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Nugae (2). L’anatroccolo

di Pasquale Scarpati
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Un’anatra emetteva con dolcezza il suo “qua qua qua” per indurre i figlioletti esitanti a scendere in acqua.
Come avviene dappertutto vi fu quello che, subito subito, si tuffò e provò l’ebrezza dell’acqua e del nuoto. Gli altri, vedendolo, si tuffarono anch’essi, perché, spesso, istintivamente gli animali (e non solo) agiscono alla stessa maniera, pur non capendo il perché. Uno solo rimase sulla riva titubante. “Mi butto – pensava – o non mi butto: devo lasciare la sicurezza del nido e devo andare verso l’ignoto. Chissà cosa troverò!” La madre dopo averlo richiamato per l’ennesima volta, stanca di aspettare, cominciò a nuotare seguita in fila indiana dagli altri anatroccoli.

Il poverino rimase sulla riva: una zampetta in acqua, un’altra sulla sabbia. Ad un tratto si fece coraggio e si tuffò nel momento in cui avvertì un fruscio tra le canne ed il battere di denti: le mascelle si erano chiuse a vuoto. Una volpe aveva fallito il colpo. Lieto di aver scansato il pericolo, nuotava velocemente per cercare di raggiungere i fratelli e la madre. Ma ad un tratto si sentì trascinare verso il fondo dello stagno. La sua esitazione e l’essere rimasto solo lo avevano danneggiato!

Un altro epilogo fu quello che il piccolo, trovatosi solo, prima si nascose tra le canne, poi si accompagnò ad un altro gruppo di suoi simili che prima lo scacciarono poi lo accolsero volentieri, pertanto ebbe un’esperienza diversa da quella che avrebbe avuto se fosse rimasto con sua madre.

“Bisogna cogliere il momento giusto ma bisogna avere anche un po’ di coraggio perché non esiste nulla di veramente sicuro nella vita” – disse il martin pescatore che la sapeva lunga circa la cattura dei pesci.