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L’orgasmo del fascismo

di Fabio Lambertucci

 

Mai sottovalutare la potente capacità di stimolo e di aggregazione del sito.
Di fronte di alcuni commenti che chiedevano un approfondimento sul ruolo delle donne nel periodo fascista-nazista, Stefano Cecini ha dichiarato la sua incompetenza a trattare il tema, ma egli stesso ci propone ora lo scritto di un suo amico che se ne è interessato.
Diamo il benvenuto sul sito a Fabio Lambertucci.

L’orgasmo del Regime fascista: le memorie di Fedora Sandelli, maitresse d’alto bordo a Roma
di Fabio Lambertucci

Fedora Sandelli ha nella Storia sessual-politica d’Italia un posto centrale e insospettabile. Nel 1976 il giornalista Osvaldo Pagani pubblicò per i tipi della Casa editrice SugarCo di Milano un lungo libro-intervista che svelò le attività di questa signora, all’epoca del volume quasi ottantenne, che al tempo del Fascismo era stata tenutaria di un bordello sull’Appia antica, in una posizione discreta e poco evidente. Sorpresa: il ritrovo era stato voluto direttamente da Benito Mussolini come buen retiro di gerarchi, amici e colleghi (non escludendo gli ospiti nazisti, spagnoli e giapponesi al tempo dell’Asse).


Scrive il saggista Luca Scarlini nel suo libro del 2013 Il Sesso al Potere. Dall’Unità a oggi (Guanda): “Il tono della testimonianza è guascone, beffardo: la signora non indietreggia di fronte a niente. Dopo essere stata la mantenuta di un ricco signore, per tramite di un amante, arriva al Duce. Il suo primo incarico è quello di reclutare delle ragazze – puttane ma non troppo – per il primo incontro Hitler-Mussolini a Venezia, nel 1934. Le damigelle coinvolte devono essere ben vestite, disposte a tutto, o quasi, e tacere sempre. Dopo il primo successo, declinato nelle prevedibili lussuose suite del Danieli, con tutte le possibili combinazioni offerte dall’equipe, composta da giovani beltà con i nomi di un canovaccio del varietà o di un romanzo di Liala (Lory, Genny, Feby), la collaborazione si consolida. Anche lei, maitresse di questo erotico circo, è esposta a ogni attacco, e le ci vuole il suo amico a strapparla dalla foga del pilota personale di Hitler e da quella dei gerarchi locali, accorsi con i calzoni calati ai prevedibili festini al Grand Hotel.
Fedora si reca a Palazzo Venezia con un abito a fiori e i riccioli di ordinanza tanto in voga a quel tempo. Il suo amico-amante-magnaccia, dal nome in codice di Carmelo, le ha detto di non mettersi le mutande. Il padre della patria la sbatte sul mappamondo e verifica la mercanzia, ma dice che non ha tempo, hélas, perché deve risolvere un inghippo diplomatico. La signora soprattutto è attenta al “birolo” o “ceppo” che dir si voglia, ne descrive con precisione tecnica pregi e limiti, e per lei Mussolini è uno “con due palle così” (perché, assicura, ha provveduto a toccargliele nel corso dell’incontro)”.

La concatenazione degli eventi è evidente: Fedora si dedica a un casting lunghissimo. Le “signore” e “signorine” che si offrono devono venire tanto dal generone che dall’aristocrazia, solitamente hanno una mansione di copertura nella Moda o anche nel Cinema: tutte hanno bisogno di soldi o vogliono tentare l’avventura.
L’inaugurazione del bordello avviene il 23 marzo 1935: tutto il Fascismo al gran completo si precipita per passare “qualche ora serena”. Da quel momento e fino al crollo del Regime Palazzo Venezia ebbe la gestione diretta di un bordello di alto bordo, dalle altissime tariffe (maggiori di quelle di case rinomate come Madama Saffo a Firenze, il Suprema di Genova o dei più raffinati “Collegi” delle tose di via dei Fiori Chiari e Fiori Scuri a Milano). Il costo era di lire 500 per una prestazione semplice. Lire 1000 per un trattenimento prolungato, lire 1300 fino a mezzanotte, lire 2000 per la nottata dalla mezzanotte in poi. Una fortuna: basti pensare che la consumazione della “marchetta” semplice corrispondeva a due lire nei bordelli più popolari.

Scrive Scarlini: “Diana, Kitty, Leda, Elly, Bettina, fior fiore del “puttanesimo romano”, facevano del loro meglio. Le camere da letto diventavano luoghi di confessione e di raccolta di informazioni: bodyguards littori e spie cominciarono in breve a comprendere che madama Fedora era una persona importante nell’organigramma fascista. Facendo il conto delle erezioni, delle performance, della vigoria, pronosticava il destino di potere di gerarchi e autorità romane o straniere.

Di lì a breve, infatti, la villa sull’Appia divenne abituale “tabarino” per generali spagnoli a caccia di denari, ambasciatori rumeni e uomini d’affari portoghesi alla ricerca di buone occasioni. Mentre Ettore Muti e Alessandro Pavolini facevano di tutto per essere ricordati come stalloni da Gran premio, Mussolini arrivava per sveltine tra la dichiarazione della guerra etiopica e la consacrazione dell’Impero.
Le ragazze di Fedora colgono frammenti di storie più grandi di loro e la furba maitresse tiene un quaderno di tutto, a futura memoria.


Hermann Göring e HeinrichHimmler con AdolfHitler

Una vera e propria sequenza di fotogrammi della tirannia vista nei suoi doppi fondi. Fino all’apice e alla conclusione della saga: una festa per Hermann Göring, ciccione travestito, con parrucca, che malgrado tutto faccia pensare diversamente, possiede gagliardamente varie signorine, in mezzo a una ronda di SS e gerarchi festanti.

Non esistono controprove alle dichiarazioni della signora scatenata, ma senz’altro il nesso dittatura-bordello è di quelli che restano di più nell’immaginazione”. Tanto che nel 2008 lo scrittore di gialli Marco Vichi ha pubblicato presso Piemme un racconto intitolato Puttana dove immagina che una ragazza, Simonetta, al fine di vendicare il fratello Spartaco impiccato a Bologna nel 1922 dalle Camicie nere, si faccia assumere nel famoso bordello per uccidere Benito Mussolini. Naturalmente non ci riuscirà: sarà invece lei ad essere stuprata e uccisa da Ettore Muti e il suo cadavere gettato in mare.


Conclude Scarlini: “I trionfi baracconi delle adunate di letto da Fedora lasciano in breve tempo spazio alla preparazione della guerra e al disastro. Lo sfascio, a quel punto, è anche quello di corpi segnati dalla deboscia e dagli eccessi. Mussolini, le ultime volte che si presenta alla casa, è ormai un vecchio acciaccato, che ha però bisogno di mantenere alta la sua reputazione di infaticabile guerriero d’amore. Pavolini, nella sua trasformazione in “tigre”, nel bordello si sfoga del suo rancore, dopo il ritorno dalla Germania. Reclama a gran voce la morte del “traditore numero uno” Galeazzo Ciano.
Il destino delle ragazze di Fedora fu invece vario. Molte trovarono in queste attività la via a una carriera mondana fiorente, ma non per tutte furono rose e fiori. La turnazione era fittissima, se una “non funzionava” in un mese si ritrovava in una casa di minor prestigio. Le signorine dovevano stare molto attente: un qualsiasi passo falso si pagava caro. Una che non voleva lavar via il seme del Duce per restarne incinta venne arrestata e un’altra che dichiarava di attendere un figlio da Hitler morì per un tentato aborto (in realtà venne assassinata) e così via, in questo fastoso quanto disperato demi-monde.
Fedora, malgrado le richieste, rifiutò saggiamente di trasferirsi a Salò (sul sito leggi qui) e restò a Roma, in attesa degli eventi, congedò le ragazze che dovettero sostentarsi in altro modo, ma disse loro di stare pronte per il prossimo cambio di regime. Infatti quando arrivarono gli Alleati aveva già pronte nuove e vecchie girls, di provata fede alleata, per gli angloamericani e per alcuni politici italiani di recente fama, che avevano voglia di cimentarsi.

Il bordello del Regime si trasformò così in un istituto di piacere repubblicano in cui si pagava in am-lire”.
Fedora però morì prima di poter pubblicare le memorie dedicate a questo periodo.

 

Informazioni bibliografiche
Fedora Sandelli, Osvaldo Pagani – L’orgasmo del regime; Volume 32 della serie Fatti e misfattiSugarCo, 1976; 188 pagine

***

Un po’ di storia minima: fatti, non opinioni (Cfr. Commento di Sandro Russo)

Sulla donna – come ha scritto Silverio Lamonica in Commenti – “Angelo del focolare” (…oppure quell’altra cosa).
La medaglia d’onore per le madri di famiglie numerose fu istituita in Italia con la legge n. 917 promulgata da Vittorio Emanuele III il 22 maggio 1939.
Era destinata alle madri di famiglie numerose ed andava portata sul lato sinistro del petto, in occasione di tutte le feste nazionali, solennità civili e pubbliche funzioni.

Le fu attribuito il nomignolo di “medaglia della coniglia” ed ha un aspetto decisamente più dimesso rispetto alla corrispondente Croce d’onore per le madri tedesche, che era stata istituita in Germania nel 1938 (con relativo attestato.

La medaglia d’onore e l’attestato venivano concesse, a spese dello stato, alle madri di famiglie costituite da almeno sette figli viventi oppure caduti in guerra o per la causa nazionale, riconosciute dal presidente di ogni sezione provinciale dell’Unione fascista famiglie numerose, il quale rilasciava l’attestato (vedi sotto).

Con l’art. 3 della legge n. 332 del 23 febbraio 1943 il numero dei figli fu ridotto a sei per le vedove di guerra e, in conseguenza delle Leggi razziali fasciste, furono escluse le madri di “razza ebraica”.
La ricompensa era di 5 lire a figlio e un’agevolazione a 15 lire a figlio se veniva chiamato con nomi patriottici come Benito, Italo, Vittorio Emanuele, Amedeo, Maria, Italia, Umberto, Ermanno, Arnaldo.

Sul prospetto delle tessere degli aderenti vi era una frase di Benito Mussolini “Hanno diritto all’Impero i popoli fecondi, quelli che hanno l’orgoglio e la volontà di propagare la loro razza”.

[Informazioni, dettagli delle leggi e foto, da Wikipedia. Immagini nell’articolo di base]

 

Commento mio 
A cosa dovevano servivano tutti quei figli – all’Italia e alla Germania – lo ha poi dimostrato anche troppo crudamente la storia” (…e sono ancora fatti, non opinioni!).

Nel film più volte citato Una giornata particolare di Ettore Scola (1977) Antonietta (Sophia Loren) dice con orgoglio a Gabriele (Marcello Mastroianni) che lei è una madre di famiglia, ha sei figli e ci stanno provando (con quel bel tomo del marito) a fare il settimo, per avere il diritto alla “medaglia d’onore”.

 

4 Comments

4 Comments

  1. Sandro Vitiello

    12 Luglio 2020 at 12:37

    Il buon de Andrè avrebbe sicuramente commentato così:
    “E’ mai possibile o porco di un cane
    che le avventure in codesto reame
    debban risolversi tutte con grandi puttane?

    Anche sul prezzo c’è poi da ridire
    ben mi ricordo che pria di partire
    v’eran tariffe inferiori alle tremila lire”

  2. silverio lamonica1

    12 Luglio 2020 at 14:35

    La concezione della donna, ai tempi del fascismo, era la seguente: ” La donna è l’angelo del focolare, oppure è il trastullo del guerriero”.

  3. Sandro Russo

    12 Luglio 2020 at 17:02

    Un po’ di storia minima: fatti, non opinioni.
    Sulla donna – come ha scritto Silverio Lamonica in Commenti – “Angelo del focolare” (…oppure quell’altra cosa)
    “La medaglia d’onore per le madri di famiglie numerose” fu istituita in Italia con la legge n. 917 promulgata da Vittorio Emanuele III il 22 maggio 1939.
    Era destinata alle madri di famiglie numerose ed andava portata sul lato sinistro del petto, in occasione di tutte le feste nazionali, solennità civili e pubbliche funzioni.
    Le fu attribuito il nomignolo di “medaglia della coniglia” ed ha un aspetto decisamente più dimesso rispetto alla corrispondente Croce d’onore per le madri tedesche, che era stata istituita in Germania nel 1938 (con relativo attestato).
    La medaglia d’onore e l’attestato venivano concesse, a spese dello stato, alle madri di famiglie costituite da almeno sette figli viventi oppure caduti in guerra o per la causa nazionale, riconosciute dal presidente di ogni sezione provinciale dell’Unione fascista famiglie numerose, il quale rilasciava l’attestato.
    Con l’art. 3 della legge n. 332 del 23 febbraio 1943 il numero dei figli fu ridotto a sei per le vedove di guerra e, in conseguenza delle Leggi razziali fasciste(1938), furono escluse le madri di “razza ebraica”.
    La ricompensa era di 5 lire a figlio e un’agevolazione a 15 lire a figlio se veniva chiamato con nomi patriottici come Benito, Italo, Vittorio Emanuele, Amedeo, Maria, Italia, Umberto, Ermanno, Arnaldo.
    Sul prospetto delle tessere degli aderenti vi era una frase di Benito Mussolini “Hanno diritto all’Impero i popoli fecondi, quelli che hanno l’orgoglio e la volontà di propagare la loro razza”.
    [Informazioni e dettagli delle leggi, da Wikipedia. Immagini e link nell’articolo di base]

    Commento mio
    A cosa dovevano servire tutti quei figli – all’Italia e alla Germania – lo ha poi dimostrato anche troppo crudamente la storia (…e sono ancora fatti, non opinioni!).
    Nel film più volte citato “Una giornata particolare” di Ettore Scola (1977) Antonietta (Sophia Loren) dice con orgoglio a Gabriele (Marcello Mastroianni) che lei è una madre di famiglia, ha sei figli e ci stanno provando (con quel bel tomo del marito) a fare il settimo, per avere il diritto alla “medaglia d’onore”.

  4. Rosanna Conte

    12 Luglio 2020 at 18:13

    La visione fascista della donna è stata abbastanza studiata. Victoria de Grazia, agli inizi degli anni novanta, pubblicò Le donne nel regime fascista, un bellissimo lavoro di ampio respiro che ripercorre il rapporto della figura femminile e la sua costruzione nell’immaginario collettivo attraverso la nascita, l’evoluzione e l’affermazione dell’ideologia fascista.
    Al di là della forte dicotomia fra la donna prostituta e l’angelo del focolare, a cui le donne guardarono come modello anche con l’appoggio della Chiesa – da sempre incline a considerare le debolezze del sesso forte come lievi mancanze e i conseguenti comportamenti delle donne di facili costumi dei gravissimi peccati – la propaganda fascista si appropriò del corpo femminile in maniera totalizzante, dettando anche modelli diversificati a seconda dell’età della donna.
    Le ragazze dovevano curare il loro corpo, fortificarlo in modo da diventare, dopo il matrimonio, delle potenti fattrici di figli, coloro che avrebbero costituito la futura leva di un esercito forte e potente. Quindi era giusto fare sport da giovani, ma da sposate non ci dovevano pensare più.
    Anche la cultura poteva essere coltivata dalle giovani, ma le donne non avrebbero potuto esercitare mestieri importanti e formativi. Ad esempio, fra gli stessi insegnanti di liceo, per le donne non era semplice insegnare Storia e Filosofia. Quindi le donne erano destinate a declinarsi secondo le esigenze del maschio, da cui dipendevano dalla nascita alla morte: luogo di sfogo della mascolinità italiana o madre amorosa che soffre in silenzio. Ovviamente c’erano le debite eccezioni, specie tra le donne altolocate.
    La continuità del fascismo in epoca repubblicana non riguardò solo la mancata epurazione delle persone che avevano coperto ruoli di rilievo prima e dopo, ma anche la mentalità, i comportamenti e le leggi. Il delitto d’onore, per dire, è sparito dal nostro codice solo nel 1981.
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