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In tema di epidemie… Il velo dipinto, il libro, i film

di Patrizia Montani

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…ricorditi di me, che son la Pia,
Siena mi fe’, disfecemi Maremma
[Dante, Purgatorio, Canto V]

 

Il libro
Il velo dipinto (scritto tra il 1924 e il 1925) fu ispirato a W. Somerset Maugham dai pochi versi che Dante, nel canto V del Purgatorio, dedica a Pia De’ Tolomei. Durante un suo lungo soggiorno a Firenze W. Somerset Maugham lesse la Divina Commedia e fu colpito dal personaggio di Pia De’ Tolomei, al quale continuò a pensare per anni. Fu durante un viaggio in Cina che i vari elementi si ricomposero nella mente dello scrittore: la storia del XIII secolo si poteva rendere attuale (negli anni ’20, per Maugham), sostituendo la Cina alla Maremma e il colera alla malaria.
Al riguardo, Maugham scrive nella prefazione:
“Ersilia mi disse che Pia era una gentildonna senese; il marito, sospettandola di adulterio e non osando metterla a morte per timore dei familiari, la portò in un suo castello in Maremma nella speranza che i mefitici vapori del luogo provvedessero alla bisogna; ma poiché ella tardava a morire si spazientì e la fece gettare dalla finestra.” (p. 11, della nuova edizione Adelphi)

La storia inizia in Inghilterra negli anni venti, quando Kitty, giovane borghese, viziata e superficiale, decide di sposare, senza amarlo, Walter Fane, insignificante medico batteriologo.
Dopo le nozze la coppia si trasferisce a Shangai ed incontra, tra gli altri inglesi di stanza in Cina, l’affascinante console Charles Townsend. Kitty se ne innamora ed ha con lui una infuocata relazione.
Quando Walter lo scopre, amareggiato e deluso, propone alla moglie due possibilità: immediato divorzio e matrimonio con Charles, oppure partire insieme per un piccolo paese all’interno della Cina, dove Walter andrebbe volontariamente a fare ricerche e a curare il colera, probabilmente a prezzo della vita di entrambi. Charles non accetta di divorziare per risposarsi con Kitty, come Walter aveva previsto, mostrando di essere uno squallido opportunista che ama solo se stesso; alla donna non resta che partire.

Il racconto, in terza persona ma in forma di monologo interiore, ci fa sentire i pensieri, le emozioni, le paure della protagonista.

Isolati dal mondo, a contatto tutto il giorno col dolore, la morte, la paura, pian piano i due si riavvicinano. Walter, sempre distaccato e apparentemente indifferente, Kitty, sempre più attenta a scoprire la persona che ha accanto: un medico apprezzato per le sue ricerche e per la sua abnegazione nella lotta contro il colera, un uomo che l’ha profondamente amata.
In poche settimane Kitty non è più la ragazza spensierata e superficiale di un tempo. Tuttavia non prova nessuna attrazione per Walter, e quando lui sta per morire, vittima della stessa malattia che era andato a curare, gli chiede perdono e, solo per pietà, gli sussurra la parola “amore”. Troppo tardi.

Durante il viaggio di rientro in patria, Kitty incontra di nuovo Charles e, malgrado lo disprezzi, finisce ancora una volta fra le sue braccia; probabilmente è sua la bambina che Kitty ha in grembo.
Poco dopo suo padre, avvocato di poco successo, è nominato presidente della Corte Suprema in una piccola colonia britannica dei Caraibi e lei lo convince ad accompagnarlo, decisa a crescere la sua bambina lontana dalle ipocrisie e dagli errori che sente di aver commesso.


Greta Garbo, dal film del 1934. Sulla copertina dell’edizione Adelphi (2006, 9ª ediz.)

Quel che Kitty capisce e che a Walter resta oscuro, è che nella storia e nella vita non possono esserci vincitori né vinti, che l’unico avversario da comprendere e imparare a conoscere è invece la vita stessa, come suggerisce la poesia di Shelley da cui il romanzo prende il titolo:

“Non sollevare quel velo dipinto, quel che i viventi
chiamano Vita: per quanto forme irreali vi sian ritratte
e tutto quello che vorremmo credere
vi sia imitato a colori capricciosamente,
dietro stanno in agguato Paura e Speranza,
Destini gemelli, che tessono l’ombre in eterno
sopra l’abisso cieco e desolato […]”

Sollevare il velo dipinto, incontrare la vera sofferenza, affrontarla e rinascere è invece l’unico modo per vivere una vita che ha un senso, sembra raccontare la storia di Kitty. E non c’è modo migliore per lasciare un segno nel mondo che una vita bella.
[Loreta Minutilli, da Il rifugio dell’Ircocervo [1]”]

Pia de ‘Tolomei”, dipinto realizzato intorno al 1868 dal pittore e poeta britannico, tra i fondatori del movimento artistico dei Preraffaelliti, Dante Gabriel Rossetti (ora allo lo Spencer Museum of Art, Lawrence, Kansas). Il dipinto è stato modellato sulla figura di Jane Burden, musa e amante del pittore

Pia De’ Tolomei
Nel V canto del Purgatorio compare Pia, una delle tante figure femminili della Commedia; si presenta con gentilezza, senza alcun rancore nei confronti del proprio assassino, facendo al Poeta un’unica richiesta: essere da lui ricordata quando sarà tornato tra i vivi. In pochi versi e pochissime parole, Pia racconta la sua vicenda: nata a Siena e morta in Maremma, come ben sa colui che la sposò, donandole un anello.
Un atroce fatto di cronaca del quale, presumiamo, si parlava molto ai tempi di Dante; Sapia de’ Tolomei maritata a Nello Pannocchieschi della Pietra e da lui uccisa o fatta uccidere.
Secondo alcuni l’uomo avrebbe accusato Pia di tradimento; secondo altri voleva liberarsi di lei per sposare Margherita Aldobrandeschi (come poi fece). Probabilmente mandò Pia nel proprio castello in Maremma, sperando che si ammalasse di malaria e poi la uccise precipitandola  dalla torre.

“Deh, quando tu sarai tornato al mondo,
e riposato della lunga via
– seguitò ’l terzo spirito al secondo –
“ricorditi di me che son la Pia;
Siena mi fe’, disfecemi Maremma:
salsi colui che ’nnanellata pria
disposando m’avea con la sua gemma”

                                         [Dante, Purgatorio. Canto V]

I film
La figura di Pia De’ Tolomei ha fortemente attratto l’immaginario di scrittori e cineasti. Tra le trasposizioni dei romanzo di Maugham e i film precipuamente dedicati a Pia, ne ho contati ben sei.
Dal libro di Maugham, sono stati tratti tre film; tutti hanno tradito la sostanza del romanzo.
– The Painted Veil, 1934 di R. Boleslawsky, con Greta Garbo, fu praticamente cucito addosso alla Divina, al culmine della sua carriera. Algida, misteriosa, androgina, la Garbo in questo film incarna l’eroina. Dopo aver tradito il marito si riscatta, dedicandosi a sua volta alla cura dei malati di colera. Che volete? È Greta Garbo!
– Nel 1957 Ronald Neame, gira Il settimo peccato (The Seventh Sin), con Eleanor Parker e Jean Pierre Aumont. Anche qui la moglie adultera si redime, ricostruendo l’armonia familiare, e come potrebbe essere altrimenti, dati i tempi?.
– Il più recente è il film Il velo Dipinto (The Painted Veil), uscito nel 2007, per la regia di John Curran, con Edward Norton e Naomi Watts protagonisti e Liev Schreiber e Toby Jones, rispettivamente l’amante di Kitty ed il doganiere, un personaggio minore.
In quest’ultimo film, Kitty, non solo impara a conoscere veramente Walter ma, se ne innamora mentre lui, ovviamente, non ha mai smesso di amarla.
Ispirati a Pia De Tolomei
– Pia de’ Tolomei, del 1910, regia di Gerolamo Lo Savio 1910, con Francesca Bertini
– Pia de’ Tolomei, Italia 1941; regia di Esodo Pratelli. Dialoghi di P.M. Rosso di San Secondo con Germana Paolieri, Carlo Tamberlani, Nino Crisman. “Il conte Nello della Pietra, tornando da una battaglia, vede nella penombra sua moglie abbracciata ad un uomo; convinto da Ghino di Tacco (*) che si tratti dell’amante (si trattava invece del fratello), rinchiude Pia in un castello e la abbandona. Tutta colpa di Ghino, innamorato di Pia e da lei sempre respinto. Girato nella fortezza di Montalcino.
Dal Mereghetti (Dizionario dei film 2019): “Mediocre melodramma storico, scontato, enfatico e ridicolo”.
– Pia de’ Tolomei, regia di Sergio Grieco del 1958; con Ilaria Occhini, Pia; Arnoldo Foà, Il conte Nello; Jaques Sernas, Ghino di Tacco.


Nota
(*) – Chi ricorda chi si firmava Ghino di Tacco? Una carogna, questo personaggio – nella vita faceva il brigante – che, essendo innamorato di Pia ed essendo stato respinto, la fa incolpare di tradimento.
Craxi lo scelse come pseudonimo per i suoi articoli sul giornale l’Avanti!, adottando sarcasticamente l’epiteto con il quale il direttore de La Repubblica Eugenio Scalfari aveva spregiativamente accostato la sua «rendita di posizione» nel quadro politico italiano, a quella del celebre bandito medievale che dalla rocca di Radicofani taglieggiava i viandanti.