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L’isola che abbiamo dimenticato: la Galite (11)

di Biagio Vitiello

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per la decima puntata (leggi qui [1])

dal libro L’ile de la Galite di Achille Vitiello

Nel 1948 la prima scuola viene abbandonata. Gli Uffici della Marina Nazionale, sopra ‘u Scoglie ‘i Pasche ( lo scoglio di Pasqua n. d. t.) vengono trasformati in scuola. Per tre anni vi presta servizio come maestro, Monsieur Colombieur. Costui cura anche un programma di radio-vacanze con Tabarka. Nel 1949 arriva Monsieur Andoloro, il quale costruisce una fabbrica di inscatolamento di aragoste, accanto al ristorante di Ernest. Opera per due o tre stagioni, durante le quali vanno a lavorarci molte donne di La Galita, ma non funziona bene. Dopo ospita un piccolo negozio di generi alimentari fino all’indipendenza [della Tunisia]. Dopo la fine della guerra vi sono ben due negozi di alimentari: uno gestito da un tunisino, Monsieur Hassan, un vecchio fanalista originario di Tabarka che aveva sposato una galitese, Angela Mazzella, figlia di Camillo Mazzella, ( ‘u zu Mamile ) e l’altro tenuto da Daniele D’Arco ( Bazar ) e Concetta. Questi ultimi hanno anche un gregge di pecore e delle mucche. Con il latte dei loro animali, producono una specie di formaggio sardo, molto apprezzato e di tanto in tanto uccidono un animale, immediatamente prima di venderlo.

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Galitesi che prestano servizio militare

Nel 1950 una Compagnia Marittima di Bona, in Algeria, viene sull’isola con la missione di costruire una nuova scuola, proprio al centro del villaggio. La Compagnia rifà anche la chiesa e si accinge a costruire un porto ed una torre sugli scogli delle Sorelle a dodici miglia a sud-ovest di La Galita. È una zona molto pericolosa per la navigazione, malgrado il  [funzionamento del] faro di Galiton. La Compagnia deve costruire pure un molo per ospitare almeno un bastimento. In effetti un grosso mezzo da sbarco, lungo circa cento metri, silurato durante la guerra presso le coste della Tunisia, fu rimorchiato ed ancorato dietro il settore ovest della rada. Questa imbarcazione, con la parte anteriore verso terra e [disposta] in direzione Nord – Sud, funge da molo del porto.

Molti uomini di La Galita mettono in disarmo le loro barche da pesca, per lavorare nel cantiere fino al 1956. Alla fine del protettorato, la Compagnia ritorna in Algeria e lascia incompiuti il porto e la Torre delle Sorelle. A dimora sugli scogli, viene collocata una piattaforma rotonda di circa quattro metri di diametro, un metro fuori dall’acqua.

L’organizzazione del tempo e dei compiti

Nella stagione della pesca, tutti gli uomini vanno in mare per guadagnare qualcosa con cui comprare ciò che non si produce sull’isola: il petrolio per l’illuminazione e per cucinare sui fornelli (primus), gli indumenti, per integrare la farina e la pasta che non vengono prodotti più in quantità sufficiente, dopo la seconda guerra mondiale, come pure l’olio d’oliva. Trascorrono il tempo che rimane lavorando la terra per sopravvivere. Ci si avvale dell’aiuto della vanga per la semina. Vengono potati gli alberi e le vigne. Tutto il legno viene conservato gelosamente per cucinare e per scaldare i forni per il pane. Il legno della macchia [mediterranea] viene tagliato e immagazzinato intorno alle case, per il periodo della pesca. Anche la caccia, naturalmente fuori dal tempo libero, si pratica soprattutto per fornirsi di carne. Naturalmente tutti hanno un fucile. Si caccia, com’è ovvio, la selvaggina di passo quando si presenta l’occasione. Le date di apertura e di chiusura della caccia, non hanno corso sull’isola. In pratica, i gendarmi in servizio lo capiscono e si adattano alla nostra vita. Anche perché coloro che vorrebbero far rispettare la legge, mangiano pasta tutti i giorni! In effetti, gli abitanti di La Galite non hanno mai fatto ricorso ai gendarmi, per regolare i loro piccoli problemi.

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Mietitori con la famiglia di mio nonno

La mietitura viene fatta interamente dalle donne, dagli anziani e dai bambini. Il grano viene tagliato con la falce, i fasci di spighe ed i legumi secchi continuano a seccare sui tetti delle case e nelle caldissime giornate di luglio, vengono battuti coi flagelli. Si attendono le giornate con un po’ di vento da Sud-Est per setacciarli minuziosamente, metterli nei sacchi e depositarli nelle grotte. In estate, le donne preparano le conserve di pomodoro indispensabili e mettono a seccare i fichi.
La vendemmia è, nello stesso tempo, un periodo di gran lavoro e di festa. Occorre una gran quantità d’acqua per pulire le botti e i tini, in cui viene depositata l’uva che sarà successivamente pigiata coi piedi, messa a fermentare, spremuta e messa nelle botti.
Ricordo che mio nonno e mia madre trasportavano secchi d’acqua, soprattutto in piena notte, perché la fonte gliene dava di più…. Lo stesso per la mietitura, sono sempre le donne, gli anziani e i bambini che svolgono gran parte del lavoro; gli uomini danno una mano dopo mezzogiorno, al ritorno dalla pesca. L’uva viene tagliata e messa in grandi cesti muniti di manici. Sono i ragazzini che li trasportano, a dorso d’asino, dal campo alla cantina, col divieto di montare sull’asino al ritorno! I ragazzini fanno la vendemmia presso varie famiglie, in cambio di un buon pasto alla fine; in genere gnocchi e un galletto.

Habib Bourguiba

Nel 1950, verso la fine del protettorato, credo che il Bey fosse pronto a riottenere la carica, ma nasce un movimento indipendentista con a capo un avvocato: Monsieur Habib Bourguiba. Un bel giorno, nel 1952, costui viene messo in soggiorno obbligato a La Galita. Lo si vide sbarcare scortato dalla Marina Nazionale, accompagnato da cinque gendarmi ed un medico. Si sistema in una delle due camere dell’infermeria, quella destinata agli ammalati che devono essere sorvegliati dall’infermiere – tra parentesi, non s’è mai verificato alcun caso del genere per i galitesi. La camera è arredata con semplicità: un letto, un armadio, un tavolo e una sedia, come l’altra, quella a sinistra che è l’infermeria propriamente detta, dove c’è un lettino per le visite e dei farmaci.

Fino alla sua partenza, nel 1954, Habib Bourguiba ha il diritto di andare avanti e indietro come crede e non se ne priva affatto! Tanto che un gendarme lo segue ad una cinquantina di metri. Attraversa la Galita in tutti i sensi e a tutte le ore della giornata, con un passo deciso, sempre con un bastoncino in mano. Indossa una gandoura bianca ed un fez in testa. A pranzo e a cena si reca da Ernest, l’unico bar ristorante con la rivendita di tabacco. Ernest D’Arco lo ha ereditato da sua zia, Madame Clement; nel contempo egli è l’infermiere dell’isola.

Mounsieur Bourguiba diventa molto amico dei galitesi; una di loro gli fa le pulizie domestiche e gli lava la biancheria. Quando le barche rientrano dalla pesca, dà spesso una mano per tirarle a secco e infine, dopo mezzogiorno, spesso gioca a bocce coi pescatori. Tutte le sere, al tramonto, si reca a recitare le preghiere sul molo del porto in costruzione. La Marina Nazionale viene regolarmente ad ancorarsi con a bordo un dentista ed i rifornimenti che gli inviano i tunisini. Spesso vengono a trovarlo sua moglie e suo figlio: è l’unica volta in cui sull’isola c’è un medico fisso. A Capodanno, chiede alla maestra di ricevere gli alunni delle scuole; ci andiamo e ciascuno di noi riceve un sacchetto contenente un arancio, un mandarino e dei datteri.

Quanto al masso [roccioso] di Bourguiba c’è una leggenda …
Nel 1954 in Francia, Mendès-France diventa Presidente del Consiglio (l’equivalente del Primo Ministro nella IV Repubblica). Quando la radio l’annuncia, Monsieur Bouguiba si appoggia coi gomiti al banco del bar di Ernest e saltellando grida:
– Ho vinto! Sono libero! Abbiamo l’indipendenza!

Effettivamente, la settimana dopo arriva una nave che raccoglie Monsieur Bourguiba e la sua scorta.

 

[L’ile de la Galite (undicesima puntata) – continua]