Ambiente e Natura

L’attesa del dì di festa

di Gabriella Nardacci

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Sì… sì, l’ho attesa la festa! Ho preparato di tutto: ingredienti e spezie per ogni pietanza e inviti per parenti lontani e vicini e per tutti gli amici.

Ho attraversato ogni spazio di casa per circa due ore al giorno e mi sono tenuta in allenamento per tutto il tempo aspettando che la lieta notizia risuonasse in tutte le case così, per il momento, avrei potuto chiamare, a gran voce, tutti i condomini e scendere nel cortile per cantare insieme l’ultima canzone e piangere, senza parlare, per la gioia.

Mi ha tenuto su la smania di organizzare un evento speciale e chissà perché, ho sempre creduto che fosse “domani”. Ho accarezzato i miei abiti nell’armadio quattro stagioni. Era primavera e avevo pensato che il vestito a fiori e le scarpe con un po’ di tacco sarebbe stato l’abbigliamento giusto per l’occasione. Si poteva organizzare già dalla mattina fino al tardo pomeriggio.

E’ trascorso marzo… e poi anche aprile. Ho visto arrivare le rondini su paesi e città totalmente vuote, sprofondate in un silenzio fantascientifico, e all’improvviso non abbiamo più cantato alla finestra. Era stato l’unico modo per urlarci il bisogno assoluto di cantare la vita, di raccontarci la giornata, prima che facesse buio.

Ma non è venuta mai meno la gioia dell’attesa per una festa. Ho cambiato la decisione dell’abito e delle scarpe. Ho pensato a qualcosa di più classico e scollato e ho cominciato a pensare al posto dove farla. Poteva andar bene sulla terrazza al mare. Da lì le stelle sembrano vicine e si sente il profumo del mare e il suo brontolare lento. Le candele profumate avrebbero tenuto lontane le zanzare e creato una certa atmosfera. La musica jazz e blues poteva essere il giusto sottofondo musicale.

Ho valutato anche il portico di una casa di campagna. Perché no? Lo scenario è spettacolare anche lì! I grilli, le lucciole intorno alla siepe e il buio oltre, l’arco di roselline selvatiche. L’altalena sull’albero del noce, il gatto sulla sedia spagliata davanti la porta della legnaia, le montagne nere intorno e la malinconia serale, propiziatoria per costruire segreti. Avrei potuto invitare Agostino che sa suonare la fisarmonica e l’armonica a bocca.

E poi, all’improvviso, mi son venuti in mente dei versi. “La donzelletta vien dalla campagna in sul calar del sole…” e fra tutti i pensieri scombinati di cui sopra, non ho fatto altro che pensar a quella lirica che tanto somigliava al mio stato d’animo quando mi accingevo ad organizzare il tutto per un giorno di festa.

Ho immaginato quella luna oltre i tetti, le prime timide ombre della sera, i ragazzi che tirano gli ultimi calci al pallone nella piazzetta, le mamme alla finestra, il contadino con la zappa che torna fischiando dalla campagna, ma nonostante la stanchezza è sereno perché sta pensando al giorno di festa che verrà. Allo stesso modo, doveva pensare mio padre, quando ritornava il sabato sera dal lavoro portandoci dalla città “ i maritozzi con la panna” da mangiare a colazione la domenica mattina.

Questo periodo di ‘nebbia’ continua imperturbabile e si spinge oltre, tra contraddizioni di esperti e scienziati, tra i farneticamenti politici e le ideologie perse, tra dubbi e certezze… mentre il tempo continua a galoppare facendoci… perdere tempo e facendo quel che si può fare, per far passare questo maledetto tempo.

Certo è che la visione pessimistica di Giacomo (lo chiamo affettuosamente così perché tra una passeggiata e l’altra in casa, l’ho conosciuto a fondo…) non mi appartiene del tutto. Non mi ritrovo ancora nella vecchierella seduta sulle scale a filare e a ricordare il tempo in cui anch’ella si ornava i capelli e il seno di fiori e non voglio credere che la domenica delude le attese del sabato così come l’età adulta delude le attese della giovinezza. Non sono neanche una donzelletta e credo di essere in un’età matura in cui ho, senza dubbio, la consapevolezza del tempo che avanza che mi vedrà brutta e rugosa, ma son capace di godermi ciò che sta rimanendo della mia vitalità.
Mi rifiuto di pensare a un futuro, perché so che non potrà che andare peggio e dal momento che ciò mi disturberebbe assai, preferisco occuparmi di sogni.
Voglio usare a tal proposito un ossimoro che Giacomo usa in questa lirica (credo sia l’unico) e che è “lieto rumore”. Sì, la mia età è un “lieto rumore”.

Tutto questo pensare scrivendo, non mi ha però distolta dal pensare al dì di festa. Ancora “la squilla” deve dare quel “segno della festa che viene”… Forse dovrò pensare a un abito per l’autunno e cambiare location. Bene, così… se non altro, ho ancora da pensare a questo lieto evento!
– “Gaudeamus igitur!” – dice il famoso inno goliardico dell’Universiade.

Io, affettuosamente, così come Giacomo ‘consiglia’ in questa lirica, prendo in prestito gli ultimi versi di “Il sabato del villaggio” dedicandoveli:

“…Garzoncello scherzoso,
cotesta età fiorita
è come un giorno d’allegrezza pieno,
giorno chiaro, sereno,
che precorre alla festa di tua vita.
Godi, fanciullo mio; ma la tua festa
Ch’anco tardi a venir non ti sia grave”.

 

 

 

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