Ambiente e Natura

Le traversate (1). Caletta – Sant’Antonio

di Silverio Guarino

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Era abitualmente di lunedì che la nostra combriccola di amici (Franco, Sandro, Luisa, Fausto, Mimmo e io) decideva di essere un po’ stufa della monotonia della Caletta e decideva di darsi alle “traversate”.
La più gettonata era la traversata “Caletta-Sant’Antonio” (spiaggia, ovviamente).

Il lunedì era la giornata che meglio si prestava alla traversata, perché non arrivavano piroscafi nella mattinata, e neanche nella serata, o forse arrivava solo il “postale” la sera, magari dopo aver fatto il giro di Ventotene.
Da Anzio veniva il traghetto nei giorni “pari” della settimana (martedì, giovedì, sabato) ed anche la domenica. Ma il lunedì no.
Da Terracina e dal Circeo non esistevano collegamenti. Insomma si poteva nuotare nelle acque del porto con una certa tranquillità.

Usciti dalla scogliera, senza pinne né sussidi ausiliari, sempre rigorosamente in gruppo, talvolta anche aiutati da qualche materassino gonfiabile in gomma, si partiva alla volta della spiaggia di Sant’Antonio.

Pian pianino, senza eccessi, controllando con urla e braccia alzate le eventuali rotte di collisione di barche a remi o a motore che uscivano dal porto, ci si avvicinava alla mèta.
Si poteva anche passare vicino alle casse di legno delle pescherie che contenevano le aragoste vive in attesa di essere vendute, ma senza troppo dare nell’occhio, perché la nostra presenza lì vicino era sempre malvista dai proprietari delle pescherie.

Nel percorso ci si poteva imbattere in qualche avanzo di cocomero galleggiante e anche in altri elementi che galleggiavano nell’acqua del porto per la dismissione a cielo aperto delle deiezioni delle fogne.
Nessuno si scandalizzava, anzi, era motivo di frizzi e risate e sfottò.

La nostra più grande  trasgressione era poi quella (per noi maschietti, ovviamente, ma solo per i più audaci e sfrontati) di salutare le barche che incontravamo sul nostro cammino agitando i nostri costumi che ci eravamo prima tolti sott’acqua e che rapidamente sott’acqua rimettevamo.

La mèta veniva raggiunta in mezz’ora circa ed una volta giunti nel “summariello” di Sant’Antonio si procedeva alla successiva operazione correlata alla traversata: la ricerca delle vongole nella sabbia. Erano vongole di grande taglia (7-10 centimetri), con conchiglia sottile e trasparente, grigio-azzurrognola a striature, sempre piene di sabbia. Dopo averne prese una certa quantità, si tornava alla Caletta. In genere non si riusciva a mangiarle, sia per la persistenza della sabbia che per il sapore decisamente di petrolio che le caratterizzava.
Ma tant’è: le prendevamo per rito pagano consolidato.

Riesco oggi ancora a stupirmi di come la nostra pelle resistesse alla persistenza in mare per circa due ore e come le dita delle nostre mani non manifestassero troppo la loro spugnatura come un baccalà.

Era intanto trascorsa una mattinata in acqua, il gruppo aveva dimostrato la sua forza marinara e la sua resistenza ed aveva cementato ancora di più una salda amicizia.

La punta Bianca prima delle banchine

 

 

1 Comment

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  1. Pasquale Scarpati

    13 Luglio 2020 at 06:35

    Per Silverio (Guarino) – ma non vuol essere in nessun modo un appunto – il lunedì NON c’era nulla: nessun vapore da nessuna parte. La prima nave che arrivava, d’inverno come d’estate, era il martedì da Napoli alle 17. D’estate si aggiungeva quella da Anzio.
    Bello il fatto che vi toglievate i costumi. Praticamente facevate gli…. scostumati! Io lo facevo in solitaria.
    Ciao un abbraccio, Pasquale

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