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Le “amache” di Serra

di Tano Pirrone

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Ultim’ora. La collaborazione italo-francese fa passi avanti: Naz & Tanuz scriveranno insieme, o meglio in modo coordinato, di Michele Serra. Al momento ancora non sappiamo se è una buona notizia, una così e così… o del tutto irrilevante.
S. R.

Dopo tanto parlare dell’incerto futuro de la Repubblica, non potevano non entrare un po’ più nel dettaglio nel contributo fornito per decenni da Michele Serra con le sue “amache”.
Diciamo subito che sono sempre state molto resistenti, perché in poche righe contenute in un piccolo riquadro, sono riuscite a sostenere considerazioni di carattere filosofico estremamente pesanti. Vediamo qualche esempio.

Ecco cosa disse sul peso dell’anti-cultura nell’agosto del 2009.

Una delle ragioni del trionfo dell’anti-cultura è dare sfogo, e apparente rimedio, al patente complesso di inferiorità della piccolo borghesia reazionaria (classe
egemone, classe di governo), che odia gli intellettuali e i professori e vede nella cultura un rilevante discrimine sociale, tutto a suo danno. Il disegno è ormai compiuto, con la partecipe complicità di molti e nel pigro silenzio di moltissimi. Ne restano fuori, per fortuna a milioni, quegli italiani (anche di destra) che avvertono il puzzo di una idiozia massificata, di un’ignoranza premiata e di una docilità al potere mai vista, fin qui, in democrazia.

Le accuse sono pesanti, ma la conclusione è inaspettatamente positiva. Ed è spesso con questo tipo di contrasti che le parole di Serra sono riuscite a conquistare il lettore.

Sul fallimento della politica, a dicembre del 2009, Serra fu in realtà molto più critico. Si chiese infatti: Come mai il Pci, per decenni, ebbe un peso elettorale così
soverchiante rispetto al Psi (le proporzioni erano inverse rispetto a tutto il resto d’Europa) e milioni di elettori italiani (tra i quali il sottoscritto) che in Inghilterra avrebbero votato laburista, in Germania socialdemocratico, in Francia e Spagna
socialista, qui in Italia mai e poi mai avrebbero votato per il Garofano, e preferirono restarsene congelati dentro la sterile anomalia comunista piuttosto che mescolarsi con la arrembante pattuglia di governo e sottogoverno che si radunò all’ombra di Craxi?
E conclude affermando che: In questi giorni si è parlato molto di potere, di congiure, di palazzi, di trame, pochissimo dei sentimenti, delle idee, della dignità di milioni di italiani che volevano una sinistra moderna e non la trovavano nel Pci, volevano una sinistra dignitosa e morale e non la trovavano nel Psi. L’idea che la politica sia solo lotta per il potere è una delle eredità nefaste degli anni di Craxi.

Anche a proposito del dominio dell’economia finanziaria, Serra, nel novembre 2011, fu molto più severo:

“L’economia, soprattutto l’economia finanziaria, è diventata un’entità così smisurata che governarla è poco più di una scommessa. Non so se riusciremo mai a metterla sotto controllo”

Parole di un amico su cui rifletto. Sono più o meno i pensieri – e le angosce – che quando ero ragazzo si formulavano a proposito della bomba atomica e delle reazioni a catena. Qualcosa che l’uomo aveva concepito ed evocato, e ora minacciava di
sopraffarlo, come nella storia, archetipica, dell’apprendista stregone. La soluzione tecnocratica (governo Monti) rinverdisce la speranza che esista un margine di intervento e di controllo. Ma a tre anni dal tonfo del 2008, quando tutti dissero “bisogna cambiare la regole” e nulla venne cambiato, la sensazione di essere in balia di processi che sovrastano non solo l’uomo della strada, ma anche i Palazzi di ogni ordine e grado, è sempre più forte. E non è piacevole.

Il 2011 si concluse con una ironica ma molto critica accusa contro il peso delle reti sociali.

Corre voce che a quattordici anni, adesso, bevono, fumano e fanno sesso. Ma “Porci con le ali” è stato scritto trentacinque anni fa, “Les enfants terribles” di Cocteau è del 1929……
Non c’è ragazzina o ragazzino che non si sia affacciato su qualche vertiginoso baratro: il mestiere di crescere è anche il mestiere di sbagliare.
La differenza sostanziale, adesso, è che ogni esperienza si moltiplica all’infinito in rete. Ciò che prima era iniziazione individuale o di piccoli gruppi, passaparola da banco di scuola, confidenza di un pomeriggio tra amici, oggi è un’esibizione seriale, un mini-show in mondovisione. Non sono cambiati i protagonisti, è cambiato il pubblico. Prima il pubblico era l’amico, il complice dei bagordi, l’altra metà del flirt, ora si cerca (assurdamente, se mi è concesso dirlo) la complicità del mondo. Questo fa sembrare immane ed efferato il piccolo spettacolo di ognuno di noi. Ma un piccolo spettacolo replicato un miliardo di volte non smette di essere piccolo.

Sull’incredibile leggerezza della democrazia, un’amaca del marzo del 2013, Serra torna a sorprendere con un finale ottimista.

Facciamo benissimo a chiamare dittatori i dittatori, a diffidare delle adunate oceaniche, a dire che la libertà di pensiero e di critica non è mai abbastanza. Ma spesso ci tocca prendere atto che la democrazia è in lusso che si impara a scuola (chi ci va) o in famiglia (chi ne ha una di liberi pensatori). La democrazia non accende lo spirito come le rivoluzioni, non è innervata di sangue e passione come il Culto del Capo. La democrazia è gentile ed è mediocre, e fa del limite il suo vero dogma: non per caso, nessun leader democratico è mai stato imbalsamato dopo la sua morte. A pensarci bene, però, anche la democrazia ha fatto un miracolo: è riuscita ad esistere, e
considerando come funziona la psicologia di massa, non era affatto scontato.

Con un’accusa che lo coinvolge e coinvolge tutti noi, si chiude infine un’amaca dell’ottobre 2014 sull’importanza della memoria.

Le immagini del rifugio antiaereo scoperto a Torino sotto l’asfalto di una piazza sono, a colpo d’occhio, remotissime. La patina nera del tempo le apparenta a reperti archeologici, tombe, loculi disseppelliti dopo secoli o millenni. Eppure in quelle catacombe correvano a rifugiarsi, al suono delle sirene, molti che sono ancora vivi: i nostri nonni allora giovani, i nostri genitori bambini o ragazzi. Sopra di loro i botti delle bombe, le case che cadevano, il lamento dei feriti, il silenzio dei morti, la guerra, la fame, la paura.
Cercate quelle immagini, guardatele e se siete di cattivo umore considerate a quali prove non i sumeri o gli achei, non i mori o i crociati, ma i nostri padri e madri sono stati sottoposti (e altri popoli ad altre latitudini ancora oggi, proprio adesso). La memoria dovrebbe servirci anche a questo, a misurare la fortuna di essere vissuti in tempo di pace e in Europa. All’età in cui mio padre era prigioniero in Africa, a pulire i treni per conto degli inglesi e grazie a Mussolini, io andavo all’Università, ascoltavo i Beatles e facevo all’amore. Colpa vera e grave di noi occidentali benestanti è non essere riusciti a spiegare ai figli in quali tempi beati, beatissimi ci tocca vivere, noi e loro. In quei rifugi si devono portare i ragazzi delle scuole, che vedano e capiscano. Che sorridano alla loro fortuna.

Sono passati non pochi anni da queste considerazioni, eppure è come se fossero state scritte ieri. E continueranno, sotto certi aspetti malauguratamente, ad essere valide ancora per gli anni a venire. Teniamone conto.

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