Ambiente e Natura

Il reportage sul confino di Ponza mai pubblicato da Life

di Fabio Lambertucci

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Propongo questo pezzo su un foto-reportage del gennaio 1938 sul confino di Ponza, fatto eseguire dalla rivista americana Life e mai pubblicato.
F. L.

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Nell’ottobre del 1987, sul numero 359, la celebre rivista Storia Illustrata della Arnoldo Mondadori Editore, diretta da Arrigo Petacco, pubblicò un articolo del grande fotografo torinese Stefano Bricarelli (1889-1989) intitolato “Fai vedere come vivono” dedicato alla realizzazione nel 1938 di un suo reportage, commissionato da Mussolini, sulla vita dei confinati politici all’isola di Ponza.
Il servizio fotografico sarebbe dovuto apparire sulla rivista settimanale statunitense Life che però alla fine lo rifiutò per opportunità politica.

Questo è il racconto di Bricarelli:
“Alla fine del 1937, il settimanale americano Life […] aveva  richiesto al pittore e disegnatore Paolo Garetto e a me, un fotoreportage sul governo fascista. Nei primi giorni del 1938 mi trovai quindi a Roma per incominciare il servizio. Si doveva ritrarre il duce, il segretario del partito nazionale e tutti i ministri […]. Per il ritratto del capo del governo ottenemmo un’udienza nella mattina di domenica 16 gennaio 1938 […].
Ricordo benissimo cosa si disse in quel colloquio, anche perché nello stesso giorno lo avevo annotato.
Mussolini, che già conosceva Garetto, si rivolse subito a lui, chiedendogli: “Ebbene, cosa si dice di noi negli Stati Uniti?”.
E Garetto, arditamente: “Eccellenza, colà dare a qualcuno del fascista è fargli il peggiore insulto”.
Mussolini: “Che strana gente! Anche quando vi andò mio figlio Vittorio non volevano credere che fosse italiano perché era alto e biondo: ci immaginano tutti bassi e bruni… Ma perché ce l’hanno tanto con noi?”.
Garetto rispose subito che all’immagine del fascismo, nell’opinione pubblica americana, aveva fatto molto danno la notizia dell’istituzione del confino politico per gli avversari del fascismo. L’essere inviati nell’isola di Ponza era messo sullo stesso piano, negli Stati Uniti, della deportazione in Siberia per gli avversari del comunismo.
“E pensare” – disse il duce -, “che proprio l’isola di Ponza è stata per molti anni il luogo di vacanza degli arcivescovi di Messina!”.
A quel punto Garetto spiegò che probabilmente il mezzo più efficace per mostrare agli americani quanto fosse errata la loro opinione sarebbe stato un fotoreportage sul confino, da pubblicare su Life.
A Mussolini l’idea piacque subito, e gli chiese se era disposto a farlo lui.
Garetto disse invece che i suoi impegni lo costringevano a rientrare subito a New York. Allora il duce rivolse a me la stessa richiesta, e io accettai sapendo che si trattava di un soggetto assolutamente inedito […].
Come mi aveva invitato a fare Mussolini, il giorno dopo l’udienza mi presentai dal senatore Bocchini, capo della polizia. Non dovetti attendere per essere ricevuto e poi presentato all’ispettore generale della Pubblica Sicurezza Capobianco, che sarebbe stato il mio accompagnatore a Ponza.
Insieme a Capobianco l’indomani mi imbarcai a Formia sul vaporetto del servizio pubblico che assicurava i collegamenti con Ponza e con la tetra Ventotene degli ergastolani.

Due confinati nell’unico bar del paese per una tazza di caffè espresso. Gennaio 1938

A Ponza non c’erano alberghi o ristoranti, ma appena un minuscolo bar con la macchina per il caffè espresso, perché le osterie preesistenti erano state chiuse. Noi fummo ospitati nella casa del direttore del confino, e quest’ultimo mi autorizzò a andare dovunque per l’isola a parlare anche da solo con i confinati. Venni informato che, all’epoca costoro erano circa 400, per la metà imputati di attività antifasciste, e per l’altra anarchici: e che tra i due gruppi non correva buon sangue, tanto che la direzione del confino era solita servirsi di questi per sorvegliare quelli.

Un confinato affacciato sul porticciolo di Ponza

A cura della direzione e a spese del governo, gli assegnati al confino trovavano alloggio presso la popolazione. Era tenuto conto della posizione sociale dei confinati, e a quelli che godevano di una posizione più elevata erano concessi anche alloggi o villette in cui potevano vivere da soli, come allora avveniva per Umberto Terracini (1895-1983, dirigente comunista, futuro presidente dell’Assemblea costituente, ndr).

Un confinato nella sua camera

Due confinati intellettuali sul balcone del loro alloggio


Un confinato mentre dà il mangime ai polli del suo allevamento

Un confinato (in secondo piano) al lavoro in un piccolo cantiere nautico

Confinati che aggiustano reti da pesca

I “meno abbienti” potevano lavorare per conto proprio, e vi era chi allevava polli o conigli, e alcuni che aiutavano nel lavoro gli artigiani locali. Per tutti le cure mediche (anche quelle specialistiche: vista, protesi dentarie, udito) erano gratuite.

Al circolo di lettura dei confinati. Gennaio 1938

Avevano anche a disposizione un circolo di lettura fornito di molti quotidiani italiani del tempo. La faccia nascosta della medaglia, per i confinanti, non era troppo penosa. Sempre facendo astrazione dal soggiorno coatto cui erano obbligati. Pur potendo uscire anche di sera, era assolutamente vietato andare a pesca o comunque in barca; avevano l’obbligo assoluto di presentarsi ogni giorno nel primo pomeriggio alla direzione del confino per registrare la propria presenza.

Antifascisti confinati a Ponza al controllo quotidiano obbligatorio di polizia

Per me e per Capobianco il soggiorno (non si può chiamarlo altrimenti) a Ponza si protrasse per circa una settimana, perché il mare in burrasca impediva il regolare servizio dei vaporetti.
Appena ritornato in continente feci ingrandire parte dei negativi della Leica scattati sull’isola, preparai una relazione molto obiettiva su quanto vi avevo visto e sentito, e spedii il tutto alla direzione di Life senza aver dovuto subire in alcun modo il controllo sul materiale da parte delle autorità di polizia.
Da Life ebbi ben presto il compenso per il servizio fatto. Intanto aspettavo di settimana in settimana di vederlo pubblicato sul settimanale. Dopo un paio di mesi il ministero della Cultura popolare invitò l’ambasciata italiana a Washington a appurare le cause della mancata pubblicazione e la risposta di Life fu la seguente: “Il reportage è bello e molto interessante, ma se lo pubblicassimo i nostri lettori ci chiederebbero se siamo tutt’a un tratto diventati fascisti…”.
Dato il clima politico di quegli anni, ero stato molto sorpreso di non aver dovuto subire alcun controllo sul servizio (testi e foto) per Life.
A loro volta gli editori dovevano aver apprezzato il mio lavoro sul confino di Ponza, anche se considerazioni di carattere politico ne avevano poi sconsigliata la pubblicazione”.

4 Comments

4 Comments

  1. Sandro Russo

    1 Agosto 2020 at 10:26

    Il fatto che il reportage presentato nel bell’articolo di Fabio Lambertucci fosse stato commissionato da Mussolini in persona a un giornalista e a un fotografo che con lui avevano dimestichezza (a almeno posizioni non critiche), non modifica di una virgola il severo giudizio che la storia ha dato alla pratica del confino: “l’arma silenziosa del regime”. Dal punto di vista umanitario non paragonabili alle istituzioni dei lager nazisti o dei gulag staliniani, ma storicamente sulla stessa linea di pensiero.
    Quanto alla mancata pubblicazione sulla rivista Life, le motivazioni possono essere state molteplici (anche di segno opposto).

    Voglio sottolineare come a Ponza (e sul sito) c’è stato e c’è molto interesse all’approfondimento del tema “confino”, con molti lavori inerenti. Ne cito solo alcuni; dai link correlati si può arrivare agli altri.

    La presentazione a Roma del saggio di Camilla Poesio, Laterza, 2011: Il confino fascista. L’arma silenziosa del regime

    La riproposizione a Ponza (luglio 2014) dello stesso saggio, in presenza dell’Autrice (leggi qui)

    Un approfondimento di due giorni organizzato dal Centro Studi e Documentazione Isole Ponziane nel novembre 2019 sulla colonia confinaria di Ponza (leggi qui)

  2. silveria aroma

    1 Agosto 2020 at 14:45

    LEItz CAmera – Leica – un nome, un sogno.
    Immagini che attraversano il tempo e ci regalano qualcosa che vale più dell’opinione e del ricordo destinati a perdere dettagli e contorni. Le fotografie sono come varchi, e aprono infinite porte.
    Dispongo di poco tempo in questo periodo, ma la foto “della barista” mi ha colpito così tanto da spingermi a cercare informazioni…
    Nessuna certezza, qualche ipotesi.
    Il racconto più bello di queste ore è quello di Maria Cristina Ragozzino, nonna di Maria Cristina Sandolo e nipote di Maria Cristina Mazzella (sorella quest’ultima della mia bis bisnonna).
    State contando sulle dita, eh?!
    La madre di Maria (Maria del bar, Zanzibar) si chiamava Giuditta Vitiello e già nel 1938 gestiva una cantina dove, oltre a commerciare vino, si beveva caffè e si vendevano biscotti.
    – I biscotti – racconta Maria – arrivavano in scatole molto grandi e venivano venduti singolarmente. Mia madre, Giuditta, mi metteva sulla sedia e io, piano piano, sistemavo i biscotti a file, uno per uno, in un contenitore di metallo con una specie di vetro davanti”.
    Maria nasceva proprio nel 1938, anno della foto, e non sa dire con certezza se quella donna col volto semicopetto sia sua madre… ma questo conta poco, quello che mi colpisce è che una splendida macchina fotografica ci testimoni ancora una volta la forza e la determinazione che a me piace riscontrare nelle donne in generale e in quelle ponzesi in particolare.
    Nonna Giuditta la ricordo intenta a lavorare all’uncinetto “tende” che usava anche per il bar, erano realizzate con buste di plastica usate e poi trasformate in matassine simili a quelle di rafia. Le mie estati contavano “quattro cantoni” lungo la spiaggia: la signora Linda, mia nonna, Iolanda e Giuditta. Quattro nonne, quattro “autorità” della marina.

  3. Rosanna Conte

    9 Agosto 2020 at 08:27

    Questo reportage fotografico fa il paio con il resoconto fatto da Mino Maccari nove anni prima. Doveva servire a riportare un’idea di confino politico molto edulcorata e senza alcuna sbavatura. La rivista Life ci vide giusto: quelle foto, con le illustrazioni e le informazioni che affiancavano, sarebbero state un pessimo servizio per l’informazione pubblica che da più fonti riceveva notizie ben diverse sul confino. E noi, a Ponza, tra i racconti dei testimoni, varie pubblicazioni e i documenti di archivio, sappiamo benissimo che non era quella la condizione dei confinati politici sulla nostra isola.

  4. Rita Bosso

    20 Agosto 2020 at 16:46

    La didascalia della foto del caffè contiene le seguenti inesattezze: 1.Sull’ odierno corso Pisacane si contavano ben sei caffè/bettole/ latterie;altre due erano alla punta bianca. Pertanto la dicitura ‘ unico bar del paese’ non è corretta. 2. I confinati non potevano accedere a caffè, osterie e altri locali pubblici; gli avventori del caffè non potevano perciò essere confinati, come riportato in didascalia.

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