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L’intellettuale e…

di Francesco De Luca
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Molte volte compare la qualifica di ‘intellettuale’. Con disprezzo invidioso degli ignoranti, dei praticoni, di quelli che s’approcciano ai problemi senza la decenza di una stracciata conoscenza, per cui tutto è riferito al becero interesse ‘di pancia’. Per loro l’intellettuale  “sta ’ncopp’a luna”, non dentro le logiche delle parti… perciò abbaia alle stelle… mentre i fatti (gli affari) si compiono.

Si parla di ignoranza e pertanto questo giudizio ingloba  quasi tutti coloro che pensano all’economia come motore della storia. Gli intrallazzatori, i sapientoni a tanto al chilo.
I politici da parte loro invece non mancano di basi dottrinarie ma sono asserviti all’ accomodamento, alla spartizione consociata. E anche per loro l’intellettuale è un vanesio, un esaltato e perciò inconcludente.

Di politici in verità a Ponza non se ne incontrano. Piuttosto ci si imbatte in gente che si inventa politico. Quelli si’, tanti. Alcuni boriosi, altri imbranati, altri attenti, ma nessuno che abbia nella mente e nel cuore l’interesse comune. Soltanto. Sempre accompagnato con un altro interesse: quello partitico, quello della propria consorteria, quello personale. Più interessi insieme, e perciò con un occhio all’isola e uno allo specchio di mare, con un occhio alla contrada e uno al benessere generale, con un occhio alla propria ambizione e uno agli affari generali.

L’intellettuale è ritenuto moralista perché tiene d’occhio alla coerenza fra il dire e il fare, e perciò tenuto lontano; è ritenuto fantasioso perché vuole ragionare di futuro, e perciò inadatto a districarsi fra le incombenze pratiche dell’oggi; è inavvicinabile perché non cambia pelle con le stagioni amministrative, e perciò inaffidabile.

C’è un criterio consolidato per distinguere l’intellettuale: la solitudine, o meglio, l’apparente solitudine. Giacché’ non frequenta crocchi, non le cene d’affari, non le amicizie interessate. L’intellettuale sta da solo. “Nella sua torre d’avorio’, si dice, sbertucciandolo. No, non è una torre perché è fatta di parere storici, di letture, di compagnie letterarie. E’ carta straccia, non pietra basaltica. E non è elitaria perché le sue riflessioni le desume dalla gente che incontra sulle banchine, nell’attesa per entrare al Conad.

L’intellettuale trova i compagni nelle condizioni sociali e non nell’opportunismo di dare ragione a tutti. Questo sì, è causato dalla mancanza di coerenza, dall’incapacità di ammettere che ci si è sbagliati, di guardare alla realtà con occhi nuovi. E già… questa è la scommessa intellettuale di questo tempo pandemico. La realtà isolana va ripensata. Come? Un interrogativo (per non infierire), uno solo per tutti: come rendere l’isola, la sua vivibilità e la sua sostenibilità economica più vicine ai dettami ecologici?

È una domanda? No, non è soltanto una domanda, piuttosto un programma di vita. È un modo di affrontare la realtà in modo intelligente e adeguato alla realtà che ci sommergerà a breve.

Chi può rispondere a questa sfida? Tutti, tutti noi, ognuno col suo contributo di conoscenza e di esperienza. 
A che vale se no essere intellettuale?