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Parlando di virus, Sepulveda e felicità

di Enzo Di Giovanni
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Ci sono momenti della storia in cui le cose non sono più come “dovrebbero” essere.
Perché, in effetti, le “cose”, sono quelle che sono, ma solo in certi momenti della storia accadono “cose” che sconvolgono i paradigmi a cui siamo stati educati, e ce le fanno vedere per ciò che sono davvero. E’ come succede con quelle bolle di vetro un po’ vintage che si trovano ancora in certi negozi di souvenir: le agiti, le metti sottosopra, e quello che sembrava un paesaggio fermo si anima di milioni di fiocchi di “neve” che fino ad un attimo prima non vedevi.
E’ stato detto che viviamo giorni di vita sospesa.
Non è proprio esatto. Abbiamo questa percezione perché sono stati sconvolti tutti i parametri di riferimento a cui eravamo abituati. E’ la Storia che è sospesa. Una manina dispettosa si è divertita ad agitare la bolla in cui siamo immersi e fino a quando le particelle non torneranno a sedimentarsi nulla sarà più come prima.
In realtà è un momento rivoluzionario. Il virus è rivoluzionario.
Questa pandemia ci sta insegnando alcune cose. Cose che in teoria dovevamo sapere, ma che faceva comodo far finta di non sapere. Che, ad esempio, il pianeta in cui viviamo è un organismo unico, che ha delle regole ben chiare. Che queste regole si basano su un equilibrio che può sembrare precario, ma non lo è.
La parolina magica per sintetizzare il tutto è biodiversità. Che significa una cosa semplice: c’è posto per tutti in questo mondo, a patto che ognuno, uomo compreso, sappia stare al suo posto. Non è un limite, ma al contrario una forma di arricchimento. Solo conoscendo e valorizzando il proprio spazio, nella conoscenza e nel rispetto dello spazio di tutte le altre forme di vita, pipistrelli compresi, impariamo a ri-conoscere il nostro mondo ed il senso della vita.
Per troppi anni, da intere generazioni, ci siamo imbevuti di un’unica verità: che il profitto è tutto.
Che bisogna crescere senza limiti.
Che il PIL è tutto, costi quello che costi.
Questa “verità” si nutre di due grosse menzogne. La prima è che le risorse della terra siano infinite: non è vero. La Terra ha una sua ciclicità. Lo sapevano bene i nostri vecchi, che utilizzavano tutto, riciclando ogni cosa fino alla sua fine naturale, senza sprechi, senza creare isole di plastica, senza distruggere ecosistemi altrui.
La seconda “verità” è che il profitto crea solo all’inizio diseguaglianze sociali, ma poi genera benessere generalizzato: non è vero. Crea “bisogni” indotti, che danno l’illusione di partecipare alla mensa dei ricchi, ma ottenendo poi disoccupazione crescente, miseria, carestia. La globalizzazione illude di avvicinare il mondo, in realtà allontana le classi sociali e le etnie. Potersi mangiare dappertutto lo stesso panino imbottito non è democratico: serve solo a distruggere saperi, e a creare nuovi poveri.
Questo virus, dicevamo, a suo modo è rivoluzionario, perché ci consente a mettere in discussione la “verità” di questo mostro che da almeno settanta anni governa il mondo, un mostro chiamato neoliberismo.
Rivoluzionario, il virus, ma purtroppo anche stronzo.
Uno strano, crudele scherzo del destino, che Luis Sepulveda ci abbia lasciati proprio nei giorni del Coronavirus, ed a causa del Coronavirus.

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Non si può scrivere un “coccodrillo” su Sepulveda, sarebbe irrispettoso: per questo ho aspettato qualche giorno prima di lasciare queste riflessioni, evitando di scrivere a caldo sull’onda delle emozioni.
Sepulveda appartiene a quella rara, ristretta cerchia di militanti universali, di chi ha vissuto una vita senza confini, in esilio perpetuo. Una condanna, ma anche una ricchezza, vivere oltre “la frontiera scomparsa”, titolo di un suo saggio.
Ci mancherà soprattutto oggi, in questo tempo in cui la sua testimonianza sarebbe stata preziosa, perché a buon diritto Luis Sepulveda era un costruttore di realtà:
“Le iniziative che rivendicano la dignità, il buon vivere, il buon governo, l’ambiente, sono una minoranza. Il messaggio dovrebbe però diventare universale: la vita è breve, e c’è un diritto fondamentale che è il diritto alla felicità. Che non è il diritto a diventare ricchi, a soverchiare gli altri. Parliamo di un’altra felicità, di soddisfazioni piccole che però valgono molto.”
Si trova spesso la parola felicità negli scritti e nei discorsi di Sepulveda, a cominciare da “Un’idea di felicità”, saggio scritto a 4 mani con Carlo Petrini, il fondatore di Slowfood.
Da giovane era stato guardia del corpo di Salvator Allende, il quale amava ripetere “che l’obiettivo è allungare l’aspettativa di vita dei cileni, che allora era molto bassa, ma soprattutto vivere in una condizione che è lo stato naturale dell’uomo, e che si chiama felicità”.
Al giovane Sepulveda, cresciuto all’ombra della rivoluzione gentile cilena del ’71, Allende raccontava che nel 1934… “nelle Asturie, per la prima volta diverse forme del pensiero di sinistra riuscirono a raggiungere un accordo per lavorare insieme: c’erano i comunisti, i socialisti, gli anarchici. E fecero la rivoluzione operaia del 1934, con protagonisti i minatori del carbone, i pescatori, gente che lavorava nei cantieri navali, contadini, insegnanti. E l’articolo 1 del documento su cui si basava l’esistenza di questa Repúbblica socialista asturiana diceva: «Il fine naturale dell’uomo è la felicità»”.
La storia ci racconta che questa rivoluzione fu soffocata nel sangue dal dittatore fascista Francisco Franco.
Il diritto alla felicità è il messaggio-base di persone che hanno posto l’utopia al potere, e per questa grave colpa sono stati perseguitati dal potere stesso.
Perché la felicità è un sentimento universale, pericoloso perché sfugge alle regole rigide di chi vuole dominare il mondo e l’economia. L’ex presidente dell’Uruguay, José “Pepe” Mujica, espiò il suo peccato con 12 anni da sepolto vivo, con l’obiettivo dichiarato di distruggerne persino la dignità, ed il diritto di morire. Sepulveda con un esilio costante, come tante altre migliaia di cileni, argentini, uruguaiani.

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“Una notte di 12 anni” (La Noche de 12 Años) – La storia vera dei tre leader dei Tupamaros, José Mujica, Eleuterio Fernández Huidobro e lo scrittore Mauricio Rosencof che la dittatura militare in Uruguay confinò in celle di isolamento per 12 anni.
Leggi qui: All’anteprima del film “Una notte di 12 anni” [4], di Sandro Russo e Álvaro Brechner: prigioni e libertà [5], di Lorenza Del Tosto.

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Pepe Mujica, il presidente povero, autore di un libro che si intitola, guarda caso, “La felicità al potere”:
“Per cambiare la società, o per cercare di migliorarla, l’unica via possibile è di cercare di costruire una forza politica collettiva: gli uomini da soli possono essere anche buoni battitori liberi, ma non è questo il modo in cui si scrive la storia. La storia si può modificare almeno in parte, se si creano organismi collettivi che possono moltiplicare la forza dei singoli. Non ci sono uomini della Provvidenza che regalano il progresso a tutti gli altri”.

L’alternativa al “neoliberismo” esiste, si chiama “economia circolare”.
Non è in questo scritto che ne parleremo.
Mi limito a dire che essa si fonda su due parametri: la capacità di essere “distributiva”, cioè di distribuire in maniera più equa i proventi della produzione in maniera da garantire a tutti una qualità della vita accettabile; e di essere “rigenerativa”, cioè di ripristinare il corretto ciclo della natura attraverso produzioni che non siano “usa e getta”.

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Proprio di questi giorni è la notizia che Amsterdam, quando la pandemia sarà finita, diventerà il primo comune al mondo a sperimentare un innovativo modello di crescita economica chiamato “modello ciambella”, che è un modo figurato per definire lo spazio entro cui includere i due parametri di cui sopra.
A Ponza l’economia circolare ha funzionato per secoli.
Pensiamoci, adesso che la neve continua a girare vorticosamente nella sfera di vetro, prima che si sedimenti di nuovo: di sicuro a Luis l’idea sarebbe piaciuta, come sarebbe piaciuta la nostra isola, piena com’è di gatti e gabbiani.

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Immagine di copertina (e qui sopra): di Silveria Aroma