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Venerdì Santo al tempo del coronavirus

di Francesco De Luca

[1].

Ponza vive una quiete irreale. Questo periodo primaverile un tempo indaffaratissimo per i preparativi estivi oggi è silente, bloccato.
Nel porto le barche fremono perché vorrebbero prendere il mare e ingravidarsi di pesci ché, ora, col tempo favorevole, sono più alla portata delle reti, delle nasse, degli ami.
Allo stesso modo gli animi dei fedeli sono concitati per la cerimonia religiosa in cui la crocifissione di Gesù, il suo feretro mortuario, pianto dalla mamma Addolorata, trova l’apoteosi. Ma oggi nulla si rappresenterà visibilmente della Passione, e i sentimenti di pietà religiosa non troveranno sfogo.
E allora, in onta all’inibizione che il Covid-19 fa patire, farò una cronaca immaginaria. Siate magnanimi, lettori, e consentitemi il tono.

[2]

La mattinata del Venerdì Santo si consumava nei preparativi. Anzi in un ozio di macerazione interiore.
A casa mamma teneva in disprezzo la cucina. Papà, a modo suo, praticava il digiuno assoluto ( ie songo dell’otteciento, mecco a prora ‘nfacci’u viento ). Trovava in questa norma ferrea della Chiesa una sua personale grandezza. La pratica medievale era stata cassata dalla Dottrina romana ma papà si onorava di perseguirla per un suo personale valore. Per noi mamma preparava una minestrina vegetale. Niente che dovesse occuparla più di tanto e, soprattutto, niente di cui gioire.

Una cappa di tristezza impregnava l’aria dell’intero paese. Anche la radio, lo ricordo con emozione, inviava pezzi di musica classica. Nulla era da trascurare affinché l’afflizione dominasse gli animi.
In chiesa, don Luigi, il parroco, dirigeva i preparativi per la processione di Gesù Morto, con l’incontro con la Madonna Addolorata.

[3]
Le finestre del tempio erano oscurate, oscurate pure le nicchie dei santi, gli altari nudati, le campane legate e, al loro posto, il suono gracido della trocciola (un pezzo di legno con dei ferri semoventi e battenti su piastre di ferro ).
Una sciagura stava per avvolgerci tutti:

Perdono, mio Dio,
mio Dio, perdono
perdono, mio Dio,
perdono e pietà.

Tutti a dichiarare il proprio dolore dietro quel feretro, e le candele tendevano a rendere funereo il tramonto che, al contrario, come impone aprile, era rosso di fuoco.
Rosso come il sangue che don Luigi indulgeva a guardare su quel corpo martoriato. Lui, sul balcone della casa Pacifico sulla Punta Bianca, infuocava gli animi della attonita folla dei fedeli, colpevoli del martirio. In quel supplizio era tutta la cattiveria del mondo.
Al culmine della lacerazione psichica compariva la Madonna. Un incontro di sofferenza straziante.

[4]
Per le sempre più avvilite anime dei fedeli un barlume di sollievo. Il dolore colpevole, perché inflitto dagli uomini, poteva trovare sollievo nell’espiazione. Si poteva ambire la rinascita a patto di espiare i peccati attraverso un cammino di obbedienza ai precetti.

Perdono, mio Dio,
mio Dio, perdono,
perdono, mio Dio,
perdono e pietà.

E le fiamme crepitanti d’u fucarazzo alludevano in modo esplicito alla via da seguire per una resurrezione: passare attraverso le fiamme per emendarsi del vecchio e uscirne nuovi.
E’ l’ambizione degli ‘uomini di buona volontà’.

[5]

Dopo il coronavirus e, con la maturata consapevolezza indotta dalla pandemia, il rinnovamento potrà essere aspirato. Non più le esigenze dell’uomo al vertice della piramide consumistica, la nuova civiltà vedrà il ruolo dell’uomo nel suo essere coscienza del cosmo. Ma questa è l’apice cui giunge l’immaginazione di un ostinato umanista.
Che i lettori siano benigni!