Arrabbiatura, stizza, bizza, tristezza, inquietudine, sentimento che si prova quando le cose, le vicende  non vanno  come si vorrebbe che andassero.

Ntussecuse –  velenoso agg. Perfido, stizzoso, bizzoso, iroso, malvagio, maligno, di carattere difficile. E che nce vuò dìcere chiù! E’ sempre difficile la traduzione di un simile termine,  scolpito, nella forma dialettale, per una specifica fattispecie, per una particolare circostanza. Ntussecuse è un vocabolo con un significato denso  pur mutevole  a seconda della persona o cosa a cui viene riferito. E’ chiaro e lampante che ntussecuse sta sulle spalle di “tuosseche”, Senza tuosseche nun nce po’ stà u ntussecuse. Sarebbe molto limitativo usarlo solo per la tossicità e per la velenosità..

La persona ntussecose  è quella che è inclina, naturalmente, alla amarezza, alla stizzosità, alla rabbiosità, alla bizzosita, all’isterismo. E’ ntussecuse chi si irrita per un nonnulla, chi mette in mostra, oltre ogni limite, la sua permalosità. E’ ntussecuse chi ha modi aspri e bruschi,  chi ha un contegno altero e ripugnante. In parole povere,

( ma quelle ricche dove stanno?)  è ntussecuse chi non è facilmente abbordabile, chi ha un carattere difficile. Quasi sempre la persona ntussecose genera nell’interlocutore,  e quì le donne devono stare attente,  un senso di avversione, di disgusto, di nausea, che lo disarma e lo allontana  con il risultato di crearsi un vuoto intorno. Come corrono le cose oggigiorno verrebbe anche la voglia di dire che femminismo è sinonimo di ntussecose. Altra osservazione da fare è che esiste una certa diversità tra l’uomo ntussecuse  e la donna ntussecose. L’uomo è predisposto alla durezza e alla irascibilirà, anche in modo esagerato. Nella donna prevale una componente di prevenzione, di aggressività, di dispettosità che la rende intrattabile perché litigiosa, acida e sospettosa. Le esperienze della vita inducono ad affermare  che mentre l’uomo ingerisce il tuosseche con le conseguenze che comporta o che ne derivano, la donna lo produce e lo trasmette ai suoi malcapitati  interlocutori.

“E’ nussecose chiù i na sèrpe”, scriveva Saddumene in una sua commedia.

Il Capezzoli: “Tiéne pi mmane nu nteressante e ntussecuse affare”.  Salvatore Di Giacomo nella sua Lariulà, musicata da Mario Costa scriveva:” Si state sempre belle e ntussecose”. Roberto Bracco scisse addirittua: una “Tarantella ntussecose” mentre Cinquegrana e Ricciardi diedero vita ad una “Fenesta ntussecose”. Rocco Galdieri  ha consegnato alla storia la sua Raccolta poetica che inzia con il triste e angoscioso vero: “ E pe me u Signore ha scritto nu destino ntussecuse”. E chi non ricorda la celeberrima Guapparia, sulla cresta dell’onda dal 1914,   dove il poeta, il maestro  Libero Bovio,  lancia la sveglia perché tutti sentano quanto: “è ntussecosa assaje sta serenata”. N.B. Ntussecuse, maschile. Ntussecose, femminile. Per determinare il genere è bastato cambiare una vocale all’interno della parola.

.

Ntustà – innalzare v.   Indurire,    consolidare, rendere sodo,  ostinare, indurare, ergere.

Ntutte – il tutto avv. Complessivamente, l’insieme di più cose.

Nu – un  art. uno

Nucchètte – Frappa  Un tipo di dolce tradizionale ritagliato da una sfoglia a forma di nastri, rettangoli o rombi dentellati, fritti e cosparsi di zucchero, chiacchiera.

Nuccherèlle – fiocchetto sf.  Nappetta

Nucchiére – nocchiero s.m. Nel linguaggio comune nocchiere viene chiamato il nostromo. Nocchiero perché dirige il cammino della nave.

Nucélle – nocciola sf.  Frutto commestibile del nocciolo.

Nùdeche – nodo s.m. Stretto legamento che si fa intrecciando due capi di cima. Vi sono tanti e diversi nodi: nodo semplice, parlato, nodo di scotta, piano, savoia, vaccaio, di gancio, di grippia, d’amante. E non finisce quì

Nulégge – noleggio s.m. Affitto totale o parziale di una nave per il trasporto, a pagamento, di passeggeri e merci.

Nuleggià –noleggiare v. Prendere o dare in affitto una nave.

Nuleggiatore – noleggiatore s.m. La persona che prende in locazione la nave per trasportare merci e passeggeri.

Numinative – nominativo s.m. Nome che ogni natante, scritto nei registri nautici, deve portare scritto sulla poppa e a prua. Il nominativo è formato anche da un gruppo di bandiere che, in un particolare codice, rappresenta il nominativo della nave. Le barche da pesca portano  la sigla del Compartimento marittimo di appartenenza accompagnata da un numero.

Nummenàte – nomea  sf.  Fama, reputazione, stima, opinione che la gente ha di una persona.

Nuoste – nostro agg. e pron. Che appartiene a noi, di noi.

Nuozzele – nocciolo sm.  Protuberanza nella parte dinnanzi alla gola, tiroide, pomo di Adamo. Sentirsi stringere la gola, avere un nodo alla gola: Ténére nu nuozzele nganne, scénnere nu nuozzele nganne.  Rancore, risentimento.

Nuzzele – incubo sm.  Oppressione, pensiero angoscioso.

Nustròme – nostromo s.m. Persona di fiducia del comandante in tutte le attività marinaresche che rappresentano la vita della nave. E’ il capo dei marinai ed è, anche, il consegnatario di tutto il materiale di bordo. Ha autorità su tutti i membri dell’equipaggio.

Nùteche – nodo s.m. Legamento stretto fra due corde.

Nuttate – nottata  sf. L’intero spazio di una notte

Nùvele – nuvola s.f. Le nuvole sono generate dalla  condensazione del vapore acqueo esistente nell’aria. L’acqua così prodotta rimane nell’aria sotto forma di

piccolissime gocce. Le nuvole, a seconda della forma e della consistenza, possono essere chiamate: nembo, cirro, cumulo, strato.

Nuvène – novena  sf. Nove giorni di preparazione antecedenti una fesrività religiosa.

Nvasàture – invasatura s.f. Grossa slitta di legno che si sistema sotto la nave quando deve essere varata o tirata in secco. Essa sostiene il bastimento senza il bisogno di puntelli.

Nel varo di una nave, l’invasatura scivola a mare insieme al natante. I vasi hanno la funzione di pattini perché devono scivolare sulla “scala” e i suoi fianchi devono sostenere la carena. La scala, a sua volta, scivola sulle falanghe. Per permettere uno scivolo veloce le falanghe vengono unte di grasso. Nel procedimento inverso, il tiro a secco, scala e invasatura vengono messe in acqua e su di essa si adagia la nave facendola assestare. L’invasatura  viene strettamente legata al bastimento  in modo da formare corpo unico con esso. Come nel varo, la scala, con sopra l’invasatura e la nave, deve scivolare sulle falanghe che, anche in questo caso, vengono continuamente spalmate di grasso.

Nventà – inventare v. Creare con l’ingegno cose nuove, escogitare menzogne, simulare, fingere.

Nvestì – investire v. Urtare contro uno scoglio, un  galleggiante, un automezzo, contro una persona.

Nvezzà – infilare  v.  Spingere per passare da un punto all’altro, introdurre qualcosa in un buco, penetrare,  incuneare, insinuare.

Nzaccà – insaccare v.  Mettere nel sacco,  mettere la carne macinata nelle budella per fare salsicce e salami, vestire malamente.

Nzacunate – sagomata agg. Di un bastimento che presenta forma e dimensioni da stare magnificamente a mare.

Nzagnà – salassare  v. Tirare sangue; si nzagne pure estorcendo danaro

Nzalate – insalata sf.  Cibo di  verdura cruda condita con olio, sale e limone o aceto; inconveniente, guaio: è cumbinate chélla nzalate.

Nzalatiére – insalatiera sf.  Vassoio fondo che  oltre a contenere la insalata, da cui il nome, viene usato  per portare a tavola qualsiasi tipo di vivande.

Nzallanute –  scimunito agg.  Rimbambito, rimbecillito, imbarbogito, barbogio.

Nzàne – insieme avv. Parallelamente, usato dai pescatori per indicare che il tiro della rete deve avvenire in modo tale che la corda con il piombo e quella con i sugheri devono camminare in modo parallelo.

Nzapite – insipido agg.  Sciapito, insulso, sciocco.

Nzapunà – insaponare v. Spalmare il sapone , adulare, piaggire, secondare, lusingare, ungere.

Nzarmàte – disarmo s.f. Fine della campagna di pesca; agg. Disarmato, rimasto senza personale o attrezzi di lavoro, messo a disarmo.

Nzarulià – dimenare  v.  Di persona che ha perso il controllo delle proprie azioni e delle proprie  capacità  e che si dimena e si agita inutilmente, che ha perso il senno e l’assennatezza.

Nzarvamiénte –  incolume  agg. Scampato, illeso, incolume, indenne, sano.

Nzavardate – trasandato agg.  Infangato, lordato, imbrattato, insozzato, insudiciato, inzaccherato.

Nzavardone  – trasandato agg.  Di persona che comunemente  si comporta  con sciatteria e  negligenza.

Nzavurrà – zavorrare v. Imbarcare pesi per la navigazione e sbarcarli appena raggiunto il porto di destinazione.

Nzé – fino a  prep. Sino a, finché.

Nzellà – insellare v.  Termine che si riferisce strettamente alla chiglia che, o per difetto di costruzione, o per negligenza nella sistemazione dei pesi, prende una leggera concavità al centro durante la manovra di tiro e varo.

Nzellate –  ruvido agg.  Allappante, scabroso, di cosa  aspra al tatto.

Nzeppà – inzeppare v. Mettere biette, cunei, per evitare movimenti.

Nzerrà – tappare  v.  Chiudere, serrare, sprangare.

Zerrone –  misura  sm. Distanza tra l’indice e il pollice aperti; dicesi di  persona incapace che si mostra  saccente.

Nzertà – innestare  v.  Fecondare, inseminare, ingravidare.

Nzèrte – resta sf.  Treccia , corona, grappolo, regalo, dono.

Nzevà – ingrassare v. Ungere, spalmare di  grasso,  sporcare.

Nzevamiénte – Sporcizia sm.  Lordume sparso dovunque

Nzì –  fino a  prep.  Sino, finché, perfino.

Nzìa maje – non sia mai loc. avv.  Esclamazione di commozione

Nzicche – a secco avv. A terra.

Nziéme – insieme avv. e prep. Congiuntamente, unitamente, nello stesso tempo, nello stesso luogo.

Nzine – grembo  sf. La parte del corpo tra il ventre e  le cosce. In seno, in grembo.

Nzìpete – insipido agg.   Senza sale, di cibo che non ha sapore,  di persona  che non ha spirito, né vivezza, insulso.

Nzìrje  – Bizzarria sf.  Capriccio, lamento, pianto, bizza dei bambini, cocciutaggine.

Nziste – capriccioso agg. Del mare quando persistono situazioni avverse.

Nzogne – sugna sf    Grasso di maiale fuso con il fuoco e separato dai carnicci, quei piccoli brandelli di carne che restano attaccati alla pelle del maiale durante la ripartizione della bestia. Il lardo viene tagliato a pezzi e messo nella “cautare”, grossa pentola di rame che si usava per il bucato e per bollire a bagno maria le bottiglie di pomodoro,  e lo si lascia bollire fino alla liquefazione totale. Con un mestolo si toglie la parte perfettamente liquida e si versa nelle vesciche di animali. già pulite e pronte o nei vasi di terracotta. Quello che rimane sul fondo della caldaia, sempre con il mestolo, viene preso e messo nello schiacciapatate su cui si fa azione di pressa. La sugna che fuorisce dai buchi  viene messa in appositi recipienti da non mischiare con quelli di prima perché viene consumata subito. I  carnicci,  senza più una goccia di sugna,  arrotondati come pizzette, vengono messi in un recipiente e lasciati in attesa della polenta. Venivano cotti insieme alla farina di granturco a cui dava un sapore e un gusto eccellenti.

Nzomme – insomma avv.  Finalmente, in conclusione.

Nzuaràte – addobbato  agg. Sfrenato,  borioso, libidinoso, orgoglioso.

Nzulte – insulto sm.  Trombosi, paralisi, infarto.

Nzuonne – nel sonno  loc. avv.  Modo di dire per un qualcosa  che certamente sarebbe avvenuta.

Nzupurbiuse – insuperbito agg. Baldanzoso,  comportamento che proviene dalla naturale arroganza.

Nzuppà – inzuppare v.  Intingere, bagnare.

Nzuppate – inzuppato agg.  Fradicio di pioggia.

Nzurà – sposare  v.  Unirsi in matrimonio,  ammogliarsi, maritarsi , coniugarsi, creare famiglia;  prendere a cuore, aderire.

Nzurate – coniugato agg.  Sposato, maritata.

Nzurdì  – assordare v.  Insordire, diventare sordo, perdere parzialmente o totalmente il senso dell’udito.

Nzurdute –  sordo  agg.  Assordato, insordito.

Nzùrfà – istigare  v.  Sobillare, incitare a ribellione o a cosa non buona.

Nzùscate – salato agg. Cosparso di sale.

Nzuvarate – allegro  agg.  Vivace, gaio, festoso, gioviale,esultante, brioso,  faceto,  giocondo.

O

Obblò  – oblò  sm. Termine  che designa le aperture rotonde pratiche sulle navi per dare luce e aria ai locali interni.

O bbì – lo vedi  loc.  Guarda bene, renditi conto, vedi.

Occhje i vòje – Occhio di bue sm. Si dà questo nome  a tutte le finestre con vetro, chiuse permanentemente, che danno luce all’interno della nave.

Occhione – lacerto  sm.  Scomber colias. E’ un sottoprodotto dello scomber scomber. La maggior parte degli acquirenti, ignoranti come me, lo comprano per lacerto verace. Occhione è anche chiamato il calamaro che si pesca nelle acque della Botte. Si differenzia dal calamaro comune perché ha le ventose più piccole.

Occidente – occidente  sm. Corrisponde alla direzione del punto cardinale ovest che si definisce anche ponente, termine più usato nel linguaggio marinaresco.

Ognate – unghiata  sf.  Graffio, colpo d’unghia.

Ogne – unghia sf.  Lamina cornea che nell’uomo cresce alla estremità  dorsale delle dita  delle mani e dei piedi. La si nota anche ai piedi di molti mammiferi. Il termine  “ogne”, oltre a entrare in alcuni proverbi: “Se marze ncogne te fa zumpà l’ogne”, “Chille, patésce d’ogne ncarnate” , “Ognune c’u ll’ogne sòje”,  mi ricorda un vecchio aneddoto che, penso, e nel pensare certamente sbaglio, di poter attribuire a Fedro per la sua morale.

Un leone  vide un giorno, sul far della sera, un asino che brucava erba in un radura, gli si avvicinò e gli disse  che doveva andare al di là della montagna ma che non era in condizione di farlo perché era troppo stanco  per  i continui  inseguimenti a quegli animali che stavano in quella vallata e gli chiese di trasportarlo  fino alla sommità e che per la discesa sarebbe stato lui a portare l’asino sulle spalle. Il bravo asinello non voleva perché anche lui era fisicamente malandato. Ma, particella scarrupativa,  se gli avesse detto di no,  pensò nella sua mente, mò pure  i ciucce se so’ abituate a penzà, cosa sarebbe successo? Per evitare di finire nelle fauci di quella bestiaccia, accettò l’offerta e caricandosi sulle spalle  il re della foresta  incomincia a salire. Il leone per evitare di scivolare verso l’indietro non si fa nessuno scrupolo di afferrarsi con le unghie  sulle spalle della povera bestia. Dolori atroci e ai   continui lamenti dell’asino  il leone rispondeva che non poteva fare nulla perché quelle erano le sue unghie.  “Caro comnpare ciuccio, chéste songhe ll’ogne mèje”. L’asino, poveretto, diventò credente e pregava il suo dio nell’aiutarlo nell’impervia  faticata. Giunto sulla cima  scaricò il leone che non fece elemosina di cortesie e di belle espressioni .

Si riposarono un poco e poi ripresero il cammino a scendere. L’asino  montò sul leone, come da patti, e tutto procedeva normale senza lamentele da parte del portatore.  Ma in un pezzo di sentiero molto ripido l’asino stava per catapultarsi  e pensò bene di mettere un freno alla sua scivolata in avanti. Sfodera la sua arma segreta  e la metta in opera. Il leone non era abituato a subire  certe intrusioni e  protestò  vivacemente e  ferocemente. L’asino non si perdette d’animo, e ricordandosi  di quanto il leone gli diceva alle sue lamentele, ragliando a voce alta gli disse: “caro cumpare lione, chéste songhe l’ogne mèje” .

Ogne ogne – piano piano  loc. avv. Lentamente, modo di dire che si sentiva sulla spiaggia di Santa Maria quando si tirava um bastimento in secco. La forza dell’argano a mano era misera, nonostante l’impegno dei marinari. Colui che assisteva al tiro, di tanto in tanto, affermava: sta sagliènne a ogne a  ogne.

Olece – erica  sf.  Pianta caratteristica della macchia mediterranea. Abbonda sia quella arborea, alta quattro-cinque metri,  e quella multiflora. Pallone mi ha regalato un pezzo di tronco di erica che ha un diametro di 23 cm.

Olivastre – olivastro sm.  Pianta della macchia mediterranea , è una specie di olivo selvatico.

Omme – uomo sm.  Rappresentante maschile del genere umano.

Onne – onda s.f. Oscillazione del mare causata dal vento. L’onda ha tre misure: la lunghezza che è la distanza tra la  cresta dell’onda e quella successiva; l’altezza che è

determinata dalla differenza di livello tra il punto più alto della cresta  e il punto più basso della concavità che si crea; la profondità definita dalle oscillazioni del moto ondoso sott’acqua.

Orabbòne – ora buona escl.  Felice augurio

Orazione – oracolo  sf. Richiesta di una risposta profetica alla domanda di fedeli. Nel paese c’erano degli indovini a cui si rivolgevano quelle mamme o mogli  che avevano  figli e mariti in guerra, in zona d’operazione, da cui non ricevevano notizie. Questi indovini, durante le ore più silenziose della giornata, si portavano, quasi sempre in compagnia della richiedente, in determinati luoghi e invocavano un santo. Dai segnali, qualunque tipo era un indice, traevano i responsi.

Ordene – ordine   sm.  Disciplina, regola, osservanza, educazione,  rispetto, obbedienza.

Ordinarje – ordinario agg. Per un oggetto di poco valore, di persona  inurbana.

Ordinate – ordinata sf. L’insieme della ossatura di una imbarcazione.

Oriéntamènte – orientamento s.m. Disporre una qualsiasi cosa in modo da corrispondere ai punti cardinali.

Oriénte – oriente s.m. Punto cardinale est. Si può dire anche levante che è l’espressione più usata.

Orizzonte – orizzonte s.m. Circolo che delimita ai nostri occhi la superficie visibile della terra. Cerchio massimo che divide la terra in due emisferi.

Ormégge – ormeggio s.m. Complesso di operazioni che servono per assicurare la nave alla banchina.

Ormeggià – ormeggiare v. Attraccare la nave alla banchina.

Orzà – orzare v. Navigare con la prua nella direzione da cui  soffia il vento

Orzate – orzata s.f. Movimento con cui  l’imbarcazione avvicina la sua prora alla direzione da cui soffia il vento.

Orze e capetéje –  orza e ritorna loc. Modo di dire per chi va avanti e indietro, a dritta e a manca, senza una destinazione fissa.

Ossature – ossatura s.f. Scheletro del natante formato dalla chiglia, dalle ordinate, dal dritto di poppa e dalla ruota di prua.

Osservà – osservare v. Ha il valore di misurare.

Osse – osso sm.  Ciascuna delle parti solide che formano lo scheletro dei vertebrati,  cosa difficile da superare.

Ostèrigge – osteriggio s.m. Prendono questo nome le coperture di determinati boccaporti. Hanno quasi sempre la forma di un abbaino, sono mobili per consentire il passaggio di materiale. Gli osteriggi dànno luce ed aria ai locali sottostanti.

Ostile – ostile s.m. Una delle due cime che partono dalla testata  del picco di carico  con funzione di spostarlo a destra o a sinistra delle murate per caricare o scaricare merce. Chiamato anche viénte, vento.

Ostre – ostro s.m. Mezzogiorno.  Sud. è usato raramente.

Ostreche – ostrica s.f.  Spontilus gaederopus dei lamellibranchi. Lo spontilio abbondava nelle acque di Ponza. Negli anni ottanta del secolo scorso c’è stata una moria di cui non si sono conosciute le cause. Cosa simile sta avvenendo in Francia.

Il sapore supera l’eccellenza. Sono stato un rapinatore di questi favolosi molluschi che hanno  una delle due valve  saldamente attaccata alla roccia per cui è necessario, per staccarle, un martello a zappa molto pesante. Nel periodo che le raccoglievo sono riuscito a strappare anche  cinquecento ostriche in una mattinata.

Ottombre – ottobre sm.  Decimo mese dell’anno

Ovatte –  ovatta  sf.  Cotone idrofilo, bambagia.  imbbottitura per giacche.

Ovèramènte – veramente  avv.  Davvero, in realtà.

Ovère – vero  agg.  Che rappresenta realmente e fedelmente la cosa quale essa è, reale, sincero, genuino, veritiero

Ovest – ovest s.m. Punto cardinale che indica l’occidente o ponente.

O vì ll’anne – eccolo  avv. Indica il luogo  dove si trova la persona richiesta. Eccolo là.

O vì llòche – eccolo avv.  Indica l’avvicinarsi o il mostrarsi all’improvviso di una persona, per richiamare l’attenzione su chiunque. Eccolo.

P

Paccariate – il prendere a schiaffi v.  Il colpire con più schiaffi.

Pacche –natica sf.  Gluteo,  ciascuna delle due parti, carnose e tondeggianti,  che  sono sul fondo schiena di una persona; fetta, parte di cibo tagliata con il coltello.     Sm. Pacco, involto, collo.

Pàcchere – ceffone sm.  Schiaffo; tipo di pasta  a forma di grosso tubetto

Pacchètte – fagotto sm.  Cartoccio, involucro; nave  a vapore per il trasporto dei passeggeri..

Pàcchje – bella vita sf.  Situazione vantaggiosa da cui si traggono tornaconti e comodità.

Pacchìjane – pacchiana  sf.  Di persona che veste in modo vistoso e chiassoso tanto da diventare ridicola.

Paccòtte – natiche sm. Il fondo schiena di una persona.

Paccuttìgle – paccottiglia s.f. Si usa per indicare una piccola quantità di merce, poco voluminosa, che viene trasportata da un porto all’altro.Indica anche i rami di corallo di prima scelta.

Pachìalone – credulone agg.  Di persona che crede con troppa facilità,  grosso e sciocco.

Pachiòchje – sciocco agg.  Di persona insipida, babbeo, citrullo, idiota, stupido.

Paciélle – pagello Pagellus centrodontus. Occhialone, pesce di prima categoria.

Paciuccone – bonaccione  agg.  Di persona semplice, buona e simpatica.

Padrone – padrone s.m. Proprietario. Con questo nome si indica anche  una persona, iscritta fra la gente di mare, che, con apposito esame, gli viene riconosciuta la capacità di comandare  navi mercantili di qualsiasi portata, a motore o a vela, destinate alla navigazione e al traffico, nel mare Mediterraneo. Il consenso del Ministero della marina mercantile, su esplicita richiesta, lo abilita anche ad uscire dallo stretto di Gibilterra per arrivare, navigando lungo la costa, nel mar Baltico. La stessa autorizzazione è valida per uscire dal mar Rosso ed arrivare nel golfo Persico.

Padure – orto sf.  Appezzamento di terreno dove si coltivano le erbe mangerecce e  alberi da frutta.

Pagle .- fieno sm.  Erba secca

Pagliare – capanno  sm.  Capanno fatto con steli secchi di grano già affastellati.

Pagliaricce – materasso  sm. Saccone pieno di paglia.

Paglìcce – nuvolaglia s.f. Caligine, nebbia, foschia

Pagliètte – Paglietto s.m. Pezzo di tela, di dimensione variabile, ricoperto, da un lato, con uno strato di filacce di canapa cucite alla tela. Viene usato nel caso di una falla o di una via d’acqua. Si pone all’esterno facendolo aderire ai bordi della falla. L’acqua nel penetrare  si trascina le filacce che, inserendosi nelle vie d’acqua, ostruiscono le ferite attenuando il cammino dell’acqua verso l’interno della nave.

Con lo stesso nome si indicano anche  quei parabordi che si ottengono con l’intreccio di filacce di vecchie corde e  gli stuoini che si pongono sulle soglie delle case, delle cabine o a capo delle scale per far pulire i piedi a chi entra o esce;  cappello estivo di paglia; avvocato spicciafaccende.

Pagliòcchele – grumo  sf.  Ciascuna  piccola massa prodotta dalla coagulazione di sangue, latte o altro liquido.

Pagliòsche – Grumo  sf. Piccolo aggregato amorfo di terreno.

Pagliuole – pagliuolo s.m.  L’insieme del tavolame, di legno o metallo, che copre il fondo del natante. Il pagliuolo viene stedso anche per collocarvi sopra, all’asciutto,  qualsiasi tipo di merce.

Pagnotte – pagnotta  sf.  Pane di grossa forma tondeggiante; il guadagno per vivere.

Palamentate  – palamentata  sf.  Festa della vendemmia che si fa nella cantina, con numerosi partecipanti, il giorno in cui si travasa, “s’ammotte”,  il mosto dal palmento alla botte.

Quando si “ammuttave”,  in ogni cantina era festa. Il ricordo cade sulla cantina di Giustino che, ancora oggi, fa rivivere  il passato. Come una prassi burocratica recapitava personalmente  gli inviti agli amici e nel giorno stabilito erano tutti presenti.

Mancare significava possedere un alibi  di ferro. Alcuni andavano con lui molto presto e con loro portavano le pietanze, comprese il ragù, che Anna aveva preparate a casa. Li seguiva a ruota Anna con le sue amiche. Anna è la moglie di Giustino, una signora nel senso vero della parola e fermiamoci quì perché altrimenti ci sarà la reazione di Giustino che non vuole essere secondo a nessuno.  Gli ultimi ad arrivare erano  i festeggiatori di Bacco: Tammiciana, Feccia, Bufera, Luigi u nire, Maurino, Giosuè, Valiante, Maiorca, Ernesto, Lello, Biagio Vitiello e altri. E quando questi arrivavano la sala da pranzo di Giustino al  Fieno era già pronta. Un grosso telone ombreggiava il cortile antistante la cantina. Era un lavoro del primo gruppo che, dopo aver aiutato Giustino nel travaso provvedeva a sistemare e ad apparecchiare il lungo tavolato che a breve sarebbe diventata una tavolata.

Anna stava in cucina da tempo e, con l’aiuto di qualche ausiliaria,  provvedeva  alla cottura della pasta. A Giosuè piacevano i rigatoni  e premeva su Anna per la scelta tanto che un po’ tutti chiedevano, di tanto in tanto, subendo la ribellione di Giustino: Anna, ma se còcene sti rigatoni?

Finito il lavoro in cantina, Giustino si trasferiva all’esterno e riprendeva il lavoro, così ha sempre detto, di riempire i bicchieri già ognuno al proprio posto sulla tavola imbandita dove già erano stati sistemati alcuni cestini e insalatiere con gli antipasti. Non sono mai mancate le patelle e le alici sott’olio. Leccornie.  Il “pèrette”, un boccione di cinque litri finiva in un niente.  Dopo si passava a due da 15 litri ognuno, che venivano sistemati ai due lati della lunga tavola e in ognuno vi era immerso un tubicino di gomma da cui si riempiva il bicchiere. Al grido di Anna: “tutti a tavola” c’era un arruffamento tra quelli che ancora erano all’impiedi. Giustino, a capo tavola, sembrava Noè.

I piatti fumanti uscivano dalla cucina a velocità impressionante e, a passamano, guadagnavano il posto a tavola. Bisognava tenere a bada il languorino in attesa che Anna pigliasse posto che veniva salutata da uno scrosciante applauso. L’applauso veniva ripetuto all’arrivo del dolce che metteva fine ad una lunga serie di portate

Il sole era dietro Palmarola , illuminandone le alture, quando si prendeva la via del ritorno. La salita era aspra ma piacevole. Ti consentiva di ammirare uno degli spettacoli naturali più belli che l’intero globo possa offrire. Il mare, la grande distesa che si perdeva all’infinito, Palmarola, arrossata dal tramonto, Capo Bianco e Chiaia  di Luna con la sua incantevole baia. E dòppe chélle ch’è mangiate che vvuo cchiù d’a vite!

Palàmmete – palamite s.m. Katsuwonus pelamis, degli scomberidi. Tonno bonino, pesce migratore che viaggia in gruppi molto numerosi. Frequenta le acque di Ponza nel periodo autunnale. Viene pescato con reti da posta,  con reti da circuizione e con la traino. Segue, sott’olio, il percorso della alalunga.

Attrezzo da pesca comunemente chiamato coffa. Viene arrotolato in una cesta di fattura particolare con una striscia di sughero per conficcare gli ami che, una volta  innescati, vengono riposti sull’altra metà della cesta.

E’ composto da un lungo filo, u trave, a cui sono annodati, ad eguale distanza, i filaccioli con all’estremità l’ amo che va innescato. Si butta in mare ritirandolo dopo alcune ore.

L’armamento della coffa è sempre in ragione della pesca che si vuole fare. Vi sono palamiti di fondo per la pesca del merluzzo; palamiti per la pesca sulle secche e palamiti per  i mari profondi, centinaia di metri, per la pesca di cernie di profondità e di squali. I filaccioli di queste coffe venivano avvolti da un filo di rame per evitare che i pesci li rodessero. Infine vi sono le coffe a saraghi la cui armatura è totalmente diversa. Il trave è da 80, il filacciolo è da 40 e gli sono piccolissimi il che rende difficoltoso calarla in acqua, ritirarla e ripassarla.

Palammetàre – rete  sf.  Rete volante simile ad una tonnara adibita alla pesca delle  palamite, dei tonni e delle ricciole.

Palandrone – poltrone   agg. Amante della bella vita, sfaticato, fannullone,  scansafatica.

Palanghesare – palangaro s.m.  Pescatore con le  coffe.

Palàte – palata s.f. Colpo di remo. Il suo  tragitto va da quando il rematore, tenendolo fuori dall’acqua, porta il remo il più possibile  a prua e immerge la pala di taglio. Poi, sempre forzando sull’impugnatura del remo, porta la pala il più possibile a poppa  e la toglie dall’acqua per ripetere la stessa azione.

Filone di pane di forma ellettica.

Pàle – pala s.f.  Attrezzo  composto di una parte metallica larga e piatta e da un manico di legno usata per ammucchiare terra, biade, carboni.  I fuochisti, sulle navi, la  usavano per introdurre il carbone nelle caldaie e  i marinai  per riempire i bidoni di cereali imbarcati alla rinfusa. Vi è poi: la pala del remo corrispondente alla parte estrema, larga e spianata, che si immerge nell’acqua e la pala dell’elica, di forma elicoidale,  disposta intorno ad un mozzo rotante. Le eliche sono formate da due a quattro pale.Vi sono le pale dei contadini e quelle dei muratori che usano alcune di forma speciale.

Palemiénte – palmento sm.  Vasca in muratura di forma quadrata in cui veniva lavorata l’uva per fare il vino. In ogni cantina vi erano tre palmenti, due a livello del pavimento della cantina ed il terzo ad essi sottoposto perché in esso doveva colare il mosto delle uva che venivano schiacciate con la pestatura. Nella cantina di Ciaolino, a Santa Maria, vi erano addirittura quattro palmenti, tre per pestare e l’altro per raccogliere.

Con lo stesso termine si definiva la dotazione dei remi su una imbarcazione.

Palètte – opunzia sf.  Pianta del fico d’India. Arbusto con rami articolati e appiattiti ricchi di piccole spine. Con il nome  palètte si definiscono diversi arnesi domestici.

Palettià – palettare v. Muoversi nell’acqua agitando le pinne, nuotare  come la  tartaruga.

Palettone – opunzia  sm.  Vecchia pianta di fico d’India  che mostra un tronco massiccio.

Paliére – fieno sm.  Brachipodio, erba gramigna che cresce dovunque e dappertutto.  E’ la più diffusa sulle isole. Nel periodo estivo, dato che si secca,  è causa di incendio e del suo propagarsi.

Nel luglio 1939, per ordine tassativo del duce, il confino politico venne tolto da Ponza ed i confinati, in gran numero, vennero trasferiti a Ventotene. A Ponza,  tra confinati, militi, agenti  e carabinieri, quasi tutti con famiglia, vi erano circa mille persone che vivevano di stipendio per cui l’economia dell’isola era più che soddisfacente. Con la cacciata della colonia di confino Ponza ebbe un tracollo economico per cui la gente  si lamentava. A queste lagnanze Franco Feola, il proprietario della centrale elettrica,  faceva riscontro con “ Vi è piaciuto gridare via il confino e mò mangiate paliére”..

Palìjà – bastonare  v.  Battere, percuotere,  randellare, manganellare.

Palliste – bugiardo  agg.   Di persona che non afferma il vero, falso.

Pallòttele –  verme  sf.  Animale invertebrato, privo di arti, di forma rotonda, che vive sottoterra. Veniva usato come esca per gli uccelli.

Pallunare- Bugiardo  Sm.  Millantatore, sbruffone, narratore di imprese esagerate.

Palomme – Palombo  sf.  Colombaccio, uccello migratore.

Palummare – palombaro s.m. Operaio specialista capace di immergersi e lavorare sott’acqua. L’apparecchiatura che lo protegge si chiama scafandro.

Il palombaro usava una imbarcazione su cui era installata una pompa d’aria che, azionata da un operatore, gli mandava  l’aria, permettendogli di respirare. Egli si immergeva sospeso all’imbarcazione da una corda legata alla cintola. Questa corda era anche il mezzo di comunicazione con le persone che stavano sulla barca. La “conversazione” tra il palombaro, sul fondo, e la guida, sulla barca, avveniva tramite leggeri strattoni che, chi aveva necessità di comunicare, dava alla corda.

Il riemergere del palombaro da una profondità superiore ai quindici metri doveva avvenire in modo lento e graduale. Questo procedimento, che ha precise norme, va sotto il nome di decompressione.

Il palombaro munito di scafandro è una figura quasi all’estinzione. Il ricordo, a Ponza, va a Nicola Fragliassi, un palombaro che, nella decade a cavallo degli anni cinquanta, si immerse a Punta Papa per recuperare parte della nave LST 349,  affondata, a causa di una mareggiata, il 23 febbraio 1944.

Oggi ci si immerge coperto da una muta e usando l’autorespiratore. Il palombaro è diventato un sub.

Ed a questo tipo di subacqueo che si affidano i lavori in immersione. Si è scesi a profondità abissali.

Fabio Pajoncini Ottavini, maestro subacqueo, il 22 ottobre 2004, con l’assistenza e la collaborazione del  Ponza Diving Center di Andrea Donati,  è sceso, nelle acque tra Ponza e Palmarola, a 202 metri di profondità, stabilendo un nuovo record.

Io c’ero.

Palumme – palombo s.m. Mustelus mustelus. Appartiene al vastissimo gruppo dei pescecani. Abbonda nei nostri mari. E’ ricercato per la bontà delle sue carni. Colombo, uccello domestico.

Palummèlle – farfalla sf.  Insetto con  ali grandi e variamente  colorate. Di persona volubile che va da fiore in fiore.

Paluorce – cima. S.m. Grosso cavo di ormeggio, di canapa o di manilla, che si mette a poppa per assicurare la tenuta  durante i temporali.

Pampugle – ritaglio  sf.  Falda di legno portata via dalla pialla e che si attorciglia a ricciolo, truciolo.  Si è arrivati a chiamare pampuglje, perché miseri, anche gli sfrittoli di pasta zuccherata cioè le nocchètte.

Quante moine tra Ciro Jacono, falegname –carpentiere,  e Silverio Spignesi parrucchiere per due pampugle.  Nella casa della suocera del parrucchiere vi era un piccolo forno dove spesso il   parrucchiere infornava le pizze. Oltre alla legna per riscaldare il forno erano necessarie  legnetti per fare la fiamma indispensabile per una buona cottura della pizza. E chi meglio delle pampugle poteva dare questa benedetta fiamma? Il parrucchiere, dopo essere stato cacciato a pedate dagli operai dei cantieri navali di Santa Maria perché giornalmente li visitava per raccogliere pampugle che gli operai, invece, regalavano ai panettieri in cambio di pizze. Cacciato da Santa Maria, il parrucchiere, con la scusa di intrattenersi per parlare delle arance che Ciro tirava agli amici, e lui era uno dei  bersagli preferiti, quando  si  appoggiava al parapetto della piazza.Il parrucchiere, nelle ore libere dal lavoro, era sempre nella falegnameria di Ciro e come cadeva na pampugle si catapultava a raccoglierla e a infilarla in un piccolo sacchetto che portava sempre dietro. Si faceva la provvista. Quando Ciro inchiodava tavole, passava e salutava senza fermarsi.

Un bel giorno Ciro volle sapere dal suo amico perché tutti i giorni raccoglieva pampuglje. E così il parrucchiere fu costretto a spiegare a Ciro che per cuocere  la pizza, secondo un rigido canone della gastronomia napoletana,  per ottenere il massimo della cottura , ai trochi bisognava aggiungere le pampuglje che, se estratte dal chianuòzze, sgrossino, erano quelle ricce e molto arrotolate su sé stesse; se, invece, a produrle era  stata a chianòzze, pialla,  erano strisce di forma irregolare. Con il passare del tempo a pampuglje si è estesa a significare diverse cose da nulla.

Panàre – paniere  sm. Canestro, recipiente  di canne e mirto intrecciati con un solo manico ad arco.  Una volta le famiglie che abitavano al primo piano di un palazzo facevano la spesa direttamente dal balcone. La massaia si affacciava alla voce del banditore che magnificava per le vie la merce che possedeva e voleva vendere.  Stabilito l’accordo sulla merce e sul relativo prezzo la signora  “acalave u panère” che ritirava pieno e lo rifaceva scendere con il danaro del costo. Lo strillo del  commerciante era: “Signò, acalate u panàre”

Panatiche – panatica s.f. Il vitto che l’armatore somministra all’equipaggio attraverso una impresa. In alcuni casi l’equivalente in danaro del vitto veniva dato  direttamente all’equipaggio che provvedeva alla spesa e alla cucina..

Panecuochele – località  sm.  Proverbiale paese di rustici, ignoranti e villani.

Panecuotte – pancotto sm.  Pane cotto nell’acqua, pappa.

Panettiére – panettiere  sm.  Panificatore e venditore di pane.

Pànfile – panfilo s.m. Barca da diporto.

Panje – gavitello s.f.  Segnale galleggiante di sughero.

Paniélle – pagnotta    sm.   Forma di pane grossa  e circolare.

Pannazzare – rigattiere   sm. Venditore ambulante di stoffe, chiacchiarone e cenciaiuolo..

Panne – panna s.f.  Momento in cui un bastimento, per un motivo qualsiasi, è tenuto a fermarsi. La panna, nelle barche a vela, è determinata dalla mancanza totale di vento. Sm. Tessuto, stoffa, indumento.

Pannià – panneggiare v. Rimuovere la rete stesa al sole.

Pannuline – Pannolino  sm. Panno di lino per infasciare i neonati

Pantecate – infreddatura  sf.  Infiammazione della mucosa   nasale che spesso si estende alla faringe con catarro e tosse.

Pànteche – convulsione  sm.  Scossa, crampo, malattia in cui per alterazione dei centri nervosi  alcune parti del corpo perdono la sensibilità, il moto e la conoscenza; colica, mal di stomaco con vomito.

Pantòsche – gleba  sf.  Zolla di terreno rappreso;  di donna grassa e panciuta.

Pantaseme – fantasma  sm. Spauracchio,  apparizione paurosa di una immagine rappresentata dalla fantasia.

Panze – pancia  sf. Ventre, specialmente se è prominente,  parte sporgente di un vaso.

Panzaròtte- crocchetta  sm. Lessare le  patate  e passarle nello schiacciapatate,   condirle con un po’ di sugna, formaggio grattugiato, prezzemolo, sale e pepe e impastare bene.   Con le mani unte di olio foggiare le crocchette  che passeranno  nell’uovo e infine nel pane grattugiato. Si friggono in olio fumante.

Papagne – sonnellino s.m. Colpo di sonno, papavero, sonnolenza, innamoramento, pugno.

Paparèlle – beccaccia  sf.  Uccello dei trampolieri. E’ considerata la regina del bosco.

Paparià – guazzare v. Galleggiare, stare a galla come se si giocherellasse.

Pàpélle – balocco  sm.  Giocattolo, trastullo che si dà ai bambini per farli divertire.

Pàpere – oca   sf.  Uccello di grossa taglia della famiglia degli anseriformi.

Papiélle – ricorso  sm.  Reclamo, sorpresa, cattiva azione preparata di nascosto.

Papocchje – bugia   sm.  Frottola, favola. Cibo mal preparato, sgradevole.Una vivanda  troppo cotta per cui si è disfatta. E da questo caratteristico pasticciaccio sono nati: Fà na papòcchje, cumbinà na papòcchje,  ammaccà na papòcchje.

Papore – vapore s.m.  Nave con  macchina alternativa.

Paposce – ernia  sf.  Di qualunque materia vescicolare flaccida e pendente, di mammella  sciupata, di frutto molle  e quasi fradicio.

Pappafìche – pappafico s.m. Nelle barche a vela indicava un pennone e la relativa vela.

Pappardièlle  –  minaccia sm.  Cattiva azione preparata nascostamente contro qualcuno; lungo discorso, cumulo di scartoffie, ricorso, denuncia.

Pappauàlle – pappagallo  sm. Uccello,  di persona priva di carattere.

Pàppece – Insetto  sm.  Tonchio, insetto  della famiglia dei  bruchidi le cui larve mangiano i semi dei legumi e dei cereali. Per preservare i legumi dal trapano di questi insetti, che infestavano i ripostigli, si conservavano i legumi in recipienti  di vetro senza risultati apprezzabili. I legumi venivano messi a bagno e al mattino seguente tanti galleggiavano ma quelli che erano all’interno facevano capolino solo con la cottura per cui  il piatto di ceci, fave, fagioli o  lenticchie era pieno di questi schifose bestie. I piccoli, a costo di stare digiuni, non affondavano il cucchiaio.

Era uno schifo. Talmente uno schifo che un alunno  ne parlò ampiamente in un compito sulla economia del paese e sul lavoro del padre. Lo scolaro, ad un certo punto, sapendo che “pàppece” era termine dialettale, si rivolse al maestro chiedendogli come quello schifosissimo e ripugnante animaluccio si chiamasse in italiano. Il mestro, ignaro della traduzione, senza farsi accorgere si rivolse al collega che stava nell’aula contigua. Anche quì ignoranza completa. Allora il maestro con una serie di perifrasi imbambolò l’alunno e gli fece scrivere “pàppece”. I due insegnanti divulgarono la richiesta, dopo aver consultato tutti i libri di scienze a loro disposizione, enciclopedie comprese, tra queste la Treaccani, ma nessuno in paese seppe dare la giusta risposta. Ognuno cacciava un eufenismo dal suo repertorio.

La cosa rimase a lungo lettera morta ma venne ridestata, come la principessa addormentata, da un involontario scartabellare. Il figlio del maestro a cui era stata chiesta la traduzione della parola dialettale , un bambino di sette anni, un pomeriggio sdraiato su un divano sfogliava uno dei volumi della enciclopedia Conoscere,  per gli alunni della scuola elementre, era il sottotitolo, E così, a caso, gli capitò sotto gli occhi una pagina con baccelli di ogni specie, colorati in modo tale come se fossero reali. Il bambino più che  leggere, perché le parole scritte erano poche e le pagine erano piene  di disegni e di foto. Guardò quei baccelli di ogni specie di legumi, c’erano anche i lupini, così ben colorati  come erano ben colorati di nero quegli animaletti che cercavano di forare il legume. Il banbino, al secolo Paolo Scotti, ricordandosi della ricerca paterna, corse trafelato dalla mamma, pensando di aver scoperto la luna,  mostrandole il contenuto della pagina della sua enciclopedia. La mamma, maestra anch’essa, dotata di intelligenza e di accentuato umorismo, guardò il figlio negli occhi dicendogli:  “ vai a trovare tuo padre ( come se in ogni cosa della vita: quella   sbagliata o brutta  è  sempre paterna, il contrario appartiene alla mamma)  e dirgli di venire a casa.

Totonno, che sembra quel monaco che canta e porta la croce,  sto immaginando anche la reazione di Lola,  femmina dotata di scheletro, rientra immediatamente, consulta il libro che gli dà motivo di allargare la ricerca. Forte dei dati acquisiti, si attacca al telefono per rendere edotto anche il collega, che di nome fa Ernesto, che si dà da fare nella sua più ricca biblioteca.

L’indomani due classi del plesso di Santa Maria trattarono l’argomento “Pàppece” come se fosse una lezione sul primo trapianto cardiaco.

Pappule – cisti  sf.  Vescica, causata da alcune malattie cutanee, contenente sostanze liquide o molli che si producono nel corpo animale e, anche, vegetale; vescichetta, bolla.

Papùsce – pavoncella  sm.  Uccello migratore; ciabatta, pantofola.

Parabòrde – parabordo s.m. Specie di cuscino, fatto in diversi modi e con diverso materiale, che si mette fuoribordo per attutire i colpi di altre imbarcazioni.

Paraddure – sconveniente  loc. Che non dà vantaggio, disdicevole, inopportuno, svantaggioso.

Parafulmine – parafulmine s.m.  Attrezzo per difendere l’imbarcazione e la casa dai fulmini. Sulla nave è situato sulla cima degli alberi e con una corda di rame è collegato al mare.

Paràgge – paraggi s.m. Vicinanza, intorno.

Paràllèle – parallela s.f.  Attrezzo da disegno usato per tracciare la rotta e per carteggiare.

Paramezzàne – paramezzale s.m. Pezzo di legno sovrapposto, da poppa a prua, all’intermo del natante, sulla chiglia.

Paranche – paranco s.m. Attrezzo formato da due bozzelli e da una corda passante per essi. Delle due carrucole una viene assicurata  ad  un punto fisso mentre l’altra viene agganciata al fardello che si vuole muovere o spostare. Vi sono diverse specie di paranchi: il paranco semplice quello composto da una carrucola a due rotelle e dall’altra ad una sola rotella; il paranco doppio quello in cui le carrucole hanno ambedue due rotelle; il paranco differenziale, quello usato per sollevare pezzi molto pesanti,  è formato da due carrucole di ferro e da una catenella senza fine. Una delle due carrucole, quella destinata ad agganciarsi al peso ha una sola rotella, l’altra carrucola,  che si aggancia ad un punto fisso,  ha due rotelle con diametro diseguale che portano dei denti a cui la catenella  si ingrana. Questo paranco, oltre a sollevare qualsiasi peso, ha la proprietà di consentire che il peso rimanga sospeso all’altezza che si vuole senza che possa ricadere.

Parànze – paranza s.f.  Barca da pesca dotata di rete a strascico. La rete che ha due ali laterali e un sacco centrale è trainata da due cavi d’acciaio legati alle estremità delle due ali.

Parapàlle- cintura  sm.  Cinto per ernia. Il  termine nacque a Napoli durante le lotte per il Risorgimento. Quando i liberali decisero di smettere di portare il cappello a tesa bassa e larga riprendendo quello di felpa a fascia alta e a tesa piccola, usato dai clericali e retrivi,  a cui piazzarono sul lato davanti una bellissima figura e lo battezzarono parapalle quasi come scudo contro le sparatorie borboniche.

Parapatte é pace – pari e patta  loc. Conclusione di parità.

Parapiétte – parapetto s.m. Ringhiera, spalletta, davanzale.

Parasacche – demonio  sm.  Spauraccvhio, essere inesistente invocato per spaventare i bambini capricciosi, diavoletto.

Paratèlle – avvallamento  sf.  Abbassamento ad arco del profilo del terreno dove, nel periodo primaverile, venivano sistemate delle reti fisse per la cattura delle quaglie che migravano verso le nostre terre. Le isole ponziane si trovano su una delle tre direttrici di volo, quella centrale; quella orientale passa sulla Turchia e quella occidentale sulla Francia e Spagna, che i migratori percorrono in autunno nello scendere dalle regioni artiche e, in primavera,  nel salire dalle regioni africane.

Paratìje – paratia s.f. Tramezzo verticale, in legno o in lamiera, che suddivide gli spazi interni della nave.

Paraustiélle – paragone  sm.  Discorso pretestuoso, giro di parole, ragionamento ipocrita, si manifesta quando le espressioni che si usano servono a  cavillare, arzigogolare, sottolizzare, fantasticare, almanaccare.

Paravise – paradiso  sm.  Di luogo bello e incantevole; loc. avv.  al colmo della felicità.

Pàrde – cerchia  s.f. Cinta che si fa con gli ami di una coffa per ripescare gli attrezzi da pesca rimasti sul fondo.

Paretàne – paretaria  sf. Erba delle urticarie, le foglie si usavano per rimarginare le ferite. Pestate si facevano cataplasmi e si applicavno sulle parti contuse. In primavera è movente per antipatiche allergie.

Paréte – rete s.m. Rete a maglia larga sistemata ai due lati di una rete normale per facilitare l’impigliarsi dei pesci e delle aragoste. Una rete così armata dicesi tramaglio. Muro singolo di una stanza

Parià – variare v. Spostare una barca che è a secco per creare spazio libero,  Il rimuovere  dal proprio posto è caratteristico per il natante il quale viene spostato prima di prua e poi di poppa.

Parijate – trippa  sf.  Stomaco di bovino che tagliato a listarelle viene cucinato e dà un piatto eccellente.

Parlante – parlante  s.m. Si dà questo nome alla berta maggiore, un uccello acquatico  della famiglia dei procellaridi. E’ un uccello sedentario che non si muove dal suo luogo natio. Di colore grigio cenere e bianco di sotto. Vive quasi sempre sul mare, nutrendosi di pesce.  Nidifica tra gli scogli. A Ponza fa il suo nido nella zona della “scarrupate” e a Palmarola nella zona dei Guarnieri. Di giorno è molto facile vederlo veleggiare, a volo radente, mentre ispeziona il mare in cerca di cibo.

Lo si chiama “parlante” perché vagisce, di notte e solo di notte, come un bambino.

Parlàte – parlato s.m. Nodo, uno dei tantissimi nodi.

Parlate – parlata  sf.  Modo di parlare, discorso.

Parme – palmo s.m. Nella marineria isolana costituiva la  unità di  misura  di lunghezza equivalente a  cm  26,5. Questa misura era la ottava parte della canna che era usata , come unità di misura, in diverse città italiane prima dell’entrata in vigore del sistema metrico decimale. A  Napoli la canna era m 2,10 ed il palmo  era 26,5.

A Roma la  canna  era 2,23 e  in Sicilia 2,06.  I gozzi di una volta erano di 28 o 36 palmi.

Parmigiana – parmigiana  sf. Contorno di melenzane. Le melenzane vengono sbucciate,  tagliate a fettine e messe a friggere in padella senza essere infarinate. Tolte dalla padella si dispongono in un piatto di portata, si cospargono di una salsa di ragù  e sopra formaggio grattuggiato. Si ripete l’operazione fino all’esaurimento delle melenzane fritte.  Era l’antica parmigiana. Le massaie moderne ammanniscono un altro genere di Parmigiana. Sbucciare le melenzane e tagliarle a fette, friggerle  e sistemarle in un tegame, largo ma non alto, sulla fila di melenzane  sistemare delle sottilette di formaggio  con uovo sbattuto, riprendere per un nuovo strato e cosi fino alla fine. Si prende il tegame e lo si inforna per una ventina di minuti.

Parole – parola  sf.  Suono articolato composto da una o più sillabe, termine, vocabolo, voce.

Parracine – muro  sf.  Muro a secco  per sostenere il terreno. Nacque a Palmarola durante il periodo neolitico quando  i primi  abitatori ebbero la necessità di coltivare il terreno per produrre bacche da mangiare. I pendii vennero lavorati dal basso verso l’alto. Si costruiva il muro, la parracine,  sistemando il terreno all’interno e così di seguito.

Parrucchiane – parroco  sm.  Nella nostra forma dialettale questo termine attesta il parroco, quello che esercita la cura delle anime nella sua circoscrizione e non chi frequenta la parrocchia.

Pascone – pasquetta sm.  La classica gita del giorno dopo la Pasqua.

Passapuorte – passaporto  sm. Passaporto, documento personale; di persona insaziabile, vorace e affamata.

Passate – passaggio  sf.  Visita alle trappole sistemate per gli uccelli; frugata, ricerca, rovistio.

Passatèlle – passatella  sf.  Gioco d’osteria , conosciuta anche come “padrone é sotte”  o “tuocche”, in cui i bevitori scelgono a sorte, con le carte o con il conteggio delle dita, un padrone e un sotto i quali, a loro insindacabile arbitrio, distribuiscono il vino, acquistato collettivamente,  ai partecipanti facendo in modo che qualcuno del gruppo rimanga a bocca asciutta e qualche altro, invece, deve uscire barcollando. Il padrone fa gli inviti a chi vuol destinare la quantità di vino ma per  far bere gli altri, per lui non ci vuole consenso, ha bisogno della approvazione del sotto.La passatella è un gioco antico, risale al periodo romano e si chiamava “regnum vini”, il regno del vino. Della passatella ne parlano i grandi scrittori latini, da Orazio a Catone,  che “ si sollazzava a partecipare a questo gioco”, a Cicerone che ci ha lasciato scritto : “ Oh, io prendo sommo piacere alle maestranze del vino e a quella parlata che si fa intorno alla tavola”.

La passatella è dunque una istituzione antica e allora come in  una favola: “C’erano una volta le cantine”.

Esse erano disseminate per tutta l’isola come oggi lo sono i bar. La cantina era, come il bar, il luogo del ritrovo di una volta. Nella cantina fioriva una cultura e una letteratura che si ispiravano al piacere del  bere e alla gioia doi stare insieme. Nella cantina si incontrava un mondo diverso ed eterogeneo. Davanti ad un bicchiere di vino le amicizie si stringevano facilmente e con facilità si saldavano le vecchie. Si può benissimo affermare che la cantina confortava anima e corpo.

I partecipanti erano abitudinari, occasionali o quelli della domenica. La cantina si animava quando il cattivo tempo non permetteva ai pescatori di andare per mare. Il primo pomeriggio era l’ora indicata per l’accesso. Arrivavano alla spicciolata, mai a gruppi per evitare di essere notati e di innescare discorsi da comari che avrebbero fatto il giro del paese. Ognuno prendeva una propria strada , possibilmente diversa da quella dell’amico, tanto tutte portavano sul “luogo del delitto”.

Lì, in quel luogo, affogavano le loro ansie, le loro trepidazioni, le loro angosce, i loro affanni, le loro gioie.

Usavano dire:”U vine è u mègle miédeche, tutte te fà scurdà” ( il vino è il migliore medico, tutto ti fa dimenticare ).

Ogni gruppo aveva il proprio tavolo e difficilmente si accettavano intrusi dell’ultina ora. Quando il tavolo si era formato si dava inizio alla passatella. Fra i componenti del tavolo si formavano, per dare brio e vivacità alla seduta, due o tre partiti, l’uno contro l’altro armato. Amici carissimi e fraterni diventavano acerrimi avversari intorno a quel tavolo. Le bevute erano sempre misere come era misero il companatico che ognuno portava per proprio conto: un mandarino, una mela, una arancia, un pezzetto di formaggio, qualche fico secco, qualche retunne fritte o qualcos’altro di poco valore.

Quelle miserie venivano divise fra tutti in parti uguali.

Ognuno teneva il suo bocconcino sul tavolo davanti a sé aspettando per ingerirlo il momento, l’occasione di avere la possibilità di bere.

Nella cantina non mancava l’ironia, il sarcasmo, la mordacità. Erano il condimento necessario.

Circolavano, con la giusta tonalità, espressioni stupende; battute ricche di sale e pepe che è sempre piacevole ricordare: “Gocce innumerevoli formano gli oceani e di granelli piccoli son fatti mari e monti” ( un po’ alla volta riempiremo la stiva); “Tanne so fiérre fennùte quanne i zìnghere se ne so gghiute” ( l’esito è alla fine );  “U lupe s’à mangiàte a pecurèlle ( il lupo ha mangiato l’agnello );  “Sé te ncòcce sottaviénte i véle a mmare t’aggia fà jéttà” ( la minaccia era di colui a cui non si era dato da bere).

Quando l’alcool incominciava a prendere possesso della mente quasi tutti diventavano cantori  e menestrelli. Raramenmte qualcuno reclinava il capo sul tavolo. La Bufera gorgheggiava il Nabucco  e La Montagna;  Giovì melodiava La sigaretta e L’alba del marinaio:;  Giustino  sussurrava in inglese, tante nisciune u capéve.

Chi faceva la parte del leone era Ninotto, aveva un reperorio vastissimo e non solo di canzoni. Recitava poesie  come un attore consumato. Oggi, cominciando dallo scrivente, i barboni, quelli che hanno il viso coperti di peli, sono tantissimi e a loro dedico questa poesia che Ninotto  declamò ad un avvocato padovano,  barboso, che gli allungava la mano per salutarlo nella presentazione:

Barba aveva Noè

e barba teneva Mosè.

Barba teneva Esaù

e  barba aveva Gesù.

Barba aveva Guerrazzi

e barba teneva Rattazzi

Chélle èrene barbe d’uommene

chéste è na barbe i cazze.

E gli toccò il mento.

L’ uomo di legge, pur abituato a tanti imprevisti, rimase esterefatto e non poté che dire: “lè sémo alle presentasion e ci pigliano col cazzo, quì, dopo che avémo magnato e bevuto se lo ficcano nel culo”.

Passature- colino  sm.  Arnese per colare tè, caffè, camomilla o qualsiasi altro liquido che presenta impurità.

Pàsse – passo s.m.   Unità di misura di lunghezza prima dell’adozione del sistema metrico decimale, con valore variabile nelle diverse località. Nel regno borbonico misurava m 1,85 corrispondente alla apertura delle braccia di un uomo mediamente alto m 1,80. Questa era e lo è ancora  il “metro” marinaresco.

Con questo termine si indica anche l’uva passita.

Passe passe – Passo passo  loc.avv.  Muovendo i piedi lentamente e facendo quasi una breve sosta  a ciascun movimento degli arti.

Passià – passeggiare  v.  Andare in giro lentamente senza meta.

Passiàte – passeggiata  sf.  Camminata, scampagnata.

Passèrèlle – passerella s.f. Tavola in legno o in lamiera, in alcuni casi  fornita anche di ringhiera, che serve per salire o scendere da un bastimento attraccato alla banchina

Passiuncèlle –  Mania  sf.  Cotta, innamoramento,

Pastécche – pastecca s.f.  Carrucola ad una sola puleggia di forma ovale, solitamente rinforzata, munita di un gancio girevole per poterla agganciare dove necessita. La caratteristica della pastecca è che una parte della carrucola è aperta. Per passare una corda nella pastecca non è necessario infilarla per un capo per cui si può inserire anche una cima le cui estremità sono impegnate. E’ un attrezzo della cianciola.

Pastenà – trapiantare  v.  Levare da un posto una pianta con le radici per metterla in un altro luogo. Si usa anche per altre circostanze

Pastenache – duco  sf.  Pianta erbosa delle ombrellifere che piace tanto ai conigli; carota; di persona inetta.

Pastenature –Piantatoio  sm.  Pezzo di legno conico usato per bucare il terreno arato per mettere a dimora una piantina.

Pastètte –  pasticcino  sf.  Comunissimo biscotto di farina.

Pasticciòtte – pasticcino  sm. Dolce con crema e marmellata.  Inconveniente, piccolo guaio.

Pastiére – pastiera  sf.  Dolce pasquale. Questo termine designa diversi tipi di pastiere che si facevano a Pasqua. Alcune sono rimaste un ricordo perché è già molto tempo che siamo entrati nell’ era  ansiosa  di abolire tutto ciò che è tradizione. Nella cucina della nonna, come nelle altre, nella settimana precedente la Pasqua, e forse anche qualche giorno prima,  vi erano,  su un grosso tavolo, appositamente preparato, una serie di “scafaréje” con dentro il materiale necessario per fare la   pizza di pasta, la pizza di riso e la pizza di grano. Erano queste i dolci di Pasqua  e prima che le infornassero c’era bisogna di un custode per evitare che i  “uagliune” stessero  sempre là con il cucchiaio in mano.

Pastòcchje – muschio sf.   Pianta erbosa che cresce nei luoghi umidi anche sui tronchi degli alberi. La sua altezza è minima . E’ la pianta ideale per pavimentare l’ambiente del  presepio. Si stacca a lastra con un coltello.

Pastore – piastrella  sf. Pezzo di mattonella arrotondata con la quale i ragazzi si trastullavano in diversi giochi, tra cui una specie di  bowling.

Pastuse – pastoso   agg.  morbido, tenero, molle, flessibile, sapido; spiritoso e simparico nel parlare; di vino abboccato, dolce.

Patàcche- monile  sf.   Collana, moneta, oggetto di nessun valore, macchia di unto.

Pataccone – grosso monile  agg.  Di ragazza formosa

Patàne  – patata  sf. Pianta e frutto delle solanacee, Un prodotto molto, molto usato nella cucina. Dà piatti eccellenti. Una volta aveva anche funzioni medicamentose, si curava il mal di testa con l’applicazione di fette di patate sulla fronte.

Patàne i mare – uovo di mare   sf.  Pianta marina commestibile che presenta un rigonfiamento contenente una specie di torlo d’uovo.

Patanèlle – patatina   sf.  Patata novella,  di ragazza tondeggiante, simpatica e bella.

Pàte – padre  sm.  Il genitore

Patèlle – patella s.f.  Con questo termine si designano  vari tipi di patelle:  patella cerulea, patèlle i funnale; liriola pectinata, patèlle i scògle; deodora greca, patèlla montagnola; orecchietta di mare, patella reale. La patella è stata sempre ricercata per la sua prelibatezza. Il risotto e gli spaghetti con le patelle sono piatti da re. Le patelle vanno staccate dal guscio e, insieme all’acqua che producono, vanno frullate perché, al naturale, intere, nel soffriggerle diventano callose e immangiabili.

Patèlle riale- Orecchietta  sf.  Patella a forma di orecchio, facilmente staccabile con le mani. Ha una scorza molto bella. Chi circola sott’acqua spesso incontra cumuli di scorze di patelle reali, è stato il polipo ad accatastarle. Nelle vicinanze c’è la sua tana.

Patemiénte – patimento  sm.  Sofferenza, spasimo, travaglio.

Patèrne – paterna s.f. Gruppo di dodici nasse. Treccia di canapa o di amianto usata per impedire  infiltrazioni di acqua.

Patià – patire v. Subire, soffrire, provare, sopportare.

Patrille – trifoglio  sm.  Pianta erbacea amata dagli ovini, caprini  ed  equini.

Pàtte – pala s.f.  Pala dell’elica. L’elica può essere formata da  due, tre o quattro patte.

Pature – padula  sf,  Terreno coltivato ad ortaggi.

Patute –  patito  agg.   Sofferente, malandato, tormentato, tribolato, angosciato; vittima, innamorato.

Pauruse – pauroso  agg.  Timido, pavido, codardo.

Pavà – pagare  v.  Assolvere i propri debiti, scontare la pena.

Pàve – paga  sf.  Stipendio, salario.

Pavése – pavese s.m. Cala di bandiere.

Pavuncèlle – pavoncella  sf.  Uccello migratore della famiglia dei caradridi. Sosta sull’isola solo quando nella traversata notturna incontra la pioggia.

Pazzaglione – tipo scherzoso  agg.  Di persona simpatica, rumorosamente scherzosa.

Pazzarìje– pazzìa  sf.  Follia, atto sconsiderato, manicomio.

Pazzià – giocare  v.  Scherzare,  gareggiare, baloccarsi.

Pazziariélle – burlone  agg.   Di persona scherzevole, burlona, piacevole, ridente, vivace.

Pazzièlle – balocco  sm.  Giocattolo,  cosa da burla, non seria., gioco.

Pazzuoteche – cervellotico  agg.  Volubile, lunatico, incostante, avventato.

Pecchéste- per questo   cong.  Perciò, per questa ragione, per la qualcosa.

Pecchettà – picchettare v. Martellare la lamiera con un   particolare attrezzo per staccare la ruggine.

Pecchisà – per chi sa   cong. Qualora, casomai, se no, in caso contrario.

Pècòrélle – pecorella sf.   Ovino, pecora; particolare formazione e disposizione di nuvole.

Pecundrje – ipocondria  sf.  Malinconia, tristezza, malattia nervosa che dà allucinazione, afflizione, mestizia, malumore, scoramento, accasciamento.

Pecuozze –  chierichetto   sm. Di giovane che si inizia al sacerdozio, di persona che serve la messa.

Pecure – pecora  sf.  Animale degli ovini. Agg. Timoroso, pavido, timido, esitante, impacciato.

Pecurélle – Agnello Piccolo animale degli ovini di cui le carni, e non solo le carni ma anche le interiora, sono eccellenti. Di persona che, per natura, ha timore; di chi, per soggezione, è esitante e impacciato.

Pedamènte – fondazione  sf.  Base, muro sotterraneo su cui  poggia un edificio, tutto ciò che serve di base o sostegno a chicchessia.

Pedecone – ceppo  sm.  Pezzo di un tronco d’albero; tronco di un albero vecchio; pezzo di legno per tagliarvi la carne o il pesce.

Pède i galline – piede di gallina s.m. Aporrhais pesplecani, conchiglia.

Pède i nasse – piede di nasse s.m. Gruppo di due nasse

Peducchiarje – grettezza  sf.  Di persona  che custodisce ed elargisce principi di avarizia, di meschinità,  di idee grette.

Peducchje pelliine – afidide  sm.  Insetto degli alberi da frutta, parassita della gallina,

Pedecchiuse – pidocchioso  agg.  Gretto, avaro.

Pelià – accampare pretesti  v. Addurre a pretesto, cercare il pelo nell’uovo, arzigogolare.

Peliénte –  smunto   agg.  Emaciato, magro, sparuto.

Pellecchià – piovigginare  v.  Una pioggia che cade a goccioline.

Pellécchje – corteccia  sf.  Pelle raggrinzita, buccia.

Pellecchiuse – rugoso  agg.  Grinzoso, dalla pelle cascante.

Pellìcce – pelliccia  sf.  Pelle di animale conciata. Erano molto in uso le pelli di volpe che le donne si agganciavano al collo, al di sopra del cappotto.

Pelose –  granchio peloso s.f.  Eiphia verrucosa, dei brachiuri. Questo granchio che ha il corpo ricoperto di peli, da cui il nome, esce di notte, come i rufoli. Vive e si annida nella roccia tufacea ricca di spaccature.

Si raccolgono di notte alla luce di una torcia. Bisogna essere molto attenti e prudenti perché hanno delle chele micidiali. A Zannone sono stato spettatore della rottura di                                                                         una lumaca di mare da parte di una pelosa. Sono sicuro di poter  affermare che le pelose, tra i vari crostacei, dànno il sugo con più ricco sapore di mare  per condire le linguine.

Peluse – peloso  agg.  Ispido, irsuto.

Penià  – penare  v.  Soffrire, provare dolore più morale che  fisico, tribolare, patire, spasimare.

Penìje–  v   Patimento  sf.  Sofferenza, tormento, spasimo, stento, dolore morale.

Pennacchje – pennacchio s.m. Filo di fumo denso che esce dal fumaiolo.

Pénne – Penna s.f.  Estremità superiore della vela latina. Rivestimento epidermico degli uccelli; strumento per scrivere.

Pennecìlle – fascina  sf.  Fastello, fascio di tralci di vite.

Il  leggendario gruppo dei fienisti ( Ninotto, Giustino, Bufera, Benito, Giovì, Adalgiso, Tammigiana ) arrostivano le salsicce sulla brace dei pénnecille.

Pénnèllare – pennellare, v. Appennellare. Far scendere l’ancora di qualche metro dalla cubia per tenerlo pronto per dar fondo. Dipingere, lavorare con il pennello.

Pennènze – pendenza  sf.  Inclinazione, declivio; stato di una questione non ancora risolta, debito non saldato..

Pennése – pennese, s.m. Magazziniere. Il marinaio addetto alla custodia dei materiali necessari per la manutenzione della nave.

Penniélle – pennello  sm.  Sia quello da barba che quello del pittore.

Pennone – pennone s.m. Sbarra di legno che viene appesa orizzontalmente agli alberi, nel  suo punto centrale, per sostenere le vele che ad essa vengono allacciate. I pennoni, a seconda della loro sistemazione, hanno un nome proprio: pennone di trinchetto, quello legato all’albero di trinchetto; pennone di parocchetto quello posto sopra il trinchetto; pennone di velaccino, immediatamente sopra il parocchetto; pennone di controvelaccino, quello posto il più in alto, sopra il velaccino;   pennone di maestra, quello legato all’albero di maestra; pennone di gabbia, quello posto sopra il maestro; pennone di gran velaccio, quello posto sopra il pennone di gabbia e al sopra di esso vi è quello di controvelaccio; all’albero di mezzana sono legati il pennone di mezzana e quello di contromezzana.

Su quelle stupende e meravigliose navi a vela dei secoli scorsi vi erano ancora altri pennoni. In generale i pennoni hanno un nome generico: i pennoni maggiori vengono appellati quelli di trinchetto, maestra e mezzana; con il nome di gabbia si indicano  i pennoni di parocchetto, gabbia e contromezzana; con il nome di velaccio i pennoni di velaccino, velaccio e belvedere; si chiamano controvelacci i pennoni di controvelaccino, controvelaccio e controbelvedere.

In genere, nel linguaggio marinaresco, per essere brevi nelle manovre, si usava solo la parola contro.

Sull’Amerigo Vespucci, dopo i rituali fischi, il nostromo ordina: “mollare, bordare, imbrogliare, serrare i contro”.

L’Amerigo Vespucci è il fiore all’occhiello della sezione velica  della Marina Militare italiana.

Pennulià – penzolare v. Stare sospeso nell’aria, ciondolare.

Pentésse – pettegola  sf.  Di donna mal vestita e amante del pettegolo e del chiacchierare.

Pentìne – Ricamo  sm.. Punto di ricamo all’uncinetto usato come bordino nelle cristalliere.

Penteniénte – pentimento  sm.  Rimorso.

Penùrje – penuria  sf.  Scarsità, carestia, lamentazione, piagnone, querimonia.

Penzaruse – pensieroso  agg.  Assorto, concentrato, cogitabondo.

Penzate –  pensata  sf.  Idea improvvisa, proponimento, decisione, risoluzione immediata.

Pepetìà – vociferare  v.  Parlare di continuo chiocciando come una gallina.

Peppjà – pipare  v.  Cacciare dalla bocca il fumo della pipa e, non da tutti effettuato,  il caratteristico bollire del ragu o della polenta.

Pèrchje – perchia s.f.  Serranus cabrilla. Sciarrano. Vive su fondali rocciosi. E’ curiosa per cui si avvicina ai subacquei. Si pesca con il lentino. E’ saporitissima e per questo è molto ricercata. Peccato che è ricca di spine.

Percià – perforare  v. Bucare, forare, penetrare, trapassare, trasudare. Termine sicuramente scaturito dai perciformi, categoria di pesci che perforano e sfondono le reti.

Perciate – perforato  agg.  Trasudato, filtrato, bucato.

Percòche – pesca  sf.  Frutto del pesco, pesca gialla.

Perètte – contenitore  sm.  Boccione per il vino a forma di una grossa pera.

Perfediuse – perfidioso  agg. cattivo, invidioso, arrogante, prepotente.

Pernacchje – sberleffo  sm.  Rumore che si fa con la bocca. qualcuno li fa anche con le ascelle, per disprezzo. Ha sempre un indirizzo con attestazione di  beffa, di disprezzo, di dissenso,  di derisione, di commiserazione. Questo lacerante crepitio orale, perché si può fare anche con un altro organo,  dovuto all’aria fortemente compressa e fortemente espulsa, modulato e rinvigorito dalla mano che ne regola finanche il flusso. l’intensità e le sfumature, è sempre diretto verso chi ha agito in un modo deplorevole.  Il pernacchio fatto con il palmo della mano vuole, educatamente, sostituire un prosaico suono  che proviene da altri lidi.

Il pernacchio è vecchio come me o è giovane come Giosuè?

Noi non apparteniamo all’era del pernacchio o, per meglio dire, della pernacchia. Salvatore Di Giacomo, il grande poeta napoletano, afferma  che già Petronio  lo lascia intravedere nel Satyricon. Giuseppe Marotta, per definirci la pernacchia intinse la penna in un calamaio che conteneva un inchiostro   onomatopeico: “…… congruo sberleffo. Ottenuto mediante specialissimi accostamenti delle labbra alle dita, al palmo o al dorso della mano, con emissione di fiato che ha varia forza e varia durata secondo i propositi dell’esecutore …… , sia esso forte o debole, lungo o corto, massiccio o sdutto, è sempre maschio, costruttivo e solerte”.

Pernacchia diventa poi non un aggettivo ma un attributo a un particolare tipo di donna, saputella e presentuosa, sgradevole e brutta, superbiosa e scostante.

Con i tempi che corrono sarebbe necessario, forse anche indispensabile,  che un ottimo pernacchiatore, con  le spalle al tramonto, ne facesse uno, uno soltanto, solenne , perentorio,  crescente, sterminato e durevole verso la piazza.  E pò ….. a chi cògle, cògle.

Pèròcchele – bacchio  sm.  Bastone nodoso di legno duro con il quale si battevano i legumi e i cereali per farli uscire dal baccello e dalla spiga.

Perrìlle – cinciallegra  sm.  Uccello migratore di piccola stazza.

Persunale – personale, s.m. Parola generica  che viene usata per indicare: personale di coperta con cui si designa l’insieme di tutte le persone addette ai lavori marinareschi; personale di macchina, quelli addetti al servizio degli apparati motori e personale di camera, le persone destinate al servizio degli alloggi e delle mense.

Pertuse – buco  sm.  Foro, piccola apertura e anche una piccola casa.

Peruozze – asse  sm.  Chiodo di legno legato alla estremità della cavezza che veniva infisso nel terreno per tenere fermo l’animale.

Perute – ammuffito  agg.  Alterato e guastato per la muffa.

Pèrzeche – pesco    sm.  Albero e frutto

Pesarole – trappola  sf.  Arnese per prendere sia uccelli che topi. Ha la forma di un piccolo scudo fatto con canne intrecciate. Un lato poggia sul terreno mentre l’altro lato è tenuto sospeso  da un sostegno a cui è agganciato un puntello con l’esca. Appena la si tocca il puntello scatta e la trappola si accascia sul terreno. Chi ha provocato lo sganciamento del puntello rimane sotto .

Pescà – pescare v. Catturare, fiocinare, arpionare

Pescàgge – pescaggio, s.m. Con tale parola si designa la misura, in metri o in piedi, dell’altezza della parte immersa di una nave che va  dal pelo dell’acqua alla chiglia.

Pescatore – pescatore, s.m.  Colui che esercita la pesca per mestiere.

Pescatrice – rana  pescatrice s.f. Lophius piscatorius. Comunemente chiamata anche coda di rospo. Mostruosa ma squisita. Peccato che la mia cuoca, eccellente per altri piatti, non azzecca mai la giornata buona. Il giorno in cui  la  cucina è sempre una giornata di scirocco.

Una sera, in un ristorante di Ponza, un gruppo di commensali, mentre piluccavano scorfani in umido, chiesero al proprietario perché mai nei locali di Ponza non venisse servita la zuppa di pesce. “Non la si può preparare perché se non vi è richiesta bisogna buttarla. La prepariamo solo su ordinazione”, fu la risposta del proprietario. Quel gruppo, amante del buono, la ordinarono per l’indomani sera.

Il mattino seguente, il ristoratore, che è anche pescatore professionista, selezionò il pesce che aveva pescato per vedere se c’erano tutte le qualità che il piatto richiedeva. Mancava solo il grongo, pesce base per la zuppa, che si apprestò a prendere in pescheria.

Fra i vari pesci destinati  per la zuppa vi inserì anche una rana pescatrice che pulì, come fece per le altre qualità, senza buttare la testa da cui ricavò diversi pezzi.

Alla sera, i clienti, puntuali, presero posto intorno al tavolo, a loro riservato, e subito venne servita la zuppa di pesce.

Dopo un po’, al tavolo  si presentò il proprietario per chiedere se l’avessero gradita. Il consenso favorevole  venne espresso da tutti con un fragoroso battimani ma ci fu una signora che volle fare una precisazione di altra natura. Lo chiamò vicino a sé e gli disse: “Eccellente e prelibato il cucinato. I nostri complimenti alla cuoca. La stonatura sono queste ossa che  sembrano di un balena”.

“ Sono della coda di rospo”, rispose il trattore. Al che la signora non potendo fiatare sulla coda di rospo di cui conosceva i pregi per averne sentito parlare sempre bene, fece presente che sarebbe stato meglio se non avesse messo anche  la testa.

La giustificazione fu : “Signò, je pure me vuléve spusà a muglièreme d’u llicule a gghì abbasce pecché u late i ccòppe è sule spése ( signora, io pure volevo sposare mia moglie dall’ombelico in giù perché la parte di sopra è soltanto spesa)”

La risata fu generale e fragorosa.

Pésce balèstre – pesce balestra s.m. Balistes carolinensis, dei balistidae. E’ l’unico rappresentante nel Mediterraneo di questa numerosa famiglia. Si pesca occasionalmente.

Pescecane – verdesca s.m. Galeorhinus galeus. della famiglia degli squaloidi. Pesce comune nelle acque isolane, è arrivato fino sul bassofono di Sant’Antonio, ncòppe u summariélle, dove  Ferdinando e Cirillo, con colpi di “viagge”, lo catturarono.

A Ponza con il nome di pescecane si indica qualsiasi specie di squalo.

Pésce carabbiniére – pesce martello s.m. Spyrna zygaena, squaloidi. Così chiamato per la forma della testa che rassomiglia al cappello della grande uniforme dei carabinieri. E’ un pescecane molto pericoloso. Il suo nome è pesce martello.

Pésce castagne – pesce castagna s.m. Brama raii. Vive a notevole profondità. Si avvicina alla costa nel periodo estivo.

Pésce cornute – pesce cornuto s.m. Forca peristedion. In una grande famiglia   non poteva e non può  mancare.

Pésce diàvule – pesce diavolo  s.m. Mobula mobular. Il genere comprende diversi tipi. Trae il nome diavolo  da due pinne sulla testa che sembrano corna. Comunemente chiamata manta.  Ha la forma di una razza di dimensioni immense. La lunghissima coda, per un pesce di circa due quintali, è di  circa cinque metri. E’ come uno spago sottile. La manta rimane impigliata nelle reti poste in superficie. Si parlò di manta, per la prima volta, negli anni cinquanta quando alcuni subacquei partirono da Ponza per un raid nel mar Rosso. Silverio Zecca,  maestro e precursore  della pesca subacquea, componente del gruppo, ne fiocinò una, la prima pescata con un fucile, di oltre cinque quintali di peso.

Pescenàle – cisterna   sm.  Serbatoio di acqua piovana destinata alla campagna.

Pésce nfanfere – pesce pilota  sm.  Ha l’abitudine di precedere pesci di grossa taglia come pescecani e mante.

Pésce pavone – pesce pavone s.m. Così chiamato per la sua coda sontuosa. I pescatori lo chiamano anche mangialici.

Pésce prèute – pesce prete s.m.  Uranoscopus scabre. Da noi si chiama anche  lucèrne ed è  comune nei nostri mari. Vive nel fango e nella sabbia. Si pesca, in genere, con le coffe. E’ uno dei componenti  della zuppa.

Pésce puorche  – pesce porco s.m. Oxynotus centrina. Ha il corpo tozzo con testa piccola la cui estremita, contenente la bocca, finisce come quella di un porco, da cui il nome. Il colore della pelle è sul marrone pesante. Vive nei mari delle nostre coste e spesso finisce  nelle reti. A Ponza è conosciuto dai pescatori perché lo hanno  pescato diverse volte.

Il pesce porco venne in auge quando divulgai la foto di un pesce dalla forma strana, stranissima, direi. La foto mi venne data da Giuseppe Bonlamperti, il fratello della notissima e cara amica signora Carmelina. Era una foto del nonno,  con un gruppo di giovani ponzesi, che risaliva agli anni trenta.

Questo signore, di nome Damiano, era un pescatore che giornalmente frequentava i mari di levante di Ponza e un giorno, nei pressi delle Formiche, trovò impigliato nella sua rete un pesce dalle forme strane. Un qualcosa che non aveva mai visto. Lo smagliò con attenzione e lo pose sulla prua coprendolo con un sacco. Al  rientro in  porto, come al solito, portò  il pescato nella pescheria ma  quel pesce lo tenne da parte per portarselo a casa per farlo vedere ai suoi familiari e al vicinato. Nel percorrere il tratto di strada Banchina Di Fazio- Via Scarpellini, dove abitava, era costretto a passare, sulla Punta Bianca, oggi Piazza Gaetano Vitiello, davanti allo studio fotografico di Biagio D’arco, attuale negozio di “Totonno, tutto per la pesca”.  Il fotografo lo notò e notò anche lo strano animale per cui gli chiese di fotografarlo. Si radunarono e parteciparono anche alcuni giovani che si trovavano occasionalmente nella zona, come risulta dalla foto.

Siamo negli anni 1930- 1934.

Il pesce ha, per la parte della testa, più o meno, le caratteristiche del pesce porco ma è totalmente differente nella parte  centrale  dove presenta due curiose pinne pettorali e  nella parte caudale dove  mostra  addirittura due zampe simili ai piedi palmati di un gabbiano o di un qualsiasi uccello acquatico.

Nessuno, fra la tanta gente interpellata a cui è stata mostrata la foto, ha saputo darmi spiegazioni.

E’ un grossopterigio?  Come potrebbe sembrare.

Se così fosse ci troveremmo davanti ad un caso di enorme interesse scientifico perché l’esemplare potrebbe essere un celacanto, creduto a lungo estinto. Nel 1939,  con grande meraviglia degli scienziati, un esemplare di celacanto fu pescato al largo delle coste sudafricane e venne chiamato latemerie dal nome di uno studioso che si interessò al caso.

Da allora anche altri esemplari sono stati pescati nelle acque profonde al largo delle isole Comore nell’oceano indiano. Se il pesce pescato dal Tagliamonte fosse, pertanto, un celacanto aprirebbe nuovi discorsi tecnici perché la sua pesca risale a diversi anni prima del 1939, anno dell’esemplare preso al largo del Sudafrica, e il luogo di pesca sono le acque delle Formiche, una secca ad un miglio ad est dell’isola di Ponza, nel pieno del mar Tirreno.

Pesce sciabbule – pesce sciabola s.m. Lepidopus caudatius.

Di forma piatta e allungata, di colore argenteo. Ha una dentatura agghiacciante. Frequenta i mari della Botte. Incomincia  a far parte dei piatti isolani in modo particolare sfilettato e poi a braciole.

Pésce sèrre – pesce serra s.m. Pomatomus saltatrix. Dalla particolare dentatura scaturisce il suo  nome.

Pésce spate- pesce spada. Xiphias glaidius. Pesca giovane per gli isolani. Ha meno di cinquanta anni. Venne introdotta negli anni sessanta del secolo scorso da alcuni siciliani. Il primo attrezzo da pesca furono le coffe, con una particolare armatura. Seguì la rete che portò vantaggi enormi. Da alcuni anni, per legge europea, è proibito pescare il pesce spada con la rete.

In questi ultimi  anni la pesca del pesce spada ha rappresentata la fonte di maggiore guadagno nell’attività pescatoria isolana.

Pésce vacche – pesce vacca s.m. Haxansus griseus, squaloide. Non è altro che il capopiatto.

Pésce vétre – pesce vetro s.m. Ho voltato pagine e pagine di libri ma non sono riuscito ad inquadrarlo. Pesce nuovo per Ponza. Si impiglia nelle reti da posta in superficie ed è molto fragile. La pelle si squarcia facilmente, da cui il  nome che i pescatori isolani gli hanno affibbiato.

Pésche – pesca, s.f. Attività, lavoro.

Peschère – peschiera  sf.  Vasca in muratura che i contadini usavano per squagliare il verderame. Ogni contadino teneva nel suo appezzamento di terreno la peschiera con vicino una piccola cisterna per la raccolta dell’acqua piovana.

Peschèrécce – peschereccio, s.m. Naviglio da pesca che usa la rete a strascico.

Pesiélle – pisello  sm.  Pianta e frutto

Pesone – pigione  sm.  Prezzo che si corrisponde al proprietario  della casa per l’alloggio.

Pestariélle – miscuglio  sm.  Mescolanza di olio, aglio, origano, peperoncino. In questa mistura veniva messo il pesce a macerare. A questo miscuglio veniva aggiunto l’aceto  che, con un  arbusto di menta, si cospargeva il pesce in fase di cottura alla brace.

Pésule – pronto  agg. Attento, sollecito, disposto, lesto a muoversi.

Petàcce – detrito  sf.   Pezzo di materiale solido che si è staccato dalla massa, frammento, frantume, frustolo, rottame, coccio, scheggia, scaglia, brandello.

Petàgne – galleggiante s.m. Boa con relativa corda a cui vengono legati gli attrezzi da pesca posti sul fondo.

Petecone –  ceppo  sm.  Tronco d’albero, fusto, pezzo di tronco su cui il macellaio taglia la carne.

Pète i puorche  – Piede di porco s.m. Paletto di ferro idoneo a schiodare o a far leva.

Pétene – patina   sf.  Patina, gromma, tartaro.

Petìne – erpete   sf.  Impetigene, eruzione cutanea purigginosa, dermatite.

Pe tramènte – frattanto  avv.  Nel mentre che.

Petrauozze –saltimpalo  sm.  Uccello migratore dei passeriformi.

Petrauozze munaciélle – stiaccino   sm.  Uccello migratore gemello del saltimpalo con  coloritura più vivace.

Petrose – ruvido  agg.  Scabroso, irregolare, rugoso, sconcio, sconveniente.

Petrusine – prezzemolo  sf.  Pianta erbacea aromatica ampiamente usata in cucina come condimento. Il suo nome scientifico è pretosinum sativun.

Pettàrèlle – pesciolino s.f.  Pesciolino che spilluzzica l’esca senza abboccare.

Pettàte – pendio s.f. Versante, scarpata, spalla.

Pettemùse – sofistico  agg. Schizzinoso, pedante, capzioso, cavilloso, cervellotico.

Pettenale – monte di venere  sm.  Pube, parte del corpo umano femminile posta al di sopra dell’organo genitale  che ha forma di una piccola gobba.

Pèttene – pettine  s.m. Conchiglie di varie specie: nucula nuclus, anafora corbuloides, glycymeris tinca. Tutte buone da mangiare.

Pettenésse – Tordo pavone s.f.  Crenilabrus tinca, dei lamellibranchi. Colorito vivace, vive in acque basse, scogliose e ricche di alghe. Si pesca con la rete e con la lenza. Discreto il sapore. Pettine ricurvo a denti larghi usato dalle donne per trattenere i capelli.

Pettenjà – gingillarsi  v. Perdere tempo in cose inutili, cercare minuzie o scuse.

.

Petterusse – pettirosso  sm.  Uccello migratore di piccole dimensioni con il petto color rosso ruggine. Qualcuno sverna anche sull’isola. Al mattino, prima del chiarore, è il primo uccello a cinguettare.

Pettramènte – nel mentre che  avv.  Frattanto, intanto,  nel frattempo.

Péttule – lembo  sf.  La parte estrema di un vestito. Listarelle simili ai tagliolini ricavati  dalla  sfoglia di pasta distesa con il mattarello.

Pezzale  – pezzale s.m. Parte della rete di una cianciola dove vengono confluiti i pesci che sono stati circuiti.

Pèzze – straccio  sf.  Strofinaccio, ritaglio, brandello, scampolo, toppa. Dollaro per i nostri emigranti che pensavano di rattoppare con quella moneta le nostre carenze.

Pezzecà – pizzicare  v.  Stringere la carne fra due dita, piluccare, spilluzzicare, di sostanza acre che dà sensazioni al palato di piccole punture, cogliere di sorpresa, far vibrare le corde di uno strumento; beccare.

Pezzecarole – tenaglia  sf.  Morsetta della trappola dove viene posta l’esca.

Pezzecate – canzonatura  sf.  Il prendere in giro in forma scherzosa  o comunque non pesante, battuta ironica. Presa di tabacco. Rione di Ponza. Beccata di un uccello.

Pezzechille – pizzicotto  sm. Lo stringere la carne altrui fra due dita, indice e pollice.

Pezzengrine – pettegola   sf.  Di persona che riporta chiacchiere e maldicenze.

Pezzentarìje – pezzenteria  sf.  Miseria, povertà,  bisogno, necessità, ristrettezza, indigenza. Nonostante questa nomenclatura che la dice lunga,  nacque il proverbio: Nun ce stà pezzentarìje sènze difiétte ( Anche fra i pezzenti ci sono i se e i ma).

Pezzogne –  Occhialone s.f. Pagellus centrodontus, famiglia degli spatidi. Vive a grosse profondità su fondo roccioso. Si pesca con il bolentino per l’intero anno. Una volta la pesca alla pezzogna si effettuava solo nei mesi primaverili e si pescavano grosse quantità. Oggi è la pesca preferita dai dilettanti che arrivano anche dal continente. L’unico professionista isolano che esercita questa attività è Paolo Cristo, sansone.  Luigi Ferrucci, alias maresciallo, ha pescato, con il suo equipaggio di quattro marinai, nelle acque di Gaeta, su una secca che per la prima volta venica calato un amo, in una sola giornata, dodici quintali  con esemplari che raggiungevano i  quattro e cinque chili di peso.

Penso di non sbagliare affermando che, nelle nostre acque,  la pezzogna è in fase di estinzione.

Pezzòtte – ritaglio s.m. Pezzo di legno usato per riparare  una spaccatura o una lesione. Pezzo di stoffa aggiuntivo per allargare o allungare un indumento.

Pezzulle – pezzetto  sm. Piccola parte di una cosa solida.

Piatuse  –  piatoso agg.  Lagnoso,  commiserevole, piagnulante

Pica marine – ghiandaia marina  sf.  Uccello migratore

Picce – pianto  sm.  Lamento, lagno, vagito.

Piccereniélle – piccolino  agg.  Piccinino.

Picche – picco avv. La voce picco ha diversi significati. A picco si sta quando la nave è perpendicolarmente sull’ancora o quando l’ancora è stata sospesa dal fondo. Questo modo avverbiale si usa anche per dire “colare a picco o andare a picco” in luogo di “a fondo”. Ripicco, puntiglio, ostinazione, caparbietà.

Piccià – piangere  v.  Gemere, lamentarsi, piagnuculare, frignare..

Piccione – piccione  sm.  Colombo

Picciuse –  lagnoso  agg.  Lamentoso, piagnuculoso.

Piciòcche – ragazzo  sm.  Bambino grazioso.

Piécure – montone  sm.  Il maschio della pecora;  agg. cornuto.

Il Nicolardi lo fotografa meravigliosamente: “ E guardatelo nfaccia: malinconico, /

Appecundruso; sempe; a quanno è nato. / Ll’uocchje piatuse pare ca chiagnesseno / pe nu dulore d’a mamma o d’u pate. ………… Ma è penzatore, o piecuro? O è n’artista? / Nisciuno o ssape. E i libbre nun ne parlano.  …..

Piéde- piede s.m. Misura inglese pari a cm. 30,47, usata internazionalmente per misurare l’immersione delle navi. Il piede di pollo è, invece, un nodo  particolare. Piede è la parte estrema della gamba.

Piénnule – grappolo  sm. Gruppo di pomodori, di uva,  di sorbe o di corbezzoli tenuti insieme da uno spago ed appeso.

Piérce – buco  sm.  Cocchiume, foro che si fa con un trapano al frontale di una botte per l’assaggio del vino.

Piérne – perno s.m.  Asse intorno al quale gira una ruota o unisce più pezzi o sostiene qualcosa. Fulcro, cardine, sostegno.

Piérzeche – pesco  sm.  Albero da frutta.

Piétte – petto  sm.  Seno, mammelle; scarpata, dirupo.

Piézze – pezzo  sm.  Una parte di  un qualcosa.

Piglià – pigliare  v.  Prendere, comprare, attecchire, catturare.

Pigliaépòrte – spione  sm.. Di persona che ascolta e  riferisce pettegolando.

Pigliancule – furbo  agg. Scaltro, astuto, furbo, disinvolto, tipo intraprendente.

Pignàte – pignatta  sf.  Pentola.

Pignatiélle – fattura  sm.  Stregoneria, raggiro, inganno.

Pignone – Pignone s.m. Parte posteriore del picco di carico che è inanellata all’albero.

Pignuole – pinolo  sm.  Frutto del pino;  agg. di persona precisa ed esigente.

Pile i séte – filo di seta s.m. Filo di nailon usato per fare lenze.

Pilià – cavillare  v.  Arzigogolare, sottilizzare, sofisticare, puntigliare.

Pilòte – pilota, s.m. Il pilota è una persona che dimora a terra e che ha la perfetta conoscenza della configurazione subacquea e di qualsiasi altra condizione meteomarina del posto in cui opera. Il pilota è autorizzato a dirigere le manovre di entrata e di uscita delle navi da quel porto.

Quando sale su una nave, il pilota ha il diritto di comandare qualsiasi e qualunque tipo di manovra senza, con ciò, diminuire la responsabilità del comandante per eventuali danni che avvengano mentre il pilota comanda la nave.

Pìmmece – comice     sf.  Insetto piatto di odore nauseabondo.  Puntina di metallo.

Pinnule – pillola  sm.  Pastiglia, medicamento a forma di pallottolina.

Pinte i rré – donzella s.m. Thalassima pavo, della famiglia dei labridi. E’ un pesce saporitissimo. La sua dolce morte è la frittura.

Piòneche – sfortuna  sf.  Sorte avversa, iella, disgrazia.

Piovàsche – piovasco, s.m. Con  piovasco si indica un forte colpo di vento con pioggia.

Pippe – pipa  sf.  Arnese di varia forma e materia che si riempie di tabacco da fumare.

Piràte – pirato, s.m. Il pirata è colui che corre i mari per commettere depredazioni e violenze contro le marinerie dei paesi costieri. Il pirata, a differenza del corsaro, agisce di propria iniziativa, in qualsiasi tempo, contro navi battenti qualsiasi bandiera, per far bottino a suo esclusivo vantaggio.

Pirchiàcche – vulva  sf.  Vagina, organo della donna.

Pirchiacchiélle – porcellana  sm.  Erba che si usa mangiare all’insalata. Nella casa di Leone a Palmarola, Elisa, la padrona,  prepara delle insalate  da far venire ora l’acquolina in bocca. E’ necessario ricordare che mangiare aragosta non significa mangiare bene e saporito. L’aneddoto calza:  Un giorno, il marinaio Silverio Mazzella, si presenta con una valigia , tenuta chiusa da una cordicella, nell’Ufficio marittimo   di Olbia chiedendo di essere sbarcato dal motoveliero Maria Assunta dove si era imbarcato, a Ponza, quattro mesi prima. Alla domanda del Comandante del porto  se era stato soddisfatto della paga  che avevano stabilita, il Mazzella risponde di essere stato soddisfatto in tutto e per tutto e che non esistevano motivi   di contrasto con l’armatore,  il capitano e l’equipaggio e né problemi nella sua famiglia. Al che il Comandante della capitaneria, più incredulo che sbalordito, ma indispettito, gli chiese: ma allora perché sbarchi? Si sentì rispondere: “Perché a bordo si mangia, tutti i giorni, mattina e sera, aragosta”.

Pirchiarìje – avarizia  sf.  Tirchieria, grettezza.

Pirchje –spilorcio, gretto  agg. avaro, tirchio, tirato.

Pìrete – peto  sm.  Scorreggia rumorosa  per una folata che esce dagli intestini.

Piròghe – piroga, s.f. La piroga è una imbarcazione ottenuta da un tronco d’albero scavato. Viene spinta con pagaie. E’ la prima imbarcazione creata dall’uomo ed è la prima imbarcazione che ha solcato i mari ponziani.

Piscià – pisciare  v. orinare

Pisciasotte –  timido  agg.  Pauroso, fiacco, debole, vile, che se la fa sotto.

Pisciatùre – orinale  sm.  Vaso da notte

Pisciavìnnule – pescivendolo s.m. Chi esercita il commercio ittico.

Pisciàzze – orina  sf.  Liquido secreto dai reni che si  raccoglie nella vescica e poi la si emette.

Pìseme – onere  sm.  Peso morale, gravezza,  angoscia.

Piste-piste – lieve lieve  avv. Dolcemente, lentamente.

Pittà – pittare, v. Pitturare, verniciare.

Pitte – piccolo  agg.  Di persona di bassa statura o di piccola età. Di cosa di poco volume o di poca estensione.

Pitteme – zecca  agg.  Esigente, noioso, pretenzioso, malefico.

Pizze – posto  sm.  Cantuccio, angolo, luogo riparato, cima, vertice; becco degli uccelli; punta dello “strùmmele”.

Pizzecafurmicule – formichiere  sm.  Torcicollo, uccello dei passeriformi, accanito cacciatore di formiche.

Pìzzeche – pizzicotto  sm. Una piccola quantità, un tantino.

Pizzenviérne – Pigliamosche  sm.  Uccello migratore.

Pizzepàpere – becco di papera  sm.  Brocca di ceramica o terracotta con manico e becco .

Plance – plancia, s.f. E’ il ponte di comando di una qualsiasi nave. Oltre alla timoneria vera e propria fanno parte della plancia la sala radio, il locale per il carteggio e, su tante navi, anche l’alloggio del comandante.

Poèsse – può essere  avv.  Forse, casomai, eventualmente, magari, probabilmente.

Pognere – pungere   v.  Bucare, punzecchiare, molestare, infastidire, pungolare, stimolare; mungere.

Pollece – pulce  sm.  Insettio parassita dell’uomo e di alcuni animali.

Pollece i mare – pulce di mare s.m.  Talitro

Polverizzatore – polverizzatore s.m. Apparecchio che serve per immettere nella camera di scoppio o nella caldaia combustibile polverizzato in modo che possa bruciare immediatamente.

Pommece – pomice  sf.  Pietra vulcanica porosa, leggera, usata per levigare il marmo,  i metalli, il legno.

Pompa – pompa s.f.  Attrezzo, di forma e contenuto diversi,  presente su ogni tipo di imbarcazione.

Pònte – ponte s.m. Piano orizzontale che si estende per tutta la lunghezza della nave, dividendone  l’interno. Si chiama ponte di coperta quello superiore.

Pònte – ponteggio s.m. Impalcatura. Struttura in legno destinata a sostenere i marinai che si dedicano ad un lavoro lungo le murate esterne o gli operai edili che lavorano sulle pareti esterne di un edificio.

Ponte – punta s.f. Capo, prominenza della terra sul mare: a ponte a Uardje, a ponte u Ffiéne, a ponte i Capejanche, a ponte u Nciénze, a ponte i Tramuntane, a ponte i Mezejuorne.

Poppavje – poppavia s.f.  Usato per definire qualunque cosa  che, rispetto ad un’altra, si trova dalla parte della poppa.

Poppe – poppa s.f.   Parte posteriore dell’imbarcazione che può essere di forma quadrata o rotonda.

Pòrche –  scrofa  sf.  Femmina del maiale.

Porpe – polpa  sf.  La parte carnosa di un animale, carne senza osso.

Pòrtapullaste – spia  sm.  Delatore, spione, ruffiano.

Pòrtòlane – portolano s.m. Libro, edito dall’Istituto Idrografico, che contiene la descrizione dei porti e tutte le notizie utili per il navigante.

Porvere – polvere  sf.  Terriccio arido e finissimo sollevato dal vento, pulviscolo. Capacità, abilità.

Pòseme –  residuo  sf.  Fondo del caffè, residuo dei liquidi, avanzo, rimasuglio, resto.

Pòste – posta  sf.  Lettera, messaggio.

Poste pe dà funne – posto di dar fondo loc. Il punto dove deve ancorarsi una nave su ordine dell’Ufficio marittimo.

Poste d’incéndje – posto d’incendio s.m. L’assegnazione fissa, per ogni membro dell’equipaggio, del luogo dove deve operare per  lo spegnimento di un eventuale incendio.

Poste i lavàgge – posto di lavaggio s.m. L’assegnazione per ogni marinaio della zona  dove deve avvenire il lavaggio dei ponti.

Poste i manovre – posto di manovra s.m. L’assegnazione fissa per ogni membro dell’equipaggio per le varie operazioni che si devono compiere per l’ormeggio e il disormeggio della nave.

Pote – potatura  sf.  Il potare, il modo e il tempo.

Pozze – gioco  sf.  Tipo di gioco, con palle di ferro, simile al golf.

Pòzzeche – escara  sf.  Incrostazione sulla ferita, lattime.

Ppuze – polso  sm. Potenza, gagliardia, vigore fisico.

Praje – pagro s.m.  Pagru spagrus, del gruppo degli sparidi. Ha forma simile al dentice e all’orata, di colore argenteo. Vive su fondali rocciosi. Abbocca facilmente all’amo ma finisce anche nelle reti. E’ pesce di prim’ordine.

Prane – onda  sm.  Effervescenza  del mare sui bassofondi.

Pràteche – pratica s.f. Con tale termine si definisce l’operazione obbligatoria che ogni nave deve fare portando i registri di bordo nell’Ufficio marittimo per l’apposizione del visto con il quale le si concede la possibilità di comunicazione con la terra ferma. Con questo termine al maschile, u pràteche, si indica  il pratico locale, persona designata alle funzioni di pilota.

Pràtteche – pratica  sf.  Praticità, capacità, competenza, apprendistato, tirocinio.

Prementine – inclinazione  sf.  Discesa del fondo mrino.

Premère – primiera  sf.  Gioco con le carte.

Prèmetrécce – premitrecce s.m. Arnese che serve a rendere stagno il passaggio dell’acqua.

Premmùte – premuto  agg.  Pressato, calcato, pigiato, schiacciato.

Prène – incinta   agg.  Di donna che sta per avere un figlio, gravida.

Prése d’acque – presa d’acqua s.f. Prendono questo nome quei punti, a bordo o sulle banchine, dove è possibile attingere acqua sia dolce che salata.

Presiénte – omaggio  sm.  Regalo, dono; mortificazione.

Prèsse – fretta  sf.  Premura, urgenza.

Prèstantine – prestantino s.m.  Nelle navi in legno si dà questo nome  alle due estremità, poppiera e prodiera, del paramezzale che tendono a rialzarsi per seguire poi la forma interna del dritto di poppa e della ruota di prua.

Presùtte – prosciutto  sm.  Coscia di maiale salata perché si conservi.

Prète – pietra  sf.  Sasso

Pretecàgle – detrito  sm.  Pietrame

Pretènnere – pretendere  v.  Volere, esigere, chiedere come prezzo, vantarsi.

Prèule  – pergolato   sf.  Graticolato a foggia  di volta  su cui si manda una vite o altra pianta rampicante.

Prèute – prete  sm.  Sacerdote cattolico.

Prevetariélle – chierico  sm. Seminarista.

Previsione – previsione s.f.  Pronostico, preventivo  delle condizioni metereologiche. E’ difficile accertare il sicuro perché è difficile, nonostante i mezzi tecnici a disposizione, dare in tempo rapido il preavviso di una perturbazione atmosferica.

Prià – pregare  v.  Implorare, invocare, intercedere, supplicare, chiedere, raccomndare.

Priàte- lieto  agg.  Contento, felice, soddisfatto. Una parola in declino sia per la decadenza della parlata dialettale e sia, soprattutto, perché è meno frequente, con i valori della vita moderna, incontrare, vedere, sentire uno che è priate.

Priatòrje – purgatorio   sm. Di persona  implorante.

Priémmete – salmonellosi  sm.  Malattia infettiva prodotta dalla salmonella.

Priéste – presto  avv.  Subito, immediatamente, senza  perdere tempo.

Priéstete – prestito  sm.  Mutuo, comodato.

Priézze – letizia  sf.  Per colpa dei tempi che viviamo, “priézze” è un termine passato nel dimenticatoio perché contempla gioia, contentezza,  allegrezza, allegria,  godimento, piacere , giocondità, ilarità, gaudio, giubilo, esultazione, esultanza, tripudio, soddisfazione. E con la vita che meniamo dove si trova più  la gente con questi attributi. La priézze è un qualcosa che sta dentro, nell’animo, nel cuore, e che si riesce ad esternare più con lo sguardo  che  con fredde e aride parole. La priézze è più della gioia ma non è allegria perché l’allegria è rumorosa; forse è più allegrezza in quanto è un sentimento. Stare allegro è allegria;  essere allegro è allegrezza. La priézze è un insieme di circostanze che gratificano, che appagano, che premiano, che soddisfano. La priézze esprime sia il piacere dell’animo che quello dei sensi.

Primme i mò – prima di ora  avv. Immediatamente, subito, senza esitazione.

Pròjere – porgere   v.  Consegnare, dare, offrire, passare, allungare.

Pròpete – proprio  agg. Di cosa che appartiene a qualcuno  ed è solamente sua.

Prore – Prora s.f.  Estremità anteriore della nave, a forma di cuneo chiamata anche prua.

Prorere – prudere   v.  Cagionare prurito, pizzicare.

Pruciésse – processo  sm. Procedimento penale, dibattimento, lungo discorso.

Prumésse – promessa  sf,  Impegno, assicurazione, parola, lusinga, voto.

Prusùtte – prosciutto  sm.  Coscia di maiale salata.

Prùteche – cascellora  sf.  Pianta della macchia mediterranea. Le foglie secche venivano usate come tabacco.

Prutése – prodese. s.m. Cima che si stende da prua per il tonneggio della nave.

Pùcchere – poker  sm.  Gioco con carte americane.

Pùche – pula  sf.  Involucro che racchiude gli acini di grano o di altri cereali, loppa, lolla. Ingresso della nassa.

Pùchicche – ballerina  sf.  Uccello migratore di  diverse specie che si notano dal colore delle penne.

Pucundrje –  ipocondria  sf.  Malattia nervosa che dà tristezza e allucinazioni.

Pucundruse – triste  agg. Di persona malinconica.

Pucune – piume  sm.  Le prime piume che mettono gli uccelli, peli ispidi e irsuti, setole.

Pucuriélle – agnello  sm. Animale figlio della pecora.

Pucurìlle – poco  agg.  Di poca quantità, in piccola parte.

Puggià – poggiare, v. Cambiare rotta. In genere si puggia allontanando la prua della nave dalla direzione del vento in modo da riceverlo in una posizione più favorevole.

Si puggia anche quando una richiesta non viene accettata.

Puggiate – poggiata, s.f. E’ la posizione di una nave che, interrotta la navigazione, si ferma in una rada o baia per evitare i danni di un cattivo tempo.

Pugnètte – masturbazione  sf.  Pratica erotica  tendente a provocare l’orgasmo.

Pugneture –  puntura  sf.  trafittura,  iniezione, mungitura.

Pugniénte – pungitopo  sm.  Pianta della macchia mediterranea.

Pulégge – puleggia s.f.  Rotella che si trova nei bozzelli o nelle pastecche o in qualsiasi carrucola. Sono di legno durissimo e sono scanalate per un ottimo alloggiamento della cima.

Puléne – polena, s.f. Decorazione di forma umana che ornava la prua dei velieri.

Pulezzà – pulire  v.  Nettare una cosa da ciò che la rende sudicia,  detergere, digrassare, lavare, mondare, disinfettare, spazzare, spolverare.

Pulicane – mostro  sm.  Spauracchio, di persona inesistente che doveva colpire la fantasia dei bambini pr non farli andare oltre.

Pullanchèlle – pollastrina   sf.  Ragazzotta appetitosa.

Pullàste – pollastro  sm. Di persona inetta e inefficiente.

Pullecìne – pulcino   sm.  Di persona timida e impacciata o inzuppata.

Pummadore – pomodoro s.f. Actinia equina. E’ un mollusco, di colore rosso e simile ad un pomodoro, attaccato agli scogli con una ventosa.  Pianta delle solanacee il cui frutto, tondeggiante e carnoso, si mangia crudo e cotto

Le piante di pomodoro, in genere, superato agosto seccano. Ma se per caso, a settembre,  ricevono una sostanziosa pioggia si ripigliano, si rivitalizzano, si rianimano, si rinvigoriscono e riprendono la vita con il cacciare nuovamente prima i fiori e successivamente i frutti. Producono fino a gennaio. Questo, per quanto mi riguarda, succede a Palmarola dove Leone, il curatore, non estirpa le piante a settembre. A novembre, quando mi trasferisco a Palmarola,  trovo le piante ricche di nuovi frutti. Quelli che si sono “ncerate”, ingiallite, quasi mature, li colgo per mangiarle e con essi colgo  anche quelli verdi, quelli totalmente acerbi  e duri. Questi, dopo averli lavate,  li taglio  a fette consistenti e li metto in una bacinella con una imponente aspersione di sale dove rimangono per ventiquattro ore. Poi li  metto sotto peso per farli scaricare di tutto il liquido che contengono. Faccio bollire un quantitativo pari di aceto e acqua  che catapulto sui pomodori  dove rimangono per altre ventiquattro ore. Li tolgo dall’aceto e li faccio asciugare. Quando si sono bene asciuttati li metto nei barattoli cospargendoli di peperoncino ed aglio che precedentemente avevo tritato e mischiato. A barattolo pieno, non fino all’orlo, verso l’olio senza chiudere il coperchio. Di tanto in tanto con uno spiedino contribuisco alla fuoriuscita dell’aria. Quando sono certo che l’aria è uscita tappo i barattoli e dopo un mese li offro ai miei commensali.  Sono favolosi.

Punènte – ponente s.m. La direzione del punto cardinale ovest. Occidente.

Vento che spira da questa direzione. Forma, con il vento proveniente da sud, il ponente e libeccio-OSO, e con quello proveniente da nord il ponente e maestro- ONO.  Polenta, intriso di farina di granturco, molto denso, cotto nel paiuolo.

Punésse – pintina  sf.  Puntina da disegno.

Pùnghele – puntale  sm. Ghiera, gorbia, ficcanaso, pettegolo, diffusore di notizie raccolte e spesso non vere, persona indiscreta.

Puntale – puntale s.m. Pezzo di legno che corre, lungo i fianchi, da poppa a prua, di un bastimento. Su di essi poggiano le estremità dei bagli che si incastrano poi nel trincarino, puntello, trave, appoggio, sostegno.

Punte – punto s.m. Posizione della nave in navigazione. Entità che non ha  dimensioni, segno ortogrfico che si mette alla fine di un periodo.

Puntegliuse –  caparbio  agg. Ostinato, capriccioso.

Puntile – pontile s.m. Opera in muratura, ferro o legno, costruita per l’attracco dei natanti.

Puntille – pontello s.m. Sostegno, appoggio, trave.

Puntone – pontone s.m. Grosso e consistente galleggiante, con prua e poppa quadre, usato, nei porti, per il trasporto di qualsiasi tipo di merce.

Punzese – ponziano  agg. Isolano per nascita e identità d’origine.  Quì è d’obbligo qualche precisazione perché, da un po’ di tempo a questa parte circola, e qualche volta con insistenza, il termine pontino per individuare l’abitante dell’isola e la stessa isola o, meglio, l’intero gruppo che forma l’arcipelago ponziano. Esso è formato da sei  isole:  Ponza, Palmarola, Zannone, Gavi, Ventotene e Santo Stefano. Sono divise in due comuni: Ponza e Ventetene. Al comune di Ponza sono aggregate Palmarola, Zannone e Gavi mentre a quello di Ventotene è aggregata Santo Stefano. Gli abitanti del comune di Ponza sono ponziani o ponzesi, quelli che abitano a Ventotene sono ventotenesi. Ciò non toglie che il gruppo completo delle isole forma l’arcipelago ponziano. Non ci sono dubbi, se non quelli dettati dall’invidia. Il livore di questo ignobile sentimento li porta a preferire il termine pontino per l’abitante e isole pontine per l’arcipelago. Siamo alla pazzia! E nessuno se l’abbia a male se affermo che in questo calamaio, contenente inchiostro ignorante hanno inzuppato la penna anche figure istituzionali. La APT di Latina  afferma che  “……….Le ragioni che hanno militato fin quì in favore della denominazione Isole Pontine a preferenza di Ponziane sta nel fatto che quest’ultima denominazione sembrava fortemente caratterizzata per Ponza e lasciava apparentemente in ombra Ventotene”. Siamo alla pazzia vera, quella  da manicomio! Mio fratello è più bello di me per cui e più noto ed  allora io,   per non dimostrare di essere il fratello fesso, cambio nome.

A questo arcipelago, sin dalla antichità, per qualificarlo, è stato aggiunto l’aggettivo ponziano, dal nome dell’isola più grande. Basterebbe dare una occhiata  agli scrittori classici latini.

Ponza  e le altre isole dell’arcipelago  non hanno niente da  vedere, non hanno nulla in comune, non hanno niente da spàrtere con la parola pontino. “Pontino è un aggettivo (dal latino Pompitinus o Pontinus ) relativo o appartenente  a una zona del Lazio meridionale che si estende dai Monti Lepini al Tirreno  e dai rilievi dei colli Albani a Terracina che va sotto il nome di: Regione pontina, Agro pontino, Paludi pontine”. Questo è quanto riporta il Vocabolario della lingua italiana edito dalla Treccani. Nel Dizionario enciclopedico e nella stessa Enciclopedia, della medesima casa editrice, alla voce pontino si legge: “Nome che si ritiene derivato dalla scomparsa città di Pomezia con cui è stata già anticamente designata una zona del Lazio: Regione Pontina, Agro pontino, Paludi pontine”.

La regione pontina  è l’Ager pontinus degli antichi, già occupata in buona parte da paludi, ora interamente bonificata.  Nel 1778, l’ing. Gaetano Rappini  fece omaggio di una “Relazione e voto” alla Santità di N.S. Papa Pio VI,  Sopra il Disseccamento delle  Paludi Pontine.  Uno studio completo di mappe e pianta  della Regione pontina..

Le isole ponziane non hanno niente in comune con il Lazio e mi meraviglio di chi la pensa diversamente.. Queste isole furono strappate, sì, c’è state u scippe, dalla Campania e inserite nel Lazio quando Mussolini, nel 1934, fondò la città di Littoria, facendola diventare provincia. Per arricchirla di comuni  scipparono la parte nord della Campania, tra cui Formia, Gaeta,  i paesi limitrofi e una parte delle  isole partenopee, come una volta si usava  definire anche  le isole ponziane.

Nel 1542 il papa Paolo III  diede in regalo  le isole  al nipote cardinale  Alessandro Farnese per farle proteggere dalle incursioni piratesche.  Il cardinale, a sua volta, sempre con lo stesso intento del papa, le concesse al padre, Pier Luigi Farnese, duca di Parma   e Piacenza “con reale possesso del Monastero di Santa Maria di Ponza, con la stessa Ponza, Palmarola, Zannone, S. Martini, Ventotene, S. Stefano , ed ogni altra isola adiacente, diritti e pertinenze”. Fra le cose pattuite si stabilì che le isole, oltre ad essere difese  per scongiurare i continui sbarchi e predazioni da parte dei saraceni che le usavano come nascondigli per assaltare le coste continentali, passassero di proprietà ai suoi eredi di linea mascolina. Le isole passarono di proprietà ai vari discendenti maschi di Pier Luigi Farnese fino a giungere ad Elisabetta, ultima discendente di questa stirpe, che sopravvisse al fratello Eduardo. Elisabetta sposò, nel 1715, Filippo V di Borbone, re di Spagna, da cui ebbe due figli Carlo e Filippo. Elisabetta portò in dote, oltre al ducato di Castro, Parma e Piacenza, anche le isole ponziane. Ciò sollevò le ira della Chiesa che voleva rientrarne in possesso perché l’enfiteusi concessa ai Farnese imponeva il passaggio della proprietà solo agli eredi “discendenti per via mascolina” A questa controversia presero parte diversi stati europei che, con il Trattato di Vienna del 1735, lasciarono le isole nelle mani di Elisabetta che, a sua volta, le donò, con altri cespiti personali, a suo figlio Carlo quando, nel 1731,  divenne re di Napoli. L’arcipelago faceva parte del patrimonio privato del re. Nel 1734 Carlo III di Borbone, re di Napoli, inviò a Ponza un gruppo di famiglie ischitane per premiarle  per come avevano solennemente festeggiato il genetliaco della mamma.

Gli scrittori latini scrivevano “insulae Pontiae” per rappresentare  tutto il gruppo di isole  che una parte si trovava, a nord  e l’altra a sud del golfo di Gaeta.  Essi si accaparrarono una precedente denominazione greca. I greci sono stati a Ponza, lasciando orme del loro passaggio, molto prima dei romani. Le isole erano sulla rotta delle loro navi commerciali. La posizione strategica di Ponza nel centro del Tirreno era molto importante per le navi greche che potevano rifugiarsi durante i temporali o potevano rifornirsi di acqua o altro.

Alle isole i greci non potettero non dare un nome e le chiamarono Pente Nesoi là dove Pente equivaleva a cinque e Nesoi a isole. I successivi invasori, Volsci, Olsci  e poi i Romani, modificarono il nome che da Pente passò a Pontia, cioè Ponza. Ventotene in quella circostanza fu chiamata Pandataria dal genitivo di Pentas- Pentatos più il suffisso aria, come sostiene il  Castricino  nel suo “ Toponomastica  greca delle isole ponziane e delle paludi pontine”.

Se non ci fosse stato, nella storia d’Italia, il periodo fascista. Ponza sarebbe ancora un comune della provincia di Caserta e pontino dove e a chi lo avrebbero “accucchiate”?

Puoje – poggio  sm.  La parte interna della “caténe”, quella sottoposta la parracina che contiene il terreno soprastante. La parte esterna della catena  si chiama mèrne.

Pùorche – porco   sm.  Maiale, appartenente ai suini; agg. di persona sudicia materialmente e moralmente.

Chi ha conosciuto Amedeo, un personaggio di altissimo livello,  pioniere del turismo isolano e creatore del ristorante Aragosta, non può alla parola puorche non ricollegarsi ad un suo aneddoto.

La seconda guerra mondiale era  finita da poco tempo  e i ponzesi emigrati in America, USA, ripresero la via del ritorno per rivedere e  salutare le famiglie che avevano lasciate da tanti anni.  E in uno di questi viaggi, con altri ponziani, tornò in Italia, tornò a Ponza, anche Federico un ventottenne che il padre si era portato in America poco  prima che venisse chiamato al servizio di leva. Otto anni in America, otto anni di lavoro. Lì non si pensava ad altro ed i ponzesi non hanno mai pensato ad altro. Federico arrivò a Ponza di sera, quando l’isola era già avvolta nel buio della notte.  Al molo, a riceverlo, c’erano le due sorelle con i rispettivi mariti ed un nipotino, figlio della sorella primogenita. Lo accolsero con grandi preparativi. Stette in casa due giorni, senza mai uscire aggiornandosi su tutto quello che lui ricordava di Ponza, compreso i suoi amici tra cui annoverò Amedeo. Gli dissero che Amedeo faceva il barbiere ed aveva la bottega in piazza. Il giorno dopo, agghindato in modo pacchianesco,  scese in piazza, la famiglia abitava su Gli Scotti, e si diresse  verso il salone di Amedeo come gli avevano dato indicazioni le sorelle.  Passò e ripassò diverse  volte davanti alla barbieria per rendersi certo della presenza del suo vecchio amico. Quando fu certo, in uno di quei passaggi, si fermò sulla soglia dell’ingresso mentre Amedeo gli dava le spalle perché lavorava, e a voce alta disse: “ Amedè,  Io nce manghe a tant’anne é vògle vedé si t’arricuorde i mé, si te si scurdate di mègle amìce”?

Ad Amedeo il timbro e la cadenza della voce non  sembrarono nuovi. Capì che era qualche emigrante.  Senza girarsi gli chiese: “Tu m’è dìcere a dò viène é addò  sta i case a famìglje toje”.   “Vènghe d’America, Amedè, e a casa mìje stà ncoppe i scuotte. Tènghe na mamme e doje sòre  e pàteme sta a meriche, vène pe Natale nzieme a zì Francische”. Amedeo inquadrò subito il personaggio e, senza voltarsi, continuando a radere il viso del cliente, gli disse: “ Tu si chell’u piézze i mmèrde i Federiche”. Nel girarsi si  trovò davanti a un uomo incravattato, come se dovesse andare ad un prima cinematografica, con le braccia aperte, pronto  per abbracciarlo. Il saluto fu caldo e affettuoso. Parlarono per quasi un’ora ricordandosi il periodo trascorso insieme tra cui il tempo che pescarono con la barca di Fabrizio. Si salutarono da buoni amici con l’impegno da parte di Federico che si sarebbero rivisti il giorno dopo. Amedeo, prima che Federico lasciasse la sua bottega gli disse:    “ t’arraccumande, domani quando scendi non te méttere sta cravatte che tiéne nganne. Questo tipo di cravatta  in Italia lo portano solo i recchiune”.

Del rientro di Federico dall’America, Amedeo, come si presentava l’occasione, ne parlava con tutti quelli della loro età riaccendendo fatti di cui erano stati attori e protagonisti e  tutti concordavano che alla base di questa venuta c’era sicuramente la voglia, meglio sarebbe dire, la necessità  di un matrimonio. E ancor di più  sarebbe più giusto affermare  che la volontà di farlo accasare era più decisa nei genitori  e nei familiari perché lo ritenevano nell’età giusta, aveva un buon gruzzolo da parte e aveva soprattutto la possibilità ed anche la volontà di un ritorno nelle terre americane per andare a lavorare. E gli amici incominciarono subito a sollevare nciuce su questa o quella ragazza. Tutti concordavano, però, che sarebbe spettata  alla sorella maggiore, con quel caratterino che si trascinava, a dare e a dire la parola finale. Fu proprio questo l’argomento di maggiore interesse di quel gruppo di persone che si era formato intorno e attorno a Federico. Era diventato un bersaglio continuo. Ognuno aveva pronto, ogni giorno, un nome nuovo da sottoporre all’attenzione di Federico che veniva a trovarsi sempre, per i continui attacchi, con le spalle al muro, nonostante che in famiglia lo avessero addottorato sulla materia.  E fu proprio una eventuale concorrente a spingere, un mattino,  la sorella a dirgli di passare e di fermarsi, quando sarebbe sceso, per la casa di Peppe u lanternare dove si sarebbe ucciso il maiale e che, fra la tanta gente che partecipava, ci sarebbero state pure due belle ragazze, due cugine, di cui una era la figlia di Peppe. Pensò bene, Federico, di mettersi un abito nuovo di colore grigio, un proncipe di Galles, a quadratini piccoli, e sulla camicia bianca una cravatta di colore rosso con tanti disegni  come se fosse stata tratteggiata  da Kandisky. Voleva colpire e la sorella lo consigliò come comportarsi, raccomandandogli, soptattutto, anche di stare lontano dalla bestia da uccidere per evitare di sporcarsi.

Davanti al piccolo cancelletto di legno che immetteva nel cortile di quella casa, già pieno di gente vociante, si fermò Federico e, a voce alta, chiese il permesso di entrare. Fu la padrona di casa che nell’ aprirgli il cancelletto per  farlo entrare, gli chiese: “Ma tu si u figle i Giuvannina ca sì venute d’Amèreche a poche juorne e ca sì venute a Ponza pe te nzurà”?  Sì!, songh’je, me chiamme Federico e si a trove na bèlle uaglione ca fa pe mé, m’a spose”.

“Bravo”! gli disse la signora, “Sto facènne u cafè, t’a pigle na tazze pure tu”?

Federico accondiscese e, quasi seguendo la signora che prese la porta della cucina, si avvicinò al luogo dove era stata sistemata un pentolone di rame,  da far spavento per la sua capacità, pieno d’acqua già in ebollizione e dove stavano le due ragazze con il compito di infilare legna  sotto il massiccio treppiede che  sosteneva la caldaia. Federico fece subito  “sciàcchènze”, conoscenza, presentazione e rimase a parlare con loro, sotto lo sguardo investigativo della padrona di casa, sempre tenendosi lontano dagli schizzi, a cui pensavano anche le due signorinelle. L’impatto con il genere femminile isolano fu soddisfacente.

Stando attento vide, come in un film, la sequenza di tutte le operazioni che portarono il maiale, che camminava, anche se trascinato, con le sue gambe, dal porcile  fino alla selezionatura della bestia in quattro parti che vennero appese nella cantina dove già erano stati approntati i ganci. In tutto questo trambusto si rivide ragazzino ricordandosi di un simile episodio che avvenne nel cortile della casa di sua nonna paterna. E subito gli saltò alla mente quel periodo di alcuni mesi che aveva lavorato, sempre a New Jork, in una azienda che forniva di carne le macellerie. Più che la morte diversa, lo sbigottì il modo di uccidere e la sporcizia che si creava e accatastava, da noi,  nel luogo dove il maiale veniva ucciso.  L’espressione bella, giovanile, simpatica delle due cuginette non gli permise, se mettéve scuorne, di fare commenti negativi. Fremeva, però, perché voleva correre da Amedeo per rinfacciargli quello di cui era stato involontario tetimone e la differenza esistente su come lo stesso omicidio fosse stato consumato a New Jork.

Dopo aver mangiato una zeppola inzuppata nel vino cotto e tracannato un bicchiere di spumante isolana, un rito in uso per queste manifestazioni, salutò tutti, avendo avuto uno sguardo particolare per le due ragazze, fece di corsa la discesa, sembrava Alberto Tomba in uno dei suoi leggendari slalom, per arrivare subito da Amadeo per rinfacciargli il senso di ripugnanza suscitatogli dalle operazioni per la uccisione di un maiale. Ed infatti, era talmente lanciato, che non permise ad Amedeo di rimproverarlo per il ritardo con cui si era presentato.  Attaccò subito: “Amèdé, je nce manche a Ponza a tant’anne é vuje site rimaste tale é quale a quann’je ère uaglione.  Nun aite fatte nisciune prugrèsse. Sò state doje ore, chiste è u mutive ca songhe venute tarde, a vedé comme s’accide nu puorche. Amèdé, mèrde e munnézze e acqua sporca tuorne –tuorne é niente facévene chille cade d’acqua c’a padrone menave pe tèrre continuamente. A munnézze aumentave e nun sparéve. Curréve pure a mmiéze a vìje. Amèdé, a Mèreche, é je nc’agge faticate, pìglene u puorche,  é u ttàcchene ncòppe a nu carrèlle ca stà già  ncòòpe a duje binàrje. Pùscene nu buttone e u carrèlle trave dint’a nu tunnèl. Llà u puorche vène accise, a carne tagliàte a piézze a piézze comm’a vonne i macellàje. Po se pùsce n’ate nuttone e u puorche, tutte quanne, èsce a chéll’ate pòrte e pe tèrre nun se véde manche nu file i capille. Vuje site comm’è chille ca stanne dint’o fureste d’u Brasile. State arrète cient’anne”.

“E’ fennute, chiese Amedeo e alla risposta affermativa di Federico prese a parlare: “Caro Federico tu hai ragione di lamentarti, questo però dipende dalla poverta degli isolani che non hanno la possibilità economica di aggiornarsi comprando le nuove tecniche che la scienza italiana mette sul mercato.

Tre anni fa, ed io ho il giornale stipato, alla Fiera di Milano, ne, Federì, tu sai che gghiè a Fiera i Milano? A Fiera di Milano è una mostra che piglia nu quadrato di terra comm’a ccà a Zannone e tutti  gli inventori portano le loro macchine per farle vedere e vendere. Te steve dicènne ca tré anne fà, alla Fiera di Milano portarono una macchina comm’è chélle ca vuje tenìte  a New Jork ma cu tante diffèrènze. Pure a macchina italiana caricava il maiale sul carrello e, come tu dici: puscianne nu buttone, u carrèlle trase int’a nu ruttone addo u puorche vène accise, squartate e pulezzate. Ma la macchina nostra, caro Federico non si limita solo a questo. All’interno di questa grotta si fanno le salsicce, i salami, i prosciutti con le quattro zampe. Federì, con le setole si fanno finanche i pennelli da barba. E tutto questo, caro Federico non è niente. Tutto il maiale, nelle sue varie componenti, compreso i piedi , spellati e lavati, è ammucchiato sul carrello pronto a prendere la strada dell’uscita obbligatoria ma lì, impalato, c’è l’assaggiatore, ed è questa l’immensa e imparagonabile differenza esistente  tra la macchina italiana e quella americana, il quale assaggiatore è tenuto ad esaminare pezzo per pezzo i prodotti del maiale e se per caso una salsiccia, un salame, un prosciuto risultasse troppo o poco salato, con troppo o poco peperoncino, come un pennello  con qualche pelo non rigido, abbattuto su un fianco, allora l’assaggiatore, sempre caro Federico, preme, anzi, come dici tu, pùsce nu buttine gialle, ca sta mise apposte, e u puorche si ricompone,  Tu avisse vedé i piézze che s’accocchjne l’uno con l’altro tanto da far ritornare vivo il maile anche  per l’ossigeno che gli somministrano da una  bombola che fa parte del congegno, e fa fare retormarcia al carrello cosi che il maiale esce vivo dalla porta di ingresso, lo prendono e lo riportano nel porcile per ammazzarlo l’anno dopo.

Federì, famme dìcere na còse belle:  te ne vaje a fa ncule tu e a Mereche cu sti cazze i puttanate”!

Puorre – porro  sm.  Escrescenza carnosa; pianta erbacea commestibile.

Puorte – porto s.m. Ricovero lungo la costa dove le navi si possono rifugiare per svolgere operazioni commerciali o per ripararsi da un temporale.

Puose – riposo   sm.  Luogo di riposo, sosta.

Puoste – posto  Sm.  Luogo o sito fissato per la vendita  di generi vari, posteggio.

Puparuole – peperone  Pianta e frutto mangereccio. Vi sono diverse varietà che vengono cucinate in modi diversi. Un rigo a parte lo merita il peperoncino, penso che sia doveroso perché su questo particolare frutto c’è una vasta letteratura.

E’ una pianta che è arrivata in Europa dopo la scoperta della America  e subito ha trovato possibilità di espandersi. E’ molto usata in cucina  perché dà alla pietanza un sapore caratteristico che le papille gustative accettano con gradimento. E’ anche un rimedio per diverse malattie. Combatte l’asma, la febbre il mal di gola, i disturbi dello stomaco. E’ un balsamo per la lombaggine, il torcicollo,     i reumatismi. E’ un toccasana per il cuore, l’organo che più di tutti trae vantaggio da un piatto di penne all’arrabbiata e da una bruschetta piccante, Riduce il rischio di arteriosclerosi perché abbassa il colesterolo, aumenta la capacità dell’organismo nel prevenire i trombi. E poi, poi” a marite .musce mine puparuole  assaje”. Se te vuò addrecrejà  jénghe  u piàtte i maritete chine i puparuole.Mia moglie tiene una corona di peperoncini, da sembrare coralli, sulla spalliera del letto, pronti all’uso.

A Diamante marina, paese del cosentino, è nata da oltre trent’anni l’Accademia Italiana del Peperoncino che ha oltre cinquanta delegazioni sparpagliate nel mondo. Ha una sede a New Jork, una a Parigi, una a Sydney, una a Tokio. In un altro paese del consentino, Maierà, è stato creato il Museo del Peperoncino con circa trecento piante di vari tipi. Il peperoncino è il padrone della nostra cucina. Come si fa a non accettare la  squisitezza , la bontà, la prelibatezza di quei piatti corretti dal peperoncino che li rende eleganti come le penne all’arrabbiata e i bucatini alla amatriciana. Come si può rimanere muti di fronte al leggendario,  fantastico, favoloso piatto di spaghetti, aglio, olio e peperoncino che, con una spruzzata di pecorino sardo, diventa mitico.

Pupàte – bambola  sf.   Figurina che rappresenta una bambina che si dava alle bambine per trastullo;  Donna dall’espressione  stupenda.

Pupatèlle i zùcchere – biberon  sf.  Era costituito dallo zucchero messo in un panno di lino e che si dava al neonato a succhiare.

Pupazziélle – pupazzo  sm.  Fantoccio

Puppù  – cacca  sg.  Cacca dei bambini.

Purchiacchiélle – portulacaria  sm. Pianta erbivora buona per fare l’insalata.

Purciélle – Glomero  sm. Insetto, porcellino, strigolo;  agg. di bambino avido.

Purìmme- muffa   sf.  Spora che nasce  e pasce nei luoghi umidi.

Purmone – polmone  sm.  Ciascuno dei due organi della respirazione. I miei si sono rattrappiti per aver fumato e mi hanno fatto diventare un handicappato. Non ci lamentiamo perché c’è sempre uno che sta peggio di noi.

Purpàre – polpara, s.f. Piccolo e particolare attrezzo da pesca per la cattura dei polipi. Piccola ancora usata per afferrare qualcosa che si è persa in mare. Gruppo di ami uniti.

Purpe – polipo, s.m. Ozoena aldovrandii, dei cefalopodi. Abbonda in tutti i mari. Quello da chilo è l’ideale per prepararlo all’insalata dopo una cottura di venti minuti in abbondante acqua con peperoncino. Tagliato a fette va condito con aglio, olio e prezzemolo. Va mangiato dopo diverse ora dalla preparazione perché si deve insaporire. Il limone va aggiunto  quando lo si porta a tavola.

Purpésse – polpessa s.f. Octopus macropus. Non ha le stesse virtù del fratello.

Purpètte – polpetta   sf.  Carne tritata e condita, foggiata a palla, e cotta in modi diversi

Purpùse – polposo  agg.  Carnoso, che ha molta polpa.

Purtàte – portata s.f. Capacità di carico di una nave mercantile che si esprime in tonnellate. Capacità di un individuo di bere vino. Una volta a Ponza c’erano i tre a barile vale a dire che per soddisfarli ci voleva un barile di vino, 44 litri.

Purtiélle – portello s.m. Qualunque tipo di apertura che serve per dare aria e luce all’interno di un natante. Coperchio della stiva dei piccoli gozzi. Porticina.

Purtualle – portogallo  sm.  Nome primitivo dell’arancia perché l’albero di questo frutto proveniva dal Portogallo i cui marinai  lo avevano importato dalla Cina.

Pusà – posare  v.   Adagiare, deporre, depositare.

Pustale – postale s.m. Nave che svolge una regolare linea di collegamento fra i vari porti per il trasporto dei passeggeri e della posta per la qual cosa viene sovvenzionata dallo Stato.

Pustère – postiera  sf.  Portalettera, donna impiegata all’ufficio postale. La portalettera, Maria a pustère, esisteva già ai tempi della mia fanciullezza.

Pùstià – appostare  v.  Preparare un agguato

Pustiére – postino  sm.  Portalettere

Pusulià – soppesare  v.  Valutare, stimare, apprezzare.

Putacase – qualora  loc avv.  Se per caso.

Putarèlle – pota  sf.  Stroncatura dei ramoscelli nuovi inutili alla vite.

Putecare – bottegaio  sm.  commerciante

Putéche – bottega  sf.  Negozio

Putecàre – negoziante  sm.  Commerciante.

Putènze – potenza s.f. Capacità di sviluppo di una qualsiasi macchina motrice. Si misura in cavalli vapori.

Putrusìne – prezzemolo  sf.  Pianta erbosa profumata che ha largo impiego in cucina.

Puttane – puttana  sf.   Prostituta, sgualdrina.

Puttaniére – puttaniere  sm. Di uomo che non perde occasione per correre dietro le donne.

Puttanìzje – leziosaggine  sf. L’insieme delle qualita che trasformano una donna in femmina, cincia, smorfia.

Puzzà – puzzare  v.  Emanare odore sgradevole.

Puzze – pozzo s.m. Con tale termine si definiscono quei ripostigli che servono per depositare la tanta roba che vi è su una nave.

I principali sono i due  pozzi delle catene destinati a contenere le catene delle ancore. Durante il salpaggio un marinaio si reca nel pozzo per sistemarvi, a spire larghe,  la catena così che ciascuna spira sia totalmente libera da quella che le è sotto e ciò perché quando si dà fondo la catena deve scorrere  liberamente senza impigliarsi.

Fetore,  odore sgradevole, tanfo, lezzo.  Cisterna per la raccolta dell’acqua piovana.

Puzzulane – puzzulana  sf.  Terra particolare per la malta.

Puzzulià – spizzicare  v.  Piluccare, sbocconcellare, spiluccare , beccare.

Q

Qua – qua  avv. Indica il luogo vicino a chi parla.

Quacche – qualche   pro, agg.  Qualcuno, alcuno, qualunque

Quacchedune – qualcuno  agg. pron.  Ciascuno.

Quaccòse – qualcosa   sf, Qualche cosa, un poco.

Quaccune – Qualcuno  agg. pron. Qualche persona o cosa.

Quadèrne – quaterna  sf.  Quattro numeri giocati al lotto in un solo biglietto

Sm  quaderno.

Quadrante – quadrante s.m. Con questo nome si definiscono i quattro settori della bussola, compresi tra i quattro punti cardinali. Primo quadrante quello compreso tra il nord e l’est; secondo quadrante quello tra l’est e il sud; terzo quadrante quello tra il sud e l’ovest; quarto quadrante quello tra l’ovest e il nord.

Quagle – quaglia  sf.  Uccello migratore.

Quaglià – coagulare v. Rendere secco, completare, portare a temine.

Quàgliate – cagliata  sf.  Prodotto intermedio del formaggio fresco ottenuto per coagulazione con il caglio.

Quanne – quando  cong. In quel tempo. Agg., Pron. Si riferisce a grandezza,  estensione, peso, valore, numero.

Quanne maje – quanto mai   escl.  No, tutt’altro, macché.

Quaraéseme – quaresima  sf.  Il periodo che precede la Pasqua.

Quaràntane – quarantena s.f. Periodo di isolamento a cui venivano sottoposte   le navi,  provenienti  da luoghi infetti, per evitare la diffusione di malattie contagiose.

Quaraquàgle – crocione  sm.  Uccello migratore. ”Quante cante u quaraquàgle pigle a rézze e và a quagle”.

Quartaruole – botticella  sm.  Botte senza un fondo usata per deposito di legumi.

Quarte – quarta s.f. Ognuna delle trentadue parti in cui è stata suddivisa la rosa dei venti. Ogni quarta misura undici gradi e quindici primi. Per come risulta segnata a losanga  su una bussola, la quarta,  è stata chiamata anche rombo. Oltre che in quarte la rosa dei venti è stata suddivisa anche in quartine per facilitarne una approssimativa lettura.

Quarte – quarto  avv.  Di traverso, di fianco.

Quartià – scansare v. Evitare, sottrarsi, barcamenarsi.  .

Quartòrdece – quattordici  agg.  Quattordici.

Quatèrne – quaderno  sm.  Insieme di più fogli di carta per scrivervi.

Quatrà – quadrare  v.  Soddisfare, piacere, convenire, star bene, andare a genio, previsione che si realizza.

Quatre – quadro  sm.  Dipinto con cornice che si appende alla parete.

Quatre i poppe – quadro di poppa s.m. Spazio centrale della superficie esterna della poppa dove generalmente è scritto il nome del natante.

Quatte – coatto  sm. Di persona a cui è stato imposto un domicilio forzato in un dato luogo e per un certo tempo.

Quatte quatte – quatto quatto loc. avv.  Di nascosto, senza farsi vedere, alla chetichella, silenziosamemnte.

Quattuocchje – quattrocchi  agg. Occhialuto;  avv.  faccia a faccia

Quìnnece – quindici  agg.  Quindici.

Quinnecìne – quindicina  sf.  Cerimonia religiosa.

Quìstione – questione  sf.  Controversia, contesa, disputa, problema, polemica, alterco, rissa.

R

Raccà – vomitare v. Dar di stomaco, rigettare.  Raccare  non è sinonimo di scadente marinaio. Ho conosciuto marinai provetti, abilissimi sotto ogni aspetto, sempre presenti, che vomitavano  perché il loro stomaco non si era abituato ai movimenti di beccheggio e di rollio della nave. L’esempio classico è il comandante Simeoni, il cui ricordo è sempre caro e piacevole. Il suo nome è legato al collegamento delle isole ponziane con il continente da molto prima dello scoppio della seconda guerra mondiale fino  all’affondamento del Santa Lucia, 24 luglio 1943. Un marinaio  eccezionale che gli isolani di un tempo ricordano con affetto. L’ho sentito più volte dire a mio padre, amico e uomo di mare come lui: “Umbè, me ne vache mpenzione e u stòmmeche non se fa”. Sulle alette della plancia teneva un  bugliuolo a destra e uno a sinistra, pronti all’uso.

Ràcce – braccio sm.   Parte del  corpo umano che va dalla spalla alla mano.  Braccio negli altri significati.

Ràcchje – racchio  agg.  Sgraziato, brutto, detto di persona, soprattutto di donna. Si può riferire anche a cosa scadente, mal fatta, di scarso pregio.

Rachideche – rachitico  agg.  Di persona  malata perché  affetta  da carenze particolari che,  nell’eta infantile, hanno colpito le ossa    deformandole.

Rade – rada s.f. Spazio di mare esterno al porto che per la conformazione delle coste adiacenti offre una relativa calma all’infuriare dei venti.

Rafaniélle – ravanello  sm.  Pianta erborea con radice carnosa, tonda e rossa, mangereccia. Nel periodo più critico della seconda guerra mondiale, il dottore Aldo Coppa si trovava a Roma con la moglie perché era stato arruolato nelle forze armate.

Il periodo era triste, c’erano già state le Fosse Ardeatine, e tutti cercavano un luogo sicuro per non cadere nelle mani dei tedeschi.  Aldo venne a sapere che in una certa via di Roma abitava una signora ponzese che aveva sposato un romano. Con la moglie decidono di andare a bussare a quella casa per vedere se desse loro l’ospitalità desiderata. Raggiungono il palazzo e con timidezza salgono al quarto piano come aveva indicato la vecchia portinaia.  Non guardò attentamente la traghetta,  anche perché il bronzo si era annerito ma sicuramente vide una parola che cominciava con RA  e che sul pianerottolo era l’ingresso di sinistra come aveva spiegato la portinaia. Prima di bussare si guardarono fissamente negli occhi senza parlare. Aldo tira la cordicella del campanello, il cui trillo si sentì dall’esterno, e pochi attimi dopo si sentì la voce della padrona di casa che imtimava il CHI E’.? “Siamo ponzesi, disse il medico, abita quì la famiglia Ravanello? No, disse la voce dall’interno, qui abita la famiglia Rafaniello. Ma Rafaniello in dialetto, riprese Aldo.

No, no! Il cognome nostro è Rafaniello. Mentre sul pianerottolo Marietta, la moglie del dottore, se lo mangiava con lo sguardo perché era andato oltre, sulla porta, all’interno, arrivò il padrone di casa che disse alla moglie di togliere i fermi e di farli entrare. Aldo, rammaricato per la gaffe, si scusò e rimase ospite, pur svolgendo regolarmente il suo lavoro al Celio, con la moglie per diversi mesi nella casa del signor Rafaniello.

Ràffeche – raffica s.f. Soffio di vento breve ma improvviso e impetuoso.

Raggione – ragione  sf.  Facoltà  dell’intelletto di giudicare, che fa distinguere  l’uomo  dagli altri animali. Saggezza,  buon senso..

Raje– razza s.f.  Raja botula.  Con il nome di razza si indicano numerosi e diversi tipi. Vi è la razza stellata, la razza quattrocchi, la razza maculata, la razza polistimma, la scuffia, la ondulata, la chiodata, lo spinone, la pastinaca, la viola, la razza altavela, la “petrose” che ha detta dei buongustai è la più saporita. Le razze hanno un aspetto estetico sgradevole ma la loro carne è saporita e pregiata. La sua morte è “ ngattevàte”, lessata con aglio, olio, prezzemolo e tanto peperoncino da incattivirla.

Rallone – airone  sm. Uccello migratore. Agg. di persona alta e magra.

Ràmme – rame  sf.  Metallo

Ramme arbine – corrente s.f. Corrente marina da sud-ovest.

Ramme i chiaje – corrente s.f.  Corrente marina da nord-est.

Rammère – lamiera s.f. Lamina di metallo.

Rampagliètte – cimosa  sm.Svolazzo della camicia, mazzetto di fiori.

Rampégne – gramigna  sf.  Erba spontanea molto diffusa.

Ranate – melograno  sm.  Pianta e frutto.

Ranazzose – spocchiosa  agg. Di persona boriosa, altezzosa.

Rancàsce – grancassa  sf.  Strumento musicale, tosse persistente.

Rance – granchio s.m. Nome che indica diverse specie di crostacei presenti nelle nostre acque: carcinus moenas, calappa granulata, herbstia condyliata, dromia personata.

Rancefellone – granchio s.m.  Grancevola.

E’ un crostaceo che fino agli anni ottanta la sua richiesta era limitata a pochi buongustai. Oggi è difficile incontrarlo sul banco, o meglio nella vasca, di una pescheria. I ristoratori ne fanno incetta perché con esso preparano un sugo per condire gli spaghetti.

Gli spaghetti o le linguine al fellone sono un piatto da regina dgli dei. Con un risotto puoi invitare pure Giove.

In genere la granceola viene lessata e poi si prepara quello che si vuole. In alcune famiglie viene trattata a crudo. Chi la lessa deve poi spulciarla internamente. Dopo i rituali venti minuti di bollitura la si toglia dall’acqua per farla  raffreddare. Quando si possono appoggiare le mani perché il calore è scemato, si stacca il carapace facendo attenzione di non far fuoriuscire il liquido che contiene.  Quì entra in gioco il modo di mangiarlo. Da quello che contine il carapace si può fare la “coccia”, cioè  si mantiene tutto quello che è racchiuso condendolo con aglio, prezzemolo, olio e con l’aggiunta di alcuni pezzi di pane raffermo e si mette sul fuoco. Pochi minuti di cottura ed è pronta. E’ una leccornia. Anche per questo  tipo di crostaceo è preferibile la femmina ma se si potesse accoppiarla sarebbe una fortuna. Il maschio, un bel maschione, è carnoso, la femmina offre cose delicate, per primo, in quella specie di marsupio, contiene le uova che vanno estirpate a crudo e a crudo vanno usate perche non si disperdano le piacevoli sensazioni del loro odore, del loro profumo, della loro fragranza.

Per il sugo, staccare il carapace e versare tutto, proprio tutto, quello che contiene in una insalatiera. La medesima cosa bisogna fare con le chele prendendo tutto quello che contengono. Uno schiaccianoci è utile.

Se la quantità e sufficiente si possono fare anche le tartine. Una porzione del contenuto si mette in un piatto sfarinando  sopra una parte delle uova, si mischia ben bene aggiungendovi olio, prezzemolo e una spruzzatina di pepe. Sono contrario al limone perché distrugge i sapori marini. L’unica accortezza dev’essere quella di mettere un po’ di olio in più perché deve penetrare nelle fettine di pane su cui la pasta viene spalmata. Altro che caviale!

E dulcis in fundo gli spaghetti: In un tegame far soffriggere l’olio con l’aglio e un po’ di peperoncino, anche quì, come per il limone, attenzione alla dose. La sensazione di forte dev’essere bella e gradevole ma non deve andare oltre. Va anche il pomodoro, ma non molto.

Il caro amico Michele Rispoli, eccellente buongustaio e bravo cuoco, tanto che è diventato diabetico, inventore della celebre frase: “ U magnà è mègle d’u fottere”,   afferma, come un prete dall’altare, che il colore dev’essere mestruoso.

Ràncete – rancido  agg.  Di cibo che si è alterato acquistando un caratteristico sapore acuto e sgradevole.

Ranciòfele – granchio  s.f.  Nicchio pagurato. Crostaceo con addome molle che si nasconde dentro la conchiglia vuota di un altro mollusco.

Rancetiélle – granchietto  agg. Di persona deforme.

Rànche – crampo  sm.  Contrazione involontaria e dolorosa dei muscoli.

Ranfàte – graffiata  sf. Unghiata

Ranfe – chela s.f.  Ciascuna delle chele, che sono una specie di tenaglia o forbice, di cui è armato un crostaceo.

Ranfine – rampino s.m. Attrezzo di legno pesante, ad uno o più uncini, che, legato ad una corda,  viene calato in mare per prendere oggetti caduti, reti e coffe che si sono spezzate e sono rimaste impigliate  sul fondo. Graffio.

Ranne – randa s.f. Vela a forma di trapezio irregolare. Agg. grande, enorme.

Ranòcchje – rana  sf.  Anfibio.

Rapecciolle – rapa  sf.  Pianta di erba selvatica che cresce spontaneamente.

Rapéste – rapistro  sf. Pianta  erbosa con radice mangereccia, rapa.  Persona ignorante.

Rapille – lapillo  sm.  piccolo frammento di roccia vulcanica.

Rappe – ruga  sf.  Di persona che ha la pelle grinzosa. Queste rughe fecero nascere il proverbio:  “I diénte nun so niénte, i rappe comm’i tappe”?  Si chiedeva a chi, avanti negli anni, e le rughe lo dimostravano, faceva l’impossibile aggiustandosi la dentatura per apparire giovane mentre le rughe testimoniavano l’avanzata degli anni.

Rappiézze – rappezzo s.m. Rattoppo, accociatura momentanea di qualcosa.

Rappule – grappolo  sm. L’insieme degli acini di uva tenuti dal raspo.

Rappulià – racimolare  v.  Raggranellare.

Rappuliature – ironia  sf.  Beffa, sarcasmo, presa in giro.

Rapuonze – stupido  agg.  Sciocco, babbeo, testa di rapa.

Raschiètte – raschietta s.f. Arnese di varie forme usato per scrostare la pittura e la ruggine  dalle lamiere.

Rare – gradino  sf.  Scalino, pagliuolo della barca fatta a scalini.

Rareche – radice sf.  La parte della pianta che sta infissa nel terreno che ha funzione di sostegno e di assorbimento degli alimenti.  La radica, radice particolare di alcune piante come l’erica, viene usata per  lavori di ebanisteria e per fare il camino delle pipe.

Rarecone – radicone  sm.  Radice profonda.

Rariate – scalinata  sf.  Gradinata, scalino.

Ràrule –  zerro  sm.  Il classico pesce isolano, retunne, pescato in un determinato periodo e con una particolare rete.

Rasche –  sputo  sf.  Espettorazione di mucosa viscosa prodotta dalle malattie polmonari.

Rasiére – braciere  sm.  Grosso vaso di rame dove si teneva  la brace per riscaldare la stanza  e le persone che lo attorniavano, sedute sulle sedie.

Rassettà – rassettare v. Mettere in ordine,  riordinare.

Rastiélle – rastrello  Arnese  munito di denti, grossi e radi, con il quale si riuniscono e si raccolgono i sassi, gli sterpi e le foglie.  Attrezzo da pesca consistente in una piccola rete a strascico  per la pesca  dei molluschi.

Rastrellà – rastrellare v. Trascinare sul fondo rampini od ancorotti per la ricerca di oggetti persi. Al rampino o all’ancorotto veniva legato un pezzo di catena per tenerlo adagiato sul fondo durante il traino.

Rastriélle – rastrello s.m. Attrezzo da pesca.  E’ una piccola rete a strascico per la pesca dei molluschi.

Rasùle – rasoio  sm. Lama d’acciaio con un solo taglio affilatissimo per  radere la barba.

Ratigle – graticola  sf.  Graticolato di ferro a sbarre su cui si poggiano i pesci o la carne per poi metterla sulla brace a cuocere.

Rattà – grattare   v.  Strofinare la pelle con le mani, oziare, grattugiare, raschiare.

Rattacase– grattugia  sf.  Arnese di cucina  che ha un coperchio  bucherellato per grattare il formaggio, il pane o altro.

Rattagnèlle – pesce  sf.  Pesce di piccola dimensione.

Rattate – grattata   sf. Pur non avendo prurito, la grattata di una particolare pelle del corpo è necessaria e indispensabile per attuare scongiuri contro  il malocchio.

Ratte – mughetto sf.  Affezione che colpisce le mucose della bocca, o di altre cavità naturali, su  cui si formano placche più o meno estese il cui aspetto ricorda quello dei fiori del mughetto, da cui il nome. Si notano sul palato dei bambini in fase di allattamento.

Rattuse – libidinoso  agg.  Di persona che ha o dimostra appetito di lussuria tanto da indirizzare la sua fame su chicchessia.

Raunà – radunare  v.  raccogliere, racimolare, ammucchiare, raggranellare.

Ravoste – aragosta s.f. Palinuris elephas della famiglia dei macruri. E’ tra le cose più nobili che possano comparire e arricchire la tavola. Alla sua aristocratica carne corrisponde un elevato prezzo. Gli sfizi si pagano.

Ha rappresentato per Ponza l’attività pescatoria più rilevante. I pescatori ponzesi le hanno dato la caccia in  tutti i mari del Mediterraneo. Tante case sono state costruite con i soldi  degli aragostai.

L’aragosta è un crostaceo che vive dai 10 a 100 metri di profondità su un fondale misto tra scogli, sabbia e alghe. Il corpo robusto di forma cilindrica può raggiungere i 50 cm di lunghezza ed il peso di 4-5 chili. Il capitano Raffaele Sandolo, il papà di Italo, Cesare e Benedetto e nonno di Raffaele, giovane e valente macchinista,  tanto che all’età di trent’anni, gli è stato affidato,  per le sue eccellenti capacità, la  direzione della macchina di petroliere di grosso tonnellaggio, mi raccontò che, durante un viaggio tra le isole greche, per l’acquisto di aragoste da portare sul mercato di Marsiglia, gli portarono a bordo una aragosta viva di kg 10,670. La più grossa che lui avesse mai visto. Finì il racconto con: “Teneve i rostri ruosse comm’a nu scarmule”.

Il corpo dell’aragosta è coperto da uno scudo. Ha due grandi corna frontali e il ponzese usava dire che , nel regalarle per una raccomandazione, servivano ad accecare.

Ha cinque zampe a destra e cinque a sinistra ed in ambedue i lati ha una zampa con il rostro. Il suo colorito è rosso-violetto. Si nutre di ricci e molluschi. Nemico acerrimo della aragosta è il polipo tanto che, per due persone che si odiano, è stato coniato il detto: “Me pàrene u purpe é a ravoste”.

I mari di Ponza, pur pescosi, erano insufficienti per i tanti aragostai isolani. Non c’era spazio per tutti. Molti erano costretti a trasferirsi altrove  il che significava assoggettarsi a sacrifici enormi anche se ben ripagati.

I mari ed i golfi della Sardegna erano  le zone dove confluiva la maggior parte dei pescatori ponzesi. Alcuni non disdegnavano di trasferirsi a La Galite, la celeberrima Iàlde, un piccolo arcipelago a nord della Tunisia.

La vita dei pescatori su quei piccoli gozzi è inenarrabile, indescrivibile. Una vita difficile, stentata, incomoda, disagiata, faticosa. Era inumano sottoporsi a tutta quella serie di sacrifici. Vivevano quasi sempre nelle vicinanze della zona di pesca, lontano dai centri abitati. L’approvvigionamento, pasta, patate, gallette,  sale,  lardo e qualche bottiglia di olio, veniva fatto dalle “mbrucchièlle”.

L’impossibilità di raggiungere facilmente un qualsiasi mercato li costringeva, per non buttarli, alla salagione di alcuni loro prodotti come l’aragosta e le musdele mentre gli altri pesci non sopportavano la salatura e venivano usati come esca nelle nasse.

Quando arrivavano nel posto designato, fra le prime cose mettevano in acqua, “appetagnato” ad una grossa “mazzere”, il “marruffe”, la  grossa e robusta nassa, dove si mettevano le aragoste frutto della pescata giornaliera.

Prima di inserirle ispezionavano quelle che già c’erano. Le aragoste morte, quelle che “lampiavene”, cioè quelle in agonia, perché avevano subito ferite nello scontro con altre, venivano tolte e dato che questo procedimento veniva effettuato giornalmente le aragoste riesumate erano sempre tante. Cosa fare?  I centri abitati erano lontani e irraggiungibili per cui non esisteva la possibilità di una vendita a basso prezzo, né era pensabile buttarle per i sacrifici che si facevano e allora si pensò, oltre che mangiarle continuamente, di essiccarle come lo stoccafisso. Si staccava la parte codale, quella contenente la parte carnosa, e la si metteva in un tino con acqua salata e l’aggiunta di altro sale. Dopo 48 ore di stagionatura in questa  salamoia si toglieva lo scudo protettivo e si  lavavano in acqua di mare.  Si stendevano, poi,  al sole ad essiccare. Una volta secche si riponevano in un sacco e si custodivano, in un luogo asciutto, fino al rientro a Ponza.

La carne dell’aragosta era conosciuta anche dai romani che, come ci racconta Apicio nel suo “De re conquinaria”, un libro di ricette di varie epoche e di varie provenienze, la cuocevano alla griglia. Spaccavano in due l’aragosta e la mettevano sulla griglia  irrorandola continuamente, per non farla incartapecorire, con  “coriandratum” e con “piperatum” due tipi di salsa a base di vino e spezie varie.

Gli aragostai, destinati in Sardegna o a La Galite, lasciavano Ponza nella prima decade di marzo e per questo si anticipò,  all’ultima domenica di febbraio, nella chiesa di Le Forna,  la festa di S. Silverio, patrono dell’isola, che ricorre il 20 giugno.

I gozzi con l’equipaggio, in media quattro pescatori per barca, venivano trasportati in Sardegna con le “mbrucchiélle” e, quando queste non erano ancora pronte,  venivano caricati sulle navi mercantili che svolgevano regolari servizi di linea tra i porti della Campania e quelli sardi per il vettovagliamento dell’isola di derrate alimentari, terraglie, stoviglie, ceramiche e tante altre cose, fra cui la frutta. In Sardegna caricavano per il continente formaggio, sughero, cozze e bestiame.

Durante i sei mesi di pesca la vita si svolgeva sul piccolo gozzo. L’attrezzo da pesca era la nassa ma ogni barca aveva una piccola dotazione di tramagli. Servivano per “fare” l’esca.

La nassa per la pesca dell’aragosta era di media grandezza, con maglie larghe. Non era cosa semplice, né facile,  piazzare sul fondo le nasse in modo tale che potessero pescare. La nassa era tenuta sul fondo da una pietra molto pesante, la cosiddetta “màzzere”. Secondo la dislocazione degli scogli sul fondo avveniva la distribuzione delle nasse. A gruppo di due o  più nasse. Il gruppo di due era chiamato “péde i nasse”, quello formato da più nasse, fino ad un massimo di dodici, era chiamato “patérne”. La corda, u calemiénte, fatta di foglie di canna intrecciate, legava le nasse al galleggiante di superficie,  u petàgne. Un altro galleggiante, a capeture,  veniva legato al  calemiénte, nelle vicinanze della nassa per tenere tesa la corda e non farla impigliare tra gli scogli.

Le nasse, data l’abbondanza delle aragoste,   venivano tirate giornalmente. Il lavoro veniva fatto a mano. Di quei tempi non esistevano verricelli come non esistevano scandagli per conoscere il fondo. Le corde usate erano: u lubbane, fatta con foglie di cocco, e u réste, fatta con foglie di canna. Erano così taglienti da far sanguinare le mani. Per evitare bruciori e danni  alle mani i pescatori  usavano stracci di iuta.

Di tanto in tanto, in genere settimanalmente, per le zone di  pesca passava il bastimento vivaio, a mbrucchièlle. Imbarcava  il pescato per  trasportarlo nei porti mercato di Marsiglia, Barcellona e Genova e riforniva di viveri i gozzi .

Quanti aneddoti si raccontavano sulla vita di questi pescatori, sulla vendita delle aragoste e sulle bilance con cui  pesavano il prodotto.

Il burchiello, non è termine marittimo in quanto esso definisce una piccola barca fluviale da trasporto.

Ritengo che il termine burchiello sia stato preso per le qualità marinaresche del bastimento dopo i lavori di trasformazione.

A mbrucchièlle quando naviga, anche con mare agitato, non cappeggia né tantomeno sbanda. Galleggia, come se fosse in un lago navigando da burchiello.

Ma non furono soltanto i mari della Sardegna a impegnare i pescatori ponziani. Una barca ponzese, della famiglia D’Arco, tra il 1865 e il 1870 prese possesso di La Galite  un’isola disabitata al largo della costa tunisina.  Con gli anni vi costruirono baracche e casette e finanche una piccola cappella votiva con la statua di S. Silverio.   Divenne una piccola Ponza, anzi, per la sua rassomiglianza, divenne una seconda Palmarola.

Le pescherie di Ponza avevano in acqua, davanti allo scivolo di Punta Bianca, per tutto il periodo dell’anno, grossi recipienti di legno, casse fatte con tavole distanziate l’una dall’altra in modo che l’acqua potesse circolare liberamente, dove depositavano le aragoste che i pescatori pescavano giornalmente con l’attenzione di esaminare la vitalità di quelle che c’erano già  prima di introdurre le nuove.

Nella prima decade del secolo scorso, i mari di Ponza, non ancora sfruttati, sfornavano aragoste come pagnotte da un forno. Numero rilevante in rapporto alle richieste per cui non sapevano come custodirle. Si pensò allora utilizzare la vasca principale sita nelle “grotte di Pilato”. Fu costituita una specie di coopertiva, come informa Giulio Vitello nel suo “Brevis insula…brevis historia”, e i crostacei depositati diventavano di proprietà comune. Il ricavato dalla vendita veniva diviso in ragione delle aragoste depositate da ognuno.

Tutto filò a gonfie vele fino a quando una mareggiata di scirocco e levante  strappò la grata  posta all’imboccatura e le aragoste, vistesi libere, ne approfittarono e se ne uscirono. La perdita fu rilevante anche se una certa quantità fu ripescata nel mare intorno allo scoglio rosso che venne inondato di nasse.

Questo fatto potrebbe contribuire a stabilire il motivo  della nascita e   l’uso di quelle vasche.

Razzaviélle-  barcollamento   loc. Andare a sghimbescio  barcollare come un ubriaco, capitombolare, tentennare.

Rebattature – ribattitura  sf.  Ritorno  di un’onda  che urta contro un ostacolo.

Rebuttà – ribattere  v.  Ritirare e ricalare immediatamente   gli attrezzi da pesca, rimettere, ricollocare.

Rebuzze – ributto s.m. Specie di scalpello, a punta rotonda, che serve per ribattere i chiodi per farli penetrare maggiormente  nel legno del fasciame.

Recadute – ricaduta  sf.  Dicesi di quel corallo che, strappato dalla roccia, giace sul fondo. Ridiscesa del fondo marino.

Récchje – orecchio  sf.  Organo dell’udito che consente di percepire i suoni e trasmetterli.

Recchìne – orecchino   sm.  Ornamento che le donne e grande parte degli uomini portano agli orecchi.

Recchione –  omosessuale  sm.  Di persona che rivolge la propria attenzione sessuale  verso gente del suo stesso sesso. Questo termine si riferisce agli invertiti attivi perché gli altri, i passivi, vengono definiti  femmeniélle .

Ricchiune – orecchioni  am.  Malattia dell’orecchio, parotite, che consiste in un processo infiammatorio delle ghiandole paratidi.

Recètte – ricetta  sf.  Prescrizione scritta  dal medico che indica  le medicine da prelevare in farmacia   e le indicazioni per usarle.

Reciétte – pace  sm.  Tranquillità, serenità, desiderio che l’animo sia tranquillo e senza turbamento.

Recòglere – ricevere  v.  Raccogliere, incassare.

Recrjà – deliziare  v.  allettare, godere, avere delizia, pigliare diletto, essere soddisfatto.

Recrìje – ricrio  sm.  Svago, distrazione, ricreazione,  divertimento tranquillo e sereno, sollazzo, godimento,  spasso, piacere.

Recuovete – intascato  agg.  Di persona che prende il danaro per un lavoro effettuato.

Recupere – recupero s.m.   Il mettere in salvo qualcosa che faceva  parte della nave che avesse subito un sinistro. Si recupera l’imbando delle cime o delle catene.

Redànce – golfare  s.f. Arnese di ferro,  con  una rilevante scanalatura al centro, unito alle estremità, a forma di cuore. Intorno all’anello si impiomba una cima. Si usa per agganciare carrucole, paranchi, bozzelli, maniglioni o legarvi corde.

Redazze – redazza s.f. Fascio di filacci di canapa legati ad un bastone che serve per lavare la coperta.

Rédde – re   sf.  Il re nel gioco delle carte.

Réfele –  Fucile  sm.  Fucile da caccia automatico.

Refonnere – rimettere  v.  Restituire, perdere, condonare.

Refose – rimessa  sf.   Perdita, danno, discapito.

Réfule – refolo s.m. Soffio leggero di vento.

Refuse – rimesso  agg. Perduto, dannoso.

Regalà – regalare  v.  Donare, elargire.

Reggiòle – ricciola s.f. Seiola dumerilii. Pesce migratore che si avvicina alla costa, lungo le pareti a picco e sulle secche. Vive in branchi. E’ un predatore.  Insegue le prede fino a pochi centimetri dalla superficie. E’ ambita dai sub come lo è per i pescatori di lenza  a traino.  La lenza può essere “armata” con cucchiaino o con ami innescati con pesci o calamari, vivi.

Le lenze sono preparate secondo le zone di pesca: se si va al largo, per pesci grossi, si usa una lenza consistente con ami di una certa grandezza; se, invece, si pesca lungo la costa o nella baia del porto, dove spesso affluiscono branchi di piccolo taglio, la lenza è diversa come è diversa l’esca.

E’ il divertimento preferito dai pescatori dilettanti, dilettanti non troppo,  per essere sinceri. In questi ultimi anni è una gara continua. Diverse barche sono sempre in mare con la traino di poppa.

Si esce di notte per pescare i calamari che dovranno servire da esca. E’ l’esca migliore, specialmente da vivo, per questo ogni gozzo ha,  a bordo, una vasca piena d’acqua il cui ricambio avviene con una pompa elettrica.

Silvio, u capellone, e Salvatore, doppiabbòtte, fratelli e maestri nella pesca del calamaro, non dimentichiamo che il calamaro è una pesca fornese e il fornese, come si suol dire, u tène dint’u sangue, per mantenerli vivi in modo perfetto hanno pensato bene di metterli in una nassa che affondano nella zona di pesca prelevandone  uno alla volta per la bisogna. Spesso sono rimasti a bocca asciutta perché altri, che loro, da persone educate, definiscono birbanti e fetenti, non avendone pescati direttamente e avendo visto depositare la nassa, se li sono fregati. Sono tanti i pescatori di ricciole. Una citazione particolare la merita Domenico Zecca, un macchinista navale, che è riuscito a far tesoro degli insegnamenti di Ferdinando l’ultimo docente nel settore degli ami. Il suo allievo prediletto, perché c’è stato l’intervento della mamma, è il fratello Vincenzo che sta facendo passi da gigante e si comporta da vero galantuomo. Quasi sempre le sue prede finiscono sul tavolo di un ristorante attorno al quale non mancano mai gli amici,  e tra questi  quei due simpatici e prepotenti  affamati: Bonarino e Giuseppe.  Colgo l’occasione per citare anche Tony e Giovanni  che arrancano come sciancati per conquistarsi un posto nella aristocrazia della pesca a traino.

Si pescano esemplari che vanno da alcuni etti ai quaranta chili  e oltre  del “bestione”.

Una volta, negli anni della mia giovinezza, la ricciola  si pescava con una rete da circuizione. Il periodo della loro presenza nelle nostre acque era, e lo è ancora, la primavera-estate. Per poterle catturare era necessario avvistarle. Primo compito era quello di mettere uomini  di guardia lungo le colline  per scorgerle. Una volta avuta la certezza che fossero nelle nostre acque si preparavano le barche che il giorno seguente si appostavano nella zona di mare dove il pesce era stato visto. Le barche erano sempre due, qualche volta tre, quando si andava a Palmarola o a Zannone. Nella terza veniva messa la leva, una rete particolare mentre negli altri due gozzi veniva messa, metà sull’uno e metà sull’altro, la rete di circuizione, “a palammetàre”.

Su un promontorio che dominava la zona di mare dove si voleva operare veniva mandato il  segnalatore. La limpidezza delle acque permetteva l’avvistamento, anche da lontano, del branco che il banderuolo di turno, un giorno Cirillo e un giorno Salvatore di Cagnicco, attori protagonisti in questa attività, lo segnalava alle barche.

Allo scorgere del branco un urlo squarciava il profondo silenzio. I gozzi mettevano i remi in acqua pronti a spostarsi secondo il segnale. Un panno, una giacca, una maglia, agitata, in un certo qual modo, dall’appostamento   indicava la posizione e la direzione del branco.

Il  capopesca, ritto sulla prua di uno dei gozzetti, scrutava attentamente il mare e, spesso con l’aiuto di un binocolo,  osservava, con pari attenzione, i movimenti del segnalatore.

Al segnale stabilito, “molla”, le due barche si aprivano a ventaglio e,  vogando a ritmo sostenuto,  calavano la rete cercando, riuscendovi quasi sempre, di circuire il branco di pesci.  A bordo nessuno parlava. Qualche indiscrezione veniva fatta con lo sguardo. Tutti erano in attesa di un altro urlo che non tardava : “Attonne”. Era questo il segnale che tutti apettavano.  Il “montanaro” nel vedere i pesci nella rete diceva alle barche di chiudere il cerchio e così, con maggiore velocità, sempre calando la rete, si avvicinavano l’una all’altra con l’attenzione di non lasciare aperture nella rete.

Il capopesca, con il gozzo su cui stava, entrava nel recinto della rete e con uno specchio esplorava il fondo ispezionando l’interno in modo da accertarsi che il pesce fosse stato circondato e che non potesse uscire.

Mentre si faceva questo lavoro  e si operava per il restringimento del cerchio, assuccando un po’ alla volta fino a quel limite di non costringere i pesci a forzare l’assedio. Una delle due barche  rientrava nel porto per prendere la “léve”, una rete rettangolare che doveva essere prima stesa sul fondo e poi tirata a galla,  contemporaneamente, dai quattro spigoli.

Arrivata la leva, il capopesca, sempre con la testa nello specchio, dava gli opportuni ordini su come calarla.

Quando riteneva che tutto fosse in ordine dava il comando di issare. Le due barche  avevano, a poppa e a prua, le corde legate agli  spigoli della rete e, tirandola  in questo modo, essa emergeva  in modo piatto e parallelo alla superficie del mare. Ciò evitava che i pesci perciassero, bucassero, la rete di circuizione. Non dimentichiamo che le ricciole, come i tonni, appartengono ai perciformi.

In questo tipo di pesca sono state prese ricciole che superavano i cinquanta chili.

Règne – covone  sf.  Fascio di spighe di grano falciate e legate insieme.

Regnuse – Rognoso  agg. Infetto da rogna, apatico, svogliato, indifferente, noioso, distaccato, insensibile.

Relitte – relitto s.m. Qualsiasi rottame di  naufragio.

Relòrge – orologio  sm.  Strumento che misura e segna le ore.

Remeggià – ormeggiare v. Approdare, attraccare.

Remìge – brumeggio s.m. Miscuglio di cibo che il pescatore butta ai pesci per attirarli.

Remmà – remare v.  Vogare

Remmàge – brumeggio s.m. Esca infilata in uno spiedino che veniva inserito e  legato all’interno   della nassa.

Remmàgle – rammendo s.m. Rappezzo, rattoppo. Il rammendo si fa alla rete e allo scafo e lo si fa anche ai vestiti.

Remmàsugle – rimasuglia  sf.  Residuo, avanzo, ciarpame, minutaglia, ritaglio, briciole.

Remmore – rumore  sm.  Baccano, baraonda, chiasso, fracasso, frastuono, gazzarra, rombo, scalpore, scoppio, schiamazzo

Rendià – rasentare v.  Passare accanto, lambire, accostarsi.

Renfaccià – rinfacciare  v.  Rimproverare, ricordare con parole umilianti, alla persona benificata, i benefici ricevuti.

Renfrescà – rinfrescare v. Termine molto usato per indicare l’aumento del vento e del mare; ricordare.

Renfuse – rinfusa sf.  Si riferisce al carico che non è contenuto in sacchi o casse ma accatastato in massa nella stiva.

Rennenèlle – rondine  sf.   Uccello migratore. Da alcuni anni una rondina fa il nido sotto il Grottone di Sant’Antonio.

Rennenèlle i mare – rondine di mare  o pesce volante, s.f. Danichthys rondeletii. Vive sottocosta ed è attratta dalle luci delle lampare. Fornita di pinne petterali simili ad ali che le consentono un volo anche di duecento  metri. Si vede quasi sempre tra Ponza e Palmarola. Spesso finisce sui ponti delle imbarcazioni.

Rennenone – rondone   sm.  Uccello migratore, qualcuno sverna a Ponza,  più grande della rondine.

Renneture – rigurgito   sf.  Latte che gronda dalla mammella  di una donna che allatta.

Rèntarènte – vicino vicino  loc. avv.  Rasente, accanto, accosto, appresso.

Rènze – abitudine  sf.  Inclinazione, tendenza.

Renzià – gironzolare  v.  Girovagare, camminare con cautela.

Repécchje– grinza  sf.  Ruga, spiegazzatura, rattoppo malfatto.

Repeglià – ripigliare v. Termine usato quasi sempre per il paranco per continuare  il lavoro che si stava  facendo in quanto le due carrucole sono venute a contatto; riprendere.

Réppule –  erba s.f. Erba che cresce sugli scogli e spesso sulla carena delle navi.quando non viene pulita.

Reppulià – burlare  v.  Prendere in giro, canzonare, deridere, dileggiare, prendere per il culo,  prendere per i fondelli, sbeffeggiare, schernire, sfottere.

Reppuliature – beffa  sf.  Canzonatura, derisione, dileggiamento, ironia,  tutto  in modo garbato.

Requèste – richiesta  sf.  Domanda di riserva, di scorta.

Requiamatérne – Preghiera   sm.  Suffragio, preghiera per i defunti.

Resàcca – risacca s.f.  Il ritorno dell’onda dopo che è stata respinta da un ostacolo. Nei porti crea un fastidio immenso. I cavi di ormeggio delle navi, sotto l’azione della risacca, allentandosi e tesandosi, possono anche spezzarsi. Gli scali d’alaggio nei porti hanno la funzione di far morire la risacca.

Compito primario della spiaggia,  ancor prima di quello di solarium, è quello di far morire l’onda. Lo appresi da Silverio Iodice, il vecchio guardiano di Zannone. Ci imbarcammo, con Geppino,  prima dell’alba sul peschereccio di Onorino per trasferirci a Zannone per un periodo di caccia. Era una pessima giornata di fine novembre con mare e vento da libeccio. Anche in poppa i cavalloni erano spaventosi e, quando ci raggiungeva uno più grosso del precedente, Silverio diceva qualcosa che non riuscivo a capire. Dato che aveva espresso parere negativo alla trasferta mi avvicinai per chiedergli perché borbottasse. Sto dicendo ai cavalloni quello che mi ha insegnato mio nonno: “Vai alla spiaggia”.  I vecchi pescatori isolani imploravano il mare affinché  le sue ondate paurose e pericolose finissero  sulla spiaggia perché quello era l’unico  posto dove potessero morire.

La cultura moderna, basata, solo e soltanto, sul commercio del danaro, ci ha indotto a tenere in una considerazione diversa l’utilizzo della spiaggia. Guardiamo, con animo sereno, la fine ingloriosa, che le varie  autorizzazioni hanno fatto fare  alle spiagge di Ponza e in modo particolare a quella di  Santa Maria.

Resagliute – risalito  agg.  Arricchito, rifatto.

Resate – risata  sf.  Ghignata dolce.

Rescegneuole – usignolo  sm.  Uccello migratore

Resecà – rischiare  v.  Cimentare, osare, risicare.

Resìbbje – erisipola  sf.  Malattia causata da infiammazione acuta della pelle caratterizzata da  arrossamento che si sposta e si diffonde.

Resille – granello sm.  Qualunque cosa piccola e rotonda come un chicco di grano.

Respiratore – respiratore s.m. Arnese che consente, in vari modi, la  respirazione subacquea.

Rèste – corda s.m. Fune di foglie di canna intrecciate, che si faceva,  penso si faccia ancora, in Sardegna e che veniva usata dai pescatori di aragoste. Con queste funi venivano legate le nasse.  Grappolo di uva acerba

Resucchje – risucchio s.m. Movimento vorticoso dell’acqua che descrive una spirale verso il fondo. E’ una delle caratteristiche della “coda di Zefiro”.

Retànce –  golfare s.f. Anello formato da  un lastra metallica leggermente  piegata a forma convessa,  unita a cuore, e circondata da una corda tenuta stretta da una impiombatura. Sono sistemate in diversi posto di bordo per  agganciare paranchi  e bozzelli.

Retenute – ritenuta s.f. Sotto questo nome vanno le cime che si legano ad una imbracata per guidarla durante il suo spostamento onde evitare che urti danneggiandosi o recando danni ad altri oggetti.

Rètepède – passo a ritroso  sm.  Di persona che trama e agisce nell’ombra, mancante di fiducia, traditore.

Reteràgne – risacca s.f. Ritorno dell’onda che ha urtato un ostacolo.

Reterate – ritirato  agg. Cessato volontariamente il lavoro; di cibo, e particolarmente di pane, ben cotto; di indumento che si è ristretto.

Retunne – rotondo s.m. Spicara vulgaris : Zero o zerro. E’ il caratteristico pesce di Ponza. Si pesca tutto l’anno in diverse zone dell’arcipelago. I più saporiti sono quelli delle Formiche perché il pascolo è  migliore, Nei mesi invernali raggiungono il massimo della grandezza: 15-20 centimetri. Si pescano all’alba e al tramonto con reti da posta. Una volta si pescavano anche di giorno con la famosa “rézze i juorne”. A marzo, durante il raduno per  deporre le uova, “a tràiàne” se ne pescano in enorme quantità. E’ saporito ed è gustoso. Va mangiato alla brace e in bianco. Anche le polpette sono eccellenti.

Una volta si faceva “arrianate”, bollito con pomodoro, origano e aglio, ingredienti che devono essere freschi, o in bianco. Fritto perde molto della sua bontà.

E’ come il pane, non stufa mangiarlo continuamente.

Ancora oggi, per averlo disponibile, si usa conservarlo in una salsa a base di aceto: “a scapéce”. Una salsa che ha origini antiche.I romani conoscevano questo intingolo e lo usavano per condire, oltre i pesci, anche gli ortaggi. Era il famoso liquamen.

Si bolle l’aceto con aglio, olio e peperoncino e lo si cosparge sul pesce fritto senza passarlo nella farina. Si aggiungono foglie di menta.  Si conserva il pesce per oltre dieci giorni. Nelle usanze isolane è un piatto caratteristico per le festività natalizie. I retunne si conservavano anche “arretecate”, origanati. Si squamavano, si svuotavano, si lavavano e, dopo averli asciugati,  si coprivano di sale. Dopo 24 ore si toglievano dal sale e si lasciavano inaridire. Si cospargevano di un battuto di aglio, peperoncino e origano e si mettevano al sole legandoli a corona per la coda. Venivano consumati nelle giornate di cattivo tempo.  Si facevano alla brace senza squamarli.

Revuote – soqquadro  sm.  Confusione, scompiglio, disordine,  sottosopra, sommossa, tumulto,

Revutà – rivoltare  v.  Rivolgere, mettere sottosopra, creare disordine,   ammutinare, insubordinare.

Rezzà – rizzare  v.   Legare con corde o catene tutto ciò che è vacillante. Sulle navi, anche contro gli imprevisti, si rizzano le merci e gli autocarri da trasporto per evitare che durante uno sbandamento, si spostino creando serio pericolo alla stabilità della nave.

Rézze – rete  s.f.  Nome generico con cui si definiscono tutti gli attrezzi da pesca tessuti a maglia. Hanno nome diverso a secondo dell’uso.

Rézze i juorne – rete di giorno s.f.  Rete particolare  per la pesca dello zerro (retunne).

Rezzeniélle – troncone di rete s.m. Pezzo  di rete inusabile che veniva legato all’ingegno per la pesca del corallo.

Rézze mposte – rete da posta   sf.   Rete che può poggiare sul fondo  o che può arrivare alla superficie con funzione di sbarramento.

Rezzìlle – groviglio s.m. Intreccio, intrico della rete causato dal pesce impigliato.

Riale – regalo  sm.  Dono, omaggio.

Riatte – regata s.f. Regata, gara.

Ricciulille – ricciolo  sm.  Ciocca di capelli inanellati.

Ridòsse – ridosso s.m. Riparo dal vento furioso e dal mare tempestoso.

Rièlle – livello  sf.  Attrezzo che serve a stabilire il livellamento di una qualsiasi cosa o lavoro. Arnese di legno usato nella carpenteria navale  per sagomare le tavole.

Riéste – resto  sm.  Avanzo, la differenza tra la somma data e il costo dell’oggetto, residuo. Fasci di corde fatte con le foglie di canne che venivano adoperate dai pescatori di aragoste.

Riffe –lotteria  sf.  Estrazione fatta dal commerciante per un qualsiasi oggetto.

Riflusse – riflusso s.m. Salire e scendere della marea.

Rignone – rene  sm.  Ciascuna grossa ghiandola posta nell’addome con la funzione di togliere i rifiuti dal sangue eliminandoli nell’urina.

Rilèvamènte – rilevamento s.m. Operazione che si fa con la bussola o ad occhio per traguardare un determinato punto.

Rìmme – remo s.m. Il notissimo attrezzo di legno con cui si fa leva nell’acqua per dare movimento alla barca

Rimpètte – dirimpetto  avv.  Di fronte, davanti.

Rimurchià – rimorchiare v. Trascinare con corde o catene un  galleggiante in avaria.

Rimurchiatore – rimorchiatore s.m. Nave attrezzata per trainare qualsiasi altro natante.

Rinacce – rammendo  sm.  Rattoppo,  rappezzo.

Rinale – vaso   sm.  Vaso in cui si orina.

Rine – reni  sm.  Le due grosse ghiandole situate nell’addome  che hanno il compito di pulire il sangue eliminandone i rifiuti che indirizzano nella vescica e che poi vengono rimossi dall’orina.

Rinfòrze – rinforzo s.m.  Catena di sostegno del picco di carico, aggiuntiva della cima.

Rinfrescate – rinfrescata  sf. Aumento  della forza del mare e del vento; abbassamento della temperatura.

Rinfurzà – rinforzare v. Rafforzare, consolidare gli ormeggi. Si usa anche per le condizioni di mare e vento che sono rinvigorite.

Rìppje – grippia s.f. Cima che da un lato si lega al diamante dell’ancora e dall’altro capo ad un gavitello. Ha lo scopo di tirare su l’ancora se rimane impigliata nel fondo marino. La sua lunghezza dev’essere leggermente maggiore della profondità in cui si è  dato fondo. Per i fondali di Ponza è da consigliare l’uso permanente della rippia.

Rizzà – rizzare v. Legare con corde o catene gli oggetti mobili per evitare che, durante uno sbandamento, si spostino.

Rìzze – rizza s.f. Corda o catena che serve per tenere fermo il carico.

Ròbbe – roba   f.  Averi, possedimenti, proprietà.

Roce – croce   sf.  Simbolo della cristianità

Rogne – scabbia  sf.  Malattia cutanea pruriginosa e contagiosa prodotta da un acaro che si naconde fra le pieghe della pelle.

Ròje – gabbiano s.f.  Larus ridibundus, della famiglia dei lariformi. E’ un animale  autoctono delle isole ponziane. Una volta, fino alla  metà del secolo scorso, nidificava solo a Palmarola e in luoghi inaccessibili. Ora nidifica e vive in tutte le isole e, nel caso di Palmarola, dovunque, ai lati dei sentieri e a pochi metri dalle case. Nel periodo primaverile, dovunque giri per Palmarola incontri nidi di gabbiani con due o tre uova. Il gabbiano è un uccello acquatico, come la berta, con zampe robuste e forti.

Ha una apertura alare di circa un metro con arti vigorosi e poderosi.  E’ un volatore eccezionale tanto che si potrebbe dire che vive volando. Ha il mantello e le ali grigio perla. Il gabbiano è un onnivoro, mangia di tutto anche se ha abitudini prevalentemente marine.

Vive in colonia. Una colonia formata da centinaia, migliaia di animali. E’ diffidente ed accorto. Non si lascia avvicinare.

E’ audace e aggressivo. Ingaggia battaglie terribili con falchi, poiane e bianconi quando questi invadono la sua zona dove ha costruito  il  nido e tiene  i pulcini. Aggredisce anche l’uomo quando questi si avvicina al suo covo. Il cane deve essere attento a scansare i suoi assalti. Nidifica in primavera deponendo due o tre uova in un nido fatto senza eccessive cure. La cova dura quaranta giorni.

Il gabbiano è un cacciatore marino eccezionale. Alla vista acutissima accoppia una rapidità incredibile. Effettua tuffi meravigliosi per ghermire la preda.

I vecchi abitanti di Palmarola usavano le uova di gabbiano per fare le frittate con gli asparagi e con gli uccelletti tritati. Mettevano le uova in un secchio pieno di acqua, quelle che si poggiavano sul fondo erano buone, quelle invece che galleggiavano erano già decomposte.

Ròlle – rotolo  sm. Qualunque cosa avvolta su sé stessa.

Rollometro – oscillometro s.m. Strumento che misura lo sbandamento della nave. Consiste in un pendolo la cui estremità scorre su un arco graduato. E’ sistemato sulla plancia davanti al timoniere.

Rombe – rombo s.m. Voce che indica ognuna delle trentadue quarte che dividono la circonferenza dell’orizzonte.

Ròmbe – rombo s.m. Scophthalmus rhombus. Vive nella sabbia e nel fango, di colore marrone uniforme. Si pesca con la rete a strascico. Le carni sono molto apprezzate.

Ròse – rosa s.f. Pianta con fiore profumato e di colore vario e diverso.  Parte più importante della bussola, quella che i marinai chiamano piatto su cui è segnata la graduazione in trecentosessanta gradi e le indicazioni dei punti cardinali e quelli intermedi. Il punto zero è il Nord o Settentrione, il punto dei novanta gradi segna l’Est o levante, quello dei centottanta indica il Sud o Mezzogiorno, il punto dei duecentosettanta gradi segna l’Ovest o Ponente. Sulla rosa sono segnate anche le quarte e le quartine.

Ròsele – gelone  sf.  Infiammazione della pelle che comporta bruciore e rossore; si sviluppa nei periodi freddi, manifestandosi sulla dita dei piedi, della mano e sugli orecchi.

Ròte – ruota s.f. Strumento rotondo che gira intorno al proprio asse. E’ l’elemento principale di quasi tutte le mcchine, C’è la ruota del timone che  generalmente è di legno. I suoi raggi, otto come i venti, che  servono a maneggiarla, si chiamano caviglie. La ruota, che  può essere a mano o a movimento meccanico,   è congegnata in modo tale che il timone si inclini dal lato verso cui si fanno girare le caviglie.

Ròte i prore – ruota di prua s.f. Pezzo di legno o di ferro che, partendo  dalla chiglia, forma la prua della imbarcazione.

Rotte – rotta s.f. Indicazione dei percorsi di una nave. La rotta viene definita con il numero di gradi che misura l’angolo che essa forma con la linea nord-sud. C’è la rotta bussola, quella che si legge sulla rosa in corrispondenza della prora della nave;  la rotta magnetica che si ricava dalla correzione della deviazione della rotta  bussola dovuta al magnetismo terrestre e al ferro contenuto sulla nave; rotta vera che risulta dalla correzione della rotta magnetica con la declinazione e con lo scarroccio dovuto alle correnti. La rotta vera è quella a cui la nave deve attenersi nel cammino da percorrere. Grotta,  luogo incavato lungo la parete di un monte o sottoterra: Antro, spelonca, caverna, cava, speco. E’stata il primo rifugio per gli esseri viventi.

Rràgle –  alterigia  sf. Manifestazione di superbia con contegno sostenuto e sprezzante;  burbanza, prosopopea, protervia. Raglio dell’asino.

Ruagne – orinale  sm.  Vaso da notte.

Rucchèlle – rocchetto  sm.  Piccolo cilindro di legno, svasato agli estremi e incanalato per la sua lunghezza, su cui si avvolge il filo di cotone

Rucelià – ruzzolare  v.  Rotolare, cadere rotolando.

Ruceliate – ruzzolone  sf. Caduta di chi ruzzola. Discesa  precoce nella ricchezza, nel potere e nel grado.

Ruciélle – diceria  sm.  Capannello di maldicenti. Discorso di malelingue portato in giro.

Rùfele – gibbula  sm.  Lumaca di mare  che viene a galla di notte. P er raccoglierli è necessario una torcia elettrica. Si trovano dappertutto. Si mangiano lessi.

Rugle – scroscio s.m. Piovasco, rovescio improvviso.

Rullìà – rollare v. Movimento di sbandata della nave dovuto al moto ondoso del mare.

Rullìje – rollio s.m. Moto alterno di oscillazione da un fianco all’altro che la nave subisce per il moto ondoso del mare di traverso.

Ruiélle – gabbianotto  sm.  Uccello giovane; figlio dei gabbiani  Nasce in aprile avanzato e inizia a volare nella seconda metà di giugno. Facilmente addomesticabile.

Rumane – romano  sm.   Contrappeso che scorre lungo il braccio della stadera.

Rumènte – rumenta sf. Spazzatura, immondizia.

Runcaiuole – vitaiolo  agg.  Di persona che fa bella vita e va   “ per le tane in cerca pregiato cibo come il gronco.

Runchià – bighellonare  v.  Girovagare per cacciare donne.

Runcià – russare  v. Ronfare,

Runcille – roncolo  sm.  Coltello tascabile e chiudibile con lama arcuata a forma di piccola roncola.

Ruoje – sula bassana  sm.  Uccello di considerevole statura che vive nel nostro mare  confondendosi tra i gabbiani. E’ di colore bianco con  ali lunghe appuntite, becco lungo, più lungo di quello di un gabbiano, piedi  palmati. Nidifica tra gli scogli. Si fa spesso notare nelle acque di Palnarola dove, penso, nidifichi.

Ruole – ruolo s.m. Documento rilasciato dall’Ufficio marittimo a tutte le navi. In esso sono segnate tutte le caratteristiche del natante. Nel ruolo si possano apportare tutte le variazioni necessarie perché sia sempre corrispondente  alla realtà del momento. Il ruolo equipaggio ha la validità di tre anni e allo spirare di questo termine la Capitaneria di Porto competente rilascia un nuovo ruolo.

Incombenza, incarico, compito.

Ruommeche – botrico s.m. Bostrycus typhografus. Bruna, teredine. E un essere pericoloso per le barche in legno. Se riesce ad intaccare il fasciame fa mettere le mani nei capelli.

Ruommele – medusa s.m. Scifo meduse. E’ uno degli animali più schifosi che circola per il mare.

Ruonche – grongo s.m.  Conger conger. E’ un pesce che fa paura a vedersi ma le sue carni sono molto apprezzate dai buongustai. E’ il pesce base per una vera zuppa di pesce. Vive tra gli scogli e nel fango anche a grosse profondità. Un mare molto ricco è quello della Botte dove spesso mi sono recato, con gli amici, a mettere le coffe. Il più grosso che ho preso, stavo con Vittorio Feola e Gennaro Di Meglio, pesava 28 chili. Ne ho visto uno di 46 chili pescato, in una nassa, da Cirillo.

Ruospe  rospo  sm.  Rospo, animale anfibio più grande della rana. A Ponza vivono nella vicinanza delle case del dr, Biagio Vitiello e del direttore di macchina Angelo Verginelli. Spesso si incontrano sulla strada sotto le loro case. Di persona scontrosa:  Agg. Cafone, villano, scontroso, avido, affamato, ritroso, ingordo, insaziabile.

Ruosse – grosso  agg.  Grande, imponente, massiccio,  notevole, abbondante, rilevante, maggiore.

Ruote – tegame  sm.  Teglia circolare con bordo basso senza manico usato per cuocere vivande e dolci.

Ruòtele – tedioso  agg. Di persona che ne combina di tutti i colori.

Ruscagle –  stracciabrache  sf.  Pianta selvatica rampicante provvista di abbondanti aculei, salsapariglia, smilace.

Rusche – folata   sf.  Sventolata.

Rusecà – rodere  v.   Rosicchiare , rosicare in modo lento. Di persona  che borbotta sordamente tra i denti.

Rusecamiénte – borbottio  sm.  Dicesi del brontolio lungo e continuo da parte di persona abituata  a bofonchiare, grugnire, borbottare.

Rusecariélle- fragrante  agg.  Di cibo, nel caso dolce, che, pur dalla apparenza duro, si lascia rosicare.

Rusètte – rondella s.f. Piastrina a forma di anello che, serrata sotto il dado, serve ad impedirne lo svitamento spontaneo.

Russàgne – rossastro  agg.  Di colore che tende al rosso cupo.

Russulille – rossiccio  agg.  Di colore che tende al  rosso vivo.

Rustine – rovo   sf.  Pianta della macchia mediterranea che nasce e  si diffonde immediatamnte. I rami sono coperti da spine pungenti. Per distruggerla bisogna solo estirparla. Dà un frutto saporito: la mora.

Rusulane – brendine  sf.   Alberello della macchia mediterranea.

Rute – ruta Pianta della macchia mediterranea  molto diffusa a Palmarola dove  un pendio che finisce in un canalone, per la sua presenza, si chiama: canale della ruta.

Rutèlle – rotella  sf.  Lamina circolare con foro centrale che si mette sotto il dado per stringerlo meglio.  Un settore dei giochi artificali.

Rutte – eruttazione  sm.  Cacciare fuori aria dallo stomaco, rutto.  Agg. rotto, infranto, spezzato, consunto, logoro.

Rutulijà – rotolare  v.  Spingere una cosa su un piano facendola girare su sé stessa; rozzolare, rivoltarsi cadendo.

Rutuliàte – ruzzolone  sf,  Rotolamento.

Rutunne – zerro Pesce che popola i nostri mari. E’ il pesce di Ponza per antonomasia. Vedere “retunne” per gli usi e consumi.

Ruttone – traforo   sm.  Galleria scavata attraverso un monte. A Ponza vi sono quattro ruttune, quattrio gallerie: Chiaia di Luna, Sant’Antonio, Giancos e Santa Maria e tutte sono stati scavate dai romani. Quello di Chiaia di Luna e quello di Santa Maria hanno la caratteristica di essere forniti di aeratori e di sfiatatoi    Mi nasce spontanea una considerazione: se non ci fossero stati i romani e i borboni  Ponza sarebbe uno scoglio inabitato in mezzo al mare.

Per il “ruttone” di Santa Maria  che nel 1854 “ consisteva in una traccia stradale nella esecuzione di un antico traforo di costruzione romana……L’opera di cui è parola è commendevole  pel suo concetto  e per i suoi effetti, mentre con l’apertura di queste tracce stradali e con lo sgombro dell’antico traforo che ora si è denominato Tunnel Circeo è stato grandemente facilitato il traffico tra il villaggio di Santa Maria e l’isola di Ponza non essendovi prima altra comunicazione  che un sentiero dirupato e pericoloso dal lato della montagna”. Questo è riportato in un “memorando “ del 1858.

Rùzze – ruggine s.f. Ossidazione che si forma sui metalli.

Ruzzuliate – ruzzolata s.f. Grosso sbandamento del bastimento quando naviga con il mare in poppa. Lo stesso dicesi di persona che ha bevuto tantissimo e nel camminare sbanda come una nave in un mare in tempesta.

S

Saccapanne – vinello  sf.   Specie di vino, di cui ha solo il colore, fatto con acqua passata per le vinacce.

Saccarine – insulina  Medicina per la cura del diabete

Sàcche –  sacco  sm.  Recipiente di iuta o di tela, di forma rettangolare, cucito da tre lati, lasciando aperta uno dei lati più piccoli.   Serve per mettere dentro roba da trasportare o da conservare.  sf. Tasca . agg. Molto, numeroso, abbondante, in gran quantità.

Sacchebranne –  Sacco branda s.m. Valigia del marinaio.

Sacchetìà – sballottare  v.  Agitare qua e là la cosa senza riguardo,

Sacchètte – sacchetto s.m. Sfera di metallo rivestita di corda intrecciata, assicurata all’estremità di una lunga sagola che, nelle operazioni di ormeggio e di rimorchio, viene lanciata da bordo in modo da permettere il recupero del cavo di ormeggio o di rimorchio, legato all’altra estremità della sagola.

Nacque come un piccolo sacco che i marinai riempivano di sabbia prima di usare la sfera metallica.

Saccone  – Materasso grande quanto il letto, riempito di paglia e alghe secche da usare come materasso o da mettere sotto il materasso.

Saglì – salire  v.  Andare verso l’alto, scalare, ascendere, inerpicarsi.

Saglièscinne – saliscendi   sm  Chiavistello sistemato dietro la porta per la chiusura, nottolino

Sagliòcche – mazzuolo s.f. Martello di legno usato dal calafato.

Sagliocche – martello Attrezzo pesante usato dai carpentieri per calafatare.

Sagliòcchele – scalpello s.f. Arnese del carpentiere usato per infilare più  a fondo la stoppa tra le tavole del fasciame.

Sagliute – salita  sf.  Scalata, pendio, erta.

Sàgole – sagola s.f. Cordicella, canapo di  difficile attorcigliamento per cui viene usata per alzare le bandiere.

Sagume – sagoma  sf.  Modello, tipo, figura simbolica.

Saìjétte – saetta  sf.  Fulmine, bagliore, sveltezza.

Saittère  – griglia s.f. Inferriata che copre il pozzetto destinato alla raccolta dell’acqua piovana.

Saittone – coniglio   sm.  Animale selvatico e domestico.

Salà – salare  v.  Cospargere di sale una cosa per darle sapore o per conservarla.

Salamastre – salmastro   agg. Di cosa che ha sapore  salato o amarognolo.

Salamole – salamoia  sf.  Acqua salata per conservare roba da mangiare come alici, pomodori, olive, funghi, capperi e cucungi.

Sala nautiche  – sala nautica  s.f. Il locale, situato sul ponte di comando, dove si tengono le carte nautiche e gli strumenti nautici di uso continuo.

Salètte – saletta s.f.  E’ il nome che sulle navi si dà alla sala da pranzo degli ufficiali.

Saliate –  legnata  sf.  Pestaggio materiale e morale.

Salimme – salsedine s.f.  Sale contenuto nelle acque marine.

Salmastre – salmastro  agg.  Che sa di sale

Salte i viénte – salto di vento loc. Improvviso mutamento della direzione del vento.

Samènte – schifezza  sf.  Di persona paragonabile ad un cesso.

Samprevìte – semprevivo   sm. Agave, pianta che è stata importata dopo la scoperta dell’America. Ponza ne è ricca. Serviva per determinare i confini delle proprietà. Non ha vita lunga, dopo vari anni di vita vegetativa fiorisce e poi muore. Il fiore è rappresentato da uno   stelo  che, da marzo, quando sboccia, ad agosto, quando inizia ad appassire, si allunga per quattro – cinque metri. Le foglie secche dell’ agave si bruciavano per ottenere la cenere da  usare   quando si faceva il bucato.

Sanduline – sandolino s.m. Zattera in legno simile ad una canoa

Sanfrasò- come la va, la va  loc.  Di persona disordinata e superficiale.

Sangiuvanne – compare  sm.  Padrino

Sanguètte – sanguisuga  sf.  Animale con la bocca provvista di ventosa con la quale succhia il sangue. Erano usate per il salasso,

Samguigne – rossastro  agg.  Aitante, forte, verace.

Sanguse – tombarello s.m. Auxis thazard.  Specie di tonno di piccole dimensioni.

Sant’antonje – sant’antonio s.m.  Diplodus vulgaris. Sarago fasciato. E’ una gioia sentire la sua strattonata mentri tiri la coffa. La coffa per pescare i saraghi è particolare perché gli ami sono piccolissimi. Difficile da allestire, difficile da calare in acqua e difficile da recuperare perché gli ami, uno ogni tre passi, risultano  sempre impigliati. L’esca era un pezzettino di calamaro. Io su consiglio di Luigi Sogliuzzo, il mio maestro in questo settore, usavo le patelle ed ero costretto spesso a rifornire anche lui. Luigi, più noto come l’iscaiuolo, perché di origine ischitana, mise piede a Ponza appena l’isola venne liberata dagli americani. Si accasò subito creando una meravigliosa famiglia. Però,  nun è tutte òre chélle ca luce. Là  nce stà pure a ramme, un figlio è milanista e l’altro è juventino.  Ai pregi si affratellano i difetti.

L’iscaiuolo e stato un protagonista, un grosso  personaggio della vita isolana   per un breve periodo perché, purtroppo,  è morto quand’era ancora giovane. Ciao, Cerullo! Non ti scorderò mai.

Santarèlle – santarella  sf.  Di donna dalla espressione dolce ma dal comportamento cattivo.

Sanzàre – sensale  sm.   Mediatore

Sapé – sapere  v.  Avere conoscenza delle cose, conoscere, intendere, distinguere.

Sapunètte – saponetta  sf.   Piccolo pezzo di sapone delicato e profumato.

Sapuratiélle- saporito  ag.  Di cibo che ha un sapore gradito al gusto.

Sarabande – baraonda  sf.  Confusione, mescolanza, masnada, prende nome da una danza spagnola.

Saràche – gheppia s.f. Alosa alosa della famiglia dei clupeidi.  Vive in branchi e si pesca con reti di circuizione.

Sarachiélle – appisolamento  sm.  Assopirsi stando all’impiedi.

Sarceniélle – fascio  sm.  Fascina di  rami  secchi da ardere.

Sarcì – rammendare  v,  Rammagliare, rimagliare, riparare, aggiustare

Sarde – sarda s.f.  Sardinella aurita. La sarda non ha avuto vita facile  fino a quando abbiamo conosciuto le acciughe. Una volta si pescavano in grande quantità, oggi sono diventate rare. Contrariamente a quanto si ritiene la sarda è un pesce che ha le sue buone qualità. Basta saperla cucinare. La pasta con le sarde, piatto siciliano, è una squisitezza. La sarda arrostita sulla brace, roba nostrana,  ti fa leccare le dita. Per la pesca dei dentici e delle cernie rappresenta una delle migliori esche.

Negli anni della mia giovinezza, la “Custère”, il tratto di mare tra la Ravia e Gavi, era sempre piena di sarde e le cianciole, ogni notte, caricavano migliaia di casse. Non ci sono più perché sono scomparsi i pesci che le dirottavano verso la costa.

Sardellare – sardelliera s.f. Rete per la pesca volante delle sarde.

Sàreche – sarago s.m. Diplodus sargus. Tra i diversi tipi: sparaglione, pizzuto, fasciato, faraone. Il maggiore, questo il suo nome, è il più bello. Il sarago vive in branchi numerosi e si rifugia in tane e caverne dove sono soggetti al fuoco dei sub.

Le sue carni sono prelibate e ricercate. Si pesca con la coffa e con i tramagli. In Sicilia si pesca anche con lenze innescate con scorze di fico d’India. Ho partecipato, con Ennio, Totonno e Verucciello, i tre del Maddalena, la celebre barca di Ennio Curti, a strepitose e favolose battaglie con tanti e tanti morti. Il difficile era sempre come preparare la brace sotto la nostra graticola che era  una rete da letto.

Stralcio dal diario di Lauro Tuena, un simpaticissimo scassa……, alcune pagine:

14 agosto domenica. Tempo bello. Oggi si va  a pesca. I preparativi, iniziati già da ieri da Ernesto, questa mattina hanno mobilitato tutti i componenti la missione. Il ritiro, piuttosto francescano, durerà due giorni. Al segnale convenuto tutti si sparpagliano per l’isola per gli acquisti i più vari. La partenza è un po’ ritardata da Miriam, altra scassa.

A Palmarola ci si bagna, si conversa, si prende il sole, si mangia tutti insieme bene e abbondantemente. Alle 19,30 l’equipaggio dei pescatori guidato dal sig. Presidente Ernesto Prudentissimo va a calare le coffe. Gli altri preparano la cena. Si affetta il pesce spada portato da Ernesto. Si contano le feptte. Impressionante, n. 108 !!! Dove e come le cuciamo. Se ne occupa Silverio, Verucciello, il mago dei fornelli. E in effetti la tecnica del mostro esplode. In poco tempo, utilizzando soltanto i nostri due miseri fornelli ci prepara due piatti di pesce spada, uno alla livornese con capperi di Ponza e l’altro al vino bianco che solo nelle più raffinate cucine francesi è possibile trovare. Estereffati e compiaciuti mangiamo, mangiamo e …. beviamo, beviamo, beviamo e il pesce spada finisce tutto.

A questo punto anche altri decidono di mangiare: Trattasi di zanzeroni locali simili ad aquiloni che a trenta metri di distanza dal soggetto prescelto si gettano in picchiata con il motore al massimo e  colpiscono. Lamenti da ogni parte e dichiarazione di guerra. Guerra da noi immediatamente persa e vinta dai zanzaroni. Tutti sono colpiti. Alcuni dal sangue più dolce, anzi sanguinaccio, vengono anche violentati. Supinamente accettiamo l’evento e subiamo. Poi divisi alla meno peggio nelle due barche prendiamo immediatamente sonno.

L’indomani, 15 agosto, sveglia alle sei. Si debbono salpare le coffe. Sul gozzo i quattro pescatori con patente e il sottoscritto in veste di osservatore. Non sono state sollecitate altre presenze non conoscendo il peso augurale. Dritti allo scoglio di mezzogiorno dove troviamo subito il petagno. E lì, dove già ieri sera avevamo  salpato un grazioso sarago, comincia la danza. E’ un sarago splendido di 30 centimetri e poi un altro e un altro ancora. Fischi da tutte le parti e colpi sulla coperta. Continuiamo a salpare e saraghi, saraghi a strafottere. Poi si rompe la coffa su uno scoglio. Lasciamo lì e andiamo a salpare un altro petagno. Ancora buona pesca, saraghi, una murena, un pesce sorcio bellissimo. Poi si rompe di nuovo la coffa. Recuperiamo dall’ultimo petagno. All’orizzonte spunta un barchino con tre figure sopra. Si teme il peggio. A bordo il presidente ammutolisce. Intanto la coffa viene su senza prede. Chi ci sarà sul barchino? Ennio, Raffa, Gabriele. No, non può essere colpa loro. Ma allora??

A questo punto si rompe la coffa. Ma allora???

Il vecchietto, poveretto, si immerge. Gira e rigira, annaspa, soffia e sbuffa ma niente coffa. Strabuzza gli occhi e continua a cercare quasi stremato. Sprovvisti di prete e olio santo lo tiriamo a bordo. Siamo in ansia ma il vecchietto, poveretto, comincia a riprendersi. Abbraccia teneramente Danny. E’ di nuovo il Presidente. Buona parte della coffa è ancora sott’acqua. Si prepara un gancio per trainare sulla sabbia e al quarto tentativo il successo. La coffa è di nuovo nelle nostre mani. Si salpa. Il barchino continua a girare intorno però ora si comincia a pescare di nuovo: saraghi e perchie che vengono accantonate per la zuppa del re di Ponza.

La coffa si incaglia di nuovo. Il vecchietto è al limite. Vittorio guarda smarrito Totonno. Verucciello trattiene il filo. Nessuno respira a bordo. Il vecchietto, poveretto, accucciato, tremante, sul pagliuolo, muove le labbra come se pregasse. Un filo di bava gli scivola dalla bocca semiaperta. Un urlo di Silverio: si è sganciata. Lui, il vecchietto, ride come quelli di Santa Maria della Pietà. Euforia. E l’euforia ci porta tre saraghi, un pagello e, all’ultimo amo, una splendida ombrina. Gli ometti cecchiali saranno di diritto di Miriam per un paio di orecchini.

Stendiamo il pescato sulla coperta. 23 pezzi di carne bianca, pregiata, che già immaginiamo arrostiti alla griglia sulla spiaggia. La murena con i sorci e le perchie verranno fritti in padella.

Arriviamo alla barca da trionfatori. Compiacimenti, abbracci. Il vecchietto, sempre poveretto, completamente ristabilito ha la bocca alle orecchie e parla, parla, parla, senza che nessuno capisca niente. La moglie volge gli occhi al cielo. Danny pensa all’interdizione e mi ha chiesto se conosco un avvocato.

Silverio, Verucciello, è allegro e pensa all’arrosto di questi splendidi esemplari mentre Totonno si dà da fare con uno sfilatino di pane ripieno di pomodori e tonno. Gli altri, con la lingua, passano la saliva da un lato all’altro della bocca.

I quattro pescatori ora organizzatori e cucinieri scelgono il posto. Li raggiungo. Una tenda bianca, come quella di Omar, il re persiano, nel deserto. Una tavola fratina di quattro metri con stoviglie e “necessaire” per un divino arrosto. Accanto una rete di letto distesa su croccanti e ardenti ceppi. Vi è, poi, una terrina ripiena di olio, aceto, sale, peperoncino, tanto, e un ciuffo di mentuccia e rosmarino per aspargere le nostre creature, quando distese sul letto di S. Lorenzo arrostiranno per noi.

Non ho penna valida per descrivere la supremazia di questo pesce sugli altri mangiati in vita mia. Immaginatelo da soli.

Sàreghe –  appisolamento s.m. Assopirsi stando all’impiedi.

Sarme – basto  sf.  Rozza  sella, varde,  per bestie da soma al cui interno si mette tutto quello che il contadino ha bisogno di portare a casa o in campagna.

Sarmiénte- sarmento  sm.  Tralcio di vite.

Sarpà – salpare v. Strappare l’ancora dal fondo e tirarla su. Le navi salpano le ancore con il verricello, uno strumento meccanico. Si salpano anche le coffe.

Sarpànte – serpante s.m. Mozzo destinato a pulire le latrine di bordo.

Sàrpe – salpa s.f. Box salpa, Pesce  della famiglia degli sparidi. Ha il corpo striato di giallo.Vive, in branchi della stessa taglia,  nei nostri mari rocciosi dove oltre a  brucare l’erba che cresce sugli scogli va alla ricerca di detriti di cibo per cui la sua carne non viene apprezzata ed è addirittura schifata. Ma se viene  pescata, sempre con il tramaglio,  a Zannone, a Palmarola o nelle zone lontane dal porto, non ha niente da invidiare alle qualità più pregiate.

Sarsetià –  rimettere  v. Rianimare, riprendere

Sartiame – sartiame s.m. L’insieme delle sartie.

Sartore – cucitore  sm.  Sarto

Sarvaggènte – salvagente s.m.  Nome che si dà a qualsiasi arnese o attrezzo capace di mantenere a galla una persona che vi si aggrappa o lo indossa. Il più semplice è la ciambella, fatta di sughero e rivestita con tela cerata.

Sarvamiénte – salvamento   sm. Il riuscire a salvarsi.

Sarvatagge – salvataggio s.m. L’insieme delle operazioni per portare in salvo chi è in pericolo di affondare o chi ha subito un naufragio.

Sarvateche – selvatico  agg.  Rozzo, rustico, non socievole, incivile; di cosa non coltivata, di animale non addomesticato.

Sarviètte – salvietta  sf.  Tovagliolo.

Sarze – salsa  sf.  Sugo, condimento ottenuto facendo cuocere la carne  con olio,  burro o sugna, e erbe aromatiche e succo di pomodoro.La salsa per eccellenza è il ragù.

Il ragù è uno degli ingredienti più importanti della cucina  ed è la salsa più difficile da preparare tanto che il buon, si fa per dire, Eduardo appena alzatosi dalla tavola, in quella domenica di maggio, al sorriso della moglie, forse perché voleva un “bravo”, le punta il dito e si sfoga: U rraù che piace a me / m’o faceve sule mammà / A che m’aggio spusate a te, / ne parlamme pe ne parlà. / Io nun songhe difficultuse; / ma luvammel’a miéze st’uso.

Sì, va buono: cumme vuò tu. / Mà ce avessem’appiccecà? / Tu che dice? Chest’è rraù? / E io m’o mmagne pe m’o magnà… / Ma faje dicere na parola? / Chesta è pasta c’a pummarole.

Povero Eduardo!  Che disgrazia a non avere in casa un Ernesto Acampora che, come scrive Giuseppe Marotta, nell’Oro di Napoli, “alle sette di mattina don Ernesto è già nella macelleria a scegliere  il suo pezzo di carne. Sa tutto su questo pezzo di carne, lo identifica a colpo sicuro, come se lo avesse tenuto d’occhio fin da quando esso cominciò a crescere addosso alla bestia. Un  pezzo di carne per il ragù non dev’essere magro e non deve essere grasso; é indispensabile che abbia cessato di vivere  almeno  da quarantotto ore. Quando don Ernesto torna a casa con il suo impeccabile pezzo di carne scaccia tutti dalla cucina e inizia l’esecuzione del ragù.  Non escludo che egli si sia fatto un furtivo segno di croce.

Prende il tegame di terracotta in cui aveva già fatto imbiondire con una cucchiaiata di strutto la cipolla con il rametto di basilico che aveva appena colto dal vaso sul davanzale  del balcone. Rimette il tegame sul fuoco e sorveglia ogni cosa: Quando sente il borbottio della sugna e il profumo del basilico che gli penetra nei polmoni, prende il pezzo di carne e lo depone nella pentola. Sente l’arrosolatura                                                                                                                                          e con il cucchiaio di legno rivolta  il pezzo di carne con la delicatezza di un officiante. Egli non cuoce ma celebra il ragù. Immessa la conserva di pomodoro a scientifici intervalli l’ultima  parola è al fuoco e al cucchiaio. Il ragù non bolle, pensa; bisogna soltanto rimuovere con il cucchiaio i suoi pensieri più profondi e aver cura che il fuoco sia lento, lento. Uscendo dalla finestra l’odore del ragù di don Ernesto incontra quello di altri innumerevoli ragù, purissimi o bastardi, se li annette e li abolisce”.

Sàrzje – sartia s.f. Corda di acciaio che sostiene lateralmente l’albero. Fissata nella parte alta dell’albero va a tesarsi sul fianco  esterno del bastimento agganciandosi alla landra.

Sasicce – salsiccia  sf.  Carne di maiale tritata e condita, insaccata in budelle piccole che vengono divise in rocchi dallo spago che li lega.

Sàssule – sassola s.f. Attrezzo di legno simile ad una cucchiaia con manico. Si usa nelle piccole imbarcazioni per sgottare l’acqua.

Sàure – Sughero s.m. Trachurus trachurus,  dei carangidi. Su ambedue i lati presenta, per tutta la sua lunghezza, una linea corazzata con ossei spinosi. Vive in branchi lungo la costa, si sposta velocemente da un posto all’altro  alla ricerca di cibo.

Da noi, oltre al sughero, vive anche il sugarello maggiore e il sugarello pittato. D’inverno scende a grosse profondità e va ad impigliarsi nelle reti stese per il merluzzo. Il pescatore ponzese gli ha sempre dedicato molta attenzione. Gli ha fatto la caccia con la lampara facendo pescate impressionanti. Una delle zone più pescose era il mare della Botte dove, in una calata di rete, si circuiva un quantitativo da riempire migliaia e migliaia di casse. Assai richiesto dal mercato ittico di Pozzuoli. Sono anni che le nostre zaccalè non fanno più quelle memorabili imbracate. La sua morte è alla brace o lesso con qualche pomodoro all’insalata.

Sàure – sagola s.f. corda della lunghezza di circa settanta metri.

Savine – ginepro  sm.  Juniperus sabina, da cui deriva il nome dialettale. Pianta della macchia mediterraneà.  Esso è presente in pochi esemplari a Ponza e a Zannone dove la posizione di alcune piante dà il nome alla montagna del savino. Un grosso numero di piante, oltre il centinaio, vive in una zona di Palmarola, abbasce u carcariélle. Le piante in genere sono a cespugli, forse avrebbero bisogno di potatura, e gli arbusti raggiungono e superano anche i due metri di altezza.  Ho notato, sempre a Palmarola, esemplari che raggiungono  i cinque-sei metri. I contadini di Ponza con gli steli del savino, legno durissimo, facevano i manici di tutti gli attrezzi che usavano in campagna  Nella casa dell’armatore Vincenzo Onorato,  a Porto Cervo,  diversi  ginepri, alti dai cinque ai dieci metri, vivono sulla spiaggetta a un metro dal mare. Affondano le loro radici nell’acqua salata.

Savorre – zavorra s.f. Peso che si imbarca quando la nave deve viaggiare  senza carico. Serve per la stabilità del natante.

Sazià –  saziare  v.  Calmare la fame.

Sbacantà – svuotare  v.  Levare da un luogo tutto quello che c’è, sgomberare, evacuare.

Sbafà – sbafare  v.  Mangiare senza pagare, scroccare; ventilare, aerare.

Sbafante – rodomonte  sm. agg.  Gradasso, smargiasso, spaccone, millantatore.

Sbafantèrije – smargiassata  sf.  Millanteria

Sbalanzà – spingere   v.  Lanciare. scagliare, scaraventare, proiettare,

Sbalanzàte – slancio s.f. Rincorsa della barca durante il varo.

Sbalecià – svaligiare  v.  Saccheggiare, rubare, svuotare, spogliare.

Sbalesate – Sbalestrato  agg.  Disordinato, superficiale.

Sballate – eliminato  agg.  Illogico, insensato.

Sballazze – paura  sm.  Spavento, timore, tremarella, panico, sbigottimento.

Sballuttulià – sballottare  v  .  Saltellare o agitare una cosa senza riguardo.

Sbambate – svampato  agg.  Esaurito, quietato, calmato.

Sbandà – sbandare v. Inclinarsi  su di  un fianco, slittare.

Sbandate – sbandata s.f.  Si dice di un natante che improvvisamente, per un motivo qualsiasi, si inclini su un lato.

Sbannite – bandito  sm.  Di persona fiera, orgogliosa intemerata, da poter competere con tutti e con tutto, cattivo soggetto.

Sbaraglione – sparaglione   sm.  Diplodus annularis, è un pesce che appariene alla famiglia dei saraghi. Di pesona scaltra, furba dotata di astuzia e vivacità

Sbarbatiélle – sbarbatello   agg.  Di persona giovane, novellina e pivellina.

Sbarcà – sbarcare v. Cessare di far parte dell’equipaggio. Scaricare la merce.

Sbarijà – delirare  v.  Vaneggiare, sragionare, sconnettere.

Sbariate – svagato  agg.  distratto, sventato, smemorato.

Sbarrèlle – barella   Attrezzo simile ad un lettino che si porta a braccia per il trasporto dei feriti.

Sbattemiénte – patimento  sm.  Soffrimento, sofferenza.

Sbàttere – sbattere v. E’ usato quando si va contro un ostacolo e quando le vele per un vento intermittente picchiano contro l’albero o la sartia.

Sbattute – sbattuto  agg.  Scaraventato, stanco, morto.

Sbàuze- predellino s.m. Montatoio formato da un asse di legno,  largo una quindicina di centimetri, con scanalatura centrale ai due lati per l’incastro di una cima le cui estremità venivano  unite da un nodo o da una impiombatura che, legata ad altra cima, scorrevole in un paranco, lo faceva salire fino alla testata dell’albero. Su questo sediolo piglia posto un marinaio per effettuare i lavori a riva.

Sbeccate – sbeccato   agg.  Dell’aragosta a cui viene rotto il rostro per evitare che, nelle guerre civili, si danneggiassero a vicenda.

Sbentà – svaporare v. Sfumare, affievolire.

Sbentate – svaporato   agg.  Sfumato.

Sberrésse – arpia  sf. Di donna perfida e malvagia.

Sbirre – sbirro s.m. Anello di corda, di acciaio o di catena, morbido e flessibile, usato per applicare un paranco ad una corda o ad una asta. Lo sbirro è usato anche come braca per issare e trasportare collettame. Sbirre si chiama anche l’arnese per disincagliare gli attrezzi da pesca rimasti sul fondo.  Agente.

Sblendore – splendore s.  Luce intensa, sfarzo.

Sbòve – sbovo s.m. Attrezzo a mano per issare le ancore. Un ricordo: frequentavo la seconda elementare quando un mattino, mentre soffiava un vento teso da levante ed il mare era abbastanza mosso, fui spettatore, con i compagni di scuola e di tanta altra gente affacciata ai balconi delle proprie case e alla veranda della strada,   di uno spettacolo di cui conservo ancora memoria.

Un bastimento stava salpando. Era “na mbrucchièlle”, la Maria Assunta, un bastimento vivaio per il trasporto delle aragoste, che si recava in Sardegna,  sulle zone di pesca dove vi erano già i gozzi ponziani.

Tre uomini, due da un lato e il terzo dall’altro, azionavano, a movimento alternativo, le leve dell’argano per il recupero della catena mentre un quarto uomo sistemava, abbisciava,  come si dice in gergo, la catena in modo che le maglie non si accavallassero. Il rumore ritmico della “castagna”, che scorreva sugli ingranaggi del salpancora, batteva il tempo. Quando l’ancora fu a picco, perpendicolare alla prua del  bastimento, il capitano ordinò di alzare le vele. I marinai lasciarono il verricello e corsero ai paranchi. In un attimo la randa e la maestra furono a riva e incominciarono a sbatacchiare. Le cime vennero tesate come corde di violino. I marinai tornarono all’argano  per svellere l’ancora dal fondo mentre uno di essi prese una cima da una lancia che stava a murata con tre uomini a bordo, due ai remi ed il terzo a poppa dove al baglio era legata la cima. Il suono dei rintocchi della campana posta a prua e azionata da un marinaio diede il segnale di “libero a prua”. I marinai, dopo aver sistemato l’ancora alla murata del bastimento, tornarono alle vele issando due balacconi, vele triangolari che tutti i velieri hanno  a pruavia dell’albero di trinchetto. La lancia a remi si mise di prua al bastimento e a forza di remate  portò il veliero con la prua all’imboccatura del porto con le vele che incominciarono a gonfiarsi sotto l’azione del vento. “Molla a prua” fu il comando imperioso del capitano e il marinaio che si trovava a prua mollò la cima liberando la lancia che scivolò, sotto vento, lungo la murata del bastimento. La mbrucchiélle, libera di manovrare a suo piacimento, diresse la prua in direzione dello scoglio Ravia che raggiunse in pochi minuti. Dalla nostra visuale sembrava quasi che gli sbattesse contro tanto che tutti temevano che “ghiésse a tuzzà”. A pochi metri dallo scoglio si notò il  movimento del boma della randa e il bastimento come se facesse perno sul timone modificò la sua prua in direzione dello Scoglio Rosso da cui virò nuovamente con la prua in direzione nord. Poche centinaia di metri e di nuovo un’altra virata verso le Formiche, gli scogli al largo della Parata.

Guardavamo attoniti. Un vecchio pescatore,  che si trovava fra quella nidiata di marmocchi vocianti, all’ultima virata, dopo aver  aspirato una boccata di fumo dalla lunga cannuccia della sua pipa di coccio che teneva schiacciata fra i denti, disse: “E’ gghiute! c’a Madonne l’accumpagne”. Assorto, appoggiato ad un bastone si allontanò dal Lanternino. Forse rimuginava e riviveva   le sue tante partenze nelle stesse condizioni di vento e di mare. La ciurma dei ragazzi per correre a scuola quasi lo travolse. Sulla Parata vi era altra gente ad assistere al passaggio del bastimento e tra questa anche il maestro che, appena in classe, approfittando della circostanza e del nostro interesse, ci parlò della pesca delle aragoste e delle mbrucchièlle, un bastimento vivaio, la cui  struttura fu rubata agli spagnoli dai marinai ponziani nel porto di Barcellona.

Sbrafante – presuntuoso  agg.  Saputello, saccente, pallone gonfiato, tracotante.

Sbrasate – sfuriata  sf.  Di cosa fatta in fretta e furia.

Sbrégle – foglia    sf.  Appendice del granturco. Le foglie di questa pianta  venivano seccate e poi messe nel saccone, il sottomaterasso.

Sbrennore – splendore  sm.   Luce intensa,  larghezza signorile del vivere,  bellezza mirabile.

Sbrìgle – smeriglio s.m. Lamna nanus, degli isuridae. Pescecane che è meglio non incontrare mai.

Sbronze –  ubriaco  agg.  Di persona che  va in giro ubriaco.

Sbrucà –schiarire   v.  Rendere chiaro la voce.

Sbruffone – spaccone  sm.  Millantatore

Sbruglià – sbrogliare v. Trovare il bandolo, dipanare.

Sbruvugnà – svergognsre  v.  Scornare, smascherare, smentire,  denunciare, mettere alla berlina.

Sbruvugnate – svergognato  agg. scornato, smascherato, umiliato, sfacciato, spudorato.

Sbruvuogne – vergogna   sm.  Turbamento dell’animo per cose che apportino disonore. Riserbo, imbarazzo, disdoro, smacco. La realtà dello sbruvuogne consisteva ad una innocente deroga  a certe norme che la volontà popolare riteneva vincolanti come, ad esempio, quella per una donna   di non mostrarsi in pubblico prima che fossero passati sette giorni  dalle nozze. La donna che osava andare contro corrente era appellata sbruvugnate.

Sbuccate – svolta  sf.  Punto della strada dove si gira, curva, gomito.  Di cosa che è stata gettata via.

Sbudecate – lussato  agg.  Slogato, disarticolato.

Sbudecature – inciampo  sf.  Distorsione,  storcimento di un arto per effetto di un movimento violento, lussazione, slogatura.

Sbudellate – sbudellato  agg.  Di persona che ha mangiato a crepapanza;  di chi si sbellica di risate;  ferito da cacciare fuori le budella.

Sbullute – impaurito  agg.  Spaventato, spaurito, rimescolato; sbollentato.

Sbummate – traboccato  agg.  Fuoriuscito dal recipiente o dalla rete.

Sbummeca – riversare v. Traboccare, riboccare, abbassare la rete per consentire la fuoriuscita del pesce quando ne è di troppo.

Sburdià – bordeggiare v. Navigare contro vento   cambiando spesso di bordo. Procedere a zig-zag, bighellonare.

Sbuttà – scoppiare  v.  Sfogare,  esprimere,  manifestare liberamente il proprio pensiero.

Sbuzzà – sbozzare v. Aprire il ventre del pesce e togliere le interiora.

Scacà –  isterilire  v.  Diventare sterile, incapce di  rifare quello che aveva sempre fatto, perdere la considerazione; della trappola che si chiude involontariamente; L’isterilirsi della gallina  che non fa più uova.

Scacàte – Isterilito  agg.  Che non produce più, avvilito, mortificato, venuto meno all’aspettativa, perso di considerazione. Il reale significato è reso dal femminile in quanto è nato dalla gallina che non fa più uova.

Scaccione – allontanamento  sm.  Licenziamento amoroso, espulsione, rimozione.

Scachetià – vociare  v.  Schiamazzare, strepitare, dicesi dello schiamazzo delle comari che è simile al vocio delle galline,  quando una di queste ha deposto l’uovo.

Scachetiate – schiamazzo  sf.  Strepitio di donne pettegole e maldicenti simile al chiocciare delle galline.

Scafandre – scafandro s.m. Vestito e attrezzatura del palombaro.

Scafaréje – insalatiera  sf. Grosso contenitore di terracotta patinata, di forma tronco conica,  simile ad una insalatiera. Veniva  usata per lavare piatti e stoviglie, per contenere verdure da lavare. Era  un recipiente nel quale si pigiava, si sminuzzava, si impastava.  Era  utilissimo in  casa.

Scafe – scafo s.m. Tutto il corpo di un natante, ossatura e fasciame.

Scafètte – gavone s.m. Piccolo ripostiglio.

Scafutà – svuotare  v.  Scavare nella parte centrale, incavare.

Scafutate – scavato  agg.  Incavato, svuotato.

Scàgle – scaglia s.f.  Scheggia, schiappa.

Scagliuozze – Pane di granturco  sm.  Piccolo pezzo di pasta di granturco, di forma trapeziodale, cotto nel forno.  Una cosa  totalmente diversa da quello fritto.

Lo scagliuozze, come tante altre cose,  è stato inserito nel sostanzioso elenco degli scomparsi. Sono decenni che non si vede in pezzo di scagliuozze, un nome che non fa parte più del vocabolario isolano.Quelli della mia età lo ricordano sul bancone della panetteria di Giovanni D’Atri.  La farina di granone che veniva usata doveva essere integrale, senza abburattamento. Quasi sempre il granturco veniva dato a qualche contadino isolano che provvedeva a macinarlo con la sua mola. La farina venica cotta come per una normale polenta ma più dura, più consistente. Nella cottura della farina venivano messi: uva passita, semi di finocchio selvatico, cicciole, e quando queste non c’erano tocchettini di lardo con la dovuta quantità di sale e pepe. Si versava tutto su un marmo e lo si lasciava raffreddare. Quando le mani si potevano affondare si divideva la pasta in pezzi dal peso, all’incirca, di trecento grammi ognuno  e si infornavano. Lo scagliuozze, nel forno, occupava un posto particolare, la “lumiére”, una piccola finetrella dove venivano messi dei  ramoscelli secchi che, accesi, consentivano la visibilità nel forno quando infornavano le pagnotte. In quel posto la caloria era meno forte.

Doveva cuocere a fuoco lento fino a creare,  tutt’intorno, una crosticina  marrone.

L’occasione mi spinge  a dire che da alcuni anni la signora Giovanna Mazzella Scotti, proprietaria, e i figli non l’abbiano a male, dell’albergo Le Querce prepara una torta con le cicciole che paragono a quelle “vittorie” degli anni della mia giovinezza. Come per gli anni addietro, aspetto, con l’acquolina in bocca, l’invito che, per la signorilità di Giovanna, non può mancare. Di fronte a queste leccornie c’è solo da gridare il “si salvi chi può”.

Scagnà – Scolorire  v.  Di veste che per l’uso ha cambiato colore, scambiare, barattare

Scagnate – scolorito  agg.  Stinto,  scambiato, barattato

Scagne – scambio  sm.  Occasione, caso, circostanza, equivoco.

Scalandrone – Scala s.m. Scala reale posta su una fiancata tra il ponte della nave e la banchina. I nostri nonni chiamavano scalandrone  quella consistente scala di legno che, attraverso una botola, portava ad una stanza sovrastante.

Scale – scala s.f.  Ordine di più scalini. Parte di una casa  formata dalla successione di gradini che servono a salire da piano a piano    Gradinata per accedere da un ponte all’altro. Con questo termine si designano le varie scale che sono su una nave: la scala dei barcherizzi, esterne ai due lati della murata; la scala reale , la più prestigiosa che si estende lateralmente da una speciale apertura della murata e arriva fino al livello del mare per il trasbordo dei passeggeri; la biscaglina, quella trasportabile, formata da due cime tra le quali sono inseriti e legati ben fermi una serie di gradini formati da assi o tavolette  di legno.

Scale di Beaufort – scala di Beaufort s.f. Oggi, i vari canali televisi diffondono quotidianamente diecine e diecine di bollettini metereologici da cui aprrendiamo che il vento e il mare sono di forza quattro, sei  o otto. Questa  graduazione convenzionale della forza del vento e del mare presso le varie marinerie fu ideata dall’ammiraglio inglese Francis Beaufort. Rappresenta la forza e la velocità del mare e del vento in metri al secondo:

Calma                            0       meno di m. 0,5

Bava                              1        da 0,5 a 1,5

Brezza leggera              2        da 1,5 a 3,5

Brezza tesa                    3        da 3,5  a 5,5

Vento moderato            4        da 5,5 a 8,5

Vento teso                      5        da 8,5 a 11

Vento fresco                  6         da 11 a 14

Vento forte                     7        da 14 a 17

Temporale                       8       da 17 a  20

Temporale forte              9       da 20 a 24

Temporale fortissimo     10      da 24 a 28

Fortunale                         11     da 28 a 32

Uragano                           12      oltre 32

Scalià – rovistare  v.  Cercare, frugare con impazienza.

Scalummà – capitombolare  v.  Sprofondare, precipitare, ruzzolare, cadere  rovinosamente.

Scalummate – precipitazione  sf.  Il gettare con veemenza qualcosa in un luogo profondo,  caduta precipitosa,  discesa ripida del fondo marino, il rimanere illeso.

Scaluomme – Inabissamento s.m. Discesa precipitosa del fondo marino.

Scamazzate – schiacciato  agg.  Compresso, acciaccato, ammaccato, pestato, infranto, pressato.

Scambà – squamare v. Levare la scaglia dai pesci.

Scambate – salvato  agg.  Illeso, evitato, schivato, sopravvissuto, squamato.

Scàmbe – squama s.f. Scaglia che ricopre la pelle del pesce.

Scammesate – scamiciato  agg,  In maniche di camicia.

Scamorze  – inetto  agg.  Di persona incapace, da niente.

Scampulaméje – Pisellone  agg.  Di persona insipida e poco disponibile al lavoro, citrullo, sciocco.

Scampule – scampolo  sm.  Acquisto occasionale, residuo di cose da vendere a prezzo di opportunità. Ritaglio di cose diverse.

Scampulià – sopravvivere  v.  Mantenersi in vita, scampare.

Scampulille – sonnellino s.m Sonnellino pomeridiano, dormicchiare  stando all’impiedi, riposo, siesta.

Scanàgle  – scandaglio s.m. Nome di qualsiasi tipo di attrezzo o arnese che serve per misurare la profondità delle acque e la conformazione del fondo.

Scanaglià – scandagliare v. Cercare di conoscere la profondità marina e quella  del fondale sottostante la barca e se vi circolano pesci. Ci si serve di un apparecchio prodotto in vari tipi. Ieri la conoscenza del fondo avveniva solo con le coffe.

Scanagliate- panoramica  sf.  Colpo d’occhio, resoconto, visione, carrellata.

Scancianese – bizzarro  ag.  stravagante, curioso, strano, originale, bislacco,  strambo, strampalato, scontroso, intrattabile.

Scàndere – Tanuta s.m. Spondyliosoma cantharus.  Vive nei nostri mari su fondale roccioso. Rassomiglia al sarago ma si distingue facilmente per il colore più  scuro. Vive anche in tane. Depone le uova sul fondo in una fossetta che il maschio scava con la coda. Si pesca con la coffa e con il tramaglio.

Una volta, fino agli anni dell’ultimo dopoguerra, la pesca degli scandere, specialmente nel periodo della traiàne, cioè quando si radunano per deporre le uova, veniva effettuata con le nasse. Erano delle nasse talmente grandi che i pescatori le costruivano nei cortili delle case perché erano più larghe e più alte di una normale porta d’ingresso.

Una volta messe a pescare il ritiro avveniva giornalmente. Se si notava, come spesso succedeva,  quando la nassa era a pochi “passe” dalla superficie, che era piena di “scàndere”, si fermava il tiro, si calava in acqua una tenda, che si portava a bordo appositamente,  con la quale si avvolgeva la nassa e, facendo forza sul telo, la si metteva a bordo evitando il passaggio diretto della nassa sulla murata che il peso  l’avrebbe sicuramente schiantata. In  una nassa soltanto sono capitate tante  tanute da superare il quintale di peso.

Scangiuofele – paguro s.m. Dardanus arrosor. Un mollusco ottimo per esca del bolentino.

Scannà – sgozzare  v.   Strangolare, mandare in rovina, svenare, spolpare, mazzolare.

Scannature – scannatura  sf.  Sgozzamento;  Sm.  Lungo coltello per  sgozzare il maiale.

Scanne – sgabello s.m. Seggio senza spalliera per più persone

Scannetiélle – seggio  sm.  Sgabello per una sola persona.

Scanzà – scansare  v.  Evitare, schivare, spostare, scostare, rimuovere.

Scanzìje – scansia  sf.  Nobile a più ripiani  destinato a contenere roba di diversi tipi come libri , ciondoli, bottiglie. Quella appesa alla parete della cucina conteneva i piatti di uso giornaliero.

Scapà – scapare  v.  Togliere il capo,  scegliere, selezionare.

Scapéce- scapece  sf.  Frittura di pesce conservata in un miscuglio  di aceto, olio, aglio, peperoncino e mentuccia. Era il classico piatto della vigilia di Natale.

Scapezzà – capitombolare  v.  Cadere rovinosamente, crollare, diroccare, precipitare, sprofondare.

Scapezzone – sonnellino s.m. Dormire con la testa sul tavolo o appoggiata ad una parete.

Scappanne – scappando  avv.  In fretta e furia, velocemente.

Scappavije – scappavia s.f. Imbarcazione leggera e sottile.

Scappellà – scappellare v. Togliere la cima che era stata posta intorno ad un qualsiasi oggetto. Togliersi il cappello.

Scappucce – Cappuccio  sm.  Colino di tela per filtrare il mosto da usare per lo spumante. Si usava  una federa che sul  lato aperto veniva cucita una piega in cui passava un bastone i cui estremi poggiavano  su due sostegni alti all’incirca due metri. Il cappuucio lo si metteva al centro del bastone e lo si riempiva di mosto. Sotto, per raccogliere il mosto, si poneva un tinello.

Scapputtà – svignare  v.  Andare via,  sparire, scappare, darsela a gambe,  squagliarsela, tagliare la corda.

Scapuocchje – casaccio  Loc.  Di cosa fatta male per mancanza di impegno.

Scapucchione – scapocchione agg. Di persona che lavora senza   testa, senza capo.

Scapulà – scapolare v. Oltrepassare un’isola,  un promontorio o un galleggiante navigandogli vicino. Evitare  rapidamente gli ostacoli, fuggire da un pericolo.

Scaramà – disincagliare v. Liberare, sbloccare.

Scaramàture – scaramatoio s.m. Attrezzo di forma circolare che serve per disincagliare gli strumenti da pesca che sono rimasti impigliati nel fondo roccioso.

Scaravije – cassetta s.f. Cassa del calafato che contiene gli attrezzi per la sua attività e che gli serve anche da sgabello.

Scaravòttele – blatta  sf.  Scarafaggio di colore nero con corpo appiattito e zampe lunghe. Vive al buio e nei luoghi umidi, sono attivi solo di notte. Alcune specie coabitano con gli uomini

Scaravugliate – sbrogliato  agg.  Districato, sgrovigliato.

Scarde – scaglia  sf.  Frammento, scheggia. Di uomo dappoco, di donna  bella, formosa e  simpatica. Squama, scaglia.

Scardone – rottame   sm.  Frammento di  pietra dura.

Scarduse – pretestuoso  agg.  Riscontroso; di legname difficile a lavorare per gli intoppi dovuti ai nodi che presenta ai ferri del mestiere

Scàre – sito s.m. Livellamento del terreno per il tiro a secco di un bastimento o per la installazione di un qualsiasi arnese.

Scarecà – scaricare v. Sbarcare, togliere la merce da bordo.

Scarecatiélle – bucato  sm.  Lavatura dei panni  fatta con cenere e acqua bollente.

Scarfà –  riscaldare  v.  Scaldare, dare calore, infervorare, infiammare, infuocare.

Scarfasègge – Scaldasedie  sm.  Di persona che non fa il proprio dovere,  impiegato o operaio di scarso rendimento

Scarfisse – allampanato  agg.  Di persona magra, inaridita.

Scarìje – catasta s.f.  Mucchio di legno che si forma sotto la carena della nave a secco per mantenerla bilanciata.

Scarmiére – scalmiera s.f. Forchetta di legno o di metallo posta sul bordo della lancia su cui è poggiato il ginocchio del remo. Il punto in cui il remo ruota trasmettendo la spinta alla imbarcazione.

Scarmule – scalmo s.m. Asse di legno, preferibilmente di quercia, infilato nel buco della scalmiera, a cui viene agganciato il remo con lo stroppo in modo da muoversi durante la voga. Con questo nome si designa anche il pesce lucertola, synodus saurus, della famiglia dei synodontidae.

Scarmuottele – scalmotto s.m. Pezzo di legno a forma di U che va da poppa a prua e su cui viene inchiodato il fasciame. Gli scalmotti formano l’ossatura delle imbarcazioni.

Scaròle – scarola  sf.  Pianta erbosa commestibile. La sua fine più celebre è mbuttunate, classico piatto della vigilia di Natale  che si basava su pesce e verdura. La scapece e la scalora  mbuttenate.  La scarola veniva, nel  tempo e nel luogo,  piantata appositamente per Natale. Si sceglievano le piante migliori a cui veniva tagliato il torsolo con le radici. Portate a casa venivano immerse in una o due scafaréje con l’acqua dove si lasciavano per alcune ore per dar tempo al terriccio di staccarsi dalle foglie e di posarsi sul fondo. Poi venivano ancora sciacquate e risciacquate e posto in un cesto, a maglie larghe, per farla colare. Mentre ciò avveniva si preparava in un piatto  fondo il pangrattato, aglio tritato,uva passita, capperi, olive snocciolate,  sarde salate a pezzettini, il dovuto sale e pepe. Si prendeva il piede di scarola e con delicatezza, senza far  cadere foglie, lo si apriva fino al cuore dove si metteva  il composto che si era preparato. Sempre con cura si ricompattava la piantina e si legavano le cime con un filo di cotone, perché non bavasse, e si riponevano nel tegame di coccio, largo e basso, dove veniva aggiunto l’olio e un po’ di acqua necessaria per la cottura  che si aggirava intorno ai trenta minuti

Scarpare – calzolaio  sm.  Artigiano  che ripara e fa anche scarpe nuove.

Scarpe – scarpa s.f. Calzatura fatta di pelle nella parte superiore e di cuoio nella parte di sotto. Particolare zona laterale della prua dove viene sistemato e legato l’ancora di tipo tradizionale

Scarpesà – calpestare  v.  Pestare, pigiare.

Scarpiéllè _ scalpello  sm.  Strumento di acciaio, tagliente da un lato, con il quale si lavora  la pietra, il legno e il ferro.

Scarpinate – Tragitto  sf. Lungo e stancante cammino compiuto a piedi.

Scarpinètte – cammino  sm.  Percorso disagevole, itinerario scomodo.

Scarpunciélle – ciabatta  sm.  Pantofola.

Scarpune – scarpone  sm. Grossa scarpa, ciabatte per casa.

Scarrecà  –  Scaricare   v.  Fare il bucato, è l’ultima fase dell’operazione. Consiste nel togliere il tappo al Cufunature e l’acqua, che era stata riversata con la cenere sui panni, fuoriesce. I secchi per la raccolta si susseguivano nell’apposito incavo. Questa acqua serviva  per lavare i panni a colori e data anche al vicinato che ne faceva richiesta.  Scaricare, sbarcare la merce dalla nave.

Scarrecate – scarica  sf.  Scagliamento di tante cose compreso le parole.

Scarrecatiélle – lavaggio  sm.  Piccolo bucato a mano.

Scarròcce – scarroccio s.m. Spostamento del natante in senso laterale verso sottovento.

Scarruccià – scarrocciare v. Spostarsi di un galleggiante indipendentemente dalla propulsione dei suoi mezzi meccanici.

Scarrupà – Dirupare  v.  Crollare, precipitare, rovinare, abbattere, diroccare.

Scarrupate – dirupato  agg. diroccato, abbattuto, precipitato, crollato.

Scarrupe – dirupo  sm.  Rovina di un piano, disastro.

Scarse – scarsa s.f. Somma giornaliera fissa che l’armatore dà all’equipaggio per la spesa dei viveri  a cui il cuoco di bordo provvede direttamente.

Scartate – scartato  agg. Eliminato, riformato.

Scartature – Scarto  sf.  Rifiuto, ciarpame.

Scartellate – gobbo  sm.  Gibboso,  sgobbato.

Nell’epoca degli intellettuali si nota in quasi tutti gli induvidui  un simbolo contro la iettatura. Chi non lo tiene al braccio o al collo, visibile, lo tiene in tasca o nel mazzo di chiavi. E’ raro trovarne uno sprovvisto. Chi non ha il “ferro” da toccare ha sempre le mani in tasca credendo nella sua pelletica che, secondo  il Fanfani,  è  pelle  floscia e ricascante nelle persone vive come per esempio le mammelle avvizzite Bisogna un poco soffermarsi su questo termine decisamente auriuse com’è lo scartellate ritenuto apportatore di abbondanza e di buona fortuna. Lo scartellato fa testo nella Smorfia al numero 57.

Scartiélle – gobba   Sm.  Nce vò na bbòne allisciatèlle.

Scartine – carta  sf.  Carta da gioco di nessun valore

Scaruse – a capo scoperto  agg.  A testa nuda, senza cappello. Per le donne  era obbligatorio tenere il capo coperto con un fazzoletto o con uno scialle,  per gli uomini era ritenuto sconveniente  girare scaruse fuori della propria casa.

Scarze – scarso  agg.  insufficiente

Scarzìje – risparmio  sm. Economia che si fa sulla spesa.

Scassà –  scassinare v. Rompere, distruggere, disfare.

Scasse – scassa s.f. Intaglio che si fa sul paramezzale per contenere l’estremità inferiore dell’albero.

Scasualmènte – incidentalmente  avv.  Per caso.

Scasune – scusa  sf.   Discolpa, ripiego,  giustificazione, scappatoia,  pretesto, coincidenza imprevista,  pura combinzione.

Scatàste – caos  sm.  Rovina, grosso guaio.

Scautà – lessare  v.  Bollire, scottare, riscaldare.

Scauze – scalzo agg.  A piedo nudi, senza scarpe.

Scazzate – cisposo   agg.  Appellativo dato a persona  che ha abitualmente gli occhi cisposi.

Scazze – Cispa  sm.  Prodotto del secreto lacrimale che si deposita tra le palpebre specialmente durante il sonno.

Scazzélle – pretesto  sf. Cavillo che si adduce per giustificare una cosa, appiglio, scappatoia.

Scazzellià – appigliarsi  v.  Abbarbicarsi, aggrapparsi, avvinghiarsi, afferrarsi.

Scazzelluse – pretestuoso  agg.  Cavilloso, fallace, falso.

Scazzètte –  calotta  sf.  Zucchetto, copricapo dei preti.

Scazzimme – cisposità  sf.  Furbizia , scaltrezza.

Scazzuoppele – marmocchio  sm.  Di bambino in tono affettivo.

Scazzuttà – scazzottare v. Sciogliere e spiegare la bandiera. Prendersi a pugni.

Scelate- scapigliato  agg. Scarmigliato, scompigliato, spettinato, con i capelli arruffati.
Scéllajattule –  Balia dal collare sm. Uccello migratore di piccola taglia.

Scélle – ala  sf. Organo di volo degli uccelli e di alcuni insetti. Pinna che fuoriesce dall’opera viva del natante per evitare gli sbandamenti. Pinna dei pescecani.

Scèmità – scempiaggine  sf.  Balordaggine, scioccheria.

Scerià – Sfregare  v.  Strofinare, stropicciare.

Sceruccate – sciroccata s.f. Forte vento con mare grosso da SE.

Sceruppate – ingoiato  agg.  Inghiottito di malavoglia.
Scetà – svegliare v. Destare, risvegliare, scuotere dal sonno.

Schezzechià – piovigginare  v.  Piovere lentamente, a goccia a goccia

Schezzìlle – goccia  sm.  Briciola, piccolissima quantità.

Schiaccà – balenare v.  Lampeggiare,  scintillare, sfavillare, guizzare, sfolgorare, lampeggiare  improvviso dei  pesci .

Schianà – spianare  v. Pianeggiare, piallare.

Schianate – pianoro  sf.   Vasto tratto di terreno piano, spianata,  landa, spazio.

Schiante – ramo  sf. Parte dell’albero. Sm Spavento, paura, batticuore.

Schiappà –  smagliare v.  Togliere i pesci dalla rete.

Schiàppare – ragna  sm.  Sorte di rete fissa per prendere gli uccelli, in modo particolare le quaglie. Si sistemava sulla Parata e la paratura della rete ha dato il nome alla zona.

Schiappà – smagliare  v.     Togliere il pesce dalla rete.

Schiàppe – inetto  agg.  Incapace, buono a nulla. Sf. appezzamento di terreno improduttivo. Zona degradante verso il mare.

Schiappine – inabile  agg.  incapace, inetto.

Schiarà –  schiarire v. Schiarire del cielo dopo un temporale.

Schiaranzate – schiarita s.f. Diradarsi momentaneo della nebbia o del mare che offre  una provvisoria calmata.

Schiàte – spiegato agg. Steso, disteso, appeso.

Schiattà – sgonfiare  v.  Rodersi dalla rabbia, affievolirsi della corrente marina.

Schiattamuorte – becchino  sm.  Necroforo, chi seppellisce i morti.

Schiattate – sgonfiato  agg. Rotto; avv. malvolentieri, di malanimo.

Schiattuse – dispettoso  agg. Stizzoso

Schiavone – tanuta s.m. Esemplare di “scàndere” di grosse dimensioni.

Schiétte – schietta s.f. Rete da posta.

Schifézze – sporcizia  sf.  Atto immorale, atto impuro.

Schifuse – schifoso  gg.  Ripugnante, sconcio, sozzo, amante dei piaceri sessuali.

Schine – schiena  sf. Dorso, dosso, groppa.

Schiòcche –  dritto s.f. Dritto di prua o di poppa di una barca in legno; ramo, grappolo.

Schiòvere – spiovere  v.  Il cessare della pioggia.

Schirchià – eliminare  v.  Togliere i cerchi dalla botte.

Schiuà – schiodare  v.  Togliere il chiodo da dove è stato conficcato.

Schiummà – spiombare v. Dipanare una impiombatura. Alleggerire il peso del piombo.

Schiuoppe – germoglio  sm.  Bocciuolo, virgulto; fitta, dolore acuto istantaneo. Scoop, anteprima, esclusiva.

Schiuoppete – spiovuto  agg. Cessata la pioggia.

Schiuppà – sbocciare  v.  Germogliare, crescere, crepitare.

Schiuppature – germogliatura   sf.  La nascita di un nuovo pollone.

Schiuse – covata  sf.  Le uova che l’uccello cova in una sola volta e gli uccellini nati da tali uova.

Schiuvà – schiodare  v.  Togliere il chiodo dal posto dove era stato infilato.

Schiuvate – schiodato  agg. Malandato, malridotto.

Schiuvazione – onere   sf.  Peso morale, martirio, sofferenza, crudeltà, fastidio, molestia. Questa parola si rifà alla più interessante tra le funzioni  religiose sulla morte del Cristo perché ci riporta l’amara sofferenza, fisica e morale,  che dovette subire, dopo che le sue carni furono trafitte dal ferro, nell’essere tolto dalla croce,  scippando i chiodi che lo teneveano fermo e fisso, per deporlo nel sudario. Quante volte le vecchie mamme, e la mia tra queste, parlando tra loro  dei problemi della famiglia (in ogni casa c’è una croce),  o dei conoscenti in generale , facevano scappare dalle labbra: “chille è na schiuvazione”, quello porta in famiglia tutti i dolori, i travagli che ha subìto il Cristo, da vivo e da morto.

Schizzà – schizzare  v.  Spruzzare.

Schizze – schizzo s.m. Goccia.

Schizzeche – goccia  sm. Schizzo, pillacchera

Schizzechià – piovigginare v. Cadere di pioggia minuta e rada.

Sciabbècche – sciocco  agg.  Alto e stupido

Sciabbiécche – sciabecco s.m. Veliero con tre alberi.

Sciabbule – pesce sciabola s.m.  Lepidopus caudatus. Pesce piatto per l’intera sua lunghezza con dentatura da divoratore.

Vive su fondo scoglioso, zona preferita la Botte. Da poco tempo è diventato mangiabile in involtino  al forno o in buone polpette.

Sciabbulone – prevaricatore  agg. Di persona che abusa della propria condizione per ottenere illeciti guadagni. Sciabbulone si chiamava un brigante che  in Abruzzo viveva di rapine. Acciabbattone, acciorpone, abborraccione

Sciacqualattughe – lavaverdura  agg. Di persona incapace, inetta, apatica.

Sciacque – Impotente  agg.  Di persona  inefficace, vuota, buona a nulla, incapace a generare; di uovo con poco tuorlo; di roba allungata con acqua.

Scialà – scialare  v.  Godere, essere felice, spendere con larghezza per divertimento.

Scialagà – Estirpare  v.  Sradicare, svellere, asportare.

Scialapòpele – spendaccione  agg. Di persona altruista che consente con elargizioni la compartecipazione di altri  alla propria gioia.

Scialate – Godimento  sf.  Festa, piacere, gusto, gradimento, viva soddisfazione nel divertimento, spasso.

Sciallètte – scialle  sf.  Indumento femminile di seta, cotone, lana o altro materiale, di forma quadrata, triangolare o a ruota, con o senza frangia, che si porta sulle spalle; rete da pesca insufficiente e inadeguata.

Sciamarrate – picconata  sf.  Colpo dato con il piccone; prezzo esoso; avversità. Termine che spesso viene usato dal Presidente Cossiga.

Sciamarre – piccone  sm.  Strumento di ferro  con punta quadra da un lato,e  a guisa di scalpello dall’altro lato,  con il quale si rompono i macigni  e si scava nella roccia per fare una grotta.

Sciambrate – trasandato  agg.  Trascurato, allentato nel vestire.

Sciammèreche – giubba  sf.  Penzolo di un indumento, tonacone; accoppiamento sessuale.

Sciampagnone – scialone  sm. Di persona naturale, dal cuore generoso, semplice, compagnone.

Sciancate – claudicante  Agg   Zoppicante, sciancato, spossato, indebolito.

Sciànze – occasione  sf.  Circostanza, caso, opportunità.

Sciardacche – sgarbato  agg.  Sguaiato, goffo.

Sciarmà – smontare v. Disfare, scomporre, smantellare, demolire.

Sciarmate – smantellato  agg.  Malridotto, demolito.

Sciarre – litigio  sm.  Baruffa, bisticcio. Interruzione dello stato di amicizia, rottura del rapporto d’amore.

Sciasse – marsina  sm.  Vestito nuovo, giubba  a falde larghe.

Sciaurate – sciagurato  agg.  Sventurato, sciatto, trasandato, trascurato.

Sciauratézze – sciatteria  sf.  Incuria, trascuratezza.

Sciavechiélle – sciabichello  s.m. Particolare rete da pesca formata da un sacco centrale e da due ali laterali che in genere viene trainata da barche. La si può anche trainare da terra. E’ particolarmente indicata per “l’aure”, alba,   per catturare pesce vivo da usare come esca.

Sciéute – scelto  agg. Selezionato, preferito, prediletto.

Sciévete – scelta  sf. Cernita,  decisione, valutazione, designazione.

Scigne – collera  sf.  Arrabbiatura, stizza, ira,  scimmia; agg. di persona  dispettosa.

Scignetèlle – scimmietta  sf.  Di ragazza incontrollabile nell’aspetto esteriore tanto da sembrare una scimmietta.

Scìje – scia s.f. Traccia di schiuma, con piccoli vortici, che una imbarcazione  lascia dietro di sé durante il suo cammino.

Sciò, sciò là  – via da quì  loc.  Espressione per cacciare i polli o persona indesiderata.

Sciòrde – sciolta  sf.  Diarrea.

Sciòscele – baccello  sf.  Frutto delle leguminose, a due valve, contenente i semi.

Scippà – scippare  v.  Graffiare, estirpare, svellere, sradicare,  strappare, rubacchiare  con destrezza.

Scippacentrelle – guaio  sm.  Malessere, disurbo,  contrattempo, incidente, inconveniente.

Scippe – graffio  sm.  Scalfittura, segno lasciato da una unghiata, furto con destrezza. Voce nuova della lingua italiana. Chi scippa commette furto. In genere lo scippo avviene per la strada o in luoghi pubblici e consiste nello strappare, di mano o di  dosso, a una persona , con violenza e destrezza,  un oggetto come la borsa, la catenina, il bracciale o altro. Quasi sempre lo si esercita con un motorino in corsa, con targa falsa,  per rendere impossibile il riconoscimento come è impossibile riconoscere i ladri perché coperti da casco e occhialoni. Oggi lo scippo è praticato ovunque. Fermo restando il furto:  “A chélla pòvere vecchje nce’anne scippate a borse a mane mèntre ascéve d’a pòste addò avéve pigliate a penzione”.  Nella nostra parlata u scippe ha molteplici significati. Il primario è quello del graffio per cui si scippa a fàcce, i bràcce, i mmàne, u cuolle, i còsce. A tale proposito si ricorda che il Quattromani, nella traduzione delle Odi di Orazio, scisse: “Le dette ncuolle mmiez’a lampe e tuòne, a muorze  e a scippe comm’a nu lione”.

Ancora oggi si usa dire “Mìtte nu scippe cà sotte”, laddove scippe è sinonimo di firma. Scippare, oltre questi, ha ben altri significati come: cavare, estirpare, svellere, sradicare. Si possono anche scippà i pile a facce e i capille a cape. Di Giacomo nelle sue Trezze i Carolina, si rivolge al pettine per avere un aiuto contro quella Carolina che lo fa tanto penare: “Oi pèttene ca piéttene i trézze i Carulina, damme nu sfizio: scìppela, scìppela na matina”. Si scippano i denti e a proposito c’è quella stupenda espressione  pronunciata da quasi tutti i genitori:  “Pe te fà studià m’agge scippate na mole a vocche”.  Il contadino invece scippa le erbe per le sue pecore mentre la moglie ha scippato un chiodo dal muro. Il provocatore scippe i mazzate a dint’i mmane.La brava e buona gente è capace di scippà u còre a piétte. Il povero uomo, invece,  ha sceppate a jurnate.L’altro giorno mentre il prete parlava per scippare una promessa di opera buona ai suoi parrocchiani ci fu Maiorca che gli scippò a paròle a vocche. Lello, innamorato pazzo, ieri, parlandomi della sua donna arrivò a dirmi: chélle m’ha  sceppate u còre a piétte.  Mi sono stancato e se non lascio va a finire che scippe u fògle a int’u  libbre.

Sciruccate – sciroccata  sf.  Vento e mare da sud-est.

Sciuglemiénte – sciolta  sm.  Diarrea improvvisa causata da paura, spavento, timore.

Sciulià – scivolare  v. Sdrucciolare, scendere in pendenza per forza d’inerzia.

Sciuliacule – scivolone  Sm.  Sdrucciolone, scivolare stando seduto.

Sciuliàrèlle – scivolo  sf.  Oggetto inclinato rispetto al piano terra per permettere ai ragazzi di scivolare.

Sciuliate – scivolata  sf.  Tracollo.

Sciuovete – sciolto agg. Slegato, leale, franco, sincero.

Sciuppenjà – rivoltare  v.  Rimuovere il terreno alla profondità di un metro per piantare viti nuove.

Sciurdézze – spigliatezza  sf.  Franchezza, disinvoltura.

Sciuretture – aridità  sf.  Di giornata con aria secca.

Sciuscèlle – carrubo  sf .  Pianta e frutto che è un lungo baccello.

Sciusciate – soffiata  sf.   Ventata, sbuffata, sventagliata.

Sciùte – uscito   agg.  Sortito, fuggito, scappato, sgusciato.

Scive – vite s.f. Anello a vite per la messa in opera di un lucchetto.

Scivule – scivolo s.m. Piano inclinato realizzato nel porto per mettere a secco le piccole imbarcazioni e, soprattutto,  per rompere il moto ondoso della risacca.

Scòlapaste – colapasta  sm.  Arnese di forma semisferica, di metallo o di materiale plastico, dal fondo bucherellato  e munito di due manici; si usa per scolare la pasta cotta, o anche il riso e le verdure. Approfitto per ringraziare Giosuè che mi ha insegnato che, in italiano, colapasta è un nome di genere maschile.  Sono trasecolato e mi  sono ricordato di quella trasmissione televisiva: “Non è mai troppo tardi”. Sono riuscito a non finire fuori tempo massimo.

Scòle – scuola   sf.  Istituzione scolastica, edificio, il luogo dove si insegna, l’insieme dell’insegnamento.

Scòlle – panno  sf.  Pezzo di stoffa, tela o seta,  di forma triangolare per fasciature.

Scongecajuoche – guastafeste  sm.  Di persona che turba l’allegria di una festa.

Scopamare – scopamare s.f. Vela rettangolare che i velieri aggiungevano sulle fiancate esterne.

Scope – scopa  sf.  Arnese, munito di manico, per spazzare.  Fatto di solito con falasco, erica, saggina o quant’altro  serva allo stesso scopo. Gioco di carte.

Scòppele – scappellotto  sf.  Infortunio, sventura, avversità, fatto involontario, grave malattia, perdita economica.

Scòrfene – scorfano s.m. Scorpena scrofa. Scorfano di colore rosso con testa grossa ricoperta di punte e creste. Il corpo è ricoperto di spine collegate a organi veleniferi che provocano terribili dolori se ci si punge. Vive tra gli scogli.

Oltre allo scorfano rosso, nei nostri mari, circola lo scorfano di fondale, helicolenus dactylopterus; lo scorfano nero, scorpena porcus; lo scorfanotto, scorpena notata; lo scorfanetto carenato, scorpena loppei; lo scorfano rosa, scorpena elongata; scorfano corallino, pontinus bibroni e lo scorfano mediterraneo, scorpaenodes arenai.

Lo scorfano, di qualunque tipo, ha carni pregiate e squisite. E’ basilare per la zuppa di pesce ma anche da solo riesce a dare un sugo eccellentissimo che rende encomiabili le linguine. Nel periodo primavera-estate è una gioia ammirare i banchi delle nostre pescherie dove vengono esposti , anche con arte e gusto, i prodotti del nostro mare. E’ un defilé.Chiedo scusa per vaver usato questa parola tedesca.

Scòrze – scorza  sf.  Corteccia degli alberi, buccia di frutta, pelle, apparenza, esteriorità, guscio, involucro.

Scòrze i noce – barchetta  sf. Barca di piccole dimensioni.

Scosere – scucire  v. Disfare una cucitura.

Scòtte – scotta s.f. Corda che serve a distendere le vele.

Scrastà –  scrostare  v.  Staccare con forza, disincastrare.

Scravaccà – scavalcare  v.  Superare, precedere, sorpassare, soverchiare.

Screzione  – a discrezione  loc.  A volontà.  Termine marinaresco per indicare che le che pessime condizioni meteomarine impongono di navigare, a correre,  secondo la condizione del mare rendendo impossibile dirigersi verso il  porto prescelto.

Scrianzate  – screanzato  agg.  Di persona senza creanza, scortese, villano, maleducato, scostumato, sgarbato, mancante di rispetto.

Scriscetate – guasto  agg.  Di  cosa,  (pane – dolce- pasta) che ha superato i limiti della lievitazione ed è andata a male.

Scrizione – iscrizione  sf. Epigrafe, epitaffio.  .

Scròcchele – sandalo s.m. Scarpa di legno con tomaia di tela senza la parte posteriore che si può infilare come una ciabatta.

Scruccà – scroccare  v.  Ottenere qualcosa con pressanti richieste e furberia.

Scruccone – scroccone  agg.  Di persona che, mettendo in gioco furbizia e malizia,  gode della roba altrui senza pagare.

Scrupele – scrupolo  sm.  Riguardo, delicatezza, dubbio di fare cosa non giusta, pentimento.

Scuccemarre – copricapo s.f.  Berretto antipioggia di forma particolare.

Scuccià – scocciare v. Togliere  il gancio. Lo stesso verbo viene usato dai marinai delle paranze per definire il tempo di tirare a bordo la rete. Perdere i capelli; dar fastidio, seccare.

Scucciamiénte – fastidio  sm.  Seccatura, noia, rompimento di … testa.

Scucciate – seccato  agg.  Annoiato, seccato;  calvo.

Scucculià – scoccolare   v. Spogliare un baccello dei suoi semi, sgusciare

Scucuzzà – litigare  v.  Contendere, disputare, mortificare.

Scudellare – ripostiglio s.m. Nascondiglio sistemato internamente lungo le murate dei natanti per deposito degli attrezzi da pesca,  del cotone con le cucèlle per riparare sul posto di lavoro, alla bella e meglio, la rete per rimetterla subito al lavoro.

Scudille – bara  sm. Feretro, cassa da morto

Scufanate – slombato  agg.  Obeso,  di chi presenta un ingrossamento lardoso del bacino perché sconquassato dal lavoro. Solo a Leone si può attribuire un simile aggettivo perché è l’unico che, nonostante gli anni e le condizioni fisiche, cintinua a fare lavori da giovanotto.

Scuffate – malridotto  agg. Ricurvo, ammaccato, pesto, malconcio per il troppo lavoro.

Scuffellate – malandato  agg.  Scalcagnato, piegato ad arco, chino, malconcio, sgangherato, sfinito, distrutto, privo di vitalità.

Scuffià – scuffiare v. Il capovolgersi di una imbarcazione a vela.

Scùffje – cuffia  sf. Copertura del capo del bambino in fasce.

Scuglière – scogliera s.f.  Diga ottenuta con la gettata di scogli ammassati l’uno sull’altro.

Scugliùse – scoglioso agg.  Definizione di un  fondo marino ricco di scogli.

Scugnà – abbacchiare  v.  Battere i legumi per toglierli dal baccello come il grano dalla spiga,  spulare.

Scugnate – trebbiato  agg.  Brillato, abbacchiato; sdentato

Scugnizze – scugnizzo  sm.  Fanciullo vivace, birichino. Il termine scugnizzo indica il tipico monello lacero, cencioso, ma furbo e di animo generoso, vispo e intelligente tanto da zittire finanche Matilde Serao, la celeberrima scrittrice che arrivando a Napoli con il treno vide un ragazzetto, lacero e malandato, appoggiato a un pilone della tettoia, lo chiamò dicendogli: “Ué, figle i puttane, viéneme a piglià a valigge”. Ed il monello immediatamente rispose: “Sùbbete, mammà”.

Sculà – colare  v.  Filtrare, stillare,dissanguare.

Sculastrèlle – pettegola  agg.  Di donna che va di casa in casa per pettegolare con maldicenza.

Sculline – cravatta   sm.  Striscia di seta o di stoffa, di vario colore, che gli uomini portano annodata intorno al collo. I pionieri di  questo capo di abbigliamento furono gli ufficiali  di un reggimento di cavalleria croata che, nel 1660, si ntrasferì in Francia per partecipare alla guerra del Trent’anni.  Tutti indossavano, come segno di riconoscimento,  una sciarpa colorata da cui si diffuse l’uso ed il nome venne alterato in cravatta.

Scumbinà – scombinare  v.  Disdire, mandare a monte una iniziativa già presa, un appuntamento, una promessa di matrimonio.

Scummà  – Schiumare  v.  Fare uscire il sangue dal naso in seguito a percosse, rompere il grugno.

Scummattere – discutere  v. Dibattere accanitamente, disputare.

Scummazzà – premere  v.  Pressare, calcare, schiacciare, bastonare, percuotere

Scummazzate – Schiacciato  agg.   Pigiato, bastonato, rovinato, schiacciato.

Scumme – schiuma s.f. Scia, spuma, effervescenza.

Scummeglià – scoperchiare  v.  Togliere  il coperchio, scoprire, svelare, rivelare.

Scummenecà – scomunicare  v.  Colpire con improperi.

Scummuse – schiumoso  agg.  Spumeggiante

Scumparì – scompatire  v.  Svanire, sparire, sfigurare, fare cattiva figura.

Scuncecà – scompigliare  v.  Disfare, disordinare.

E pur di mettere scompiglio nella testa del suo compagno di banco, durante una accanita discussione in una  lezione di inglese, l’alunno della professoressa Ennia Mazzella, disse all’amico: “si nun a fennisce, te donghe nu cazzotte e te scònceche tutte i penziére ( se  non la smetti ti do un pugno e ti scompiglio i pensieri ). Neanche se i pensieri fossero capelli che si possono scuncecà.

Scuncellare – arnese  sm.  Attrezzo per la pesca dei murici

Scuncille – murice   sm.  Mollusco marino con nicchio oblungo che chiude con un opercolo. Persona deforme.

Scunciérte – scompiglio  sm.  Disordine, discordia, perturbamento.

Scunecchià – afflosciarsi  v.  Venir meno, indebolirsi, accasciarsi per lavoro o per malanno.

Scungellare – arnese  sm.  Attrezzo per la pesca dei murici.

Scungille – murice s.m. Phalium undultum, dei gasteropodi. Mollusco marino che chiude l’ingresso della sua casa con un opercolo. E’ squisito all’insalata: lesso condito con olio, aglio e  prezzemolo. E’ logico che bisogna toglierli dal guscio. Molti sostengono che ha qualità afrodisiache. Mimì, ( Mimì Dies, oltre ad essere un eccellente subacqueo, con Bruno Vailati ha partecipato alla spedizione nel Mar Rosso e a quella superlativa sull’Andrea Doria ) si buttava in acqua alla punta del molo Musco e arrivava fino alla spiaggia di Santa Maria, quando riemergeva  aveva due sacchetti pieni di scungille. Basta mettere in acqua una testa di pesce, u scungellare, perché essi si attaccano in brevissimo tempo.

Nei tempi passati, i fenici, i greci ed i romani  estraevano dai murici una sostanza colorante. I murici secernano un liquido giallastro che, se riscaldato, diventa di colore rosso ed è inalterabile. La lana e il cotone tinti con questo colorante raggiungevano prezzi incredibili. Al tempo dei romani solo l’imperatore ed i senatori avevano il diritto di portare abiti purpurei. Dopo la caduta dell’impero romano fu la chiesa ad impossessarsi di questa tintura e divenne il colore ufficiale degli abiti degli alti prelati che vennero chiamati appunto porporati.

Scunnettjà – sconnettere   v.  Non connettere, dire cose insansate, stolte.

Scuntà – incontrare  v.  Notare per la strada, andare incontro, scontare, pagare il fio.

Scuntrà – scontrare o incontrare v.  Urtare, cozzare; mettere rapidamente il timone dalla parte opposta per frenare il movimento della nave.

Scuntre- scontro  sm.  Divergenza di opinioni.

Scuntruse – scontroso  agg.  Permaloso, timido

Scunucchiate – affievolito  agg. Piegato sulle ginocchia sotto l’azione di un peso o di un malanno.

Scunziglià – sconsigliare  v.  Dissuadere, distogliere, rimuovere.

Scuogle – scoglio s.m. Masso di roccia a riva o nel mare.

Scuonceche – sconcio  sm.  Disordine, caos, disagio.

Scuorfene – scorfano  sm. Pesce di una grossa famiglia che hanno tutti le stesse caratteristiche sia come conformazione, a parte la grandezza, e sia come dotazione di spine che sono collegate a ghiandole velenifere per cui le punture fanno male e dire male è poco. Il colore è diverso. La carne è pregiata.

Scuorne – scorno  sm.  Vergogna, disonore, dileggio, smacco.

Scuorze – scorza s.m. Guscio, corteccia, involucro, rivestimento che protegge i crostacei e le tartarughe, carapace. Parte esterna della nassa.

Scuosse – sussulto  sm.  Contrazione, convulsione, scossa.

Scuperchjà – scoperchiare  v.  Tolgliere il coperchio.

Scupètte – spazzola   sf.  Arnese con infissi ciuffi di setole per pulire vestiti e scarpe.

Scupille – scopetta  sm.  Piccola scopa di falasco per imbiancare e per pulire la tazza del bagno. Di persona insignificante.

Scuppà – scartocciare  v.  Togliere dal cartoccio.

Scuppètte – schioppo   sf.  Fucile da caccia, arma da fuoco portatile  con canna lunga.

Scuppulélle – scappellotto  sf.  Scapaccione leggero.

Scuppulone – ceffone  sm. Schiaffo pesante , maroso, ondata.

Scurbùteche – scorbutico  agg. Scortese, rozzo, non socievole.

Scurcià – avvolgere v. Rimboccare i pantaloni o le maniche  della camicia.

Scurciatore – scorciatoia  sf.  La via più breve, il mezzo più sbrigativo.

Scurdà – scordare  v.  Dimenticare, passare di mente, mettere nel dimenticatoio.

Scurdariélle – dimenticato  agg. Di persona abituata a dimenticare.

Scurdate – cordato  agg.  Dimenticato, trascurato, messo nel dimenticatoio.

Scure – scuro  agg.  Oscuro, privo di luce, buio, tetro.  Sm.  Imposta, scuretta.

Scurfaniélle – scorfanetto s.m.  Scorpaena porcus, scorfano nero. Dal corpo tozzo e con le stesse caratteristiche di tutti gli altri tipi di scorfani. E’ di proporzioni minute, arriva ad una lunghezza massima di venti centimetri. Vive su fondali rocciosi. Si pesca con la rete ma abbocca anche all’amo.

Scurme  – tombarello s.m. Auxix trazard, del gruppo scomberidi. Li ho visti una volta sotto la luce della lampara, girovagare,  allineati e coperti, come squadroni di militari durante una parata. Sott’olio, a mio giudizio, superano le altre qualità tenendo testa ai castaurriélle.

Scurnà – scornare   v. Offendere, svergognare, beffare, mettere in piazza debolezze e disavventure altrui.

Scurnacchiate – impudente  agg.  Spudorato, osceno, sfacciato, sfrontato, svergognato, indecente, temerario.

Scurnuse – vergognoso  agg.  Timido, esitante, impacciato, timoroso, pavido, pauroso.

Scurpione – scorpione  sm.  Insetto provvisto di un aculeo ricurvo velenoso. Di persona brutta e perfida.

Scurtecà – scorticare  v.  Levare la pelle, spillare quattrini.

Scurretore – scorsoio  sm. Nodo che scorre o può scorrere

Scurtecature – abrasione  sf.  Spellatura, escoriazione, sbucciatura,  raschiatura.

Scurtecone- magro  agg.  Secco, inaridito, alto e asciutto, avaro,  tirato.

Scorze- bucce  sm.  Mucchio di bucce che dimostrano che si è  mangiato molto.

Scurzine –  rimasuglio  sm.  Ciarpame, tritume, residuo.

Scurzone – incrostazione  sm.  Spilorcio, avaro.

Scurzute – Buccia  agg.  Di un oggetto tutto buccia.

Scussate – sussulto  sf.  Sconquasso, disordine, scombuglio, scossa pesante.

Scustà – scostare v. Allontanarsi dalla banchina,  allargarsi.

Scustumatézze – scostumatezza  sf  Mancanza di educazione.

Scusute – scucito  agg.  Sconnesso, con le cuciture disfatte.

Scuteliate  – Batosta s.f. Pessima navigazione con danni a bordo.

Scuttégle – abuso  sf.  Pessima abitudine.

Scutulià – scuotere  v.  Agitare, scrollare.

In una quinta elementare, il maestro per imporre l’ordine approfittò di una mancanza di un alunno per dirgli, a voce alta: “Io ti scotoleo, le ossa vanno giù e la carne rimane attaccata al balcone”. Il compagno di banco: “maéste, nun u facite pecché se nò je me mécche a chignere”.

Scutuliate – batosta  sf.  Mortificazione, umiliazione. Agg. umiliato, scosso.

Scuzzecà – scrostare  v.  Togliere l’intonaco.

Scuzzettone – scapaccione  sm.  Pugno, scapezzone, colpo sulla nuca.

Scuzzulle – poco  agg.  Esiguo, minima parte.

Sdellavate – insipido  agg.  Di cibo senza sapore, di persona insignificante.

Sdicante – violento  agg.  Irruente, impetuoso,  veemente.

Sdignà – sdegnarsi  v.  Indignarsi, irritarsi.

Sdrarecà – sradicare  v.  Svellere, estirpare

Secature – segatura  sf.   Detriti minuscoli che cadono per terra quando si sega,  si usano per asciugare parti bagnate.

Séccarécce – aridità  sf. Siccità, arsura, aridità del suolo per mancanza di acqua.

Sécce – seppia s.f. Sepia officinalis. Mollusco con dieci tentacoli e con una ghiandola che secerne un liquido nero per difendersi dai predatori. La sua carne è buona,  gustosa e saporita. Nella cucina dell’ Orestorante il nero della seppia è un ingradiente con cui  “quella masnada di buongustai”  ti fa le cose più impensate. Se il cuoco sa mangiare stai certo che mangi bene anche tu. Nicolardi  così la fotografa:

“………..  Nata sempe sott’i scoglie, / mmiezo a ll’evera d’o funno, / caccianno a tradimento / mò alecella e mò u retunno. / E s’agguatta, pe fa chesto, mmiezo a ll’alega, ca pare / na pianella, na paposcia, / nu scarpone a ffunno e mare. /

Ma se vede u pesce gruosso / ca s’accosta e ca renzéa, / lenta lenta, cuoncio cuoncio, soccia soccia, se quartèa… / studia subbeto u mumento, / doppo, appena ll’have a ttiro, / vota u quarto e, ghiusto nfaccia: / zzà….zzà….zzà… le sghizza u niro  ………”

Sécche – secca s.f. Sopraelevazione scogliosa del fondo marino che, spesso, rappresenta pericolo per la navigazione. E’ un particolare fondo marino adibito alla pesca con le coffe per cernie, dentici, saraghi e tanto altro.

Séche- masturbazione  sf.  Pratica erotica maschile tendente a provocare l’orgasmo del piacere sessuale.

Séconde cupèrte – seconda coperta s.f.  E’ la caratteristica dei bastimenti vivai che  galleggiano con la stiva piena d’acqua. L’acqua  entra dalla carena totalmente forata, perché al suo interno il bastimento  ha un altro ponte di coperta, il secondo. Esso arriva qualche metro al di sotto del ponte principale. E’ a forma di imbuto ed ha una mastra come quella della stiva principale. La seconda coperta permette al natante di stare sempre sulla cresta dell’onda così da eliminare, in navigazione con il mare grosso, il beccheggio e i rollio.

Sècrèté – mobile  sm.  Mobile da camera da letto con tiretti e scomparti di cui alcuni segreti.

Secutjà – perseguitare  v.  Rincorrere, nuocere.

Sedognere – ungere  v.  Corrompere, dare sottobanco, rimboccare le botti durante la fermentazione.

Sègge – sedia  sf.  Mobile di varia forma e di diverso materiale, sdraia, seggiola, sgabello, scanno, poltrona, sedile.

Seggione – Seggiolone  sm.  sedile per una persona, ampio e massiccio, con braccioli e spalliera alta, utilizzato sia per gli anziani che per i bambini. Quello per i bambini  ha, sul davanti un piano ribaltabile che non consente di cadere e serve anche per poggiare un piatto, un bicchiere o altro.

Sémafure – semaforo s.m. Fabbricato addetto a vedetta e a  segnalazione. Quello di Ponza, sito sul monte Guardia, 288 m., diroccato fino all’estremo per l’assenteismo delle istituzioni, fu progettato e iniziato nel 1857, appena dopo lo sbarco di Pisacane. I lavori terminarono nel 1865, dopo l’Unità d’Italia.

Semmane – settimana  sf.  Spazio di sette giorni, dal lunedì alla domenica.

Semmenate – seminato  agg.  Coltivato, lavorato, bonificato.

Semmènte – seme  sm.  Frutto secco della pianta che si pone nel terreno per la riproduzione della stessa,

Semmenzèlle – chiodini sf.  Piccoli chiodi usati dal calzolaio;  semi di  zucca.

Sémmule – semola  sf.  Buccia di grano, macinata, separata dalla farina.

Sengate – incrinato  agg.  Striato, screpolato

Sengature – striatura  sf.  Graffio; arnese del falegname  per tracciare linee.

Sénghe – fenditura s.f. Crepa, fessura, spiraglio, stria,  lesione,  incrinatura, squarcio.

Sennuzze – singhiozzo  sm.  Successione rapida di espirazione e inspirazione provocate dalla contrazione del diaframma.

Sentìne – sentina s.f. Il luogo infimo della nave dove si raccolgono gli scoli delle acque, della nafta, degli oli e dei grassi.

Sènze – senso   sm.  Sapore, gusto.

Sepàle – siepe   sm.  Groviglio di arbusti  e di sterpi.

Sèpe – siepe  sf.  Cinta fatta con macchia e frasche intorno a un campo o a un orto. Chiusa, riparo, recinto.

Sequenzia – disgusto  Inter.  Esprime disprezzo, biasimo. Espressione sulla bocca della donna che accompagna il dire facendosi il segno della croce.

Sèrchje – ragade  sf.  Screpolatura della pelle in forma di fenditure in particolare sui capezzoli e sulle dita.

Serénghe – siringa  sf.  Strumento che serve per la iniezione sotto pelle di un medicinale.

Seretìcce – raffermo  agg.  Stantio, stagionato.

Sèrpe i mare – serpente di mare s.m. Hidrus platurus. Animale fino e lungo come quello terrestre.

Serrà – serrare v. Chiudere,  sprangare; piegare, arrotolare, stringere le vele.

Serràcchje – saracco  sm.  Piccola sega a lama larga e impugnatura a un estremo.

Sèrra sérre – serra serra  loc.  Rissa, tumulto.

Sèrre – sega  sf.  Strumento  con una lamina di acciaio dentata fissata ad un manico o ad un telaio per tagliare legno, ferro, marmo e metalli.

Serrécchje – saracco sf.  Specie di sega  a mano con lama non eccessivamente larga.

Serrabbozze – serrabozze s.m. Prendono questo nome le catenelle che servono a legare le ancora di tipo tradizionale alle murate dei bastimenti

Serrètte – serretta s.f.  Tavole opportunamente sagomate, alcune a forma di rete, con cui si chiudono i boccaporti e il fondo della nave.

Sescà – fischiare   v.  Emettere dalla bocca, soffiando, un suono acuto.

Sescate – fischiata   sf.   Il fischiare, disapprovazione con fischi.

Sésche – rete s.f. Striscia di rete di cotone doppio e resistente  che viene inserita tra il filato normale e quella cima contenente il piombo. Stando sul fondo è soggetta a un maggiore logorio.

Sestante – sestante s.m. Strumento per misurare gli angoli. Adoperato dai naviganti per misurare l’altezza degli astri e la distanza angolare fra due astri. Alla fine delle operazioni si ha la posizione della nave.

Sesùte – alzato  agg.  In piedi, ritto.

Setacce – setaccio  sm. Staccio, buratto, arnese come un crivello  con un tessuto fitto ricavato dai crini  del cavallo per passare farina, frutta cotta, pomodori maturi e altro.

Setognere –  rimboccare  v.  Aggiungere il vino nella botte durante la fermentazione.

Settenàre – rito  sm.  Complesso di cerimonie religiose per la commemorazione dei defunti.

Setténtrione – settentrione s.m. La direzione del punto cardinale nord da cui proviene il vento di tramontana.

Sevìzje – violenza  sf. Crudeltà, maltrattamento, tormento, tortura, supplizio, violenza carnale, stupro.

Sfaccennate – sfaccendato  agg.  Ozioso, apatico

Sfaccimme – robaccia  sf.  Feccia, rifiuto;   agg. di persona che sa il fatto suo, svelto, furbo.

Sfalangà – sfalangare v. Varare, mettere in acqua il natante che con l’invasatura scorre sulle falanghe.

Sfalangate – varo  sf. Il discendere di una imbarcazione dallo scalo al mare. Abbrivo.

Sfarcà – defalcare  v.  Detrarre, ridurre di una parte, sbarcare il lunario.

Sfardèlle – moneta  sf.  Danaro contante, spiccioli.

Sfarzulille – indumento  sm.  Vestito rifatto alla meglio, tentativo di lusso, abito, sempre rabberciato,  indossato da qualche povero uomo desideroso di apparire elegante.

Sfarzuse – pomposo  agg.  Fastoso,  sontuoso,  lauto, vistoso, elegante.

Sfascià – rovinare  v.  Disfare, scompaginare, distruggere, sconquassare, rompere.

Sfastedià – molestare  v.  Recare fastidio, annoiare.

Sfastediuse – insofferente  agg.  Impaziente, nervoso, irrequieto, scalpitante, capriccioso, fremente.

Sfastìdje – fastidio  sm.  Disagio, molestia, disappunto, noia, disgusto, contrarietà.

Sfasulate – sfagiolato  agg.  Senza fagioli laddove fagioli stanno per soldi, squattrinato, spiantato, ridotto al verde.

Sfatecate – sfaticato  agg.  Inoperoso, pigro, poltrone, sfaccendato, fannullone, scansafatiche.

Sfàtte – stanco  agg.  Disfatto, stracco, debole, avvizzito, spappolato, molto cotto

Sfecatate – coraggioso  agg.  Affaticato con stizza, sviscerato, appassionato, accanito.

Sfelàzze – sfilaccio s.f. Elemento principale nella costruzione delle cime risultante dalla filatura delle fibre vegetali. Le filacce sono torte da sinistra a destra. Riunendo più filacce si ottengono i legnuoli.

Sfelluzzèlle – fettina sf.   Pezzetto di luna o di sole nelle loro varie fasi.

Sfère – lancetta  sf.  Lancetta dell’orologio.

Sferì – sferire v. Slacciare le vele dal posto dove sono legate, togliere  la cima dai bozzelli, tagliare l’armatura dalle reti.

Sfernesià –  delirare  v.  Vagheggiare, farneticare, perdere la testa.

Sferrature – sferratura s.f.  Azione momentanea di una sfuriata di vento.

Sferrazzuole – acetoso   agg. Del vino che sa  di brodaglia imbevibile.

Sfèrre – lama  sf.  Grosso coltello

Sferrià – prorompere  v.  Perdere la pazienza, riversarsi,  straripare,  irrompere con ingiurie.

Sfèrze – scudiscio  sf.  Frusta,  di pesona che usa un comportamento severo , arcigno, inesorabile, rigoroso.

Sfessate – stanco  agg.  Affaticato,  rovinato, spiantato, malandato,  incapace, inetto.

Sfiaccùte – sfiancato agg. Affaticato, stanco, debole, esausto, fiacco, sfinito.

Sfiatate – Sfiatato  agg.   Svaporato, privo di voce e di capacità,  che ha sciupato il fiato per un consiglio, per un avvertimento.

Sfiatature – sfiatatoio  sm.  Spiraglio, fessura, apertura.

Sficchià – sgusciare  v.  Sfuggire di mano, scivolare.

Sfilatine  – pane  sm.  Pezzo di pane oblungo.

Sfiurà – sfiorare  v.  Lambire, strisciare,  toccare appena.

Sfizià – divertire  v.  Prendere gusti nel fare qualcosa, divertirsi con qualcuno.

Sfìzje – gusto  sm.  Soddisfazione, piacere, voglia, ghiribizzo.

Sfiziuse – sfizioso  agg.  Divertente, simpatico, gradevole, di persona che attira l’attenzione per la sua stranezza.

Sfòche – sfogo  sm.  Eruzione cutanea; manifestazione dei propri sentimenti.

Sfòghe d’àrje – sfogo d’aria s.m. Qualunque tipo di apertura che consente il passaggio dell’aria.

Sfògle – membrana  sf.  Pellicola sottile, sfoglia , pasta sfogliata da cui deriva la sfogliatella.

Sfottere – canzonare  v.  Deridere, prendere in giro, burlare, dare fastidio.

Sfottò – canzonatura  sm.  Burla, ironia, presa in giro.

Sfraciélle – sterminio  sm.  Distruzione, strage.

Sfrangià – sfrangiare  v.  Rovinare gli orli degli indumenti, ridurre a pezzi, distruggere.

Sfrangiate – sfilacciato  agg.  Di stoffa ridotta a filacce.

Sfrantummà – frantumare  v.  Sminuzzare, rompere in piccolissimi pezzi.

Sfrantummate – frantumato  agg.  Sminuzzato, infranto, rotto, sfasciato, spaccato, sbriciolato, stritolato, triturato  spiantato, disoccupato. Non riesco a cogliere il significato che il Sindaco di  Napoli,  Rosa Russo Jervolino,  ha voluto  dare al termine con il quale  ha definito i suoi assessori “frantumati”  che è il nostro sfrantummate..

Sfrascà –  sfrascare  v.  Potare, tagliare i rami, diradare le frasche.

Sfrattà – pulire  v.  Rassettare, svuotare il pozzo nero, sfrattare.

Sfrattate – rassettatto  agg. Sgomberato, pulito, messo in ordine, accomodato.

Sfravecature – calcinaccio  sf-   Scaglie, schegge di intonaco frantumato.

Sfrègge – sfregio  sm.  Dispetto, smacco, offesa, ferita.

Sfrenà – sfrenare   v.  Rompere ogni freno, far chiasso, scapestrarsi.

Sfrenesìje-vagheggiamento sf. Ammirazione, desiderio, aspirazione.  –

Sfrénzule – striscia  sf.  Pezzo stretto e lungo di stoffa, della luna ed anche del sole

.

Sfridde – sfrido s.m. Perdita di peso durante il carico e la discarica di merci alla rinfusa.

Sfruculià – molestare  v.  Importunare, motteggiare, infastidire simpaticamente, burlare, .

Sfruculiatore – scocciatore  sm.  Seccatore, rompiscatole, persecutore.

Sfrugunià – smuovere  v. Rimuovere, ficcare, sconvolgere, frugare, fruconare, allargare per cavarne qualcosa.

Sfruscià – sfrusciare  v.  Sperperare, dissipare, dilapidare, sprecare, sfiorare, passare accanto, rasentare.

Sfucà – sfogare  v.  Dare in escandescenze, rivelare ad un altro il proprio cruccio, manifestare il proprio pensiero.

Sfugliàtèlle – sfogliata  sf.  Tortina di pasta di sfoglia ripiena di crema, missiva contenente brutte notizie, condanna.

Sfullà – sfollare  v.  Sgomberare, liberare.

Sfunnà – sfondare  v.  Scassare, sfasciare, buttare giù, schiantare.

Sfunnàte – sfondato  agg.   Rotto, insaziabile, vorace.

Sfùnnele – cozza pelosa s.m. Modiolus barbatus, della famiglia dei lamellibranchi. Mussolo. Gli scogli di Ponza sono ricchissimi. Sono facili a staccarsi. Sono saporiti e gustosi. Aprirli vivi presenta qualche difficoltà. Un attimo sul fuoco e si aprono. Hanno la capacità di dare anche un ottimo sugo per gli spaghetti.

Sfuorze – sforzo  sm.  Fatica, impegno, lavoro.

Sfurèste – incivile  agg.  Selvatico, rozzo, indocile, disubbidiente, intrattabile.

Sfurnà – sfornare  v.  Togliere il pane dal forno,  produrre con facilità e continuità, dire.

Sfuse –  sciolto  agg.  Non intero, a pezzi separati.

Sfuttemiénte – seccatura  sm.  Noia, fastidio.

Sfuttute – annoiato  agg.  Stanco, depresso.

Sgamentà –  danneggiare v. Perdere la stoppa che chiudeva il vuoto tra due tavole della carena.

Sgangàte – claudicante  agg.  Zoppicante; sdentato, privo di tutti o alcuni denti.

Sgargiate – miope  agg.  Di persona affetta da difetti alla vista.

Sgarrà – sbagliare  v.  Errare, nel gergo della malavita quando si sottrae ai complici parte della refurtiva rubata insieme.

Sgarre – sbaglio  sm.  Errore voluto, svarione, cattiva azione,  comportamento pessimo, svista.

Sgavàgle – scollatura  sm. Apertura del vestito che lascia libero il collo.

Sghizzà – schizzare   v.  Spruzzare, zampillare, sgocciolare.

Sghizze – schizzo  sm.  Stilla, goccia.

Sghizze a sghizze – goccia a goccia  loc. Un po’ alla volta.

Sgranà – sgranare v. Mollare il freno.

Sgravuglià – districare v. Dipanare, sciogliere.

Sgrignà – digrignare  v.  Mostrare i denti  arrotandoli con rabbia, sogghignare.

Sguaiate – scorretto  agg.  Scomposto, disordinato, ineducato, stravagante nel parlare.

Sguallariate – allargato  agg.  Deformato, non attillato, l’allentarsi del cinto con la fuoriuscita dell’ernia, scoppiata a forza di ridere.

Sguarceniénte – sfarzo  sm.  Comportamento fastoso.

Sguarrà – squarciare  v.  Scosciare, divaricare, provocare una lacerazione  con la  forza, strappare un vestito, stralciare.

Sguazzarìjà – sguazzare  v.  Agitare liquidi, scialare.

Sgubbje – gorbia s.f.  Scalpello a sezione semicircolare usato dai carpentieri

Sguésse – bazza  sf.  Mento sporgente.

Sguigle – germoglio  sm.  Bocciolo, pollone.

Sguiglià – germogliare  v.  Sbocciare, fiorire, schiudersi di una pianta.

Sguigliàte – germogliato  agg.  Fiorito, schiuso, sbocciato.

Sguince (i) –  storto  loc.   Di traverso, di sbieco, a sghembo.

Sgummà – lussare    v.  Slogare, spostare di ossa.

Sguttà – sgottare v. Togliere l’acqua con la sassola. Aggottare.

Sià – sciare v. Il lavoro che si fa con i remi per muovere a ritroso, con la poppa innanzi,  una imbarcazione.

Sìcche – secco  agg.  Magro, asciutto, raffermo, arido.

Sìcchje – secchio   sm.  Recipiente di metallo o legno per contenere liquidi.

Siddivò – se Dio vuole  loc. A Dio piacendo.

Siéne – siero  sm.  Parte liquida giallastra del latte.

Siéste – sesto  s.m.  Forma e misura della distanza delle legature che tengono uniti la rete con la corda contenente i sugheri e con quella impiombata.

Sije è  vòghe – scia e voga s.m. L’atto di vogare da un lato  e sciare dall’altro lato. Manovra per girare la barca dando un colpo avanti e l’altro indietro.

Sinàre – grembiule  sm. Pezzo di stoffa che si mette sul davanti  o veste che copre, durante il lavoro, perché non si sporchi il vestito.

Singate – rigato  agg.  Striato, scanalato.

Singhe – linea  sm.  traccia, striatura, rigatura, frego, segno.

Sinistre – sinistra s.f. Lato della nave che si trova a sinistra di chi guarda verso  prua.

Mano che è dalla parte del cuore, lato corrispondente alla mano sinistra.

Sinistre – sinistro s.m. Incidente in cui incorre una nave sia in navigazione che all’ancora o un autoveicolo.

Sìnneche – sindaco  sm. Il capo di un comune.

Siréne – sirena s.f. Strumento acustico di cui sono dotate le navi per le segnalazioni.

Sische – fischio   sm.  Strumento per fischiare, il sibilo che lo strumento emette.

Sive – sego s.m. Grasso di animale usato per ungere le falanghe su cui devono scorrere  i vasi.

Sizia-sizie – lamentazione  loc.  Piagnisteo, capriccio, sofferenza

Smacenà – ordire  v.  Tramare, macchinare, congetturare.

Smaglià – smagliare  v.  Togliere i pesci o le quaglie dalla rete.

Smaledicere – maledire  v.  Esacrare, augurare  male, condannare, esprimere disprezzo.

Smammà – divezzare  v.  Interrompere l’allattamento, spoppare; svignarsela, allontanarsi furtivamente.

Smànje – smania  sf. Frenesia, desiderio, agitazione fisica e nervosa provocata da malattia o da brutte notizie.

Smaniglià – smanigliare v. Staccare un pezzo di catena da un altro aprendo la maniglia a perno che li unisce.

Smazzà – smazzare  v.  Sciogliere o disfare ciò che è riunito in un mazzo o in fascio o in in uno scatolo (carte da gioco), fare uno sforzo duro, intenso  e prolungato nel lavoro.

Smecciate – sbirciata  sf. Occhiata, guardata attenta, con  curiosa avidità, e con molto interesse anche se di sfuggita.

Smenuzzà – tritolare  v.  Spezzare minutamente, tritare, rompere.

Smezzìte – spezzato  agg.  Diviso, non intero, frazionato, non integro, frammentario.

Smucenià – Stropicciare  v.  Sgualcire, rimuovere, maltrattare, scrollare.

Smuntà – smontare v. Lasciare ad altri il servizio. Disfare.

Sòcce sòcce-  adagio adagio  avv. Lentamente, piano piano, senza fretta e senza sosta.

Sòde- – sodo  agg. Tranquillo, calmo, flemmatico, impassibile, placido, sereno, posato.

Sòglele – sogliola s.f. Solea vulgaris. E’ tra le più note sogliole che circolano nel nostro mare. Come tutti i solìdi ha gli occhi e la pelle colorata solo sul lato destro. La pelle è ruvida al tatto. Vive quasi sempre sepolta nella sabbia. Si pesca con la rete a strascico. Oltre alla sogliola verace abbiamo anche la passera, pleuronectes platessa; la passera nera, platichthys flesus; la sogliola occhiuta, solea ocellata; la sogliola fasciata, solea variegata; la sogliola gialla, solea lutea; la sogliola turca, pegusa kleinii; la sogliola nasuta, pegusa nasuta. Il più esperto marinaio nella definizione di questi ed altri pesci è Salvatore Morlè, Cianfone, pescatore espertissimo con la rete a strascico.

La sogliola è uno fra i pesci più conosciuti. Ha carne prelibata, squisita e leggera, adatta per malati e bambini.

Solachianiélle – ciabattino  sm.  Di persona che rassetta e rattoppa scarpe vecchie; non è un vero artigiano della scarpa.

Sòle – suola  sf.  Il cuoio che sta sotto la scarpa.

Sopraffiate – fiato grosso sm.  Ansia, affanno, fiatone, agitazione.

Sopraviénte – sopravvento s.m. Lato da cui spira il vento.

Sòre – sorella  sf.  Di donna nata, con altri, dalla stessa mamma e dal medesimo padre.

Sorece – sorcio  sm.  Topolino, piccolo mammifero dei roditori con grandi orecchi e lunga coda, ospite molesto e sgradito in casa. C’è pure la coda i sorece, una piccola lima circolare

Sorece i mare – pesce pettine s.m. Xyrichthys novacula. Ha il corpo schiacciato con un voluminoso  capo, il tutto ricoperto di grosse squame. Di colore rossastro-violaceo. Ha grossi denti che procurano danni alle dita quando gli si stacca l’amo a cui ha abboccato. Vive sul terreno sabbioso. Si pesca con la lenza. Ha carni squisite. Fritto risveglia pure i morti. L’amico Ciro Vitiello, direttore tecnico della centrale elettrica, è un accanito pescatore di sùrece. Ogni anno fa due cene, a base di sorci fritti,  invitando un folto gruppo di amici. Io sono fra quelli.

Sòrve – sorbo  sf.  Pianta e frutto Cresce spontanea ed è anche coltivata per il frutto che viene colto acerbo nel periodo della vendemmia  si conserva poi in casa perché maturi. Si infilano a grappoli. La mia quota mi arriva ogni anno dagli alberi di proprietà dei fratelli querciosi, Domenico e Silverio.

Sòrve pelose – corbezzolo  sf.  La pianta cresce a cespugli e può raggiungere i  4-5 metri di altezza, è uno degli elementi più decorativi della macchia mediterranea. Fruttifica nel periodo autunno-inverno. Il frutto ha l’aspetto di una fragola, è una bacca sferica di circa due cemtimetri di diametro ornata di verruche, a polpa gialla e succosa, di sapore dolce.  A Ponza sono rare. Alcune piante sono nel bosco della Masseria e una sta nei pressi di villa Tea, a pochi metri dalla strada paniramica.

A Zannone, nella parte di Monte Pellegrino, sono numerose, è una delle piante più fitte del sottobosco. A Palmarola sono state notate dopo l’incendio del luglio 1990. Una serie di cespugli ha visto la luce su Monte Guranieri, lato ovest, nell’avvallamento esistente. Un altro cespuglio si trova nel pendio a schiena d’asino che divide le “case vecchie” dal “carcariélle”, là dove esistono  alcuni alberi di leccio. Con i rami si fanno le “cucèlle”.

Sosere – alzarsi  v.  Togliersi dal letto o dalla sedia, rizzarsi, levarsi.

Sottaviénte – sottovento s.m. Lato opposto da cui soffia il vento.

Sottèncòppe – sottosopra  avv., agg.  Capovolto, rovesciato, dissestato, andato in rovina.

Sove – irrequietezza  sf.  Indisciplina, trepidazione, agitazione, tensione, apprensione, inquietudine, vivacità, argento vivo.

Spaccà – spaccare  v.  Rompere, spezzare, sgretolare, sezionare, frantumare, scassare.

Spaccaprète – spaccapietre   sm. Operaio addetto  a tagliare il monte per ricavare pietre per costruire. Con lo stesso termine si indica un fungo mangereccio che appartiene alla famiglia dei prataioli.   Cresce in terreno accidentato e consistente tanto da meritare il nome di spaccapietre. La sua consistenza è simile a quella di un porcino.  La parte superiore della cappella è di colore bianco, quella sottostante è formata da lamelle di colore marroncino chiaro.  Hanno grandezza superiore al comune prataiolo. Sono commestibili, oltre a cucinarli trifolati, si possono gustare ai ferri: si piglia la cappella,  da cui si stacca il gambo, la si pulisce con un panno senza lavarla,  e la si pone, per la parte concava, sulla brace, che non deve fiammeggiare. Quando si ritiene  che il calore del fuoco abbia asciugato la parte liquida che il fungo contiene, la si capovolge mettendo nella piccola conca  due-tre cucchiai di una salsa a base di olio, aglio e prezzemolo tritati, sale, pepe e parmigiano grattuggiato, precedentemente preparata e si lasci cuocere per alcuni minuti. Il fungo dev’essere tolto dal fuoco quando mantiene ancora la sua forma. Si taglia come un prosciutto ed è gustoso come una cinquantenne.

Spaccature – spaccatura  sf.  Crepa, fenditura, fessura, incrinatura, screpolatura, squarcio.

Spaccunià – ostentare  v. Millantare, vantare,  smargiassare.

Spacenziuse – impaziente  agg. Insofferente, nervoso, smanioso, irrequieto.

Spadellate  –  stancato  agg.  Affaticato, accasciato, esausto, fiaccato, logoro, spossato, stremato.

Spagnòle – spagnola  sf.  Paranco fra i due picchi di carico di una nave, posti ad operare sulla stessa stiva.

Spagnulètte –  sigaretta   sf.  Sigaretta fatta a mano , arrotolando il tabacco in una cartina

Spàlece – asparago sm.  Pianta caratteristica della macchia mediterranea. Nasce a cespuglio e i rami sono ricoperti da foglie spinose, rigide e pungenti. Una volta con i rami dell’asparago si confezionavano ghirlande.

In primavera dalle radici, che sono dei rizoma, nascono i germogli o turioni che costituiscono la parte commestibile della pianta. I ricercatori sono tanti  anche se la raccolta, per vari e differenti motivi, non è cosa semplice. Si cucinano in diversi modi: in primo luogo a frittata con uova, pecorino grattugiato, prezzemolo, sale e pepe. A tal proposito bisogna ricordare che i vecchi contadini di Palmarola nella frittata aggiungevano qualche uccelletto tritato e poi, cosa molto importante, le uova che usavano erano quelle di gabbiano. Le raccoglievano dai nidi, situati sempre su rocce scoscese e pericolose, tanto che spesso si legavano con una fune, e prima di romperle, le mettevano in un recipiente pieno d’acqua. Quelle che si posavano sul fondo erano buone mentre quelle che rimanevano a galla erano “sciacque”, contenevano già il pulcino.  Il risotto con gli sparagi è cosa sublime. Eccellenti sono lessi conditi all’insalata con olio crudo, aglio e limone. Ninotto Scotti, il papà del dottore Isidoro, ne usciva pazzo. Infine, lessati leggermente in acqua e aceto, asciugati per bene vanno riposti in un barattolo riempito di olio di semi. Formano un componente dell’antipasto che per pregio sovrasta gli altri.

Spàletre – Sparzio  sm.  Pianta della vegetazione mediterranea, più nota come sparzio pungente a causa di spine  che nascono sul tronco che arriva anche a 5-6

cm di diametro. Si eleva per diversi metri dal suolo. Ha fiori di un giallo tenue bellissimi e profumati che escono molto prima di quelli del guastacceta e della ginestra. Pianta che è su tutte le isole in modo particolare a Palmarola dove, dopo l’abbandono dei contadini,  conquista terreno giorno per giorno.

Spallère – spalliera  sf.  Schienale, la parte retrostante della seggiola o della poltrona

Spampanate – sfiorito  agg.  Avvizzito, spampanato, rinsecchito, sciupato.

Spanate – spanato agg. Guastato il pane della vite.

Spannere –  stendere  v.  Diffondere, emettere, irradiare, trasmettere, comunicare,  spargere, spiegare, sciorinare, spianare, sdraiare,  dispiegare. Stendere panni al sole.

Spannià – smagliare v. Togliere i pesci dalla rete.

Spantecà – spasimare  v.  Soffrire spasimo fisico e morale, essere innamorato,

soffrire struggimento con ansia e angoscia.

Spaparanzà – spalancare  v.  Aprire interamente gli occhi per meraviglia o altro,  slargare le gambe sedendosi su una poltrona, spalancare le imposte di una finestra o di un balcone

Spappuliate – spappolato  agg.  Ridotto a pappa, disfatto, maciullato, stritolato.

Sparagnà – risparmiare  v.  Economizzare, spendere con oculatezza; Comprimere, spremere, premere con forza una cosa per farne uscire il succo che contiene.

Sparàgne – risparmio, economia, previdenza.

Sparate – bravata  sf. Intervento deciso, spacconata, vanteria, strapazzata.

Sparatrappe –  sparadrappo  sm.  Cerotto, composto medicinale steso su  tela

da  applicarsi alla parte malata.

Sparlettià – sparlare  v. Dir male di persona o  cosa, far maldicenze, ciarlare, sparlottare, mormorare sul conto di qualcuno.

Sparpetamiénte – palpitazione  sm.  Batticuore.

Sparpetià – palpitare  v.  Dibattere, soffrire, contorcere, agonizzare.

Sparpetue – sofferenza sm.  Dolore, pena, agonia, contorcimento.

Spartate – separatamente  avv.  Distaccato, uno alla volta. Agg.  separato, diviso, allontanato. “Decintancélle spartate”.

Spartènze – divisione  sf.  Partizione, porzione, separazione, tramezzo.

Spartute – diviso  agg.  Separato.

Sparute – sparito  agg.  Dileguato, scomparso, svanito, fuggito.

Sparze – Stenditoio  sm.  Cesto di vimini con  listelli di canna , a forma di campana,

usato per asciugare i panni nelle giornate di pioggia. La base era talmente larga che all’interno si poteva sistemare il braciere. Lo sparze veniva usato anche  tenere chiusi i pulcini.

Spasàre – spasaro s.m. Luogo comune per distendere le reti.

Spase – steso  ag.  Disteso, esposto ad asciugare.

Spasèlle – cesta s.f. Cassetta dove si pone il pesce.

Spasemà – spasimare v.  Trepidare, affliggersi, consumarsi,  disperarsi per un amore cocente.

Spàsemante –  Spasimante  agg. Innamorato, corteggiatore, amatore, cascamorto, invaghito, affascinato, incapricciato, ammaliato.

Spaseme –  Passione   sm.  Struggimento, ansia, affanno, dispiacere, strazio, turbamento, desolazione, amarezza, afflizione, angoscia,  travaglio, tribolazione.

Spasone –  Cestone s.m. Grossa cesta bordata fatta con lamine  di legno di castagno..

Spassà – spassare  v. Divertirsi, sollazzarsi, svagarsi, divagarsi, prendere gusto a qualcosa, intendersela con una ragazza  senza intenzioni di matrimonio.

Spassatiémpe – passatempo  sm. Distrazione, la cosa che distoglie e che si fa per divertimento.

Spàsse –  passeggio  sm.  Passatempo;  stato di disoccupazione; seme della zucca.

Spatriate –  sparpagliato  agg.  Sparso, sciolto, alla rinfusa, disseminato, sbandato; espratriato, migrato, esiliato.

Spave – spago s.m. Cordicella molto piccola usata per cucire vele e tende e per piccole legature.

Speccecate – identico  agg.  Somigliante, tale e quale, sciolto, districato, sbrogliato, ravviato.

Speccecature – pettine  sm.  Pettine a denti radi.

Spècchje i poppe – specchio di poppa s.m. Quella parte della poppa che va sotto il nome di quadro.

Spèdizione – spedizione s.f. Il complesso di documenti di bordo che si consegna,  all’Ufficio marittimo, all’arrivo della nave in un porto e che si prelevano alla partenza. Invio di merce.

Spellecchià – spellare  v.  Lacerarsi la pelle, scorticarsi, portare al verde qualcuno.

Spenaruole – spinarolo s.m. Squalus acanthas. Appartiene agli squaloidi, dunque un pescecane.La pelle è di colore grigio con una spina sul dorso che usa per difendersi e per attaccare pesci anche più grandi. Quando punge inietta una sostanza velenosa, tossica anche per l’uomo. Si pesca con le coffe e con le reti. Si mangia ma le sue carni non raggiungono la squisitezza di quelle del  gattuccio o del gattopardo.

Spennà – spennare  v.  Togliere le penne . Per chi ha perduto i capelli o per eliminare le foglie che coprono i grappoli d’uva.

Spentute – linguacciuto  agg. Pettegolo, mordace, velenoso.

Spercià –  filtrare  v. Penetrare, infiltrarsi. Di liquido che penetra fino ad uscirne.

Speretate – impaurito  agg.   Intimorito, spaventato, timoroso, preoccupato, atterrito, sbigottito, smarrito.

Sperì – bramare  v.  Desiderare qualcosa che altri mangiano, struggersene, agognare, ambire, anelare, appetire. Fare l’acquolina in bocca, desiderare intensamente.

Sperlònghe – vassoio   sf.  Piatto grande di diversa materia e  forma con cui si portano a tavola le vivande, i bicchieri e le tazze.

Spernòcchje – scampo s.f. Squilla santis, dei decapodi.

Crostaceo di colore bianco rosato con riflessi rossastri che raggiunge e supera anche i venti centimetri. Vive  oltre i trecento metri in fondali  sabbiosi. E’ oggetto di una pesca attiva per l’elevato prezzo dovuto alla bontà delle sue carni, molto pregiate.

Spertusà – bucare v. Forare, perforare, traforare, trapassare.

Sperute – desideroso  agg.  Di chi desidera mangiare quello che altri stanno mangiando.

Spezzecà – piluccare  v.  Mangiucchiare,  spizzicare, spiluccare,  spiccare a uno ad uno gli acini da un grappolo, mangiare cibo a pezzetti.

Spezziale – farmacista  sm.  Di persona che vende spezie.

Spiagge – spiaggia s.f. Tratto di suolo arenile compreso tra il mare e la proprietà pubblica o privata.

Spià – chiedere  v.  Domandare, interrogare, investigare, indagare.

Spicà – germogliare  v.  Gemmare, sbocciare, spuntare, pullulare.

Spicarèlle – forasacco   sf.  Pianta erbacea  selvatica che produce una spiga e cresce dovunque come la gramigna.

Spicate – cresciuto agg.  Spigato, fiorito, allungato, divenuto alto,

Spiccià – sbrigare  v.  Eseguire, svolgere, assolvere, risolvere, fare presto.

Spicciafacènne – sbrigafaccende  sm. Faccendiere, di persona che vuol fare diverse cose, intrigante.

Spicciative – sbrigativo  agg.  Svelto, spedito, lesto, veloce.

Spiche – spiga  sf.  Infiorescenza che caratterizza i cereali.

Spichètte (i) – di traverso  loc.  Di lato,  sgusciando; pezzo triangolare di stoffa per allargare un vestito che va stretto.

Spicule – spigolo  sm.  Angolo delimitato da due linee, l’una perpendicolare all’altra, che si uniscono per una estremità. Angolo formato da due pareti.

Spiérte – sperduto  agg.  Errante, ramingo, perduto, avvilito, errabondo.

Spiézze – pezzo  sm.  Ritaglio, scampolo.

Spignà – svincolare  v.  Riprendere il pegno dato in garanzia.

Spigone – Albero  sm.  Termine marinaresco con il quale si designa  un albero non verticale che sporge all’estrema prua di  una nave a vela, leggermente inclinato verso l’alto, su cui  si distendono i fiocchi. E con lo stesso nome si definiscono  tutte le aste che vengono messe a prolungamento di albero, pennone e antenna.

Spilà –  spilare  v.  Sturare, stappare

Spilapippe –  spilungone  agg.  Di persona alta e magra.

Spine – spina s.f. Lisca del pesce, spina di una pianta, presa elettrica; preoccupazione, travaglio.

Spingule – spillo  sf.  Sottile filo di acciaio, appuntito da un lato mentre dall’altro lato è provvisto di  una capocchia, che si usa per appuntare stoffe, carte o altro.

Spingule francese – spilla francese  sf.  Arnese di acciaio ritorto per consentire alla parte appuntita di rientrare in  un posto di sicurezza che non può aprirsi  senza l’intervento umano. E’ la cosiddetta spilla da balia che veniva  usata per fermare i vestiti e le fasce del neonato. Questa “spingule” fu capace di ispirare a Salvatore Di Giacomo una  meravigliosa poesia, stupendamente musicata da  Enrico De Leva, destinata a fare epoca:   Nu juorne me ne jètte da la casa / ienno vennenno spingule francese; / me chiamma na figliola: Trase- trase! / Quante spingule me daje pe nu turnese? …../

Spinule – spigola s.f. Morone labrax. Pesce che preferisce circolare  in acqua dolciastra. Appartiene a una famiglia, serranidi, che comprende specie molto importanti dal punto di vista alimentare. Risale anche le acque dei fiumi. Plinio narra di eccezionali prede pescate nel Tevere. I grandi esemplari vivono isolati. Un mattino, mentre raccoglievo ostriche e cozze pelose, nel tratto di mare che da Punta della Guardia porta al Fieno, a scarrupate i fòre,  notai che mi veniva incontro un pesce di colore argenteo che subito inquadrai come dentice. Era un pesce che valutai intorno ai dieci chili. Forse fu attratto dalle bollicine che emanavo dal mio apparecchio per  respirare sott’acqua. Fatto sta che il pesce prese tutta la mia attenzione. Mi arrivò ad un metro, guardandomi sempre fissamente, poi, lentamente, girò la testa per altra direzione. Quando fu di traverso rimasi sbalordito: non era un dentice, aveva il collo rotondo e la testa appuntita. Era una spigola. Che spettacolo. Il giorno dopo tornai nelle stesse acque con la speranza di rivederla. Fu un bagno inutile.

La spigola è un pesce vorace e carnivoro. Si pesca con la lenza  a traino e con il fucile subacqueo. Raramente si impiglia nella rete.

E’ oggetto di allevamento. Anche a Ponza sono  state installate delle gabbie di reti per l’allevamento delle spigole e delle orate.

Sono situate nella zona di mare antistante il fortino di Frontone ad una profondita che oscilla tra i dieci e i quindici metri. Sono di Oreste Romagnoli, il cognome è qualcosa di più, data la sua rinomata fama. Oreste è anche il proprietario dell’Orestorante, un locale di fama internazionale, situato su una serie di terrazze da fare invidia ai Solarium dei  palazzi imperiali romani.

Spirà – Spirare  v.  Emanare l’ultimo respiro.

Spirete – spirito sm.  Alcool;  fantasma; arguzia, intelletto, brio; inclinazione, tendenza.

Spisciazzate – fetido  agg. Bagnato di orina.

Spisse – spesso  avv.  Sovente, frequente; denso, fitto, folto.

Spitale – ospedale  sm. Luogo dove si ricoverano e si curano i malati,  clinica, casa di cura, infermeria.

Spizzeche – briciola  sm. Piccola parte di una cosa.

Spogne – spugna s.f. Cucinella cavolini. Il mare di Ponza è ricco di spugne di diverse natura. Sono venuti finanche i pescatori  greci a pescarle. Spogne è anche il nome dell’apparecchio con il quale si pescano i calamari. Con lo stesso nome si designa anche l’attrezzatura per la pesca dei totani.

Spòrte –  cesta  sf.  Grosso paniere, con due manici laterali, fatto con lamine di legno.

Sprattecà – impratichire  V.  Esercitare, fare pratica, abituare con l’esercizio a fare qualsiasi cosa, fare tirocinio.

Sprecà – sprecare  v.  Dissipare, scialacquare.

Sprèmmere – premere  v.  Comprimere, schiacciare, forzare, spingere, costringere.

Spremmùte – spremuta sf.  Succo di un frutto ricavato all’istante.

Spruà – gemmare  v.  Fiorire, sbocciare.

Sprubbecà – pubblicare  v.  Rendere di pubblica ragione, sermoneggiare.

Sprucculille – fuscello  sm.  Bastoncino,  arti assai magri.

Sprùcete – scontroso  agg.  Timido, permaloso, ritroso, poco cordiale.

La persona “sprùcete” è di difficile abbordaggio  perché  non desta, non provoca, non suscita confidenza ma rimane estranea ed indifferente. Quando si riesce poi a creare un contatto lei dimostra la sua carta d’identità  le cui generalità corrospondono a: istrice. E’ doveroso fare una distinzione perché tra lo sprùcete e la sprùcete c’è una differenza abissale. Lo sprùcete è un individuo cafone, villano, zotico, rozzo, sgraziato, brusco,  scottante, intrattabile  mentre la sprùcete è timida, ritrosa, ombrosa, scontrosa,  permalosa che non gradisce nessun tipo di cortesia. Gli sprùcete, maschi o femmine che siano, non sono persone simpatiche con le quali si può allacciare una relazione amichevole anche se le donne sprùcete hanno sempre fatto parlare di loro. Nella “Tarantèlla” di Lauzieres (1845)  è scritto: “……. Isso la invita, chella e scurnosa,  po’ fa la sprùcete, po’ n’è gelosa; po’ c’è l’appicceco, po’ s’addenocchiano, po’ fanno pace….”  Nel 1892 Giuseppe Manfredonia, un medico poeta, trae lo spunto  per “La Sprùcete”   “…. che so stì smanie? Neh, tu che buò?  Nun fa la sprùceta …..” Salvatore Di Giacomo in “Statte, Peppì”  mette in bocca allo spasimante : “ ….   Statte!  E pecché faje a sprùcete pure dint’o scuro?

Sprufunnà – sprofondare  v.  Inabissare,  voler scomparire per la vergogna di qualche errore  commesso.

Sprufunne – abisso  sm.  Voragine, dirupo, inferno.

Spruocchele – bruscolo  sm.  Stecco di legno,  festuca, fuscello.

Spruviére – sparviero sm.  Uccello rapace migratore

Spruvviste – sprovvisto  agg.  Sfornito, sprovveduto, male in arnese.

Spuglià – spogliare  v.  Svestire, levare gli arredi, depredare, rubare.

Spugnà – ammollire  v.  Bagnare, mettere a mollo.

Spugnate – ammollito  agg.  Inzuppato, bagnato.

Spulecariélle – Fagiolino  sm.  Fagiolo fresco che si cucina con il baccello. Al sugo sono più saporiti che all’insalata con olio crudo.

Spullecà – sbaccellare  v.  Sgranare, togliere i granelli dal baccello e dalla spiga.

Spungulone – spillone  sm.  Fermaglio.

Spuntà – spuntare  v.  Apparire, comparire, presentarsi, mostrarsi, sbottonare, slacciare, germogliare,  togliere i legacci vecchi dalla vite, potare.

Spuntature-  vinello  sf.  Vino acidulo, tabacco forte  per pipa, pota.

Spunte – acidulo agg.   Inacidito, acrimonioso. Sm. occasione, motivo.

Spuntuse – aspro  agg. Pungente, mordace.

Spuntute – spuntato  agg. Privo della punta; linguacciuto.

Spunzone – pungolo  sm.  Aculeo.

Spuorche – sporco  agg.  Imbrattato, sudicio, unto

Spupulià – chiedere  v.  Indagare, domandare, attingere notizie.

Spupuliatore –  spia  sm.  Indagatore, investigatore, cercatore di notizie, reporter.

Spurcà – sporcare  v.  Insudiciare, imbrattare.

Spurchizje – sporcizia  sf.  Lordura, sozzeria, sudiciume.

Spurgà – spurgare  v.  Sputare, espettorare.

Spurmunà – spolmonarsi  v.  Sgolarsi, sfiatarsi

Spurpà – spolpare  v.. Disossare, levare la polpa, mungere uno dei propri averi.

Spurtèlle – cesta  sf.  Paniere

Spurtiélle – sportello s.m. Piccola imposta, piccola porta di una  credenza,  di uno stipo

Spusarìzje – sposalizio  sm. Matrimonio, nozze. Il Tommasèo afferma che sposalizio è la celebrazione  degli sponsali, cioè della solenne promessa di matrimonio futuro. E’ quella funzione che avviene davanti al parroco della parrocchia, dove la donna è stata  battezzata, con la quale  i due contraenti, accompagnati da testimoni, fanno presente al sacerdote che è loro intenzione unirsi in matrimonio.  Il parroco, prende atto della richiesta e   redige il verbale, sottoscritto dai contraenti e dai testimoni con la sua vidimazione. A seguito degli Accordi e dei Patti tra La Santa Sede e lo Stato italiano, copia di questo atto viene inviata al Comune perché lo esponga nell’albo pretorio per 15 giorni onde permettere a chi ha interesse di poter proporre appello contro. La stessa cosa fa la Chiesa cattolica.

Il matrimonio è quindi quel contratto, religioso e civile, in forza del quale un  uomo e una donna si uniscono per creare una nuova famiglia. Nell’epoca moderna i matrimoni sono in netto ribasso per tanti motivi tra cui la mancanza di casa e la facile  possibilità di unione extra matrimoniale per poter soddisfare la fame sessuale. Tutto questo una volta, più che difficile, era impossibile. A quagliare un matrimonio in genere erano le mamme le quali, ( forti di saggezza popolare: “Uarde a mamme é sposete a figle”, guarda la mamma e sposa  la figlia, oppure “I  puorche se piglene i ràzze”, i maiali si scelgono per la razza.), facevano di tutto per indirizzare il figlio o la figlia verso quella ragazza o quel giovanotto. Una volta adocchiato il soggetto entravano in gioco le varie comari che, con ogni mezzo, spianavano la strada per far incontrare i due giovani, la messa domenicale, la novena, la passeggiata,  il ballo per una cerimonia festosa appositamente creata. Erano tanti i motivi a disposizione di quelle  “fattucchiere” perché i giovani si incontrassero e lui avrebbe manifestato i suoi sentimenti, le sue intenzioni e che, soprattutto, era pronto a chiedere la sua mano ai suoi genitori.

Il civettare per la strada non era ancora nato.

I due, incosciamente, ne parlavano in famiglia come se le loro mamme non sapessero niente. Si stabiliva il giorno della “udienza papale” e il povero ragazzo, accompagnato dai genitori, si presentava a casa della futura fidanzata. L’accoglienza era sempre festosa e fastosa. Le “guantière” con le nocchette e con le zeppole erano già pronte, come era pronto un pezzo di formaggio sardo per i due padri che sopra dovevano metterci un buon bicchiere di vino mentre per i  giovani e per le mamme era pronta una bottiglia di spumante. Il vicinato e le comari seguivano da lontano  lo svolgimento delle fasi. Qualcuna, più  “ntreghère” , con la scusa che stesse passando per caso, entrava per porgere il suo saluto e di fronte alla manifestazione scappava di corsa, chiedendo scusa. Quella si sarebbe coricata sotto il letto per sentire ogni cosa.

Si sviluppava una vera e propria contrattazione. A te tocca la biancheria e il pranzo e a te tocca la casa e il festino Il mobilio lo pagheremo a metà. E così di seguito fino a stabilire il giorno delle nozze che non  doveva tardare perché la mamma della sposa non voleva “candelieri” in casa.  Questa mamma disponeva anche i giorni in cui il giovane potesse recarsi in casa della fidanzata e decretava  che per una eventuale passeggiata doveva essere presente la scorta, altrimenti sarebbero stati guai per entrambi perché la ragazza non sarebbe più uscita da casa. Quando, nei giorni stabiliti, il giovane varcava la soglia della casa della suocera difficilmente  o raramente sedeva vicino a lei che quasi sempre era davanti ad un telaio per ricamarsi il corredo. E lì era d’obbligo a “tuzzuliate” Isse stennéve u pède sott’a tavule é cercave u suje pe nce dà na tuzzeliate. Essa u sentéve e, tutte scurnose,  aizzave appema-appene ll’uocchje e umuvéve u musse a rìrere. Chella tuzzuliate ère nu mode pe se capì, nu mode pe ntènderse. Quando riusciva a sedersi sulla sedie dove lei poggiava i piedi mentre ricamava era l’unico modo perr scambiare una parolina dolce  o rubare  un bacio di sfuggita anche perché lei faceva a sprùcete.  E tutte é duje, c’u l’acquiline mmocche aspettavane u juorne du spusalizje. La voglia dell’altro li faceva delirare. Mò nun è cchiù comme ajére, stanne aperte macellerie in ogni angolo, in ogne spigule i mure. E a carne coste poco, quase niénte. Ciérte vvòte t’a méttene mmane.  Na vòte ai tiémpe d’i  nonne, pe fatte comm’è chiste, nascètte u pruverbje: “Chi  se spose e nun truove niénte lève a famme u cazze  é a  métte i diénte”. Il matrimonio, perché possa galleggiare facilmente, ha bisogno del contributo di entrambi.

E arrivava anche il giorno  fatidico che seguiva quello dello “appriezze” che consisteva nella stima, nell’apprezzamento del corredo della sposa. Una piccola folla  di parenti e amici stretti, di ambo le parti, si accalcava in casa della sposa. Una persona, prescelta di comune accordo, che sapesse leggere e scrivere, cosa non semplice di quei tempi. Faceva l’apprezzatore.  Costui faceva stendere un lenzuolo per terra  su cui si ammucchiavano uno ad uno i capi di biancheria tirati fuori da una cassa dove erano ordinatamente riposti. Annotava, su un foglio di carta bollata,  il capo ed il suo valore. Su questo foglio veniva elencata ogni cosa, dalle cibatte alle bende per fasciare. La biancheria veniva nuovamente riposta nelle casse e portata a casa dei futuri sposi. Il giorno prima del matrimonio la sposa, accompagnata da alcune amiche, andava a preparare il talamo. Il giorno delle nozze, una volta sempre di domenica,  il corteo muoveva dalla casa della sposa per essere in chiesa all’ora fissata dal parroco. Essa, nel suo impeccabile vestito bianco,  era al braccio del padre che apriva il corteo. Dietro seguiva lo sposo che dava il braccio alla propria mamma e ancora dietro le coppie composte da parenti e amici. Un codazzo di invitati seguiva in ordine sparso. Alla fine della cerimonia religiosa si rifaceva il corteo con in testa gli sposi a cui una ciurma di bambini schiamazzanti  apriva la strada  per raccogliere confetti e soldini che gli invitati lanciavano agli sposi, in segno di augurio, quando essi passavano. davanti la loro casa Appena dopo il pranzo iniziava il festino che si protraeva fino a notte inoltrata. Alla cessazione del ballo gli sposi, accompagnati da pochi intimi, prendevano possesso della loro casa dove rimanevano tappati per una settimana, fino alla domenica successiva,  finanche con le imposte serrate. I genitori e gli amici, a turno, provvedevano per il cibo.

La domenica seguente il matrimonio,  avveniva la “prima uscita”.  Si  recavano a messa. Lui indossava l’abito del matrimonio, lei un vestito appositamente preparato per la circostanza. Sul piazzale della chiesa erano attesi da tanta gente che faceva ala al loro passaggio. Gli sguardi erano tutti rivolti alla sposa che avanzava al braccio del marito. Portava sul viso i segni di un tossore di chi prova pudore e vergogna,

E mò?

Sputà – sputare  v. Espettorare, spurgare, sputacchiare, scatarrare.

Sputazze – saliva   sf.  Liquido incolore secreto da ghiandole i cui condotti si aprono nella bocca, sputo.

Sputazzèlle – acquolina   sf.  Voglia, desiderio.

Sputtanate – scornato  agg.  Svergognato, discreditato, umiliato, disonorato.

Spuzzulià – piluccare  v.  Mangiucchiare,  indagare, interrogare con cautela  per portare alla confessione.

Squacchiuse – ciancioso  agg.   Chiacchierino, simpatico.

Squadre – squadro s.m. Squarina squatina. E’ l’anello di congiunzione tra lo squalo e la razza. Vive su fondali sabbiosi. Si pesca con le reti e con l’amo. E’ scomparso da decenni dai nostri mari. La generazione dopo la mia non lo conosce. C’è rimasto solo il detto: “sì na pèlle i squadre” . Con la pelle si rivestivano le impugnature delle spade e si levigava il legno.

Squaglià – sciogliere  v.  Liquefare, fondere; scappare, scomparire, fuggire.

ì

Squaraquacchiate – sdraiato  agg.  Seduto con rilassamento totale.

Squarcésse – smargiassa  sf.  Lucerna ad olio con due beccucci per lo stoppino e due manici. Agg. di donna  che faceva di tutto per diventare piacente.

Squarcione – smrgiasso  sm. Spaccone, millantatore.

Squatrà – squadrare  v.  Ridurre a giusta misura, guardare attentamente dalla testa ai piedi.

Squatre  – squadra  sf.  Attrezzo da disegno,   specie di pesce  razza.

Srauglià– districare v. Dipanare, sciogliere, svolgere.

Stàcche – ragazzotta  sf.  Di donna prestante e piacente.

Staggione – stagione  Ciascuno dei quattro periodi che dividono l’anno, comunemente si indica il periodo estivo.

Staggiunà – stagionare  v.  Invecchiare, maturare.

Staglià – arginare  v.  Fermare, bloccare la fuoriuscita di un liquido.

Stagnà – stagnare v. Bloccare la fuoriuscita di liquidi.

Stagnare – bidone s.f. Recipiente di metallo per liquidi.

Stagnariélle – barattolo  sm.  Recipiente di metallo.

Stagnère – tanica  sf.  Contenitore di metallo per liquidi.

Stallìje- stallie s.f. Indica il periodo di tempo in cui una nave è obbligata a fermarsi in un porto per il caricamento di una determinata merce. La sosta in eccesso viene indicata con contro stallie per la quale il noleggiatore è tenuto a pagare un supplemento per il ritardo della merce da imbarcare.

Stampanale – stampella s.m.  Pezzo di legno che si affianca alla ordinata, per renderla più consistente, dove si inchiodano le tavole dell’opera morta.

Stampèlle – stampella  sf.  Gruccia per chi va zoppo; arnese a forma di T con un gancio in cima usato per appendere i vestiti nell’armadio.

.

Stande – telaio  sm.  Imposta, inteleatura fissa  su cui vengono fissate porte e finestre.

Stanfèlle – stampella  sf.  Gamba, arto inferiore; gruccia.

Stantive – stantio  agg.  Raffermo, rancido.

Stàrne – occhione  sf.  Uccello migratore

Statéle – stadera  sf.   Bilancia con un solo piatto e con un peso costante, romano,  che scorre  sul braccio graduato componente la bilancia.

Stazze – stazza s.f. Rappresenta il volume interno di una nave utilizzabile per il carico che viene espresso in tonnellate.

Stazze sono definite anche  le estremità della rete.

Stélle – stella marina s.f. I nostri mari sono ricchi di stelle marine. Abbondano nei fondali renosi e fangosi. Asteria gibbosa, ophiomixa spinulosus, astropecten spinulosus, marthastenas glacialis, asteria rubens, echinaster sepositus, sono  le più note.

Stélle pulare – stella polare s.f. La più nota fra le stelle per la sua posizione che indica la direzione del nord. La sua conoscenza ha  permesso a navigatori e viandanti di raggiungere il luogo sospirato

Stennàrde – stendardo   sm.  Vessillo, gonfalone  che si porta nelle processioni.

Stennecchià – stiracchiarsi  v.  Distendersi per muovere le ossa, sdraiarsi, allungarsi.

Stènnere – stendere v. Mandare una corda da un punto all’altro, appendere i panni per farli asciugare.

Stentine – intestino   sm.  La parte del tubo digerente  cha va dallo stomaco all’ano, budella, interiora.

Stezzuse – stizzoso  agg.  Bizzoso, collerico, rabbioso, furioso.

Stì – questi  agg. pron. Di persona o cosa che è vicina a chi parla.

Stiénte – sacrificio  sm.  Privazione, rinuncia, patimento.

Stigle – stipo  sm.  Scaffalatura.

Stìnce  – gretto  agg.  Avaro, spilorcio, tirchio.

Stinte – stinto  agg.  Scolorito, che ha perduto la tinta

Stipà – riporre  v.  Conservare, serbare, custodire.

Stipètte – stipo s.m. Nome di qualsiasi tipo di armadietto.

Stirà – stirare  v.  Distendere la biancheria e i vestiti con il ferro caldo.Oggi la gamma dei ferri da stiro è impressionante, di ogni forma e di ogni dimensione, con o senza l’acqua, con o senza il vapore. Una volta vi erano in ogni casa due tipi di ferro  da stiro, e due per ogni tipo. Quelli costituiti da un pesante blocco di ferro, di forma particolare come se fosse la parte di prua di un natante tagliato a metà tanto è vero che la maggior parte dei motoscafi che solcano il mare vengono definiti, dispregiativamente, ferri da stiro, si mettevano ambedue sul carbone ardente e venivano usati uno alla volta per averlo sempre pronto e cocente. L’altro tipo, molto usato nelle sartorie, era una specie di fornace dove si metteva il carbone ardente o lo si usava come  fornace accendendo direttamente il fuoco all’interno. Aveva una chiusura con un coperchio.. Questo tipo era più pesante dell’altro ed era sempre più infuocato. Nella sartoria di Luigi Murolo, dove oltre a lui, lavoravano la moglie Silveria, la signora Mena Andreozzi Tricoli e Silverio Mazzella, più noto, tra i tanti omonimi, come Silverio di Rifugina,  e  sempre qualche apprendista,  In questa sartoria erano sempre in funzione due di questi attrezzi. La signora Mena, mamma di Giuseppe Tricoli, oltremodo noto,  tira la sua carretta in modo brillante. Silverio Mazzella, l’altro vivente del gruppo, ndrozza nello spingere il sua carretto. Accusa malattie caratteristiche della vecchiaia, in compenso è sempre disponibile a sistemare il mio guardaroba. Stirà significa pure distendere con forza per togliere le cocche dal filo di nailon per confezionare la coffa o dalla  cordicella, inusati,  per armare le reti.

Stire – manico s.f. Impugnatura di legno per  qualsiasi attrezzo come martello, lima, raspa, scalpello, zappa, pala.

Stise – steso  agg.  Disteso, allungato,  sdraiato.

Stìteche – stitico  Di persona che ha abitualmente difficoltà ad espellere le feci; avaro, ritroso, spilorcio.

Stivà – stivare  v.  Sistemare la merce nella stiva di una nave.

Stive – stiva   sf.  Spazio interno di una nave dove si pone il carico.

Stòcche – stoccafisso  sm.  Merluzzo disseccato al sole, diverso dal baccalà che è merluzzo salato.

Stocchje – stelo  sf.  Fusto secco delle graminacee che si dava  in pasto agli asini e serviva per costruire capanni.

Stoppe – stoppa s.f.  La parte più grossa che si ricava dalla filatura della canapa, che viene usata nei cantieri navali per il calafataggio  delle tavole della carena  e per chiudere falle. Gioco con le carte napoletane. Vivacità, brio, esuberanza.

Stòre – stuoia  sf.  Arnese di varia natura che si mette sulle porte d’ingresso per far pulire le scarpe, stoino.  Attrezzo di foglie di canne intrecciate di forma rettangolare, specie di sacco, chiuso da tre lati e lasciando aperto uno del lati  più lunghi. Si pone, aprendolo, sul basto dell’asino per riempirlo di roba da trasportare.

Stòrte – storta  sf.  Torsione violenta dei muscoli di una articolazione, lussazione, stiramento, distorsione..

Straccannàte – strattone s.f. Tesatura improvvisa delle cime di ormeggio causata da raffica di vento o dalla risacca, strattone.

Straccià – strappare   v.  Togliere con violenza, lacerare.

Stracciate – lacerato   agg.  Di cosa fatta a brandello, di persona povera, umile.

Straccune – spaglio  sm.  Gettare i semi  qua e là a ventaglio, seminare  a  spaglio.

Stracquà – arenare v. Arrivare a riva spinto dalla corrente o  dall’ onda.

Stracquate – stanco  agg.  Spossato, esausto, logoro, stremato, accasciato, affranto; di cosa  giunta a riva trascinata  dalle onde o dalla corrente.

Stracquature – stagnatura s.f.  Periodo di relativa calma durante i fortunali come se il vento si riposasse per riprendere fiato e soffiare dopo con più veemenza.

Stracque – deriva  sm.  Materiale depositato sulla riva dalle onde e dalla corrente. Agg. stracco, stanco, esausto.

Strafucà – strangolare  v.  Soffocare, mangiare con avidità, ingozzare, tracannare.

Stramàcchje – inaspettatamente   avv. all’improvviso, all’insperato.

Stramane – stramano avv.  Fuori mano

Stramazze – parabordo  sm.  Rotolo o sfilacci di corda che si mettono esternamente ai fianchi della nave per evitare o attenuare i danni durante le manovre di attracco

Strammate – logorato agg. Sfilacciato, consumato.

Strangulaprieute – gnocco  sm  Pasta  che si ottiene impastando  farina e patate. Si stende con le mani  ricavandone un filo circolare dal diametro all’incirca di due centimetri che viene tagliato a pezzetti e incavati con le dita.  Gli gnocchi possono morire affogati nel ragù con una spruzzata di formaggio, in alcune case si usa anche la mozzarella tagliata a dadini, o “inzaccherati” nella cacciatora, sempre inondati da parmigiano. Il secondo modo di morire dà l’accesso privilegiato al paradiso.

Strangulià – Soffocare  v.  Mangiare con avidità, saziarsi.

Stranguliate – strangolato agg.  Morto per soffocamento, affogato.

Strapazzà – strapazzare  v. Maltrattare, rimproverare, sgridare, affaticarsi.

Strappatièlle – cresciuto  –  agg. Grandicello, giovanetto.

Strapuntine –  Strapunto s.m. Materasso da cuccetta.

Strascine – strascico  sm.  Postumo, residuo, segno che rimane, sfregio.

Strate – strada  sf.  Via, spazio di terreno tracciato e preparato, in varie forme, per andare da un luogo all’altro.

Stratte i mènte –  distrattamente  avv. Con distrazione; agg. disattento, svagato, smemorato.

Strauglià – dipanare v. Sbrogliare, svolgere, sciogliere.

Strauliate – stravolto  agg. Sconvolto, turbato, scompigliato.

Stravisà – travisare  v.  Modificare, alterare, deformare, equivocare,mistificare, stravolgere.

Strèghe – strega  sf.  Di donna perfida e malvagia.

Stregliate – paternale  sf.  Strapazzata, rimprovero, ramanzina.

Strégnere – stringere  v.  Costringere, ridurre, travasare, imbottigliare, accostare, accorciare, torchiare.

Stregnetore –  cima  sf. Corda con un gancio di legno ad  una estremità che serve per legare la “stòre”  sull’asino.

Stregnute – stretto  agg.  ristretto, poggiato, calcato, premuto, abbracciato, travasato.

Strellazzère – strillona  sf.  Di persona dall’urlo facile.

Strenghenìà – stringere  v.  Strapazzare, maltrattare.

Strepetià – sbraitare  v.  Parlare a voce alta per risentimento.

Stréppe –  raspo  sf.  Grappolo d’uva  quando è spoglio dei chicchi, graspo. Di cosa insignificante.

Streppégne – stirpe  sf.  Discendenza, origine, razza.

Streppone – sterpo  sm.  Gambo, stelo, torsolo, raspo, peduncolo del frutto; di un bambino che si atteggia e si dà arie.

Strétte – scala  sm.  Scala nel gioco del poker.

Strétte frusce – scala  sm.  Scala reale nel gioco del poker.

Strèuze – strano  agg.  Curioso, stravagante, strampalato, bizzarro.

Strignute – stretto  agg.  Costretto, abbracciato, travasato da un recipiente grande in quelli più  piccoli.

Strille – strillo  sm.  Urlo, grido, di chi parla  a voce alta.

Stròleghe- astrologo  sm.  Di persona che si presume di sapere, saccente.

Stròppele – fandonia  sf.  Sciocchezza, frottola, favola.

Stròsce – irriguardosa  sf. Di donna che ha poca cura della sua persona e della sua casa.

Strùfele – struffoli  sm.  Dolce fatto con pezzetti arrotandati di pasta all’uovo fritti e ricoperti di miele  e confettini colorati.

Strufinacce – strofinaccio  sm.  Straccio, pezzuola per spolverare.

Strugle –falasco  sm.  Erba con cui si facevano le scope.

Strùiere – consumare   v.  Esaurire, finire a poco a poco, logorare, distruggere, assottigliare.

Struione – sciupone  sm.  Di persona che spende molto senza senno, di chi sciupa per vizio.

Strumiénte – strumento  sm.  Atto, documento; qualunque arnese necessario a un mestiere o a un’arte;  attrezzo, apparecchio, congegno, ferro, utensile.

Strùmmele- trottola   sm.  Piccolo cono di legno, dotato di una punta di ferro, che si fa girare sfilando rapidamente, con il lancio,  un cordino che gli era stato avvolto intorno.

Struncà –  stroncare v. Recidere, tagliare netto.

Strunze- stronzo   agg. Di persona che non vale niente, paragonabile ad un escremento.

Struoppele – Stroppo s.m.  Stroppolo, pezzo di corda legato a forma di anello che si inserisce nel remo e nello scalmo  per tenerli aderenti e consentire al remo la sua funzione.

Struppià – storpiare  v.  Rovinare fisicamente, danneggiare, sciupare.

Strùppje – storpio   agg.  Di persona malfatta o mal ridotta  negli arti inferiori e superiori, storto, sciancato, rattrappito.

Strusce – struscio  sm.  Il passeggio pomeridiano per la visita alle vetrine; il termine deriva dallo strusciare dei piedi in occasione della visita ai Sepolcri durante la settimana santa. Pesca con lenza a  strascico per acchiappare i calamari.

Strutte – sugna   sm.  Grasso di maiale fuso, chiamato anche nzogne, sugna

Struzzà – strozzare  v.  Strangolare, scannare.

Struzzullà – torcere  v.  Attorcigliare, contorcere, curvarsi, piegarsi, affogarsi.

Struzzature – strozzatoio s.f.  Congegno per frenare la corsa dell’ancora quando si dà fondo in una zona di mare molto profonda onde evitare che il peso, a quella velocità, strappi la catena. Consiste in una leva che stringe, strozza, la catena contro la parete rallentando la corsa.

Stucchione – calamaro  sm.  Mollusco di grossa dimensione.

Stujà – pulire  v.  Strofinare, asciugare.

Stummacuse – stomachevole  agg.  Disgustoso, nauseabondo, sgradevole, schifoso, noioso,  repellente.

Stumpagnate – sfondato  agg.  Di oggetto senza fondo.

Stunate – stordito  agg.  Frastornato, smemorato,  intontito, sbadato, sventato.

Stuorte – storto  agg.  Bislenco, tortuoso, rattrappito.

Stupediate – intontito  agg. Frastornato, ingrullito, stordito.

Stuppacce – stoppaccio  sm.  Stoppa o altro  materiale che si metteva nella canna del fucile  e nelle cartucce per calcare la polvere.

Stuppagliuse – stoppaccioso  agg.  stopposo, bizzarro, pretestuoso, strano, scabroso.

Stùppele – stopposo  sm.  Di  persona che non sa farsi valere.

Stuppuse – stopposo   agg.  Stoppaccioso, la stoppa  è la parte più grossa che si trae dalla pettinatura del lino e della canapa.

Sturdute – stordito  agg.  Intontito, frastornato.

Sturièlle – storielle  sf  Favola, racconto. Resoconto poco credibile di un fatto quasi interamente inventato spesso come pretesto per ottenere qualcosa.

Sturione – storione s.m. Acipenser sturio. L’ho visto una sola volta. Dovetti lasciare la scuola per correre alla chiamata. Giaceva per terra fuori la pescheria di Paesano. Tra gli astanti nessuno lo conosceva. Era un esemplare di 49 chili. Lo avevano pescato i Sacco: Francesco, Gerolamo e Costantino Vitiello. Quest’ultimo, a cui mi lega una grande stima,  porta in giro i suoi novantotto anni con disinvoltura giovanile.  Con le uova di storione  si fa il caviale.

Sturne – storno  sm.  Uccello migratore.

Sturnì – arrotare  v. Appuntire, aguzzare, assottigliare, affilare un arnese per renderlo tagliente nel suo impiego. L’operazione non avveniva con la mola dell’arrotino  ma in una fucina, la bottega del fabbro. Gli attrezzi da sottoporre al rinnovamento era i picconi,  i mèreche, i bidenti e i tridenti, strumenti con due o tre rebbi idonei a zappare. I clienti erano i contadini  e gli scavatori. Quando la loro dotazione di attrezzi, sempre abbondante, incominciava ad assottigliarsi, si rivolgevano al fabbro per farli “sturnì”. La maggior parte di essi approfittava   di una circostanza particolare, una festività o altro, per scendere in piazza e  fare anche  la richiesta al  fabbro che fissava il giorno per portare i vari oggetti.

Il contadino, metteva tutto in un sacco, e di notte, prima che andasse in campagna, scendeva nel centro del paese e depositava  il suo sacco davanti la porta della bottega. Sapeva già quando doveva ritirarli. L’affilatura consisteva nel mettere nella forgia l’arnese da riparare, che con il  consumo era diventato la metà,  e  un pezzo di ferro da aggiungere.  La forgia era sempre accesa. Il primo pensiero del fabbro, quando al mattino si recava sul luogo di lavoro, era quello di accenderla. Quando il calore li aveva arroventati il fabbro pigliava, con una lunga tenaglia, prima l’attrezzo, lo metteva sull’incudine e lo batteva pesantemente con un martello. Gli dava una certa forma che doveva combaciare con il pezzo nuovo che gli avrebbe attaccato. Dopo aver lavorato i due pezzi separatamente li rimetteva nel fuoco e quando riteneva opportuno li estraeva , li metteva nuovamente sull’incudine, uno sull’altro, e vai a battere fino a che non fossero diventati corpo unico. Allora badava alla forma, Lo girava e lo rigirava affibbiandogli qualche colpo per perfezionarlo esteticamente. Quando riteneva di aver concluso lo infilava in un secchio pieno di acqua e lo lasciava fino al raffreddamento.  L’acqua lo temperava e gli dava una patina come se fosse nuovo.

Sturzille – convulsione  sm.  Contrazione violenta  e involontaria dei muscoli, svenimento, scossa, crampo.

Stutà – spegnere  v.  Smorzare,  estinguere, arrestare, bloccare, fermare il fuoco.

Stuzzecà – Stuzzicare  v.  Punzecchiare, tormentare, toccare, provocare, irritare, infastidire, solleticare, pungolare.

Suace – suacia s.f. Arnoglossus laterna. Simila alla sogliola, con pelle grigioscura. Vive su fondali sabbiosi e fangosi  a grosse profondità. Si pesca con la rete a strascico. Le carni sono eccellenti ed è richiesta nei mercati.

Suarèlle – sugherello s.f. Nattello, correntina. Piccolo galleggiante a cui sono legati alcuni fili con gli ami. Serve per la pesca delle occhiate in superficie. E’ divertentissima. Quando parlo di suarèlle la mia mente corre a Fritz, un amico, un signore, un galantuomo di antico stampo, che ha frequentto Ponza per un cinquantennio, che si divertiva tutti i giorni a pescare con le suarélle. Le occhiate che prendeva le accumulava a grappolo facendo il giro della banchina per portarle da Amedeo, all’aragosrta, il ristorante dove sedeva ogni sera.

Suariélle  – suro s.m. Trachurus mediterraneus.  Il sugherello appartiene alla famiglia dei sugheri. E’ saporito con pomodoro, origano e aglio.

Sùbbete – subito  agg.  lesto, sollecito;  avv.  immediatamente, improvvisamente; sm.  attimo, istante.

Subbissà – Subissare  v.  Sprofondare, sommergere, tempestare, mandare in rovina.

Subblimate – veleno  sm.  Sostanza che, penetrando nell’organismo, produce effetti gravissimi, spesso anche letali. Tossico, caustico,

Succhetàne –cinghia  sf.    Fascia che, passando sotto la pancia della bestia, serve a tenere fermo e bloccato il basto dell’asino.

Succòrpe – Cripta   sm.  Sotterraneo della cappella cimiteriale  o di una chiesa, usato come sepolcro

Sudovest – sudovest s.m. Copricapo di tela cerata di particolare forma, usato dai marinai in tempo piovoso.

Sùère – maglione  sf.  Giacca di lana con bottoni.

Sufìsteche – cavilloso  agg.  Lunatico, volubile, pedante, capriccioso, esigente, difficile da accontentare e che trova da ridire su tutto.

Suggettine – tiro mancino  sm.  Cattiva azione preparata nascostamente, simpatica birbonata.

Sùgle –  lesina   sf.  Arnese formato da un ferro sottile,  ricurvo e appuntito, con manico di legno dall’altro lato, con il quale i calzolai foravano il cuoio per  far passare lo spago impeciato per la cucitura..

Sulà –  risuolare  v. Rimettere  suola nuova alle scarpe.

Sulagne – solitario   agg. Di luogo lontano dall’abitato, di persona solitaria.

Sulètte – trave  sf.  Piccola trave in ferro con calcestruzzo;  parte della calza  che copre la pianta del piede,  suola mobile di feltro, lunga quanto il piede,  che si mette nella scarpa,  in quella scarpa che va un po’larga.

Sulià – soleggiare  v.  Esporre al sole per diventare abbronzato, per far seccare, per far asciugare.

Suliére – fondo marino s.m. Piatto, arenoso e senza scogli.

Sullìne – solino s.m. L’ampio bavero di colore azzurro con strisce bianche facente parte della divisa del marinaio.

Summe –  bassofondo  agg.  Di mare poco profondo.

Summe summe – in superficie   loc.  Superficialmente, senza eccessivo impegno.

Summìte – rialzo s.m. Zona sott’acqua che si eleva.

Summuzzà – sommergersi v. Tuffarsi, scendere sott’acqua.

Summuzzariélle – tuffatore s.m. Berta maggiore. Vedi parlante.

Sunà – suonare  v.  Strimpellare, sonacchiare, eseguire musica.

Sunnà – sognare  v.  Sospirare, desiderare, agognare, prefigurarsi, vagheggiare e aspirare a cose impossibili.

Sùnnuzze – singhiozzo  sm.  Successione rapida di brevi espirazioni e inspirazioni provocate da contrazioni del diaframma.

Suonne – sonno   sm.  Temporanea e apparente sospensione delle attività del cervello durante le quali il corpo si riposa eliminando le tossine della fatica.

Assopimento, dormiveglia, letargo, sonnolenza, sogno.

Suorve – sorbo   sm.  Albero che produce le sorbe.

Superbiuse – superbioso   agg.  Di persona abitualmente  superba, arrogante, altezzosa.

Superchià – avanzare  v.  Eccedere, abbondare con eccesso.

Supiérchje – più del necessario  agg. e avv.   sopravanzo, rimanenza, residuo.

Suppònte – appoggio  s.m. Puntello, sostegno, rinforzo.

Supressàte – soprassata  sf.  Specie di salume fatto con grossi pezzi di carne di maiale.

Supressòle – lamina s.f.  sfoglia di legno con cui si copre la chiglia, per non farla deteriorare, per tutta la sua lunghezza sia all’interno che all’esterno dello scafo.

Surche – solco   sm.  Fosso lungo scavato con la zappa  dove si ponevano  le piantine con la radice per farle crescere. Il solco consentiva il passaggio obbligato dell’acqua per l’innaffiamento.

Surchià – aspirare  v.  Il tirare su con il naso quando si è raffreddato, il che provoca un rumore fastidioso; percuotere, bastonare, conciare per le feste; imporre la dritta via e l’allontanamento.

Surchiate – aspirazione  sf.  Aspirare fortemente con il naso; mortificazione, rimprovero.

Surcometre – solcometro s.m. Strumento per misurare la velocità della nave.

Surdegline – gelata  sf.  Freddo intenso, vento gelido. Fa freddo!

Sureciare – sorciaio  agg.  Di gatto abile nel prendere i topi.

Surecille – topolino   sm.  Piccolo roditore con grandi orecchie e coda lunga. E’ un animaletto vergognoso: cammina sotto i muri per non farsi vedere in quanto sa che  la mamma  è una zoccola.

Surecille i nòtte – pipistrello  sm.  Uccello. E l’unico mammifero  che vola. E’ un animale crepuscolare e notturno quando va in cerca di insetti. Durante il giorno riposa in caverne naturali riunendosi in folti gruppi

Surréje – spaventato  agg.  Impaurito, inorridito.

Surze – sorso   sm.  Quel tanto di liquido che si beve in un tratto.

Susamièlle – dolce  sm.  Caratteristico dolce natalizio, a forma di una S, fatto con pasta di mandorla  e ricoperto di cioccolato.

Suscià – soffiare v. Spirare, emettere, espirare, sventagliare, sbuffare.

Susciate – soffiata   sf.  Spiata, di qualcosa fatta in brevissimo tempo.

Suspiétte – sospetto  sm.  Timore, paura, dubbio.

Suspirà – sospirare v.  Emettere sospiri, desiderare, bramare, rimpiangere.

Suste – aitante agg.  Di persona forte, robusta, gagliarda, vigorosa, atletica, forzuta.

Suttanine – sottana  sf.  Indumento femminile che si porta sotto la veste.

Sutugnà – rimboccare  v.  Versare, riempire dall’alto, ungere per ottenere, mangiare abbondantemente.

Sùvere – sughero  Corteccia leggera e spugnosa di una speciale quercia. Serve a tantissimi usi, dal petagno, boa, dei vecchi pescatori ai tappi e a tant’altri usi.

Svacantà – svuotare  v.  Levare da un posto tutto quello che c’è, sgomberare, evacuare.

Svavià  – nauseare  v.  Sbavare,  avere sensazione di ripugnanza a certi odori, a certi cibi.

Svergenà – sverginare  v. Deflorare, far qualcosa per la prima volta.

Svertézze – sveltezza sf.  Agilità, celerità, velocità.

T

Tabbaccare – tabaccaio  sm. Venditore di tabacchi e di altri generi di monopolio.

Tabbacche – tabacco  sm.  Pianta dalle cui foglie, seccate e conciate, proviene il tabacco da fumo e da fiuto; moneta.
Tabbaccuse – tabaccoso agg.  Di persona incallita nel  fumo e puzzolente di tabacco.

Taccagnuse – taccagno  agg. Avaro, gretto, tirchio, di persona attaccata al danaro.

Taccariélle – randello s.m. Bastone grosso e rozzo, pezzo di legno.

Taccate – taccata s.f. Catasta di legno che, nei bacini,  si forma sotto la carena delle navi per sostenerle.

Tàcche – tacco   sm  Il rialzo della estremità posteriore delle scarpe; sf. balbuzia; pezzetto di legno.

Taccherìjà – sparlare  v.  Dir male, diffondere maldicenze; tagliare, recidere, tosare, potare.

Tàcche tàcche – a pezzettini  loc.  Discorso maldicente

Taccuscèlle – Pezzetto  sf.  Asse di legno, tavoletta.

Tafanàre – sedere  sm.  La parte posteriore del corpo umano.

Taftà – taffettà  sm.  Tessuto di seta,  leggero e frusciante.

Tagliamare – tagliamare s.m. L’estremità affinata della prua con cui la nave fende il mare.

Tagliafuorbece –  Forficina  sm.  Insetto con coda biforcuta, si trova nei carciofi isolani.

Taglìmme – terra  sf.  Terriccio biancastro di roccia tufacea usata per la malta.

Tagliulille – taglio  sm. Piccola ferita.

Talle – rocchio  sm.  Il lungo intestino in cui è stata inserita, con apposita macchina, il tritato di carne di maiale condita, definito salsiccia. Questa lunga salsiccia viene divisa, senza taglio da una spago in tanti pezzi. Ogni pezzo è un rocchio, un talle.

Tallunià – tallonare  v.  Seguire, inseguire, stare dietro.

Tamarrone – grossolano  agg.  Rozzo, zotico, cafone

Tambucce – tambuggio s.m. Specie di garitta che si costruisce per  riparare un boccaporto che conduce  sul ponte di coperta.

Tammeciane – damigiana  sf.  Recipiente di vetro per liquidi. Ha la forma di un pallone e  va dalla capacità di pochi litri fino ad ad arrivare a contenerne 44 litri. E’ rivestita di paglia lavorata.

Tanche – tanica s.f. Nome generico per indicare tutte le casse che contengono liquidi.

Tànfe – puzzo  agg.  Fetore, miasma, odore sgradevole

Tangone – zangone s.m. Madiere che forma l’ossatura della nave. Quelli centrali sono molto aperti, larghi, mentre quelli della poppa e della prua sono sagomati come delle V.

Tànne – allora  avv. cong.   Un tempo, una volta, dunque, perciò, quindi, pertanto, sicché.

Tantìlle – pochino  agg.  Una piccola quantità, poca cosa.

Tappe – tappo s.m. Turacciolo, oggetto per chiudere. Quello dell’allievo, a liémme, si chiama zaffo. Sf. sosta.

Taralle – ciambella  sm.  Dolce di forma circolare, vuoto al centro,  fatto con farina, acqua, sugna, pepe, mandorle tritate e semi di finocchio selvatico.

Tarantule – geco  sf.  Lucertola bianca che, in genere, esce di notte. E’ abbondante nelle varie isole italiane.

Taratufe – tartufo s.m. Venus verrucosa. Si mangia preferibilmente cotto.

Tardulille – tardivo  agg.  Che tarda a nascere,  che tarda  a fiorire, che tarda a maturare, che è tardi nello sviluppo fisico o intellettuale.

Taròzze – tarozzo s.m. Bastone di ferro legato alla estremità inferiore della sartia di cui costituisce il primo gradino al quale susseguono le griselle.

Tarrupà – Precipitare  v.  Capitombolare, ruzzolare, cadere.

Tartaglià – balbettare  v. Parlare difettosamente con il ripetere più volte le prime sillabe.

Tartagliuse- balbuziente   agg.  balbettante.

Tartàne – tartana s.f. Imbarcazione a vela latina con un solo albero.

Tartanèlle – tartanella s.f. Rete a strascico di piccole dimensioni.

Tartarone – tartarone  s.m. Anche tartanone. Attrezzo da pesca. Rete  che veniva tirata come una sciabica da una o due barche. La stesura della rete avveniva lasciando a galla una cima legata ad una boa. Quando la rete era stata stesa la barca tornava all’inizio per riprendere la boa con la cima e con ambedue le cime legate a poppa iniziava la traina. Questo tipo di pesca veniva effettuato nelle zone ricche di “retunne”, zeri. Si è arrivato a prendere, in una sola trainata,  anche dieci quintali di pesci. Anche questo tipo di pesca è finito nel dimenticatoio.

Tartarughe – tartaruga s.f. Termine con cui si indicano genericamente i cheloni marini. Nei nostri mari dominano la carette-carette e la chelone mydas  che ha una carne pregiata che se ben cucinata  diventa un piatto  eccellentissimo.

Tassiélle – tassello s.m. Pezzo di legno sagomato che si mette per chiudere un buco.

Tastà – tastare  v.  Toccare, palpeggiare.

Tate – padre  sm.  Il genitore

Tavulate – tavolata  sf.  Banchetto, convito.

Tavule – tavola  sf.  Mensa, tavolo.

Tavulélle – tavolella  sf.  Pezzo di legno rettangolare appositamente scanalato su cui si strofinava la  biancheria insaponata per lavarla.

Tavulètte – tavoletta  sf.  Piccolo asse di legno.

Tavùte – bara  sm.  Cassa mortuaria

Tazzulélle – tazzina  sf.  Piccolo vaso, quasi sempre di  forma tronco conica, con manico,  usata per bere il caffè.

Téccatélle – eccotela  avv.  E’ tua.

Técchete – eccoti  avv.  Eccoti

Tègnere – tingere v. Colorire, colorare.

Telàre – telaio  sm.  Attrezzo per il ricamo. Arnese che non mancava in nessuna casa perchè le ragazze dovevano preparasi il  corredo.

Tèlègrafe – telegrafo s.m. Trasmettitore meccanico degli ordini dalla plancia alla macchina.

Temiénze – timore  sf.. Paura, timidezza.

Temmone – timone s.m. Organo della imbarcazione che serve a produrre la direzione del suo cammino. E’ parte della poppa, tenuto da agugliotti e femminelle intorno ai quali può compiere gli spostamenti angolari da un lato o dall’altro lato.

Temmuniére – timoniera s.f.  Il locale situato sul ponte di comando che contiene il timone, la bussola di governo e gli attrezzi nautici di uso frequente come lo scandaglio, il sonar,  le bandiere e tanti altri arnesi che la scienza ha imposto.

Tempèste – tempesta s.f.  Nome generico delle violenti perturbazioni atmosferiche causate da depressioni barometriche.

Tempurale – temporale s.m. Una improvvisa e rapida perturbazione accompagnata sempre da  lampi e tuoni.

Temuniére – timoniere s.m. Marinaio addetto alla manovra del timone.

Tenàgle – tenaglia s.f. Strumento di ferro formato da due leve incrociate e imperniate fra loro  per afferrare, stringere e stroncare.

Tené- tenere  v.  Avere, possedere, occupare, fruire.

Tène buone u mare – tiene bene il mare  loc. Modo di dire per un natante che possiede buone qualità marine di stabilità e di facile evoluzione.

Teniélle – tino  sm  Recipiente di legno a doghe usato esclusivamente per il trasporto dell’uva e per i vari lavori, sempre inerenti al vino, che si fanno in cantina

Teniére – calcio  sm.  Parte posteriore di una qualsiasi arma personale  a canna lunga. E’ di legno. Ed ha una forma particolare  perché possa essere imbracciata e tenuta ferma.

Tènne – tenda s.f. Riparo di tela o di altro tessuto, cerata, che si stende sopra o davanti a ciò che si vuole riparare.

Ténte – tinta s.f.  Tintura, colore che si dà tingendo.

Terà – tirare v. Tesare, tendere.

Terante – tirante s.m. Quella parte di corda che esce da una puleggia o da un paranco per essere tirata.  Bretelle.

Terature – tiratura s.f. Il complesso delle operazioni per mettere a secco un bastimento. Sm.  Tutti i cassetti che compongono i vari e molteplici mobili che si trovano in una casa.

Teresìne – gioco   sf. Gioco di carte di importazione americana,  poker scoperto

Tèrmòmetre – termometro  sm.  Strumento per misurare la temperatura di un corpo.che avviene per dilatazione di una sostanza termometrica, nel nostro caso: il mercurio. Dopo diversi secoli di uso si è scoperto che il mercurio è una sostanza tossica e cancerogena ed è stato messo fuori legge da una disposizione del Parlamento europeo, datata 10 luglio 2007. E’ giusto dire che le forbici della scienza moderna hanno operato un altro taglio cancellando un altro oggetto dalla nostra memoria storica. Un oggetto, un arnese che si trovava in ogni casa e  quando, per un qualsiasi motivo,  non si riusciva a rintracciarlo per l’uso immediato, ci si precipitava dalla vicina di casa a chiederlo in prestito e appena possibile si correva in farmacia per l’acquisto. La decisione del Parlamento europeo fa uscire di casa un altro pezzo di storia della nostra vita.. Si ignora come verrà sostituito. E cosa si dirà al posto di: mettiti il “termometro” perché ho l’impressione che tu abbia la febbre; la borsa è il “termometro” della economia; il progredire della delinquenza è il “termometro” della crisi sociale.

Teròccele- carrucola s.f. Puleggia, girella.

Teròzzele – Pezzo sf.  Pezzo di pane, raffermo, di diversi giorni; bitorzolo.

Terrià – rasentare  v.  Volare a bassa quota, sfiorare, lambire, radere.

Teruozzele – pezzo  sf.  Pezzo di pane raffermo.

Terzane – terzana  sf.  Freddo intenso con febbre, brivido.

Terzaruole – terzarolo s.m. Porzione di vela che può essere ripiegata e legata per ridurre la superficie velica.

Terzià – svelare  v.  Scoprire a poco a poco le carte da gioco.

Terzone – recipiente s.m. Barile di legno per la provvista di acqua potabile.

Tesà – tesare v. Tendere, recuperare l’imbando, tirare, cazzare

Tèsta d’albero – testa d’albero s.f. L’estremità superiore di un albero.

Tèstàte – testata s.f. Estremità di un molo o di una scogliera, capata.

Tèste – vaso   sf.  Nome generico di ogni recipiente di terracotta, di vetro, di metallo per contenere i fiori.  Capo, testa, la parte superiore del corpo umano con tutti gli organi in essa contenuti.

Tetélle – gallinella  sf.  Ragazzotta.

Tezzone – tizzone sm.  Pezzo di legno o di carbone acceso;  agg. nero, come il carbone.

Tiàne – tegame  sm.  Tegame di terracotta di forma rotonda con manico.

Tianiélle – tegamino  sm.  Arnese per la cucina;  presa in giro, spirale di parole o di azioni per ingannare qualcuno da trarre vantaggio.

Tiatre – teatro   sm.  Edificio adatto per rappresentazioni di opere musicali  e  di svariati tipi di spettacoli come quello che Totò descrive nella Livella:

“Ninì Santoro, il fine dicitore, / maestro di eleganza e di maniere, / il re del music-hall, il gran signore, / debutta questa sera al Trianon”

Guardanne u manifeste  chi liggeva / penzava: certo chisto è n’artistone. /

Tenevemo st’attore? E chi o ssapeva! / stasera stessa m’o vaco a ssentì. /

C’u  tubbo, a caramella e nu bucchino /  d’avorio giallo luongo miezo metro;  /

u fazzuletto bianco nel taschino, / ncuollo nu frak e seta blummaré /

Tutt’o teatro illuminato a giorno, / na marcia trionfare comm’Aida, /  Santoro ascette e cu na facce i cuorne / pareva che diceva:  eccomi qua!  /  Mo v’aggia  fa vedé chi è Santoro, / il fine dicitore, il fantasista / ca quanno arapa a vocca caccia ll’orol  / oro colato e primme qualita. /

O pubblico ansioso s’aspettava: / chi sa mo ch’esce a vocca a stu Santoro. /

Ma ch’era ascì… Santoro ncacagliava, /  faceva smorfie, zumpi e niente cchiù. /

Nun fernette nemmeno u riturnello /  d’o primmo raccontino d’avventure, /

quann’uno arreto a me: Santò, sìi bello!  /  ( ndranghete! ) E allazza nu pernacchia i novità. /  Fuje cunn’a nu signale e na battaglia,  /  Mancava poco e nce scappava u nuorto; / i sische me parevano mitraglia, / Santoro nun potette continuà. / Ll’artista se facette a mappatella: o frak, o tubbo, o fazzuletto bianco, / s’annascunnette pure a caramella. / Dicette: Aggio sbagliato… ch’aggia fà ?  /.. ……….

Tiche -con te  avv. Con  te.

Tièlle – padella   sf.  Utensile da cucina di metallo di forma rotonda usata per le fritture.

Tiénnere – tenero  agg.  Morbido, delicato, facile alla commozione, affettuoso, premuroso, sensibile.

Tiérze- terzo  agg. La terza parte di una unità, il terzo di una gradutoria.

Tine – tino  sf.  Recipiente di legno  con base leggermente più piccola formato da doghe cerchiate dove si pigiava l’uva per lo spumante e per  altri usi.

Timòniére – timoneria s.f. Locale situato sil ponte di comando contenente la ruota del timone e la bussola oltre a tutti gli attrezzi nautici di uso frequente e necessari alla navigazione.

Timuniére – Timoniere  s.m. Marinaio addetto al maneggio del timone.

Tirabbiciole – cavatappi   sm.  Apribottiglie, cavaturaccioli,  tirabusciò.              –

I cavatappi hanno la funzione di estrarre il tappo di sughero  dalle bottiglie e dai fiaschi, quei tappi che sono stati inseriti con una particolare macchina. In genere il cavatappi consta, da un lato,  di una spirale ad elica terminante a punta e dall’altro lato è dotato generalmente di una impugnatura. La spirale su cui si esercita la pressione si avvita nel sughero che poi viene estratto. L’estrazione può avvenire o  tirando direttamente l’impugnatura o con l’ausilio di leve già predisposte.Oggi è diventato uno strumento di forma , dimensione e colore, diverso e vario.  Ogni ditta produttrice di vini,  liquori  o  liquidi diversi  si fa fare un suo personale cavatappi che allega al prodotto. Molti fanno risalire la nascita del cavatappi a quella dello champagne e sostengono che fu opera  dello stesso inventore di quel vino spumeggiante ed effervescente, Dom Perignon. Costui per sigillare ermeticamente le bottiglie ha usato, per primo, il tappo di sughero al posto di quello di creta o di cera. Altri, invece, fanno risalire la nascita del cavatappi al succhiello adoperato per spillare il vino dalle botti. Alla fine del 1700 il cavatappi diventa un oggetto di lusso con decorazioni e cesellature in oro o altro materiale prezioso. Questo fa moltiplicare le tecniche  e i modelli tanto che portarono a brevettare il modello. In Inghilterra, nel 1795, all’ufficio brevetti, che già esisteva e funzionava, si rivolse il reverendo Samuel Henshall  per la registrazione e la tutela di una sua opera. Ciò scatenò una corsa all’ufficio brevetti. Nacquero tanti e tanti modelli. Alcuni crearono un arnese simile ad una campana che appoggiandola  sul collo della bottiglia, ne agevolava il funzionamento. In Italia venne creato un modello simile ad un macinino che funzionava a manovella. Fino agli inizi del ventesimo secolo la produzione di questo utensile ebbe il carattere artigianale.

Si ebbe la fioritura di nuove meccaniche inserite in nuovi modelli che sprigionarono l’inventiva di artigiani con la costruzione di pezzi diversi tra loro e in pochi esemplari; delle vere opere d’arte con intarsi scultorei.

Fra i miei reperti ho anche tre cavatappi: uno me lo portò negli anni 50, l’avvocato Raffaele Gamardella , precursore del turismo ponziano, l’altro me l’ ha mandato dall’ America un mio caro e vecchio alunno,  Tristano, il celeberrimo Tristano. Il terzo è dono di una coppia di amici carissini, Orazio ed Enrica, nobilissime persone. Lui è cardiologo nell’ospedale di Bergamo ed la porta aperta del suo studio a chi dice di essere ponese. Lei, oltre ad essere una femmina con attestato, è una signora eccezionale,   insegna a Lecco, dove vivono Me lo hanno portato dal Cile. Si sono ricordati di quanto  scrissi, al riguardo, nei miei  “ Fogli sparpagliati”.

Tòcche – sincope  sm.  Colpo apoplettico, ictus.

Tofa – buccina  s. f. Tritone. A Roma c’è la fontana del Tritone. L’animale ha casa in una grossa conchiglia dalla forma a spirale,  il cui ingresso è chiuso da un opercolo.  Lessa, tagliata a fettine, si condisce con olio e aglio e prezzemolo e  si mangia volentieri.  Vale ricordarla perché, un volta pulita,  soffiandovi dentro emette un suono fortissimo che costituiva il segnale acustico  di tutte le barche.

Tonne i rézze – quantità di rete s.m. Rete da posta.

Tòrtene – ciambella s.m. Arnese a  forma di ciambella che si manda sul fondo, legato ad una corda, per disincagliare gli attrezzi da pesca che si sono impigliati fra le rocce; ciambella di pane; tralcio o  ramo che viene usato per legare le fascine.

Tòtane – totano s.m. Mollusco dei cefalopodi. Le femmine sono più grandi dei maschi. Si pesca con una lenza particolare, la totanara. Una volta era molto diffusa. Il periodo di passaggio è primavera-estate. Le barche, dotate di una piccola luce a petrolio o a carburo, si portavano, all’imbrunire, nelle acque del Faro della Guardia dove pescavano. Per alcuni, quelli che lo facevano per mestiere, la pesca durava fino alle prime luci dell’alba.

Trabaccule – trabaccolo s.m. Veliero a due alberi di pessima  fattura e mal  tenuto.

Trabbule – ciancia   sf.  Coccola, moina, carezza.

Trabbulère – donna  sf  Di donna dalla parola conquistatrice, che riesce facilmente a convincere.

Trabiccule –minuscolo   sm. Cosa di poco volume, roba esigua.

Trabùcche  – trabocchetto  sm.  Galleria di piccole dimensioni per lo scorrimento delle acque piovane . A Ponza il trabucco esiste sulla Dragonara. Comincia dalla casa del maestro Giannino Conte e arriva fino alla casa della Vucculélle. E’ un insieme di trafori scavati dai romani per raccogliere l’acqua che scendeva da Monte Gurdia, per incanalarla e riversarla a Chiaia di Luna.

Traccheggià – traccheggiare  v. Indugiare, temporeggiare, perdere tempo.

Tracchiulélle –resti   sf. Pezzo di costola di maiale con lembo di carne attaccata.

Tracchiuse –traccia  agg.  Di persona che porta i segni di ferite raggrinzite.

Traccuosse – regalo   sm. Dono, attenzione, presente, pensiero.

Tràcene – tracina s.f. Nelle nostre acque si pescano: la tracina drago, trachinus drago, comunemente chiamata “capezzone”; la tracina ragno, trachinus araneus; la tracina raggiata, trachinus radiatus e la tracina vipera, trachinus vipera. Tutta la famiglia è caratterizzata dalla presenza di ghiandole che secernano un veleno collegato alle spine dorsali. Si pesca con le coffe ma finisce anche nelle reti. Fa parte della collana di pesci per preparare la zuppa.

Tracuolle – tracollo s.m. Carico sistemato in coperta che contribuisce allo sbandamento della nave.  Sbandata..

Trafecà – trafficare v.  Lo stesso che sartiare, ripassare, ripigliare. Si traffica un paranco quando lo si vuole nuovamente usare e le due carrucole, per lavoro precedente, sono a contatto fra loro. E’ necessario distenderlo. Travasare, spillare o imbottigliare il vino.

Tràfeche – movimento  sm..Viavai, traffico, commercio.

Traffine – arpione s.f. Fiocina di una certa consistenza.

Trajàne – raduno s.f. Adunanza di pesci della medesima specie in un determinata zona di mare per deporre le uova.

La traiane, il raduno,  non avviene sempre nello stesso posto o intorno alla stessa isola. E’ l’interessato che la cerca mettendo in acqua reti da posta in diversi luoghi. Dove pesca sia le femminèlle che i llòcche è il posto del raduno.

Trainà – trainare v. Rimorchiare, trascinare,  portare a traino, pescare a traino.

Traìne – lenza s.f. Lenza per la pesca a traino.

Trainiélle – raggiro  sm. Giro di parole o di atti per trarre qualcuno in inganno e averne utili, inganno

Tramàglione – tramaglio s.m. Attrezzo da pesca formato da tre reti sovrapposte fermate  tra loro lungo gli orli.  La rete centrale è a maglie strette mentre le esterne  sono a maglia larga. E’ una rete da posta che si cala in qualsiasi fondale e piglia tutto.

Trammià – curvarsi  v.  Spaccarsi, piegarsi,  inarcarsi del legno sotto l’azione del calore.

Trammiàte – contorto agg. Curvato, storto, incrinato.

Tramuntane – tramontana s.f. Vento dal quarto quadrante, in genere freddo e rigido.

Trapanà – trapanare  v.  Bucare, forare.

Trapanature- Trapano  sm.  Attrezzo di lavoro per bucare a mano oggetti  di terracotta  o di ceramica per poi applicare i punti di sutura, bindolo. L’artigiano che faceva questo lavoro veniva chiamato congiatiane. Egli girava per le strade del paese  annunciando la sua presenza  bandendo il suo soprannome: Congia… tia… ne.  Non era né lacero, né sporco, né cencioso. Vestiva con decoro e con pudore, diciamo pure con un certa eleganza e, soprattutto,  i suoi indumenti erano puliti. Entrava nelle case e doveva essere dignitoso. Piccolo di statura,  portava un paio di occhialini  sostenuti da due stanghette di comune filo di ferro. Girava sempre con una piccola cassetta a tracolla dove teneva, ordinatamente i ferri del mestiere: il trapano, la tenaglia, la pinza,  il martello, la lima, il filo di ferro, il gesso e la calce. Oggetti indispensabili per il suo lavoro. La cassetta gli serviva anche da sgabello.

Non era considerato un artigiano, né tantomeno un operaio ma il suo mestiere era di una utilità immensa. Non c’era casa dove non vi fossero rottami di piatti, insalatiere, scafaréje,  tegami, e ciotole. Operava, in genere, nel cortile per evitare di sporcare in casa. Prima di mettere mano al suo lavoro esaminava con attenzione  i cocci da ripristinare. Quando si rendeva conto che era possibile risistemare l’oggetto apriva la cassetta e metteva fuori tutto il suo armamentario. Si sedeva sulla cassetta stendendosi sul grembo, a guisa di grembiule, un panno che portava sempre con sé. Faceva combaciare i pezzi rotti e usava la lima per eliminare piccole sbavature. Fatto questo lavoro di preparazione metteva in funzione il trapano, un piccolo arnese di legno e cordicelle che azionava delicatamente con una mano mentre l’altra teneva fermo il coccio da perforare. Fatti i buchi passava alla operazione di saldatura.

Infilava il filo di ferro dall’interno così da avere le legature tutte sul lato esterno.

Questi erano i cosiddetti punti semplici, diciamo rozzi e grossolani,  ben diversi dai “punti romani” che non dovevano apparire all’interno dell’utensile.

C’era diversità di costo fra i due legamenti. Quando tutti i cocci erano stati sistemati e l’oggetto presentava il suo aspetto primitivo passava alla saldatura dei buchi usando il gesso e la calce. Con l’uso,  un lordume incredibile si accatastava vicino a quei fili di ferro. Trapanature si chiamava anche quell’attrezzo in legno intorno al quale si avvolgeva la lana, già filata, per fare le matasse.

Trapazzature – trapassatura s.f. Periodo di relativa calma tra due giornate di tempesta.

Trappule – trappola   sf.  Arnese per prendere topi o altri animali, tagliola; insidia, tranello.

Trascurse –trascorso  agg.  Del tempo passato.  Sm.  discorso, parlata.

Trasì – entrare  v.  Accedere, inserirsi, introdursi, penetrare,

Trattàbele – conciliante   agg.  Cortese, gentile.

Tràve – cavetto s.m. Filo lungo della coffa a cui vengono legati i vraccìuole muniti di amo. Puntello, traversina, putrella.

Travèrse – canna  sf.  Canna di sostegno  orizzontale del filare di viti.

Traversìje – traversia s.f. Si riferisce ad un porto, una rada, una baia, dove un vento di forte intensità agita tempestosamente le acque producendo danni. Il levante è la traversia del porto di Ponza.

Traversine – traversino s.m. Corda d’ormeggio che si usa nelle manovre per tenersi alla banchina. La sua stesura risulta perpendicolare alla direzione della chiglia.

Traviérze – traverso s.m. Direzione opposta alla chiglia. Da un lato si ha il traverso di dritta e dall’altro quello di sinistra. Lato storto, sbieco, sbilenco; di boccone che andando di “traviérze” è penetrato nella laringe.

Trébbete – treppiede Arnese di ferro massiccio che si regge su tre piedi e su cui veniva sistemata una grossa caldaia  per far bollire l’acqua per il bucato, le bottiglie di pomodori, il grasso di maiale per fare la sugna. Marchio.

Trègle – triglia s.f. Mullus surmuletus, triglia di scoglio e mullus barbatus, triglia di fango, sono i due tipi di triglie che abbondano nei nostri mari. Per ben due volte nella mia vita ho avuto in omaggio due  triglie mastodontiche, ambedue di ottocentocinquanta grammi. Una me la regalò Geppino Portazero e l’altra Peppe di Zannone, ai quali ero legato da profonda amicizia e ora da un caro ricordo.

Tremmà – tremare  v.  Trepidare, agitarsi per paura, per  freddo, per malattia.

Tremmarèlle – tremore  sf.  Paura, timore, panico, freddo.

Trèmmule – torpedine s.f. Quella che si vede sui banchi delle pescherie è la torpedine marezzata o la  torpedo mamorata.

Tremmulicce – fremito  sm.  Brivido,  paura.

Tremmuline – tremolino s.m. Verme di sabbia usato per esca. Quando ero ragazzo li trovavamo sulla battigia della spiaggia di Sant’Antonio, scavando nella rena.

Treppone – panciuto agg.  Di persona che ha una grossa pancia.

Tréssètte – tressette  sm.  Gioco con le carte napoletane.

Trevellèsse – saccente  sf.  Attaccabrighe.

Trézze – treccia  sf.  Intreccio di capelli, di paglia, di cordame.

Triangule – triangolo  sm.  Triangolo, piccola lima triangolare, candeliere a tre bocchette.

Tribbulazione – tribolazione  sf.  Tormento, patimento.

Tribucì – cirrosi  sf  Malattia che colpisce il fegato.

Tricà – indugiare  v.  Tardare, perdere tempo

Triccabballàcche – strumento  sm  Strumento nusicale composto da tre martelli di legno di cui uno fisso, quello centrale.  Sui martelli sono attaccati pezzi  di latta che tintinnano, facendo rumore, alle percussine dei due martelli movibili.

Tricchetràcche – petardo  sm.  Fuoco d’artificio.

Tricule –triste  agg.  Malinconico, afflitto, angoscioso, lamentoso. I vecchi coniarono un proverbio: “ Tricule i case é ballerine i piazze”, per quelle persone che in casa erano scontrose e intrattbili mentre fuori  allegre e brillanti.

Triémmule – tremito sm  Fremito

Trincà – bere  v.  Tracannare con avidità, trangugiare.

Trinche – nuovo  agg. Di vestito indossato per la prima volta.

Trincià – trinciare  v..  Tagliare a sottilissime lamelle.

Trinchettìne – donnetta  sf.  Di persona dedita a gironzolare per pettegolare.

Trìppe – trippa  sf.  Stomaco dei bovini che tagliato a listarelle viene cucinato dando una ottima pietanza,  pancia.

Triste – irrequieto  agg. Indocile, cattivo, malvagio.

Triunfe – briscola    sf.  Carta di valore nel gioco della maniglia.

Tròccele – Carrucola s.f. Puleggia con una scanalatura.

Tròcchje – torchio  sm.  Attrezzo della cantina moderna.  Mettere qualcuno sotto u tròcchje  equivale a metterlo a severa disciplina, a spremerlo bene.

Tròje – puttana  sf.  Di donna di facili costumi, prostituta, persona disonesta, corrotta, spregiudicata, capace di qualsiasi azione.

Trombamarine – coda di Zefiro s.f. Zefiro, figura mitologica, era il dio di un vento proveniente da ovest e che sin dalla antichità è stato sinonimo di ponente. La trombamarina è il prolungamento, la coda,  di un temporale.  E’ il codicillo di una dannosa perturbazione. Si palesa, cosa che capita spesso di vedere a Ponza, come un vortice che colpisce la superficie marina. Il movimento vorticoso che si viene a produrre agisce  come azione di risucchio sia sulla superficie marina che su quella terrestre. A mare strappa acqua e la risucchia  verso l’alto, a terra sradica  tutto quello che incontra sul suo cammino.

L’aspetto più frequente di una trombamarina è quello di una appendice conica, avente la sembianza di un imbuto con il vertice in basso. Essa non è mai rigidamente verticale, pende da un lato e il suo diametro di base oscilla tra i dieci e i venti metri. Nella zona dove si forma la coda di Zefiro si ha un calo immediato della pressione atmosferica che, appena dopo il passaggio, risale alla altezza primitiva. La sua azione è devastante. Incute terrore tra i marinai che, come la notano, si allontanano dalla sua traiettoria.

Tròzzele – pezzo  sf.  Pezzo di pane raffermo, nodulo che si forma nell’impasto della farina, della polenta, della semola;  bitorzolo, bernoccolo.

Trubbéje – tropea s.f. Temporale di brevissima durata. Il golfo di Gaeta, durante il periodo estivo, è capace di produrre  una tropea al giorno e quasi sempre allo stesso orario.

Trule – torbido  agg.  Opaco, poco limpido.

Trule trule – pieno pieno  loc. Saturo, dell’ubriaco fradicio.

Trunbètte – trombetta  sf.  Tromba, di persona ciarliera e pettegola.

Trumbone – trombone  sm.  Trombone, di persona solita  a parlare a voce alta.

Trunà – tuonare  v. Il cupo rimbombo che segue il fulmine.

Trunate – scoppio  sf.  Notizia improvvisa e inaspettata, disgrazia.

Trunchése – tenaglia   sf.  Tenaglia con bocche ricurve e taglienti.

Truone – tuono  sm.   Cupo rimbombo di una  manifestazione atmosferica. Notizia che fa scalpore, quello che i giornalisti chiamano scoop.

Tubbe – tubo  sm.  Elemento di una conduttura  di qualsiasi sostanza, forma  e impiego; cappello a cilindro.

Tubbelature – conduttura  sf.  L’insieme dei tubi e dei fili che servono a condurre acqua, gas, elettricità e liquidi vari da un luogo all’altro.

Tuccà – toccare v. Urtare, strisciare, con la chiglia sul fondo o con la murata lungo la banchina. Si può anche toccare un porto quando vi si entra in caso di cattivo tempo o per scaricare merce.

Tuculià – muovere  v.  Tentennare, traballre, muovere leggermente e continuamente, vacillare.

Tufane – vecchiardo  agg.  Di persona spiacevole  a vedere e sentire; sgraziato, sconcio

Tufélle – conchiglia s.f. Vi sono diverse specie: thais haemastoma, thais haemastoma consul, trivia monacha, trivia pulex, trivia lurida.  Sono differenti dagli scuncille, vivono in acque limpide.

Tùje – tuo  agg. e pron. Tuo

Tulètte – mobile   sf.. Arredo della camera da letto per pettinarsi; l’insieme dell’abbigliamento, vestito nuovo; gabinetto di decenza nei  locali pubblici.

Tulle- velo   sm  Tessuto finissimo velato per coprirsi il capo quando si è in chiesa.

Tumità – espressione  sf.  Comportamento, originalità, impassibilità di fronte
a determinate e gravi situazioni,  faccia tosta.

i

Tummule – tombolo   sm.  Lavoro, dal dolce ai ricami,  donnesco che la ragazza fidanzata faceva all suocera nel giorno di Natale e che le veniva ricambiato in occasione della Pasqua.

Tumpàgne – chiusura  sm.  Fondo della botte con la porticina per entrarvi per la pulizia.

Tunnacchièlle – tonnetto s.f.  Euthinnus alletteratus. Ha il corpo fusiforme di colore grigio chiaro con più scuro sul dorso. Vive in branco e gira continuamente alla ricerca di cibo. Viene pescato con le tonnare ma abbocca facilmente alla lenza trainata.

Tunnare – tonnara s.f. Serie di reti sistemate in determinati posti dove, per esperienza, si sa che avviene il passaggio di questi perciformi migratori.

Nel secolo decimonono anche Ponza aveva la sua tonnara. Era sistemata nella zona di Gavi.

Tunne – tonno s.m. Thunnus thynnus. Ha la sagoma, pur panciuta, molto affusolata. Vive in branco ed è un pesce migratore. La sua pesca, fatta con le reti, nel periodo primavera-estate,  è di grande importanza per l’economia locale. Si pesca anche con la traino.

In quasi tutte le case di Ponza finisce sott’olio come l’alalunga. Ma è anche elemento di prim’ordine per i fornelli. Cucinato a vapore è una leccornia

Tunnulille – paffuto  agg.  Rotondetto, grassottello.

Tunnégge – tonneggio s.m. Cavo di lunga gittata che si usa nei porti per spostare la nave da una banchina all’altra. Si tende il cavo verso dove bisogna andare e poi, da bordo, i marinai lo tirano spostando l’imbarcazione.

Tunnellate – tonnellata s.f.  Unità di misurazione della stazza di una nave. Peso di mille chili.

Tunze – Soffione  sm.  Pianta erbacea che cresce spontanea, Dente di leone, tarassaco, sonco.  E’ uno dei componenti per creare  il celebre piatto di “menèste sarvateche” .

Tuocche – tocco  sm.  Conta, sorteggio con le mani o con le carte  per decidere chi è il padrone e chi è il sotto nel gioco della passatella.  La passatella è un gioco di osteria che risale al tempo dei romani che la chiamavano “Regnum vini” , il regno del vino.Del Regnum vini ne parlano i più grandi scrittori di quel periodo. Catone  che: “ si sollazava a partecipare a questo gioco”. Cicerone: “Oh, io prendo sommo piacere  alle maestranze del vino e a quella parlata che si fa intorno alla tavola”.  Trombosi,

Tuorce –  a disagio  sm.  Di persona che si trova negli impicci,  in difficolta e corre a destra e a sinistra senza trovare chi lo potrebbe aiutare.

Tuornje – tornio   sm.  Congegno  con il quale si imprime un movimento rotatorio a una morsa entro cui è strettamente tenuto un pezzo di metallo o di legno per lavorarlo.

Tuorte – torto  agg.  Di  persona colpevole o che gli hanno procurato un torto.

Tuosseche – veleno  Sm.  Rancore, rabbia,  amarezza, preoccupazione, ansia, veleno.

Tuoste – duri  agg. Resistente, solido, consistente,  cocciuto, spietato, irremovibile, raffermo.

Tuozze – tosto  agg.  Di persona robusta; pezzetto di qualcosa.

Tuppe – tupé  sm.  Raccolta di capelli trecciati sulla  nuca della  donna che ferma con  una pettinessa o con  un nastro.

Turcemiénte – contorsione   sm  Di persona  che si dimena per il contorcimento delle membra.

Turcenièlle – cercina  sm.  Panno ravvolto in cerchio che si mette sulla testa della persona che deve trasportare cose pesanti.

Turceture – torcitura  sf.  Operazione che si fa in cantina per la premitura finale  dei raspi annacquati da cui fuoriesce una specie di vinello che si chiama saccapanne. Effetto doloroso del torcere in caso di colica viscerale.

Turciute – ritorto  agg,, Contorto.

Turdéje – tordella  sf.  Uccello migratore.  Con lo stesso termine si definisce la persona, della colpa, del peccato, della malizia, della corruzione, dello scandalo, della cattiveria.

Turmiénte – tormento sm  .Ansia, angoscia, assillo, strazio, tribolo,  dolore fisico e morale atroci.

Turnichètte – tornichetto  sm.   Maglia a mulinello. Arnese di ferro che si usa per impedire che una catena si attorcigli o per tendere al massimo una corda.

Turtanèlle – dolce  sf.  Dolcetto di farina integrale cotto nel mosto.

Turze – torsolo  sm. Anima,  il fusto del cavolo e di piante simili spogliato dalle foglie, la parte centrale di alcuni frutti che contengono semi e non sono buone da mangiare.

Turzute – robusto  agg.  Tarchiato, forte.

Tussà – tossire  v.  Avere la tosse, tossire ad arte per richiamre l’attenzione di qualcuno.

Tutanare – totanara  sf.  Lenza per i totani.

Tùttere – mattarello   sm.  Legno lungo e rotondo, dal diametro di circa 5 cm,  usato per spianare e assottigliare la pasta.

Tuvàgle – tovaglia  sf.  Panno semplice o ricamato che si stende sulla tavola per apparecchiare la mensa; pezzo di tela, di lino, di spugna  per asciugarsi il viso e le mani, asciugamano.

Tuzzà . cozzare  v. Urtare, contrastare, contraddire.

Tuzzate – cornata  sf.  Colpo con la testa di un animale, urto, il cozzare.

Tuzzulià – bussare , battere alla porta per farsi aprire.

“Nisciune à sentute, stanne tuzzulianne nfacce a pòrte”. Così si diceva una volta quando non esistevano i campanelli elettrici e si batteva con le nocche delle dita.

Tuzzuliare ha il senso di battere, percuotere dolcemente. Nessuno, quando va a far visita a qualcuno,  si porta dietro il martello o la mazzetta per farsi sentire quando batte alla porta. E da questo che il termine ha avuto una estensione interpretativa.  Una volta si tuzzuliava anche con il piede, con la mano, con il gomito e, forse, quasi certamente se tuzzuliava pure c’u lluocchje.

Salvatore Di Giacomo, nel suo O Munasterio,  dopo la bussatina chiede: “Cca nce stesse uno ca ll’è caduto o core mmiez’ a via?  E Sgruttendo ; “a porta mia nun s’arape se nisciune tuzzeleje”. Antonio Palomba, invece: “ statte llà dinto e maje t’affacciare si siente tozzoliare”.  E Ferdinando Russo, in Stu core :“ E pè tramente  chisto fa chesto, n’auto tuzzulea” Ma la più bella tuzzuliate l’ha fatta Di Giacomo in Marechiaro , a quella famosa finestrella dove : A passione mia nce tuzzuleje”.

U

U – uno, un, il, lo, art. Preposto ai nomi che cominciano con una consonante.

Pron.  Sempre davanti a parole che cominciano con consonante.

Uacchje – giacchio  s.m. Anche giacco.  Rete da pesca perfettamente rotonda con un raggio medio leggermente superiore alla statura di un uomo. Guarnita tutt’intorno da piombi e al vertice da una cordicella.  Si lancia come un laccio in modo tale che cada aperto in mare. Quando è giunto sul fondo si tira la cordicella ed il giacchio si chiude tenendo dentro i pesci che ha coperto nella sua caduta.

Uadagne – guadagno  sm.  Lucro, profitto, compenso, rendita, utile, provento, salario, stipendio, ricavo, tornaconto.

Uagliunère – riunione  sf.  Gruppo di ragazzi vocianti e rumorosi.

Uàlle – gallo  sm.  Uccello domestico  con  una cresta, alta e carnosa e di colore rosso, e due bargigli pendenti alla gola. Ha piume di colori vivaci  e speroni alle zampe.

Uàlle i mare – pesce san pietro s.m. Pesce dall’aspetto inconfondibile. Vive isolato su fondali fangosi. La carne è eccellente. Ottimo con il pomodoro e molto saporito a cotolette.

Uàllere – ernia  sf. Fuoriuscita di un organo, o di una parte, dalla propria cavità naturale. Vi sono ernie di varie specie e di varia natura. L’ernia inquinale è la “uallère” che Franco De Luca, maestro, poeta e scrittore, conoscitore degli usi e dei costumi isolani così la descive: “Si a nvidia se vedesse comme na uallera scesa, /  sai quanta gente a purtasse fino nterra appesa.  /  E invece no: ognuno s’a mantene chiusa ncuorpe, / e chella ngrassa comme nu puorco. / Va penzanne male d’i vicine, d’i furastiere, d’i pariente; / tu sì sarago i puorte, tu bancunare, tu sì fetente. / Uarda ogne spicule, mette u naso ind’i titature / e ogni catino è nu cufunaturo. / E ntofa a panza, se sente arrubbato; / tutto nce toppa chello che fanno ll’ate. / A facce se ngiallesce, se stegnene i bellizze,  / l’uocchie se fanno pitte e u feteco se strizza. / Meglio fosse c’a nvidia ascesse a fore / comme nu miercule, nu fruncule, na pummatore. / Allora sì; sai qunta ggente a purtasse nterra a ppesa / si a nvidia se vedesse comme na uallera scesa”.

Ualletine – tacchino sm.  Uccello galliforme di grande statura. Le femmine sono più piccole e hanno un piumaggio meno colorato. E’ un animale domestico di cui si utlizzano, la carne, le uova, le penne.

Uarbe – esemplare s.m. Modello, tipo, modo, maniera, garbo.

Uardà – guardare  v.  Adocchiare, contemplare, mirare, sbirciare, squadrare.

Uardamane – guardamano s.m. Specie di guanto con un rinforzo di ferro centrale usato, come una specie di ditale, per la cucitura delle vele.

Uarnacce – vernaccia   sf.  La vernaccia è un vino bianco, nella nostra lingua  la parola vernaccia indica un vino di un rosso autentico.

Uarracine – castagnola s.m.  Anthias anthias. Vive in zone rocciose a piccole profondità in piccoli branchi. Nei nostri mari oltre a quello rosso vi è anche quello di colore  nero, apogon umberbis.

Uastaccètte – guastaccetta  sm  Pianta della macchia mediterranea che non è diffusa dappertutto. Manca a Zannone.   Appartiene al gruppo delle ginestre tanto che il suo nome scientifico è : “genista ephedroides” Il legno del tronco, che in alcuni luoghi si eleva oltre i quattro metri, è di una durezza inaudita. Lo si usava come sostegno delle viti. Ha una caratteristica, con gli incendi tutte le piante della flora isolana germogliano, entro brevissimo tempo,  sulla vecchia radice. Il guastaccetta nasce invece dai semi che si erano sotterrati e la sua apparizione sul luogo dell’incendio avviene dopo un tempo di dodici-quindici mesi.

Ubbricazione – obbligazione  sf. Vincolo, dovere, patto, condizione, obbligo.

Uccellènze  – eccellenza   sm.  Appellativo che si conferisce alle persone di pregio; il titolo che si dà al vescovo.

Uèrre – verro  sm.  Il maschio del porco.

Uffà- basta  escl.   Basta, interiezione di noia, di fastidio.

Uffènnere – offendere  v.  Nuocere, danneggiare, ledere.

Ugliulazze – vaso  sm.  Vaso da notte in legno usato sulle imbarcazioni che non avevano cabina in coperta. Era come un barile segato a metà con una doga  più lunga rispetto alle altre. A questa doga veniva praticato un foro  per legarci una cima  onde poterlo calare e issare dal mare.

Ugliuse – oleoso  agg.  Favorito dalla fortuna,  che comporterà esito positivo, fortunato.

Ugnàte – unghiata  sf.  Graffio, colpo d’unghia

Uiccanne – eccolo  avv. E’ vicino a noi due.

Uillanne – eccolo là   avv.  Lontano da noi.

Uillòche – eccotelo avv.  E’ vicino a te.

Ulivastre – oleastro  sm.  Albero della macchia mediterranea.

Ullicule – ombelico   sm. La cicatrice al centro della pancia da cui passava il cordone ombelicale.

Umanamènte – Umanamente  avv.  pietosamente, benignamente, caritatevolmente.

Umbricce – ombra  sm.  Ombra di alberi,  luce incerta dell’alba e del crepuscolo.

Umbrinale – ombrinale s.m. Ciascuno dei fori praticati lungo le murate per lo scolo all’esterno delle acque, soprattutto quelle delle  ondate, che si accumulano in coperta.

Umbrine – ombrina s.f. Ombrina cirrosi. Vive su fondali rocciosi da sola, raramente accompagnata. Si pesca con la rete, con la lenza ma soprattutto con il fucile. La carne è ottima.

Umbruse – ombroso  agg.  Pieno d’ombra, fronzuto, di  animale che si spaventa facilmente, di persona permalosa, sospettosa, suscettibile.

Ummete – umido  agg.  Di luogo ricco di umidità, bagnato, acquoso, molle. fradicio, madido; di carne cotta nel sugo.

Unacce – vinaccia  sf.  Gli  avanzi dell’uva dopo che ne è uscito il mosto, graspi, bucce e vinaccioli.

Unce – giunco   sm.  Pianta con steli ritti e flessibili adoperati per fare nasse,  ceste e cestini.

Uneche – unico  agg.  Solo nel suo genere.

Unnece – undici agg.  Undici

Uocchje – occhio   sm.  Organo della vista, il senso della vista.

Uocchje i santa Lucia –  occhio di santa Lucia s.m. Astrea rugosa.  Con tale termine si indica un particolare opercolo, colorato e lucente.

Uogle – olio  sm.   Sostanza liquida grassa che si ricava dalla frantumazione delle olive. Vi  è poi una serie infinita di oli di semi  che non hanno le stesse caratteristiche dell’olio di oliva. Tutti, però, servono per la nostra nutrizione.  L’olio è sotto accusa e diversi sono i capi di imputazione. Innanzitutto ha scalzato, con l’aiuto di studiosi  (chi sa quanto  avrà versato?) , il lardo, la sugna, il burro. Niente più grassi animali, solo condimenti vegetali. Il suo costo è sempre in aumento. Ha scatenato peccati di gola e attentati alla linea. Si accoppia con ogni cosa creando connubi non previsti,  non suffragati da leggi e non santificati dalle religioni. E’ reticente perché le targhette non sono chiare come prescrivono le leggi dando luogo a smarrimento e a confusione da parte del consumatore. La massaia di fronte all’extravergine e al vergine non capisce più niente. L’unica cosa che la conforta , in questo marasma, è quello di poter rispondere all’attacco di una verginità dissipata con: “Quanto tutto manca, di vergine c’è sempre l’olio di oliva”.  E meno male, pensano gli uomini che si sono dati, da alcuni decenni, ad una fetta di pane con sopra un pomodoro schiacciato, un po’ di sale, un po’ di origano  e un bel, bel  filo  d’olio. Decétte Alfredo: “si nun magne carne véve brode”    .

Uorje – orzo  sm.  Pianta delle graminacee che ha una spiga come quella del grano. L’orzo è usato nella fabbricazione della birra e come surrogato del caffè.

I nostri contadini usavano gli steli per legare i tralci delle viti. Con i semi si facevano cataplasmi per combattere le bronchiti.

Uorte – orto   sm.  Piccolo appezzamento di terreno dove si coltivano le erbe mangerecce e gli alberi da frutta.

Uoseme – usta  sm. Fiuto, il senso dell’odorato. Aspirare l’odore delle cose.

I bambini sentono l’uosene della bella cosa. E gli adulti quale uoseme sentono?

L’uoseme è  caratteristico degli animali. U cane è bbuone quanne tène l’uoseme tanto che il Nicolardi, l’ autore di “Voce i notte”,   scrive: “ e me pare  tale e quale  o cane i caccia  ch’annasanne l’aria attuorne sènte l’uoseme d’a quaglia”.

Uosse – osso   sm.  Ciascuna delle parti solide che formano lo scheletro dei vertebrati. Con osso si definiscono i semi dei  frutti.

Uosse pezzille – Osso pezzillo  sm  Malleolo

Uove- uovo  sm.. Prodotto dall’ovario, contiene tante sostanze nutritive destinate al futuro nascente  che avverrà mediante la fecondazione.

Uràcule- oracolo  sm.  Risposta profetica che gli indovini  danno ai fedeli che chiedono  consigli.

Uragane – uragano s.m. Nome che si dà alla tempesta per far risaltare la sua impressionante potenza.

Urdeme – ultimo  agg.  Che nello spazio e nel tempo è dopo tutti gli altri, estremo, infimo,

Urdemamènte – ultimamente  avv.  Alla fine, da ultimo, recentemente, finalmente.

Urecchine – orecchino  sm.  Ornamento che gli esseri umani mettono all’orecchio.

Urigginale – originale   agg.  Di cosa che non è stata imitata da un modello, che ha del nuovo, diversa dal comune.

Urze – orso  sm.  Animale mammifero e carnivoro, vive, in genere nelle terre polari.  Agg. Di persona con maniere selvatiche, per nulla socievole.

Use  – uso  sm.   Usanza, costume, abitudine. Agg. avvezzo, solito.

Ussature – ossatura  sf.  Scheletro, travatura.

Ussute – ossuto  agg. Di persona  o animale che ha lo scheletro  molto sviluppato.

Ustinate – ostinato  agg.  Costante, caparbio, cocciuto, inflessibile, testardo, tenace, irremovobile.

Usuàle- usuale  agg.  Solito, normale, consueto.

Utele – utile  agg.  vantaggioso, conveniente, valido, fruttifero, tempestivo.

Uttante – ottanta  agg.  Gli anni di Giosuè e di Giustino che, per come stanno, per come se li portano,   sicuramente, verranno raddoppiati. Ed io che posso fare? Nce vache arrète-arrète.

Uttantine – ottantina  agg.  E’ la strada dove abita lo scrivente.

Uttené – ottenere   v. Conseguire ciò che si desidera e si chiede, raggiungere, riuscire, procurare.

Uve – uva  sf.  Frutto della vite.

Uziuse – ozioso   agg.  Di persona che rifiuta il lavoro, che schifa il lavoro.

V

Vabbiéte – vai     vc.  verb.   Avviati

Vacante –vuoto  agg.  Che non contiene nulla, privo, mancante, senza idea, di spazio sgombro.

Vaccare –vaccaio  sm.   Guardiano di vacche.

Vaccariélle- vitello  sm.  Animale che deve avere ancora i denti da latte.

Vaccine- vacca  sf. La femmina del toro che abbia già figliata, mucca

Vache – vado  vc. verb.  Mi avvio

Vacìle- bacile  sm.  Vaso di metallo patinato o di ceramica, concavo e rotondo, per lavarsi, quasi sempre sostenuto da un apposito cavalletto di ferro; bacinella, catino.

Vaiàsse – serva   sf.  Di persona rozza e un po’ sporca, donna del popolo dalla  facile parlata volgare.

Vaiassèlle – servetta  sf.  Giovane fantesca, ragazza popolana.

Valanze –bilancia  sf.  Strumento per pesare, può avere  forme e dimensioni varie: a stadera, a bilico, con due  piatti. Indica anche una rete da pesca quadrata con la quale si pesca dalle banchine.

Valanzèlle – bilancino  sf.  Attrezzo delicato e di massima precisione molto in uso nelle farmacie per la preparazioni delle dosi e dai cacciatori per dosare la polvere e il piombo. Nell’epoca odierna il suo uso è maggiorato.

Valanzone – bilancia  sm.  Bilancia a un sol piatto, con un peso costante che scorre su un braccio graduato.

Valigge- valigia  sf.  Specie di cassetta di cuoio, di fibra, di tela o di altro panno da mettervi abiti o altro per un viaggio.

Vangalètte – manrovescio  sm  Colpo dato al viso con il rovescio della mano, schiaffo.

Vangàzze – tangone s.f.  Tavola che va incastrata a poppa di un gozzo, davanti al capopesca, quando si devono calare le coffe.

Su di essa viene adagiata la cesta  dal pescatore di faccia, primo aiutante del capopesca. Spetta al capopesca il compito di calarla, mettendo in acqua  un amo alla volta. L’amo è già innescato.

Vangazze veniva chiamato anche quel tavolone messo nella stiva della mbrucchièlle su cui i marinai cammivano per le operazioni di visita alle aragoste.

Vangèle- vangelo  sm.  Scrittura dove è narrata la vita di Cristo. Verità, di cosa vera.

Vanghe – baglio s.m. Con tale termine si indicano le robuste travi, di legno consistente e leggermente curve, che si attaccano, da una fiancata all’altra,  alle murate interne della barca e su cui viene poggiata la coperta.

Vannàte – fiancata . s.f. Una delle due fasce laterali di una rete a strascico.

Vànne- parte  sf.   Luogo, indicante da  quella parte o da questa parte.

Varà – varare v. Far scendere la nave in mare dallo scalo.

Varcaiuole – barcaiolo s.m. Marinaio che conduce barche.

Varcèlle – goletta s.f. Veliero a due alberi con bompresso a prua.

Varche – barca s.f. Nome generico dei piccoli galleggianti che navigano a remi.

Varchetèlle – barchetta s.f. Natante ancora più piccolo della barca.

Varde- basto  sf.  Rozza sella per bestie da soma ai cui lati si legano cesti e barili e su di essa, sporgendo dai due lati, si pone la varda, basto.

Vare – varo s.m. Il luogo dove vengono tirati a secco i natanti. Il far discendere una nave a mare. Per fare queste operazioni sono  necessari il terreno spianato, l’invasatura, la scala,  le falanghe e il sego.

Varicèlle – verricello  sm.  Piccolo argano a motore formato da un cilindro girevole intorno al quale si avvolge una cima o una catena a cui è attaccato il corpo che si vuole sospendere.  Sf. Varicella, malattia contagiosa, benigna, che colpisce i bambini.

Varre – bastone   sf.  Manganello, mazza, pertica. La varra viene usata da due persone per sollevare il collo, agganciato alla stadera, che dev’essere pesato e per il trasporto, sempre a due, di oggetti voluminosi e pesanti

Varrate – manganellate  sf. Randellata, legnata.

Varriate – bastonato  agg. Mortificato, affranto.

Varrecchione – barilone sm.  Grosso recipiente di terracotta o di metallo, giara, ziro.

Varrile – barile  sm.  Contenitore di legno a doghe, cerchiato, lungo e bistondo per  il trasporto del vino. Ha la capacità di 44  litri.

Vasà – baciare  v.  Toccare con le labbra facendole anche schioccare in segno di affetto. Il combaciare, il toccarsi  di due cose.

Vasce – giù  avv.  sotto, abbasso; sm. Di abitazione a piano terra.

Vasciàiole – pettegola  sf.  Di persona di strada, nciucère.

Vascuotte – biscotto  sm.  Pane biscottato, fresella.

Vàse – Vaso s.m. Lunghi  e grossi pezzi dritti di quercia, a quattro facce, che formano la base della invasatura, destinati a scivolare sullo scalo. Sono  i pattini di una grande slitta che è la sella su cui viene a poggiarsi la barca da tirare in secco o da varare. Vengono posti ai lati della chiglia ben legati tra loro e scivolano sulle falanghe ben unte di sego.

Vasenicòle – basilico  sf.   Pianta annuale con una altezza che si aggira sui cinquanta cm. Le  sue foglie hanno un profumo molto penetrante e sono utilizzate per aromatizzare molte vivande come le salse, le minestre, le insalate, le frittate, la carne e il pesce. Le foglie si possono seccare o surgelare per utilizzarle anche nei periodi invernali.

Vasille – bacetto   sm.   “…………..Meh, dammillo, dammillo / è comm’a na rusella /  dammillo stu vasillo, / dammillo, Cannatella / Dammillo e pigliatillo, /  nu vase piccirillo / comm’a  chesta vucchella, /  che pare na rusella / nu poco pucurillo /  appassuliatella”  Questi versi sono di Gabriele D’annunzio che li scrisse per una scommessa con Ferdinando Russo, poeta napoletano, che lo infastidiva continuamenmte accusandolo di non saper scrivere in napoletano

Vastarde – bastardo agg.   Negligente, indolente, trasandato.

Vàsule –basolo  s.m.  Blocco di roccia eruttiva  di forte spessore  e di grosse dimensioni usato per pavimentare strade.

Vattecore – batticuore sm.  Ansia, timore, paura.

Vattènte – pesce luna  sm.  E’ un pesce che si è sempre pescato nei nostri mari. E’ un giravago che si nutre di tutto, dalle meduse ai crostacei. Lo ritengono saporito.

Vattéseme – battesimo  sm.  Negli anni addietro, prima che intervenissero le forbici che hanno decimato le nostre tradizioni, questa funzione religiosa aveva una sua caratteristica coreografia. Il neonato da battezzare  veniva portato al fonte battesimale  dalla levatrice che, per  come vestiva e per come si atteggiava, sembrava la Pompadour, dalla comara, la madrina, anch’essa in grande uniforme, da una giovane, amica o parente, che portava il neonato in braccio e da una bambina che portava il cero battesimale. Seguiva il gruppo, un festoso corteo di ragazzi in attesa del lancio  di confetti da parte di parenti e amici.

Vattià – battezzare  v.  Dare il battesimo.

Vàvere – pappagorgia  sf.  Carne pendente sotto il mento delle persone molto grasse, doppio mento.

Vaviate – sbavato  agg. Sporco di bava, con tracce di bava intorno alla bocca.

Vavigle – bava  sf.  Salivazione del bambino.

Vavose – bavosa s.f. Blennius tentacularia. Esistono anche altre specie. Vive su fondi sabbiosi. Era una abituale  abitante del mare portuale di Ponza. E’ sparita, con il mazzone, da quando si sono accasati i cormorani.

Vavusiélle –giovincello  sm.  Di ragazzo che si atteggia a uomo.

Vedute- paesaggio  sf.  Panorama, prospettiva, carrellata d’insieme.

Velature – velatura s.f. La dotazione delle vele di un veliero.

Velegnà – vendemmiare  v.  Fare la vendemmia,  raccogliere le uve.

Velètte – veletta s.f. La quantità di coffe, in genere  24, che il gozzo calava in acqua in una determinata zona di mare per la pesca del merluzzo. Ogni gozzo metteva in acqua due velètte.

Velià – veleggiare v. Navigare a vela.

Veliàte – veleggiata  sf.  Gita di piacere che viene fatta con nave a vela; rapporto sessuale.

Vèliére – veliero s.m. Denominazione generica di una qualsiasi imbarcazione a vela.

Vennégne – vendemmia  sf. Il taglio delle uve.

Ventàgle – ventaglio  sm.  Arnese più o meno elegante che le signore adoperano per farsi vento; arnese per soffiare sul fuoco.

Ventariélle – venticello s.m. Brezza. Vento inferiore a forza tre.

Ventecàte – sventolata s.f. Vento forte o molto forte.

Ventià – soffiare  v.  Sventagliare.

Véntre – ventre  sm  Stomaco del pesce.

Ventreciélle – ventriglio  sm  Stomaco degli uccelli.

Ventrésche – pancetta  sf.  Parte centrale del maiale costituita da  grasso con strati sottili di carne che dopo la macellazione viene salata e usata come condimento per specifici  piatti di minestra  o direttamente come cibo.

Ventrine – ventrino s.m. Pezzo di tela usato per stringere e coprire le vele. Copertura di tela, come una cappa,  che si pone sulle lance che sul ponte sono sistemate sulle morse.

Vèntule – ventilazione  sf.  Alito, brezza, spiffero, raffica; arnese per far vento sul fuoco, arnese a forma di ventaglio.

Véppete – bevuta  sf.  Ciò che si beve in una volta, bicchierata, brindisi, trincata.

Verdaròle – verdesca s.f. Pescecane sempre affamato con corpo affusolato e grosse pinne laterali. E’ di colore grigio-blu scuro. Nuota in superficie con la pinna dorsale che fuoriesce dalla superficie marina. E’ pericolosa.

Verderàmme – verderame  sm.  Solfato di rame che si usa in soluzione per combattere le malattie della vite.

Verdummare – erbivendolo  sm.  Venditore di verdure.

Vérgine- illibato  agg.  Di persona pura, intatta, candida, casta, immacolata..

Datemi l’indirizzo, vi supplico!

Vèricèlle – Verricello s.m. Argano a mano o a motore che serve per il carico e la discarica delle merci, per salpare l’ancora, per tirare le cime per il tonneggio della imbarcazione

Vèrmeciélle  – vermicello  sm.  Spaghetto nelle sue varie dimensioni.

Vèrme sulitarje – tenia  sm.  Verme formato da molti segmenti che vive  parassita nel ventre degli animali e dell’uomo, verme solitario

Vernàte – invernata    sf.  L’intero periodo di  una delle quattro stagioni in cui è diviso l’anno solare.

Verrizze- capriccio   sm.  Bizzarria, ticchio, bizza, voglia capricciosa.

Vertéggene – vertigine  sf.  Turbamento del cervello, capogiro. Vi è anche la vertigine dei capelli  che bizzosi e ritrosi non consentono la scriminatura  sia a destra che a sinistra. La impone la vertigine.

Verzechià – amoreggiare  v.   Filare, flirtrare, trescare, intendersela.

Vesacce – maggiolino  sf.  Insetto dannosissimo alle piante.

Vesdenàre – rete s.f.  rete per la pesca dei selaci di piccole dimensioni.

Vesdìnje- prepotente   agg.  Arrogante, autoritario, sopraffattore, repugnante, inconciliabile.

Vessìche – vescica   sf.  Serbatoio membranoso sito nella parte inferiore del ventre entro cui si raccoglie l’ orina; vescica di maiale che  pulita e seccata,  si riempie di strutto per cucinare; organo di galleggiamento dei pesci; bolla causata da scottattura.

Vèste – veste  sf.. Vestito da donna.

Vèstere – vestire  v.  Mettere  addosso, abbigliare, coprire, agghindare, adornare.

Vestùte – vestito  agg.  Coperto,  abbigliato.

Vetecàgle – tralcio  sf.  Tralcio di vite usato per legaccio.

Vetiélle – ventre s.m. Stomaco di pesce.

Vetrajuole – vetroso  agg.  Vitreo, scabro, rasposo.

Vètte – vetta s.f.  L’insieme  di una rete  pronta all’uso, vale a dire la rete con la corda contenente i galleggianti e quella con il piombo.

Vévere – bere  v. dissetare.

Vezzarrìje – bizzarria  sf.  Capriccio, ghiribizzo, fisima, desiderio sfrenato,  preso dalla libidine.

Vezziuse – vizioso   agg.  Difettoso, , immorale, corrotto, peccaminoso, degenerato, perverso, traviato, pervertito, scellerato.

Vì – vedi  vc. verb.  Vedi, osserva.

Viàgge – viaggio s.m. Traversata ma anche  barra del timone e roba da trasportare, carico, peso.

Viarèlle – viottolo  sf.  Sentiero.

Viate – beato  agg.  Contento, felice, sereno, tranquillo, spensierato, esultante. Non so dove abita.

Vicariélle – vicolo  sm.  Stradina quasi sempre cieca.

Viécchje – vecchio agg.  Di persona o animale che è giunto alla età della vecchiaia, Come si fa, però, a stabilirla?  Di cosa fatta da molto tempo, annoso, antiquato,anziano, longevo, stagionato, decrepito, cascante.

Viéne a dritte o Viéne a sinistre loc. Modo di dire con lo stesso significato di accostare.

Viénte – vento s.m. Spostamento di una massa d’aria dovuta a fattori atmosferici.

La direzione del vento indica da dove esso spira. Tenendo conto della divisione della rosa dei venti in otto frazionamenti principali (quattro punti cardinali e quattro intercardinali) e i vari accoppiamenti si hanno queste direzioni: Greco e Tramontana (NE), Greco e Levante (ENE), Levante (E), Scirocco e Levante (ESE), Scirocco (SE). Scirocco e Mezzogiorno (ESE), Mezzogiorno (S), Mezzogiorno e Libeccio (SO), Ponente e Libeccio (OSO), Ponente (O), Ponente e Maestro (ONO), Maestrale (NO), Tramontana (N).

Viénte si appellano anche le due cime legate alla parte superiore del bigo e che servono per tirarlo verso la murata di dritta o verso quella di sinistra e viénte è anche la corda che tiene fermo lateralmente un oggetto di forma allungata.

Viénte a tèrre – vento da terra s.m. Brezza proveniente dalla vicina costa continentale. Soffia dal quarto e dal primo quadrante.

Viénte a  fòre – vento da fuori. Vento proveniente dal secondo e terzo quadrante.

Viérme – verme   sm.  Animale invertebrato dal corpo allungato, privo di arti.

Viérne – inverno  sm.  Una delle quattro stagioni.

Vigliature – vento s.f. Vento teso notturno.

Vimbre – stelo  sm.  Fusto sottile del mirto con il quale si fanno le nasse e i marruffe.

Venàcce – vinaccia  sf.  Gli acini dell’uva dopo che sono stati pigiati.

Vince – verricello  sm.  Piccolo argano, a mano e a motore,  utile per il carico e loscarico di merci non troppo pesanti e per tesare le cime durante il tonneggio.

Vinciute – viziato  agg.  Vincitore, capriccioso , prepotente.

Vinte – vinto  agg. battuto, soccombente; venti.

Vìppete- bevuto  agg.  Ubriaco.

Virà – virare v. Salpare, cambiare la direzione di rotta, tirare una cima

Virze – verza  sm.  Pianta  composta  solo da foglie compresse una sull’altra, cavolo.

Voccapiérte-  svescione  sm.  Di persona che riferisce ad altri qualunque cosa senza alcun riserbo o senso di opportunità.

Voccapòrte – boccaporto s.m. Qualsiasi apertura praticata nei ponti che serve per il passaggio della gente  e per la caricazione e la discarica della merce.

Vocche – bocca   sf.  Cavità che si trova nel capo di tutti gli esseri viventi.  L’apertura esteriore è delinitata dalle labbra, all’interno si apre il tubo digerente. Essa serve per mangiare,  bere,  parlare,  sorridere,  sospirare, tossire,  baciare.

Vocche i lupe – bocca di lupo s.f. Il più semplice nodo scorsoio che si ricava girando su se stesso il doppino di una corda.

Vocche i rance – bocca di granchio s.f. Arnese di legno o di metallo, con scanalatura centrale, sistemato a poppa o a prua delle imbarcazioni per far passare  e contenere i cavi di ormeggio.

Vòcchele – chiocciola  sf.  La mamma dei pulcini e la donna che ha partorito molti figli.

Voce – argano s.m. Verricello di legno a tamburo rotante con aste molto lunghe. Era usato nei cantieri di Santa Maria per il tiro a secco delle mbrucchièlle.

Sf.  Suono prodotto dalla vibrazione delle corde vocali, che esce dalla bocca dell’uomo e dell’animale; nota, grido, verso, suono, accento.

Vògle – voglia  sf.  Desiderio che viene dallo stimolo naturale e non dipende dalla volontà. Desiderio capriccioso a cui vengono sottoposte le donne incinte. Tentazione, desiderio, smania, velleità. Macchia sulla pelle, in qualunque angolo del corpo umano,  causata, si dice,  da un desiderio inappagato della madre durante la gestazione.

Vòje – toro  sm.  Il maschio della vacca;  agg. di uomo tarchiato, robusto e forzuto.

Vòje marine – Bue marino s.m. Dugong dugong. Nome italiano: Dugongo. Da noi: leone marino. Sentivo raccontare da ragazzo che u vòje marine andava a dormire nella grotta  sita nella parete rocciosa di colore giallo che sta prima delle Grotte di Pilato e che lo stesso animale andava a mangiare l’uva nel soprastante terreno di Giovanni D’Atri, mangiapatate, e nelle  caténe delle Grottélle, estremità dell’isola  tra Cala Gaetano e il passaggio di Gavi.

Vòllere – rigogolo  sm.  Uccello migratore.

Vollere – bollire  v.  Portare l’acqua a cento gradi di caloria, far cuocere, lessare;  il fermentare del mosto nei tini, ardere con intensità.

Vònghele – vongola s.f. Tapes semidecussatus. Con tale nome si indicano diverse specie di molluschi bivalvi che vivono nelle nostre acque.  Lungo la costa dell’isola, i fondali renosi sono ricchi di molluschi che, purtroppo non conosciamo e quindi non raccogliamo. Massimo Panizzi, fratello minore del più noto Gabriele, scusami Massimo, più d’una volta mi ha portato le vongole veraci che aveva raccolto nelle acque del Core. E a questo proposito mi piace raccontare una mia avventura. In un pomeriggio di dicembre Domenico Musco mi chiede, per l’indomani, l’uso del gozzo che, per i nostri rapporti di amicizia,  non potevo negargli. Gli dissi solo che volevo sapere dove sarebbe andato per poterlo raggiungere in caso di eventuale avaria. Mi disse che, con l’amico che gli era vicino, voleva andare a raccogliere tartufi, Venus verrucosa. Gli espressi subito il mio parere: Sai benissimo che sono vissuto sott’acqua ma non solo non l’ho mai raccolto,  ma non ho mai visto un bivalvo del genere. Intervenne l’amico di Domenico, un insegnante, dicendomi: “Io prima di fare il maestro ho fatto, come professione,  il raccoglitore di frutti di mare” e dalla tasca tira fuori l’autorizzazione per esercitare  questa attività. Poi mi dice ancora: “ho bisogno di un fondo marino dove cresce la poseidone”. Il mare di Ponza è ricco di zone del genere e mi offrii di accompagnarli. Appuntamento alle nove alla Caletta. Mentre preparo la barca, loro si cambiano indossando la muta. Usciamo e dopo cento-centocinquanta  metri fermo il gozzo. Eravamo sotto lo scoglio della Torre. Dico loro che il settore  Ravia –Scoglio Rosso è tutto terreno idoneo. Indossano maschere e bombole e scendono. Raccomando a Domenico di stare attento al lavoro del maestro. Siamo sui quattro metri di fondale. Si trascinano dietro anche un secchio. Dalla barca li vedo muovere e alzare nuvole di sabbia. Quando Domenico mette, per primo, la testa fuori dalla superficie del mare sarà passato circa mezz’ora.  Mi porge il secchio che era totalmente pieno di vongole come noi usiamo definire le bivalve. Rovescio il contenuto sul pagliolo e dò nuovamente il secchio a Domenico.

Una montagna di tartufi e con loro una montagna di sabbia. Le scanalature delle conchiglie erano intasate di sabbia. Il lavaggio a cui le sottoposi non fu sufficiente. Un tempo inferiore impiegarono per riempire l’altro secchio. Roba mai vista per cui fui costretto a congratularmi. Mi spiegarono che bastava muovere la sabbia che si accumula nei fossi del fondo per incontrare i tartufi. Roba semplice che tutti possono fare.

Vope – boga  sf.  Boops boops Vive in branchi nei nostri mari. Il suo nome significa occhio di bue. Si pesca con la lampara. Abbocca facilmente all’amo della  traino e capita anche nei tramagli. In bianco con olio crudo e una spruzzatina di limone e prezzemolo, è piatto da re. Le polpette di boga le mettiamo davanti la regina.

Vorpe – volpe  sf.  Animale amante dei pollai; persona astuta e maliziosa. Con la pelle della volpe si facevano pellicce  pregiate.

Vorze – borsa   sf.  Sacchetto di pelle, di stoffa o di altro per tenervi dentro danaro e tant’altra roba. Anche il corpo umano è ricco di borse che contengono diversi tipi di  sostanze.

Vòscele – bollicina  sf. Rigonfiamento che fa un liquido,  vescichetta della pelle per cagioni morbose, orticaria.

Vòsche – bosco  sm.  Estensione di terreno coperta da alberi selvatici, albereto, boscaglia, querceto, macchia.

Votabannère – voltafaccia  sm.  Traditore

Votapésce – schiumarola  sf. Mestola bucherellata per togliere dalla padella le fritture o per schiumare qualunque liquido.

Votavracce – manrovescio  sm.  Colpo dato con il rovescio della mano.

Vòte – cocca s.f. Attorcigliamento vizioso che la corda o la catena  prende su se stessa. Aggrovigliatura, accavalcatura. Si usava dirlo anche per la lamia, volta.

Vòteche – perquisizione  sf.  Cercare con diligenza, frugare per trovare  corpi di un delitto.

Vottavotte – parapiglia  sm.  Subbuglio, trambusto, gran confusione di persone sopravvenute inaspettatamente e improvvisamente.

Votte – botte  sf.   Contenitore di legno, a doghe, cerchiato da lamine di ferro, corpacciuto nel mezzo, per contenere vino. La botte ha la capacità di dodici barili.

Vòzzele – gozzo  sf.  Ingrossamento della parte anteriore del collo dovuto a disfunzione della tiroide; stomaco degli uccelli.

Votte i mmàne – svelto con le mani  loc. Era il continuo incitamento che “ i patrùne”  rivolgevano a chi rallentava  il ritmo  mentre  tirava dal fondo gli attrezzi da pesca. Molto spesso le mani sanguinavano per il maneggio di quella corda, u rèste, fatta con le foglie di canna che stizzivano,  irritavano e laceravano la pelle.

Vracce – braccio s.m.  Uno degli arti superiori del corpo umano; misura marina corrispondente a m. 1,83.
Vracche – verace  agg.   Di persona in gamba.

Vracciàle – bracciale  sm. Ornamento prezioso  che donne e uomini portano al polso.

Vracciàte – bracciata  sf.  Mosura di lunghezza corrispondente a metri 1,83, molto usata dai pesctori e dai marinari.  E’ stata determinata dalla apertura delle due braccia.

Vracciuole – bracciolo  sm.  Pezzo di legno usato per sostegno di mensole e di bagli. Cordicella di spago o di nailon alla cui estremità è legato un amo mentre l’altra estremità è legata al trave della coffa.

Vrache – braca s.f.  Anello  di corda, di catena, di acciaio con cui si avvolge  un collo   che si deve issare o calare. Anche braga. Mutande, pantaloncini.

Vrachésse – mutande   sf.   Indumento intimo femminile.

Vrachètte – Chiusura  sf.  Apertura sul davanti dei pantaloni.

Vrachiére –cintura  sm.  Cinto per ernia, malloppo, impiccio, fastidio.

Vrancate , manata  sf.  Quantità che sta in una mano.

Vranche- manciata  sf.  Quanta roba si può prendere con una mano.

Vrase -brace  sf.  Fuoco senza fiamma che resta dalla legna o dai carboni accesi.

Vrasière – braciere  sm. Contenitore di rame  dove si metteva   la brace per riscaldare l’ambiente.

Vrécce – roccia  sf.  Pietra dura, sasso, breccia, ciottolo.

Vreccìlle – brecciame  sm.  Ghiaia marina,  pietrisco.

Vrénne – crusca  sf.  Buccia di grano macinato che si separa dalla farina con il setaccio o il buratto. L’Accademia della Crusca porta questo nome  perché ha lo scopo di cernere il fiore della lingua dalla parte meno buona.

Vriàle – succhiello  sf.  Trapano a mano per forare il cuoio ed il legno.

Vrite – vetro  sm.   Materia fragile e trasparente usata, in casa, per arredare porte e finestre e dar luce alle stanze.

Vròcche – forchetta  sf.  Arnese da tavola con quattro rebbi per infilzare le vivande e portarle alla bocca.

Vrucculùse – lezioso  agg.  Smorfioso, smanceroso, svenevole.

Vrucelià – rotolare   v.  ruzzolare, scivolare, cadere rotolando, rivolgersi per terra.

Vrùcule – rucola  sf.  Pianta erbosa commestibile molto usata per fare l’insalata e  il contorno, ruchetta.

Vruocchele – broccoletto   sm.  Pianta erbosa mangereccia. Non è facile cucinarli, la regola, imposta da Giustino, è da verde a verde. Fatti bene sono una delizia  che allegra il corpo e lo spirito.

Vucà – remare  v.  Spingere una barca con i remi, vogare, remare; muovere la culla, cullare.

Vuccate – boccata  sf.  La quantità di roba che si può tenere in bocca o la quantità di aria che si prende respirando.

Vucchélle – boccuccia   sf.  A vucchella  è il titolo di una fra le più belle, più note, più celebrig canzoni napoletane  che non fu scritta da un napoletano. L’autore era abruzzese verace e si chiamava nientepopodimenoche Gabriele D’Annunzio il quale  venne un giorno aspramente criticato dal suo carissimo amico Ferdinando Russo, grande poeta dialettale .  “ Ma comme, tu ca sì u cchiù gruosse poeta d’u munne, nun saje scrivere doje parole in napoletano”. Per D’Annunzio fu una offesa grave. “Scommettiamo”  disse.  Chiamò il cameriere, erano al Gambrinus,  fece pulire il tavolo e gli chiese un gessetto. In pochi minuti, sul marmo del tavolino scrisse:  “ Si comm’a nu ciurillo / tu tiene na vucchella / nu poco pucurillo / appassuliatella /  Meh, dammillo, dammillo /è comm’a na rusella / dammillo stu vasillo, / dammillo, Cannatella! / Dammillo e pigliatillo, / nu vasillo piccirillo / comm’a chesta  vucchella, / che pare na rusella / Nu poco pucurillo /  appassuliatella”.

Vuccone – boccone  sm.  Quanto si mette in bocca in una sola volta.

Vucculane  – pappagorgia sf.  Carne pendente sotto il mento delle persone e delle bestie  molto grasse

Vucculone – chiocciolona  sf.  Di gallina che ha fatto più volte la chioccia,  di donna aitante e robusta.

Vuccunate – boccata  sf.  Quantità di sostanza solida, liquida o gassosa che si può mettere in bocca in una sola volta.

Vuciariélle – chiavistello  sm.  Catenaccio, pezzo di legno che, girando attorno ad un perno centrale, consente la chiusura e l’apertura di sportelli e porte.

Vuculià –  cullare  v.  Agitare la culla per conciliare il sonno al bambino che vi è dentro.

Vugà – vogare v. Remare, remigare.

Vugatore – vogatore s.m. Rematore, remigante.

Vulà – volare  v.  Fare presto.

Vulé – volere  v.  Desiderare, esigere, chiedere, pretendere.

Vulétte – goletta s.f. Veliero con due alberi e bompresso.

Vulìje – voglia  sm.  Desiderio, smania. Desiderio che viene da stimolo naturale e non da capriccio. Una voglia energica che rasenta la morbosità, un’ansia, un anelito intenso che sfiora il fanatismo, un desiderio che ha bisogno di appagamento. U vulìje caratteristico è quello della donna incinta  che si ostina a  desiderare qualcosa, quasi sempre un qualcosa fuori stagione ed è sempre pronta, qualora il suo sfizio non venga appagato, a minacciare la “macchia” sulla pelle  che si hanno dalla nascita e che la superstizione popolare attribuisce  a un voglia di cibi della madre durante la gravidanza.

Vuliuse – voglioso  agg.  bramoso, desideroso.
Vulle – bollitura  sm.  Atto del bollire, ebollizione.

Vullènte – bollente agg.  Scottante, caldissimo, rovente, ardente.

Vullute – velluto  sm.  Stoffa che ha una faccia coperta da un pelo fitto, corto e morbidissimo.  Agg. lessato, bollito.
Vulumme -. Legume  sm.  Seme contenuto nel baccello delle piante leguminose, specialmente quelli che si mangiano.

Vummecà – vomitare v. Dare di stomaco, rigettare, rimettere.

Vummucamiénte – leziosità  sm.  Smanceria, moina, leziosaggine, comportamento svenevole.

Vummecuse – vomitoso  agg. Svenevole, smorfioso, affettivo, lezioso.

Vunnèlle – sottana  sf.  Vestito, gonna.  Dice un proverbio isolano: “A fémmene bèlle tène a ciòrte sotte a vunnèlle”.

Vuole – volo  sm.  Zona di pesca con fondale sabbioso e algoso.

Vuommeche – vomito  sm.  Rigurgito, sconcerto, conato, smorfia, affettazione.

Vuoste – vostro  agg. e pron.  Vostro

Vupare  – bogara s.f.  Rete da posta per la cattura  delle boghe.

Vurpine – scudiscio  sm.  Bastoncino flessibile usato come frusta.

Vurpone – volpone  sm.  Di persona furba e astuta.

Vurzélle – borsetta  sf.  Bottino, guadagno, lucro.

Vurzìlle – averi  sm.  Proprietà, ricchezza, soldi, malloppo;  dissapore, rancore.

Vutà – voltare  v.  Girare, mescolare;  votare.

Vutàte – voltata sf.  Curva, girata, svolta; Agg. rimescolato, girato, voltato.

Vutatèlle – rivoltata  sf.  Pizza di polenta  fritta con i ciccioli

Vute – voto  sm.  Libera promessa che si fa a Dio; promessa di povertà,  desiderio, manifestazione della propria opinione in ragione elettorale.

Vutecà – rovistare  v.  Perquisire , frugare.

Vuttà – spingere  v.   Allontanare, cacciare avanti, incalzare, sospingere, imprimere un movimento ad un corpo fermo.

Vuttate – spinta   sf.  Urto, incitamento; raccomandazione.

Vuttazzèlle – botticina  sf.  Recipiente di legno dogato, panciuto al centro, cerchiato di ferro, per contenere vino o altro liquido.

Vuttone – botte . Grande recipiente di legno, molto panciuto,  con doghe tenute ferme da lamine di ferro,  per contenere vino. Nelle vecchie cantine abbandonate del Fieno esistono esemplari della capacità di 15 e 18 barili.

Vuzzariélle – gozzetto s.m. La più piccola barca da pesca.

Vuzze – gozzo s.m. Barca da pesca di lunghezza superiore ai sette metri. Una volta erano di 28 o 36 palmi.

Z

Zabbaglione – zabaione sm.  Miscela ricostituente fatta con torli d’uovo sbattuti nello  zucchero  con  l’aggiunta di un bichierino di marsala.

Zacàgle – ramo   sm.  Tralcio improduttivo.

Zaccalène –  lampara s.f. E’ da ritenere che il nome zaccalena derivi da saccoleva, nome delle barche greche adibite alla pesca delle spugne. Erano attrezzate con  una “gangava” che consisteva in una rete a sacco che veniva calata sui banchi di spugne e trainata. La lampara quando cala la rete circuisce la massa di pesce che la luce ha tenuto fermi. Quando la circuizione è completa si tira il cavo e la rete forma un grande sacco in cui si trova il pesce che non può più uscire.

Forse l’epressione nasce  da “insacca e leva” che sintetizza il modo di pesca  che quel tipo di barca, con quel tipo di rete, riesce a realizzare.

Zaccarèlle – bambina  sf.  Ragazzina simpatica e belloccia.

Zafagne – temporale s.f. Perturbazione  atmosferica anche violenta, a carattere passeggero, con vento, lampi e tuoni. Originata, generalmente, dal surriscaldamento del suolo e degli strati d’aria adiacenti. Manifestazione tempestosa di piccola estensione e di breve durata.

Zaffarane – ago  sf.  Ago da vela, ago da sacco, ago da materasso.

Zafòje – crostaceo  sf.  Paguro con l’addome mollo che si nasconde nelle conchiglie vuote di altri molluschi. Donna focosa.

Zàlle – Sbaglio  sm.  Cantonata, topica, abbaglio.

Zàine – zaino  sm.  Sacco di tela, munito di bretelle, che si può portare a tracollo dietro le spalle, il che consente di avere libere le mani. Utlilissimo a Palmarola per il trasporto di materiale vario.

Zambruosche – villano  agg.  Scortese, rozzo, cafone.

Zàmpane – zanzara  sf. Insetto , molesto e dannoso, che succhia il sangue umano ed è portatore di malattie.

Zampìtte – ciocia  sm.  Rozza calzatura fatta con pelle di animale e con copertoni  di gomma, fermato al piede con corregge e spago.

Zàmpogne- zampogna  agg. Di persona incapace a prendere iniziative, che ha bisogno del fiato di  altro per emettere un suono.

Zamprevìte – agave   sm.  Agave, pianta di origine americana che si è inserita magnificamente nella macchia mediterranea. A Ponza alligna ovunque, sulle rupi, lungo i margini delle strade  e dei campi, dove segna il confine; nei terreni secchi e soleggiati.  E’ originaria del Messico ed è stata introdotta in Europa dopo la scoperta dell’America. Le foglie,  carnose e solide, di colore grigio chiaro, lunghe fino a due metri e larghe da 15 a 30 centimetri, arrodontate sul dorso, sono munite, lungo tutto il margine, di spine, dure e pungenti, poste a distanza di alcuni centimetri l’una dall’altra. La vita di questa pianta si aggira tra i 15 e i 20 anni quando entra in fioritura sprigionando, nel periodo primaverile, un fusto, simile ad un grosso asparago, che cresce per alcuni mesi fino a raggiungere, in agosto, l’altezza di 5 – 10 metri. Alcuni studiosi affermano che la crescita avviene nelle ore notturne. Dopo aver raggiunto alcuni metri di altezza, lungo la circonferenza, spuntano i fiori che si irradiano verso l’alto fino al culmine. L’infiorescenza a grappoli, a forma di candelabro, consta di migliaia di fiori  di colore verdastro. Ultimata l’operazione della fioritura la pianta muore. Una volta, le massaie raccoglievano le foglie secche e le bruciavano per avere la cenere con la quale facevano il bucato. E’ rimasta viva l’usanza di tenere sul tetto o nei pressi dell’ingresso della casa una pianta di agave perché tenesse  lontano il malocchio. Si è spenta, invece, la consuetudine di bollire le radici dell’agave con quelle della canna per avere un decotto che combattesse lo scorbuto. I pescatori usavano  lo stelo ( tronco) del fiore per  creare in sostegno elevato da terra dove mettevano le reti ad asciugare.

Zampugnare – Zampognaro  agg. Nella nostra parlata il termine non risponde a quel bel giovane che scese da Avellino a Napoli per portare la pastorale nelle varie famiglie e che:  “……….. Quanne  jètte pe vasà a signore i mane /  Zitto sentette i dì: viene dimane. / Cielo e comme fuje doce sta nuvena  / ca l’attaccaje cu n’ata passione / e se scurdaje d’ammore i Filumena / ch’era faticatore e bbona bbona ………” Nella nostra lingua si dà il significato  di aspro, ruvido, ineducato, villano, screanzato, irriguardoso.

Zanchiatòrje – orma  sm.  Serie di tracce di piede lasciata sul pavimento

Zancone – costola   s.m. Madiero. Vedi tangone.

Zanfunìje – Indolenza  sf.  Apatia, neghittosità, conturbazione.

Zànghe – traccia  sm.  Orma, impronta, pedata.

Zangùse – inzaccherato  agg.  Sporcato di zacchere, macchiato di fango.

Zànne – dente  sm.  Ciascuno organo osseo fisso nelle mascelle con la radice. Servono a masticare il cibo. Essi si definiscono in incisivi, canini e molari. Dente è anche il  risalto che hanno le serre.

Zappe – Zappa   sf.  Arnese agricolo formato da una robusta lama ricurva fissata ad un lungo manico di legno per rompere  la terra ed estirpare le erbe. Marra, piccone.

Zappetiélle- sarchio  sm.  Attrezzo agricolo per sarchiare il terreno seminato e svellere le erbe.

Zappiélle – rustico  agg.  Villano, sgarbato, scortese.

Zappine – terriccio  sm.  Tintura per le reti.

Zappulià – sarchiare   v.  Togliere le erbe  dai campi coltivati.

Zarracane – ciarlatano  sm.  Averla, uccello migratore. E’ il più piccolo rapace.

Zarracchje – spanna  sm.  La distanza tra la punta del pollice e quella dell’indice.

Zarraccone – figura immaginaria  sm.  Spauracchio,  immaginazione inesistente di un individuo dalla formazione grande e grossa e dalla voce cavernosa per impaurire i bambini.

Zàrre – sbaglio  sm.. Abbaglio, errore, intoppo, inciampo, castroneria, sproposito, malinteso, svista, strafalcione.

Zarrése – sbagliato  agg. Di persona che commette un  errore, un malinteso, una svista, uno strafalcione. Giosuè, il mio consulente letterario, mi suggerisce che zarrese potrebbe derivare dall’antico zaroso o zaro che aveva il significato di azzardo.

Zàttere – zattera s.f. Imbarcazione a fondo piatto.

Zavardone – inetto  agg. Di persona che non è capace a fare niente di buono.

Zavorre – zavorra s.f. Materiale provvisorio che viene imbarcato, in mancanza di carico, per mantenere la stabilità della nave.

Zazzariélle- cosetta  sf.  Roba da niente, orpello, fronzolo.

Zàzzere – criniera  sf.  Capelli lunghi sul collo.

Zécche – zecca  sf.  Acaro parassita che succhia il sangue degli animali ai quali, spesso, trasmette malattie. Spesso si attacca anche all’uomo. Ha un corpo liscio di forma ovale. La femmina è più grande del maschio, può superare anche il centimetro di lunghezza.

Zecone – pelo  agg.  Di pelo ispido e irsuto.

Zéfere – spiffero  sf.  Soffio,  di persona maldicente.

Zélle – tigna  sf.  Malattia contagiosa del cuoio capelluto, dovuta ad un parassita, che genera la caduta dei capelli. Magagna, imperfezione, difetto, vizio.

Zellùse – tignoso  ag. Difettoso, imperfetto, vizioso.

Zemìne – minestra s.m. Zuppa di pesce con fette di pane.

Zencherìà – girovagare  v.  Andare a zonzo.

Zenchià – Lasciare orme .  v. Di persona che amava girovagare per poter lasciare la sua impronta.

Zennecchià – fare il gesto  v.  Piccolo cenno che si fa  chiudendo e riaprendo un occhio.

Zennià – Ammiccare  v.  Strizzare l’occhio in senso amoroso.

Zeppate – affastellatura s.f. Catasta di legno che si fa sotto una barca tirata a secco.

Zéppe – zeppa  sf.  Bietta di legno  per otturare fessure o per rincalzare un mobile  zoppicante, se ne usano tantissime nei cantieri per preparare la zeppata su cui deve poggiare un bastimento per essere tirato a secco; bietta di ferro che i rocciatori usano per rompere massi e macigni o per lavorare il tufo per estrarre pietre da costruzione.

Zeppénne – Antro  sf.  Caverna, spelonca, tana, speco, stamberga,  catapecchia.

Zeppetèlle – zeppetta  sf.  Piccola bietta che si usa per livellare, mettere a piombo, piccole cose.

Zéppule – Zeppola  sf.  Dolce di acqua e farina impastata, con un pizzico di sale, e lievitata. Quando ha raggiunto il massimo della lievitazione, a piccole quantità,  si stacca il pezzetto di pasta cresciuta e lo si mette in una padella dove l’olio è bollentissimo. Brevi attimi, una girata, e si toglie usando una schiumarola. Si mettono in un vassoio e si cospargono di zucchero. Si mangiano calde e i buongustai le inzuppano nel vino cotto. La zeppola vide la luce nelle prime decade del 700 e sotto i Borboni si diffuse divenendo una specialità della cucina partenopea.  Agli inzi del 1800, un pasticciere napoletano, il famoso e celeberrimo Pintauro, ebbe l’idea di friggerle sul marcipiede davanti la sua bottega. Non c’era passante che non si fermasse a mangiare almeno una zeppola. Fu un lancio impressionante. In breve tempo tutta Napoli sapeva delle zeppole di Pintauro e tutti correvano a prendere, logicamente pagandole, le zeppole per portarle a casa o regalarle. A Ponza le zeppole vennero inserite nel  menù di alcune feste comandate: San Giuseppe, la vigilia di Natale, il giorno del varo di un natante, il giorno della uccisione del maiale, il giorno in cui il contadino finiva di potare il vigneto. Le zeppole poi si regalano; si regalano a tutti: parenti, amici,  vicinato, si regalano  al fidanzato.

Zéppule mmocche – bleso  Di persona affetta da blesità, un difetto di pronuncia consistente nella deformazione di una o più consonanti.

Zereppélle – raggiro  sf.  Malizia, astuzia, presa in giro che si mettevano in atto durante lo svolgimento della passatella per renderla più armoniosa.

Zerràcchje – spanna  sm.  La distanza che intercorre tra la punta dell’indice e quella del pollice.  Agg. di persona piccola di statura.

Zetèlle – nubile  sf.. Di donna, avanti negli anni, non maritata e che non ha mai avuto contatto sessuale.

Zevéncule – pettegola  sf.  Di donna dai facili costumi.

Zezzélle – mammella  Organo femminile che produce il latte.

Zezzenèlle – comodità  sf.  Vita facile, agio, abitudine alle cose buone e gratuite.

Zezzeniélle –  ugola    sm.   Appendice del velo palatino, muscolo membranoso che costituisce la parete posteriore della bocca, ugola.

Zezzone – Zizzosa  agg.  Di donna dal seno prospiciente e prorompente.

Zezzose sporca  agg.  Lercia, sudicia, unta.

Zìcche – ventosa s.m. Organo di presa dei polipi. Dentale, incrostazione che si forma sulla carena delle navi per il troppo stare in acqua.

Zimarre – zimarra  sf. Sopravveste dei preti.

Zìmpere – irco  sm.  Caprone, maschio della capra. Lo zìmpere è  stato sempre considerato  alla stregua di un libidinoso e di un superdotato tanto da diventare per antonomasia il simbolo della lussuria  e che Ferdinando Russo in Mparavise mette in bocca a Luisella, ca nun ne putéve cchiù:  “A fennisce o nun a fennisce? Sì nu zìmpere, uagliò”.

Zìnghere – zingaro   sm.  Persona senza fissa dimora.

Zipèppe  – vaso  Sm.  Vaso da notte, orinale.

Zippe – puntello s.m. Grosso bastone o trave o cuneo che si mette come sostegno.

Ziprèvete – prete  sm.  Sacerdote.

Zìrre – ziro  sm.  Orcio, grande vaso di metallo o di terracotta per tenervi l’olio.

Zìrriuse- capriccioso  agg  Bizzoso, incostante, volubile.

Zite –  celibe  sm.  Scapolo, di chi conduce vita da non ammogliato, singolo.

Zìteme – mio zio loc.

Zìtete – tuo zio  loc.

Zitte – zitto  agg.  Taciturno.

Zizze – mammella   sf. Organo femminile che produce il latte per la sopravvivenza della prole.

Zòcchele – topo  Animale mammifero dei roditori con grandi orecchie e lunga coda.

Donna di malaffare, puttana.  Durante la partita di calcio Napoli – Verona, di qualche decennio fa,  per vendicarsi degli striscioni offensivi che i veronesi attaccavano dappertutto, e non solo allo stadio, contro i napoletani, perché gente del sud, nello stadio San Paolo di Napoli i tifosi tolsero tutti gli striscioni esistenti e ne affissero uno soltanto che pigliava tutto l’anello. A caratteri cubitali c’era scritto:  “Giulietta: si na zòcchele”.

Zompafuosse – saltatore  sm.  Di uomo che , per recarsi di notte a covegni amorosi, è costretto a zumpà fossi e fossati negli orti.

Zompe –salto  sm..Insieme di movimenti medianti i quali il corpo spinto dall’azione distensiva dei muscoli lascia rapidamente il contatto del terreno  e si solleva.

Zòtte – piede   sf.  Zoccolo, unghia dei quadrupedi.

Zòze – luridume  sf.  Ombratto, melma, poltiglia, immondizia.

Zucà – succhiare   v.  Poppare, suggere, succiare,

Zucaròle – zucarola  sf.  Arnese per estrarre il latte dalle mammelle delle donne.

Zùcate – succhiata  sf.  Poppata.  Agg.  Di vestito stretto, attillato.

Zucazuche – suga suga  sf.  Falsa alconna, pianta erbacea.

Zuccarine – diabete  sf.  Malattia  che consiste nella eliminazione, attrraverso le urine, di zucchero  la cui percentuale nel sangue è alta.

Zùcchere – zucchero  sm.  Sostanza dolce che si estrae dalla canna o dalla barbabietola. Gli usi sono immensi.

Zuccolature – Zoccolatura   sf.  La fascia di colore diverso ai piedi delle pareti, la parte più bassa di un piedistallo, la parte inferiore del basamento.

Zuche – sugo  sm.  Condimento che si ottiene facendo cuocere  olio con erbe aromatiche, salsa, brodo;  guadagno, lucro, profitto, vantaggio.

Zucuse – succoso  agg.  Saporito, succolente; squisito, simpatico.

Zucuzzone – sergossone  sm.  Pugno.

Zuffrìjere – soffriggere  v.  Rosolare, dorare, imbiondire.

Zuffritte –  soffritto  sm.  Interiora di animale da macello.

Zuffunnà – sprofondare  v.  Mandare in rovina, distruggere, inabissare.

Zuffunne – fortunale s.m. Bufera, mareggiata, uragano, alluvione, diluvio.

Zummezzate – tuffo   sf.  Immergersi in acqua a capofitto, con slancio.

Zumpà – saltare  v.  Muoversi staccandosi dal suolo, rimbalzare, saltellare; evitare, scanzare.

Zumpariélle – saltello  sm.  E’ il saltellare dei bambini.

Zumpe – salto  sm.  Balzo

Zumpechià – zompare  v.  Saltabeccare, procedere a salti come le cavallette, fare qualcosa in modo non uniforme.

Zuocchele – zoccolo   sm.  Calzatura con la base di legno  e con una tomaia di tela.

Zuoppe – zoppo  sm.  Di persona che per difetto naturale o per malattia cammina male.

Zuppechià – zoppicare v.  Claudicare, arrancare.

Zuppiére – zuppiera   sf.  Vaso di maiolica  o di metallo, con coperchio, per portare a tavola la minestra per più persone. La distribuzione avviene  a tavola.

Zurfaniélle – fiammifero  sm.  Stecchino di legno con una capocchia intrisa in una mistura di zolfo che strofinata si accende.

Zurfe – zolfo  sm.  Elemento chimico che si trova in natura, di colore giallo, che brucia facilmente. Molto utile nel settore agricolo. Si spruzza in polvere sulle foglie della vite per combattere la peronospora. Per combattere altre malattie  si cosparge anche in soluzione con il solfato di rame. Il contadino lo squaglia  in una pentola per intingere una cordicina che una volta asciugata viene accesa e immersa nella  botte, chiudendo il tappo. Serve per disinfettare la botte con i gas  sprigionati dalla combustione dello zolfo.

Zurre zurre – mormorio  sm.  Brontolio, fremito borbottio.

Zuzzeniélle – ugola  sm.  Formazione muscolo-membranosa che prolunga la volta palatina costituendo  la parete posteriore della bocca e presenta, al suo margine inferiore, libero e sottile, un prolungamento centrale detto ugola.

Zuzzimme – luridume  sf.  Sudiciume, lordura, sporcizia, immondizia;    infamia, disonore, dispregio, biasimo, obbrobrio,  infamità, nefandezza.

Zuzzuse – lurido  agg.  Sudicio, lercio;  immondo, infame.

Zzàcchete – cilecca   sf.  Di un’arma che non riesce a sparare; di una azione che non riesce ad essere ultimata,  di un rifiuto amoroso.

To Top