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Il Referendum del 20 settembre (3). Il dibattito interno alla sinistra

segnalato da Sandro Russo

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Pubblichiamo qui di seguito tre articoli, strettamente correlati, sul dibattito in corso all’interno della sinistra tra il No e il Sì al Referendum confermativo. Il primo, di Michele Serra da la Repubblica del 27 agosto scorso che propende per il No.
A seguire si manifesta lo stesso segretario del Pd, Nicola Zingaretti su la Repubblica di ieri l’altro 1° settembre -, al governo con una compagine che include il M5S, fautore con l’allora capo politico Luigi Di Maio, della campagna della riduzione dei parlamentari. Che è ovviamente impegnato per il Sì, pena la rottura dell’alleanza.
Il terzo articolo è ancora di Michele Serra, da la Repubblica di ieri 2 settembre: una sorta di risposta, con ampia citazione dell’articolo del segretario.

L’amaca – da la Repubblica del 27 agosto 2020
Ben altre sono le tempeste

di Michele Serra

Nei momenti di malinconia penso che bisognerebbe ridurre non il numero degli eletti, ma quello degli elettori… Ma sono malumori che passano, e dunque, di buzzo buono, leggo Onida e Zagrebelsky, Di Maio e Calenda, cercando di capire insidie tecniche e trappole politiche che il referendum porta in seno, gli umori anti-casta un tempo divampanti e ormai ridotti a una febbriciattola cronica, le astuzie (castali) dei professionisti di Palazzo ai quali importa nulla della materia del contendere, ma solo quali saranno le conseguenze negli assetti di potere.

Tutto abbastanza complicato, ma non tanto da cancellare l’idea che si debba dare un taglio, potendo, alla lunga stagione dell’antipolitica, nella quale una società largamente impolitica, in pesante debito con le tasse, con l’etica pubblica e con la legalità in genere, pensò bene di addossare ogni colpa alla politica e “agli onorevoli”, non sapendo o non volendo sapere che la classe politica, in democrazia, è lo specchio di chi la esprime. Scilipoti e Razzi sono solo due, numero ridottissimo, ma nei bar d’Italia ce ne sono a milioni. Non è la quantità, è sempre la qualità a fare la differenza.

Dunque voterò No, a meno che, con molto improbabile colpo di reni, il governo giallorosso, per il quale faccio un timido e sconsolato tifo, riesca a legare il referendum a una decente riforma elettorale e al progetto di un monocameralismo perfetto, riducendo i tempi, altro che i costi…
Escluso in partenza, comunque, che si possa litigare con chi vota Sì. Ben altre tempeste politiche e sociali incombono, con le drammatiche elezioni americane alle porte.

La lettera a Repubblica del segretario dem, del 1° sett. 2020
Pd e governo sotto attacco. “Stufo delle ipocrisie, chi vuole cambiare lo dica”

di Nicola Zingaretti 

Caro direttore,
in queste settimane è cresciuta una critica molto forte e anche pretestuosa sulle difficoltà di trovare un equilibrio nei rapporti tra il Pd, i 5Stelle e Italia Viva, nel governo del Paese. Avvertii subito la complessità di questa sfida unitaria. Segnalai la necessità di una riflessione attenta ed anche alcune preoccupazioni.

In queste ore ho riletto i tanti messaggi e le lettere ricevuti. In verità, solo sette dirigenti erano contrari alla formazione del governo. Tutti gli altri e poi numerosi imprenditori, sindacalisti, sindaci erano uniti nella volontà di varare l’esecutivo “Conte due”, considerandola la sola strada per salvare l’Italia. Nelle successive e doverose trattative porre problemi di contenuto o sulla qualità dei nomi fu persino difficile rispetto alla suprema esigenza di chiudere, al più presto, “il patto” che sembrava possibile.

Ricordo che in quella sede si decise di procedere al taglio dei parlamentari insieme all’avviamento di un processo di riforme regolamentari e legislative. Come si sa, il governo nacque e da quel momento ho fatto di tutto per dare un contributo al suo rafforzamento, al suo miglioramento e alla sua capacità di intervenire nel concreto dell’economia e del miglioramento della vita delle persone.

Oggi penso che abbiamo fatto bene: perché nel corso di questo anno siamo riusciti a salvare la Repubblica da pericolose avventure e da un inesorabile declino. Abbiamo gestito bene l’emergenza del Covid. Molto meglio di numerosi Paesi anche europei. C’è stato un ricollocamento strategico dell’Italia nei rapporti con l’Europa. Guidiamo con successo un processo di rinnovamento e siamo alla vigilia del più grande piano di investimenti degli ultimi cinquant’anni che davvero può aprire inedite prospettive e un nuovo modello di sviluppo per il nostro Paese. Tutto questo, soprattutto, grazie al Pd. Alla sua battaglia ideale e politica e al suo gruppo dirigente in Italia e a Bruxelles. Siamo nelle condizioni di costruire un progetto nazionale in grado di creare lavoro, innovare il sistema produttivo, combattere le disuguaglianze sociali.

Non c’è stata alcuna subalternità: abbiamo noi segnato l’identità del governo, pur in presenza di gruppi parlamentari assai ridotti per la sconfitta del 2018 e per le scissioni avvenute in seguito.

Voglio ricordare tutto ciò perché dietro a tanti pronunciamenti per il No al referendum avverto due motivazioni diverse. La prima: una comprensibile e sana preoccupazione di non procedere con atti isolati che possano mettere in squilibrio il funzionamento delle istituzioni e della democrazia. Questa preoccupazione è anche la nostra. L’abbiamo posta per primi e da soli. Ecco perché intendiamo accompagnare il taglio dei parlamentari a modifiche regolamentari e legislative capaci di garantire l’integrità delle istituzioni, il rapporto di esse con i cittadini e la rappresentanza di tutti i territori italiani.

In queste settimane ho lavorato per raccogliere e dare una risposta a questi timori; infatti, con l’iniziativa politica del Pd si è riaperto un dibattito che spero si possa concretizzare nei prossimi giorni, se ci sarà una coerenza e un senso di responsabilità di tutta la maggioranza.

Anche tenendo conto che tutte le nostre sollecitazioni fanno parte dell’accordo base che ha permesso la stessa esistenza del governo Conte. Ho dunque un grande rispetto per molti dei dubbi che stanno alla base della scelta del No e combatto per dar loro una risposta.

Ma accanto a esigenze vere e sincere vedo anche il crescere, soprattutto fuori di noi, di uno spirito polemico contro il Pd e contro la scelta del Sì. Il Pd fa sentire la sua voce e questo dà fastidio a molti. Tale spirito polemico ha una diversa origine e diversi motivi. Innanzitutto, un’insofferenza verso il governo, la maggioranza e il lavoro svolto. Il No così diventa, a prescindere dal merito, la clava per colpire il Pd, la maggioranza e il governo stesso. Badate: tutto ciò è assolutamente legittimo, ma sarebbe meglio che chi lo pensa avesse il coraggio di dirlo, assumendosi la responsabilità delle successive conseguenze. Se si vuole indebolire il Pd e il governo si chieda apertamente la fine di questa esperienza.

Si dica che si preferiscono le elezioni politiche con questa legge elettorale o un ritorno ad ipotesi di un governo di tutti che inevitabilmente umilierebbero ancora una volta la politica. Non è più possibile sopportare l’ipocrisia di chi agisce per destabilizzare il quadro politico attuale, mentre c’è chi si carica spesso da solo la responsabilità della tenuta unitaria, l’immenso lavoro di lotta quotidiana, di fronteggiamento delle drammatiche condizioni date, di far avanzare avanti, nei processi reali, le nostre idee e i nostri valori per un’Italia diversa.

Ripeto, ci impegneremo fino alla fine affinché la riduzione del numero dei parlamentari (da sempre proposta dal Pd e da noi votata alla Camera un anno fa) avvenga dentro un quadro riformatore il più coerente possibile, che garantisca il funzionamento della democrazia che rafforzi. Ma chi, con le sue ragioni, reputa conclusa la fase di collaborazione con il Movimento 5 stelle e Italia viva, non crei confusioni, indichi un’altra strada, chiara e praticabile. Il Pd è pronto ad affrontare qualsiasi scenario e, anche personalmente, non ho timore di affrontare elezioni politiche immediate. Quello che è difficile da affrontare sono, invece, le furbizie e i bizantinismi; oppure le ipocrisie di chi sostiene che perdendo le regionali e vincendo il No al referendum, si potrebbe continuare tutto come prima, senza riflessi sulla tenuta del governo e sulla vita della legislatura.

Ripeto: continuo a credere che lo spazio politico per continuare sia grande e percorribile. Per questo il Pd è il solo partito politico che ha presentato liste e costruito alleanze ovunque, rappresentando il più stabile e forte argine alla destra di Salvini-Meloni. Peraltro, eccetto una Regione e pochi Comuni, ovunque senza i 5 stelle. Chi vuole impedire la vittoria delle destre e i populismi nella realtà ha un solo strumento: votare Pd, le alleanze di cui fa parte e i candidati che sostiene. Siamo la forza più coerentemente alternativa a una possibile deriva sovranista e di destra. E siamo impegnati per un rilancio forte del profilo riformista del Governo a partire dal Recovery Fund e dell’utilizzo del MES.

Tanti discutono su come si deve respingere l’ondata populista e autoritaria; nei talk show, nelle interviste, nei tweet. Il Pd, al contrario, cerca di farlo nella realtà, in un corpo a corpo nella società che ha molte zone di disillusione e di rabbia ma anche le potenzialità per rinascere, a condizione che qualcuno gli offra di nuovo il filo della speranza.
Non è facile: perché la destra, in passato molto divisa, nelle regionali si è saputa unire. Mentre la maggioranza di governo malgrado un anno di nostri appelli, è rimasta divisa. Hanno prevalso dubbi e distinguo spesso davvero incomprensibili e difficilmente tollerabili. Molti si affrettano a dire: “gli sconfitti saranno i democratici”; in realtà alcuni hanno deciso di non giocare neanche la partita ed è il Pd l’unico che con le sue alleanze combatte per vincere. Ora in queste settimane di campagna elettorale prima del voto del 20 e 21 settembre per vincere dovremo ricostruire quel moto unitario nell’elettorato che i leaders, purtroppo, non hanno saputo garantire. Tutte e tutti in campo combatteremo strada per strada a sostegno dei candidati che hanno più possibilità di vincere, appellandoci ad un voto utile che non sprechi le energie democratiche, costruendo le condizioni più unitarie possibili per la scelta del Sì al referendum, occasione per rilanciare un processo di riforme.

Da la Repubblica del 1° sett. 2020

L’amaca – da la Repubblica del 2 settembre 2020
Troppi conigli per un cilindro

di Michele Serra

Beato il Paese nel quale un referendum è solo un referendum, e dunque si dice Sì e si dice No solamente a una domanda, a quella domanda. E sciagurato il Paese nel quale un Sì e un No, monosillabi così brevi ed espliciti, sono invece portatori insani di messaggi reconditi, secondi fini, sgambetti ai governi, stampelle ai governi.

La lettera di Nicola Zingaretti  a Repubblica arriva, non per colpa sua, dal secondo Paese, quello sciagurato, il nostro. Il segretario del Pd sa benissimo che una parte non piccola dei suoi elettori voterà No, e non perché sia “contro il governo”, ma perché ne ha le tasche piene di vent’anni di antipolitica. Ma sa altrettanto bene che, nel caso molto improbabile di una vittoria del No, il risultato sarebbe adoperato, anche dentro il suo partito, come “una clava contro il governo”. Chiede dunque ai nemici interni di uscire allo scoperto: se vogliono la fine di questa maggioranza lo dicano, e si torni al voto.

Giocando una carta importante, Zingaretti aggiunge che la sola ipotesi inaccettabile (che, attenzione, è anche quella per la quale si danno da fare in parecchi) è un governissimo o un governo tecnico o un’altra di quelle alchimie di apparato alle quali la sinistra italiana, autorevolmente guidata, si è piegata negli ultimi anni, dando l’impressione di temere le urne come la peste e costruendosi una solida e non del tutto immeritata fama di pavidità politica.

È antipolitica, e delle più raffinate, anche il sistematico maneggio della stessa legislatura e dello stesso Parlamento. Da un solo cilindro non è possibile tirare fuori troppi conigli.

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