Ambiente e Natura

Oggi è Pasquetta. Facciamo il punto (1)

di Tano Pirrone

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Oggi è pasquetta. Siamo andati, mia moglie ed io, “fuori porta”. Sul pianerottolo non c’erano posti di blocco. Con accortezza degna della Pantera rosa, abbiamo controllato le scale… nessuno. Ed allora in punta di piedi siamo saliti in terrazza a dare il buongiorno alle nostre piante, di cui prima o poi, racconterò la storia.
Stanno bene. Ieri abbiamo dedicato loro tutta la mattina, finché il caldo sole ci ha ricacciato nel ventre ospitale della nostra balena bianca, in cui al meglio trascorriamo i tempi incerti dell’isolamento “sociale” (c’è anche un isolamento “asociale”?).
Finita è la pasquetta… odo augelli far festa. Sempre meno uccelli, nell’aere tranquillo e silente, battono ali. Ogni tanto gli impavidi piccioni vengono a bere nella capiente tinozza delle piante acquatiche: furtivamente prima, con decisione e con fretta poi, non fidandosi, è palese, degli uomini, che non avendo ali sono temibili ed anche in questo, nocivi, non solo per loro, ma anche per il popolo del cielo.
Finita è la pasquetta, e la balena bianca sembra sorriderci mentre apre la capiente bocca per farci entrare.
E i fanoni? – Dirà qualcuno, senza sorprenderci minimamente.
– Facciamo finta che non ci siano! – rispondo e mi riprometto di andare, più tardi, a controllare sul mio testo di riferimento, il già citato Brehm (leggi qui), che a qualcuno non è interessato, ma a tanti altri sì.

Ora però, volevo fare un excursus dei grandi temi che hanno per oggetto la Pandemia (per antonomasia).
Seguirò la traccia di alcuni articoli – informati ed equilibrati – apparsi sul numero 15 del 5 aprile scorso del settimanale L’Espresso.

Gli italiani sono chiusi in casa da oltre un mese, ed è probabile che per altre settimane il lockdown continuerà senza allentamenti. Al netto delle diverse ipotesi su quando arriverà il picco dell’epidemia, o delle tante curve previsionali sul giorno in cui il fattore “Ro” scenderà sotto il numero magico (cioè 1, quando un contagiato in media infetta meno di un’altra persona), nessuno sa davvero quando il coronavirus sarà sconfitto.
Come spiegano gli scienziati più attenti, datare oggi il nostro ritorno a una vita normale ha la stessa attendibilità di un oroscopo. Il nemico è infido, i focolai nascosti ancora tanti, gli asintomatici, untori a loro insaputa, pure (si calcola che in totale coloro i quali siano stati infettati siano dieci volte di più di quelli individuati). Troppi elementi sconosciuti per rilasciare predizione esatte. Navighiamo dunque ancora a vista, e la Pasqua è stata per tutti una festa domestica.
«No alle false speranze, ogni passo verso la riapertura dovrà essere fatto con estrema cautela», ripete l’infettivologo dell’Ospedale Sacco di Milano Massimo Galli. In modo da evitare una seconda ondata che – come avvenuto con la spagnola nell’estate del 1918 – sarebbe funesta. Sia per il sistema sanitario, sia per quello produttivo.
Detto questo, il governo sa che non è possibile mantenere il blocco totale delle attività per un tempo indefinito. Ne va della tenuta economica e sociale del paese, e di conseguenza di quella dell’ordine pubblico. Della resistenza stessa dello Stato democratico.
Abbiamo un nuovo termine, il 3 maggio. E, nel frattempo sono state concesse alcune aperture, come quella a cartolerie, librai e negozi per bambini. Alcune voci si sono levate contro l’apertura delle librerie e nelle pieghe nere della società, forse (?) qualcuno pensa ad un bel rogo, magari per il Corpus Domini, che, però, cadendo il 14 giugno, è troppo in là e non susciterebbe tutto l’interesse che il pensiero roghista si aspetta. Sceglieranno un’altra data? Il 10 maggio ricorre l’87° anniversario di quello dell’Opernplatz di Berlino, potrebbe essere un’occasione.

Se non sappiamo ancora quando, è dunque necessario pianificare già ora il ritorno a una vita quasi normale. Un programma che sia basato però su un assunto: come dicono gli scienziati fin dall’inizio dell’epidemia, l’Italia e il mondo conviveranno con il Covid-19 per un tempo lungo. Il pericolo di recrudescenze sarà elevato anche alla fine della fase epidemica più acuta.
Senza un vaccino o una cura specifica saremo sempre sotto schiaffo: per l’antidoto i più ottimisti parlano di 12-18 mesi, ma i pessimisti ricordano come per Ebola ci sono voluti ben cinque anni. Per la terapia farmacologica i tempi potrebbero essere più brevi, ma ad oggi non esistono certezze. È stata a tal fine costituita una task force al cui vertice è stato chiamato il noto manager Vittorio Colao.
Il gruppo di lavoro, che dialogherà con il comitato tecnico–scientifico, è composto da esperti dell’organizzazione del lavoro, manager, sociologi, psicologi. Il loro compito è quello di preparare la cosiddetta “Fase 2” dell’emergenza: quella della “convivenza con il virus”, che, prevedibilmente, confermandosi l’attuale trend che vede le varie curve dell’espansione del virus in Italia volgersi lentamente ma costantemente in discesa.
Dovremo inventarci nuovi modelli di vita nell’ambito delle relazioni private e soprattutto nell’ambito sociale e lavorativo. Dovremo individuare nuovi ed efficaci modelli organizzativi per le aziende e i luoghi di lavoro. È infatti in preparazione anche il protocollo per la sicurezza nei luoghi di lavoro. Le aziende, di conseguenza e in conformità si attrezzeranno per la graduale riapertura con regole e strumenti per garantire il rispetto del distanziamento tra i lavoratori.

Il governo sa che ogni mese di chiusura costa circa 60 miliardi di euro (fonte Fondo Monetario Internazionale, FMI). A Palazzo Chigi si discute dei settori produttivi più in affanno, delle aziende strategiche che non possono perdere altre quote sui mercati, di quali zone del Paese potranno essere liberate prima, e quali dopo. Alcuni osservatori, però, temono che la fretta possa essere cattiva consigliera. E che le istituzioni debbano prima concentrarsi su alcuni obiettivi preliminari. Passi fondamentali, senza i quali una riapertura, seppur parziale, sarebbe un azzardo. Mascherine sempre e per tutti gratis o a prezzo ragionevole, riconversioni industriali, moltiplicazione delle terapie intensive, strategia chiara sui tamponi, piano di controlli interni e alle frontiere, nuove norme sociali: senza un piano multisettoriale che funzioni davvero, sarà impossibile convivere col virus in sicurezza.

Il fabbisogno di materiale
Partiamo dalle mascherine, dai tamponi e dal materiale sanitario necessario a contrastare la diffusione del coronavirus. Le maschere – oggi fondamentali innanzitutto per medici, infermieri e malati – in caso di riapertura delle attività serviranno a tutti. Nei luoghi di lavoro, nei locali pubblici, e sui mezzi di trasporto diventeranno presto obbligatorie. In tempi di emergenza il fabbisogno è stimato in 90-100 milioni di pezzi al mese. Ma a fine lockdown il numero potrebbe triplicare. «Oggi i cittadini le usano al massimo per fare la spesa, e così ne fanno durare una più giorni», spiegano gli esperti della Protezione civile che si occupano del dossier. «Quando apriremo di nuovo uffici e aziende, ogni italiano ne userà molte di più». Dunque se si vuole allentare il blocco in sicurezza, i cittadini non solo dovranno continuare a rispettare il distanziamento sociale di almeno un metro, ma avranno bisogno di una disponibilità costante di 300 milioni di mascherine al mese. Un numero enorme. Per raggiungerlo l’Italia deve affiancare all’importazione massiccia dall’estero una potenziata produzione nazionale. Riconvertire le fabbriche in tempi rapidi, dunque, è mossa prioritaria.

Altri impedimenti arrivano dai blocchi alle dogane e dall’anarchia di mercati paralleli poco affidabili. Alla Protezione civile e negli uffici del commissario delegato Domenico Arcuri lo sanno, e corrono ai ripari. Ma a oggi la produzione interna è ancora insufficiente. «Venticinque aziende della filiera della moda producono 200 mila mascherine chirurgiche al giorno, che si spera di triplicare entro qualche settimana. Il settore dell’igiene personale potrebbe raddoppiare il numero» ha detto il capo di Invitalia. Anche fosse vero (un’inchiesta di Repubblica confuta quei numeri) è chiaro che per arrivare a 300 milioni di mascherine al mese serve uno sforzo suppletivo. Sono migliaia le aziende che si sono proposte di costruire dispositivi vari (tute, camici, guanti, visiere e gambali). Sfortunatamente molte non hanno le capacità necessarie, e altre hanno problemi ad ottenere autorizzazioni dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e dall’Inail, gli enti che devono garantire i requisiti vigenti a tutela della sicurezza di chi usa il prodotto. «Molti propongono di costruire mascherine “artigianali”, che non possono essere validate», spiega il presidente dell’Inail Franco Bettoni.

Qualche giorno fa il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana ha polemizzato duramente con l’Istituto Superiore di Sanità, che bloccherebbe imprese già pronte alla riconversione. Ma se da un lato le lungaggini della burocrazia esistono, è pur vero che lo Stato deve garantire (attraverso esami da effettuare in laboratori certificati) che i nuovi prodotti siano utili a bloccare il Covid-19.
Le lungaggini burocratiche vanno combattute, ma per la fretta potremmo far nascere i gattini ciechi: l’epidemia riprenderebbe subito. «Bisogna stare attenti», commentano anche da Palazzo Chigi. Dove si sottolinea come alcune aziende abruzzesi, lombarde e siciliane, specializzate in pannolini e assorbenti, garantiranno presto un numero di dispositivi di protezione «davvero importante». Mascherine, però, non professionali, ma adatte solo alla massa che si appresta a ritornare in strada.
Altra speranza è la joint venture che si sta approntando con uno storico marchio di jeans che produce infatti in Tagikistan (dove controlla tutta la filiera, dalle piantagioni di cotone ai capi finiti) una mascherina di cotone impregnata di grafene (*), già a norma CE. È lavabile, e l’impresa sarebbe in grado di produrne fino a 1,5 milioni al giorno. Dunque 45 milioni al mese. «Ci stiamo organizzando con aerei dell’esercito in modo da evitare i blocchi dell’Uzbekistan, che ha chiuso le frontiere», confermano dagli uffici di Arcuri. I tecnici sono ottimisti, tanto da aver messo in contato l’azienda con il Cnr per provare a sostituire il bagno di grafene con un materiale a base di argento, 10 volte più economico e altrettanto efficace.

Nota
(*) – Il grafene è un materiale costituito da uno strato monoatomico di atomi di carbonio (avente cioè uno spessore equivalente alle dimensioni di un solo atomo). Ha la resistenza teorica del diamante e la flessibilità della plastica.

[Facciamo il punto (1) – Continua]

 

1 Comment

1 Comment

  1. Liliana Madeo

    15 Aprile 2020 at 17:18

    E’ un bellissimo, utilissimo aggiornamento! Leggi, leggi per noi, Tano. E ricordaci le cose di valore che rischiano di perdersi fra fake news e cicalecci inutili.
    Grazie. In attesa delle puntate successive.

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