Ambiente e Natura

L’isola che abbiamo dimenticato: la Galite (2)

di Biagio Vitiello

 

per la prima parte (leggi qui)

 

dal libro L’ile de la Galite di Achille Vitiello (seconda parte)

LA CROCE DI SANT’ANDREA

La pesca del corallo si pratica con la croce di Sant’Andrea. E’ una croce con quattro braccia di uguale lunghezza: due tronchi d’albero e una grande pietra per zavorra fanno il trucco. Lungo le braccia sono attaccati ciuffi di vecchie reti (i redzeniel). Questa croce viene inviata sul fondale roccioso, grazie alla destrezza del capo dei pescatori, le braccia (della pesante croce) rompono il corallo, che viene catturato dalle vecchie reti.

ANTONIO D’ARCO E SILVERIO MAZZELLA, I PIONIERI

Verso il 1855 il nome di Silverio Mazzella dal luogo di partenza viene scritto con due zeta, ma in seguito a un errore dello Stato Civile di La Calle viene trascritto con una sola zeta. Da allora tutti i Mazzella di La Galite scrivono il loro nome con una sola zeta.

Così Silverio Mazella esercita con passione la pesca del corallo. Gli piace molto Cal y Francia (Calais). Quando ritorna a Ponza si sposa con Marianna Conte, detta Marianna a ross, perché di certo quella era rossa (di capelli n. d. t.)  e, nel mese di maggio, si stabilì a La Calle. Silverio diventò capo-pesca e francese. Difatti non tornerà mai più a Ponza. Lui e Marianna a ross avranno otto figli che nasceranno tutti a La Calle e dintorni, quattro maschi e quattro femmine di nome: Vincent, Jacques, Emile, Jean, Maria, Celeste, Carmen e Liberine. Silver e il suo amico d’infanzia, Nicolas Vitiello, si ritroveranno più tardi…

 

Sempre nel 1855 a Ponza c’è un certo Antonio D’Arco, sposato ad un’Emilia di cui mi sfugge il cognome. E’ un uomo molto semplice e assai credente. Per lui tutto ciò che accade è dovuto a Dio o al demonio. Questo Antonio ha una sorella che è fidanzata. Ella si ammala gravemente con una forte febbre. Quando il fidanzato viene a vederla, la ragazza fa grandi sforzi per sorridere, parlare, sollevarsi. Quando il suo fidanzato va via, si corica e peggiora.  Antonio si mette in testa che il suo futuro cognato ha lanciato un incantesimo alla sua fidanzata (lui le ha fatto una fattura ). E lo fa sparire affinché sua sorella guarisse. Non dirò mai che lo ha ucciso, ma in effetti il fidanzato sparì e la sorella, purtroppo, morì poco dopo.  Allora Antonio D’Arco  va a trovare i capibarca corallari per partire verso le coste della Barberia; chiede loro se conoscono un luogo deserto per potersi stabilire. Nel mese di maggio s’imbarca con la famiglia per La Calle, dove trova lavoro come giardiniere. Ma quella vita non gli si addice troppo. C’è troppa gente e lui soffre di malaria. Però c’è un’isola che si trova al largo dove i corallari, ogni estate, raccolgono le fascine. Quindi eccolo che parte di nuovo con la famiglia e tutto il necessario per una permanenza stabile: strumenti per l’agricoltura, sementi, piante …

Quando sbarcano sull’isola, si dirigono verso la parte meno ripida, sul  lato destro della rada. A metà pendio c’è un canale con l’acqua che scorre (U Cavone ) e sopra si trovano una fonte importante e uno stagno con giunchi, circondato da anatre, polli, capre, buoi, tutti selvatici! Certamente questi animali sono lì da quando Sanson Napollon (diplomatico francese 1583 – 1633  n. d. t.) abitò a La Galite con le sue truppe, prima di riprendere il Bastione (1) dalle mani dei turchi.

(1) Bastion de France sulla costa algerina.

UN PO’ DI STORIA

Nel 1522 la Francia crea, in Algeria, un fondaco per la pesca e il commercio, chiamato il Bastione di Francia. Quest’enclave si trovava a qualche chilometro dalla frontiera tunisina. Si tratta di un piccolo rifugio protetto da una penisola. Su questa penisola la Francia costruì una fortilizio che ospitava una guarnigione. Vi si recarono pescatori e commercianti di Marsiglia, pescatori italiani e spagnoli. Intorno al 1620 il Bastione di Francia fu distrutto dai turchi al seguito del Bey d’Algeri. Il Governatore del Bastione, Thomas Lencis, fu ucciso. Verso il 1630 un corsaro, Sanson Napollon (Guidicelli il suo vero nome, un corso stabilitosi a Marsiglia) viene incaricato da Richelieu per riprendere il Bastione di Francia; ci riesce dopo qualche anno, avendo preso La Galite come campo base per le sue truppe e le navi. Fu ucciso più tardi ai piedi del forte genovese di Tabarica. I governatori che si succedettero al Bastione di Francia avevano il compito principale di ripopolarlo. Così tutte le famiglie cristiane che là volevano  stabilirsi, indipendentemente dalla loro nazionalità, furono sostenute finanziariamente per acquistare la barca,  la casa, il terreno e gli attrezzi per la pesca e l’agricoltura.

Antonio fa il giro dell’isola. Sopra la fonte, sulla sinistra, scava una grotta dove si stabilisce con i suoi familiari. Appena sotto, trova resti di ovili molto antichi. Questo si trova sulla destra della rada rivolta verso il mare (U scogli’ ‘i Pasche o lo Scoglio di Pasqua). È il posto più riparato della rada. È lì che i francesi e poi i tunisini, dopo la fine del protettorato, provarono a costruire un porto, ma ogni volta – non appena giungeva l’inverno al termine dei lavori – grandi tempeste provenienti da sud ovest, distruggevano tutto. Dunque, su questo luogo Antoine D’Arco trova le vestigia di colonne e le fondamenta d’una costruzione importante. Scopre ancora dei resti di costruzione sulla destra del villaggio attuale. Si tratta di vestigia risalenti ai Fenici e poi ai Romani. Ci sono inoltre dei resti di una fortificazione nella parte superiore di La Garde e le vestigia di un forno  per la calce sulla sinistra del pianoro.

In ogni modo, nei pressi del villaggio attuale, soprattutto ad est del villaggio, ci sono tombe fenicie e romane. A riprova che in un’epoca molto lontana la parte abitata dell’isola è crollata in seguito a un terremoto  e non è rimasto altro, all’infuori del cimitero. Le tombe fenicie sono scavate nella roccia in orizzontale. Ogni tomba contiene un solo morto. Lo scheletro è nel mezzo, su entrambi i lati c’è una grande anfora e, ai piedi, una lampada ad olio, delle conchiglie (gusci bivalvi ) e uno o due lacrimatoi. I pochi gioielli trovati sono in rame o vetro. La tomba è chiusa da una pietra piatta, sigillata a calce. In merito alle tombe romane, si tratta di pozzi cubici di circa due metri di lato e profondi due metri. In basso su ogni lato si trovano le tombe propriamente dette, con gli scheletri e le anfore, disposte allo stesso modo: presso i romani le anfore sono identiche, mentre presso i fenici sono diverse.

Dunque, tra il 1860 e il 1865 Antonio ed Emilia  si stabilirono coi loro figli  al di sopra di questa fonte, che è stata indicata sempre col nome di Emilia (A funtana ‘i Meliozza). I loro figli sono nati a Ponza tranne l’ultimo, nato a La Galite. Non so in che anno, ma sono: Vincenzo, Carmela, Giuseppe, Paolo, Margherita, Carmen e l’ultimo Antonio (Zzeppitte) . Per individuare la grotta bisogna finirci dentro! Una volta all’interno, Antonio e famiglia sono invisibili. Tutt’intorno Antonio ha piantato delle palette di Barberia per proteggersi dal vento. Le figlie dormono coi loro genitori ma, dal momento che ci sono un sacco di barili intorno all’isola, i ragazzi si sistemano sopra la grotta, ciascuno in un barile con un po’ di paglia. Di conseguenza hanno il loro “monolocale” che possono girare a piacimento, per ripararsi dal vento.

Antonio e i ragazzi cominciano a trarre utili; è un uomo di terra e sa scegliere le posizioni migliori (per coltivare n. d. t.) . Grazie all’arrivo regolare dei velieri, si fa portare tutto ciò di cui ha bisogno. Con qualche fucile d’epoca in suo possesso, può uccidere ciò di che  nutrire la sua famiglia, in attesa dei primi raccolti: capre, vacche, polli… ha di che scegliere. Finalmente ha trovato il suo paradiso!

Inoltre, poco tempo dopo il loro sbarco, vedono arrivare da Cap Serrat, il luogo della Tunisia più vicino, alcune feluche condotte dai barbareschi. Costoro sbarcano per una battuta di selvaggina che portano in una spiaggia ai piedi di La Garde (A Chiaia ‘i Muort o Spiaggia dei Morti). Poi li abbattono, li scuoiano, caricano la carne e, infine, alcuni giorni dopo ripartono. Antonio D’Arco si spaventa per quanto è accaduto, tanto più che qualche mese dopo i fatti si ripetono. Non appena i corallari ritornano nel mese di maggio, egli parte per Napoli a chiedere aiuto alle autorità italiane. Ma avendogli detto di andare a spasso, invoca l’aiuto del Bey di Tunisi il quale, infastidito nel vedere un’isola tunisina occupata da un italiano, manda le guardie a La Galite. La soluzione non conviene ad Antonio d’Arco, che allora chiede asilo, tanto più che  le guardie tunisine si fanno rispettare dai bucanieri. Questi ultimi, del resto, non sono persone cattive. Deve andare d’accordo anche con loro, perché i suoi figli imparano da loro a parlare e cantare in arabo. Le guardie dovettero stabilirsi sopra la spiaggia della Marina, dove successivamente, i galitesi tireranno a secco le loro barche.  Lì c’è un canale che si chiamerà “ Il Canale di Monsur” e, sulla destra, una fonte chiamata ‘Ncopp ‘i Turc, il luogo dei turchi. Le guardie vi resteranno, probabilmente, per una decina d’anni.

Due o tre anni dopo il suo insediamento, Antonio D’Arco fa dei raccolti eccezionali  di frutta, legumi e birra. Si è anche appropriato di tutti gli animali dell’isola. A inizio stagione, quando arrivano  i corallari  dal Bastione di Francia e da Torre del Greco, Antonio D’Arco vende loro legumi, frutta e carne, per cui guadagna un po’ di soldi. Cominciano a venire alcuni pescatori siciliani per fare la salatura dei pesci. Si stabiliscono un po’ fuorimano (Avann ‘a Rott , nei pressi della Grotta) . Poi arrivano dei pescatori d’aragoste  da Carloforte, Sardegna. Seguendo lo stesso principio dei corallari, alcuni velieri coi vivai incorporati nello scafo portano ciascuno cinque o sei barche di pescatori, che lasciano a La Galite. A sera, questi pescatori portano le aragoste catturate nelle nasse di giunchi e canne. Quando i velieri sono carichi a sufficienza, partono per vendere le belle prede a Napoli, Marsiglia oppure in Spagna. A settembre-ottobre tutti ripartono e Antonio D’Arco resta solo. Ma è ben lungi dall’essere infelice.  Lui e la sua famiglia, per cinque o sei anni, resteranno finalmente gli unici abitanti dell’isola!

[L’ile de la Galite (seconda parte) – continua]

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