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Il meglio dai media (7). Scenari futuri

Segnalato dalla Redazione (ripreso da Latina Oggi di ieri, 29 marzo)

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Il secondo tempo
di Massimo Pizzuti

L’analisi. Una di quelle partite in cui tutto sembra compromesso Ma ci sarà un intervallo. E altri quarantacinque minuti da giocare

Non ci saranno più posti di terapia intensiva con personale promiscuo al resto dell’ospedale. Ci saranno super mascherine, visiere e indumenti di massima protezione. Non ci saranno reparti di pronto soccorso dove si incontreranno persone influenzate e altri alle prese con fratture o problemi cardio-circolatori.
Ci saranno posti di blocco pronti a stoppare, in emergenza, le vie di accesso ad ogni città. Non ci saranno case di cura e di riposo per anziani senza appositi spazi per dividere ospiti e parenti durante i colloqui. Ci saranno applicazioni per tracciare gli spostamenti di tutti e bloccare le persone incontrate dal “positivo”. Non ci saranno feste, partite, concerti fino a quando l’ultimo contagio sarà ragionevolmente lontano dalla nostra civiltà.
Ci saranno soluzioni, forse non ancora medicinali dedicati, per contribuire a risolvere molte polmoniti oggi letali. Non ci saranno fughe di massa dalle città, treni super affollati, stazioni al limite del collasso. Ci saranno sistemi di prenotazione di treni e alberghi con dati personali e tessera sanitaria. Non ci sarà una filiera infinita di operazioni per tamponare, portare al laboratorio, ricevere le risposte. Ci saranno macchinari in grado di fare tutto questo in un unico posto. Non ci saranno esitazioni all’insorgere dei primi sintomi. Ci sarà, forse, qualche stupido medicinale capace di stroncare l’avversario nelle primissime fasi negandogli il pericoloso accesso ai polmoni.

Soltanto imparando dagli errori che abbiamo fatto il risultato cambierà
Non ci saranno operatori stremati in corsia da settimane, impossibilitati a tornare a casa da figli, mogli o mariti e vicini a genitori e nonni. Ci saranno operatori riuniti in unità specializzate che settimanalmente si avvicenderanno dormendo in appositi spazi iper-igienizzati premiati con tutte le indennità del caso. Sono le premesse di un secondo tempo che anche la partita contro il Coronavirus dovrà avere per forza. Ognuno provi a immaginare che tipo di partita sarebbe stata fino ad oggi se tutto fosse stato affrontato in questo modo. Ma la pandemia ha spiazzato tutti. Una terribile, maledetta catastrofe dove il mondo è stato costretto a inseguire, a lottare contro il patogeno invisibile minuto per minuto. E se il fiato è quello che viene subito a mancare alle vittime, spesso è sembrato mancare anche alla macchina dell’emergenza messa in piedi, faticosamente, da un Governo quanto mai debole affiancato da una comunità scientifica ancora oggi dubbiosa, poco rassicurante, indebolita da personalismi e divisioni, troppo presa dal presenzialismo. Troppo lontana dalla trincea.

Come finirà il primo tempo
Prima di cominciare a ipotizzare una rimonta vale la pena soffermarsi su tutte le debolezze venute fuori fino a questo punto. La Protezione Civile (una sigla, nulla di più, visto il depotenziamento che ha subìto negli ultimi anni) nulla ha potuto almeno fino a qualche giorno fa. Con il risultato che ancora nessuno sa di quante mascherine potranno disporre i nostri ospedali. Di quali e quanti munizioni avrà il nostro esercito di medici e infermieri per tentare di rimanere in partita. Ieri da Milano un operatore, chiedendo di mantenere l’anonimato, ci ha raccontato che ha rischiato il licenziamento per aver cambiato la mascherina dopo tre giorni. Solo il protrarsi delle misure di contenimento, dunque, allentando la pressione sugli ospedali, forse consentirà la fine di questo disgraziato primo tempo. Nel quale la maledetta conta dei morti poteva essere decisamente più bassa se l’avversario (il virus) non avesse avuto dalla sua parte la bomba biologica degli ospedali promiscui, delle case di cura, dei centri anziani. Se qualcuno avesse pensato a stoppare il carnevale. Se Atalanta-Valencia si fosse giocata a porte chiuse. Se i decreti firmati di notte non avessero scatenato il panico da ritorno a casa dal Nord verso il Sud. Ora l’obiettivo è contenere i danni. Facendosi male il meno possibile. Abbassare la curva entro aprile per giocarsi poi la partita decisiva nel secondo tempo.

Come ripartire
L’unico modello disponibile, ad oggi, è quello di Wuhan, dove dopo due mesi di isolamento totale, da qualche giorno si sta cercando di tornare alla normalità. Cerchiamo però di capire cosa potremmo mettere in campo quando inizierà la seconda e decisiva partita contro il virus.

Le regole di sicurezza ospedaliere
Medici, infermieri e tutto il personale a vario titolo impegnato nelle attività sanitarie dovranno essere protetti da dispositivi ultra professionali. Nessuna struttura sanitaria o ospedaliera dedicata al Covid 19, di cura odi riposo per gli anziani, potrà aprirsi a forme di promiscuità. Visite per i parenti in spazi appositamente previsti con tutte le protezioni del caso. Percorsi autonomie separati per Covid 19 e altre patologie. Unità operative Covid impiegate su turnazioni settimanali con tanto di alloggi per il riposo lontano da famiglia ed eventuali contagi.

Il tracciamento dei dati
Nei giorni scorsi il Governo, attraverso il Ministero per l’Innovazione Tecnologica, ha effettuato una call per ricevere proposte testate e certificate relative ad applicazioni digitali utili per il tracciamento, il monitoraggio e le operazioni di alert nel periodo di allentamento delle misure contenitive. Pare sia diventata opinione comune che, solo nel periodo dell’emergenza, possano essere fatti significativi passi indietro sul campo della privacy rispetto alla necessità di dotarsi di strumenti che consentano una ripresa graduale di tutte le attività produttive. Ancora non sono stati resi noti gli strumenti presentati ma in linea di massima, attraverso applicazioni da scaricare sugli smarthphone, ogni cittadino in caso di positività al Coronavirus sarà in grado di trasferire alle autorità il tracciato completo dei propri contatti negli ultimi quindici/venti giorni. Attraverso semplici comunicazioni immediate ed automatiche le autorità potranno disporre la messa in quarantena e i necessari controlli per tutta l’eventuale catena di contagio.

Il tampone espresso
Nella guerra che la comunità scientifica di tutto il mondo ha scatenato contro il nemico invisibile ci si sta muovendo su tre diversi profili: velocità della diagnosi, ricerca di medicinali per arginare lo tsunami che investe i diversi sistemi sanitari, sperimentazione di uno o più vaccini. L’aiuto che, ad ora, siamo certi potrà arrivare nel secondo tempo della nostra partita è quello relativo ai tamponi. Oggi dal momento dell’esame a quello della risposta passano diverse ore. Ma questo avviene solo attraverso pochi laboratori specializzati presenti in ogni regione. Nei giorni scorsi la Bosch ha presentato uno strumento in grado di elaborare la risposta in un’ora senza spostare l’esame in un laboratorio diverso. Un bel passo avanti. Ogni ospedale con una ventina di queste apparecchiature sarebbe in grado di effettuare 200 test al giorno. Il Vivalytic sarà disponibile da aprile in Germania e poi nel resto del mondo. Quasi contemporaneamente è giunta notizia dagli Stati Uniti dell’arrivo sul mercato di un tampone con risposta immediata (15 minuti). È piuttosto evidente dunque che da questo punto di vista, nel caso in cui la battaglia dovesse andare avanti, comincia a prefigurarsi uno scenario dove, in determinati momenti cruciali, ci sarebbe la possibilità di testare quotidianamente centinaia di migliaia di persone e sicuramente tutti quelli coinvolti, a rischio contagio, in prima linea.

I restringimenti automatici
È evidente che il virus non avrà in futuro tutto lo spazio di manovra che ha avuto fino ad oggi. Mettendo insieme lo scudo protettivo al personale sanitario, la completa separazione dei reparti Covid dagli altri, un congruo periodo senza concerti, manifestazioni sportive e di spettacolo, una rigida separazione degli spazi nei luoghi di lavoro, il tracciamento dei dati e l’estensione in sicurezza dei controlli tampone sulla popolazione (aree test nelle grandi aziende, nelle università?) si arriverebbe ad un secondo tempo dove il virus troverebbe un avversario senz’altro più ostico e determinato. Con un piano preordinato, per comuni e province, dove al primo allarme (numero dicasi superiore a un determinato numero) scatterebbero subito e in maniera preventiva misure di contenimento secondo piani condivisi con prefetture ed enti locali.

Sicurezza negli ospedali, più controlli e cure. Nessun virus ci troverà impreparati
Tutto questo senza considerare i primi passi fatti con i diversi protocolli di cura che vengono sperimentati in questi giorni in tutto il mondo. E al netto anche di una possibile (ma non certa) tregua legata alle temperature primaverili-estive in arrivo. Un secondo tempo il cui esito non potrebbe che essere diverso dal primo. Perché un conto è giocare la partita senza uno straccio di ventilatore pronto, un altro è giocarla in assetto di guerra. Con le pedine schierate e pronti ai punti giusti. E con un sistema di allarme che farebbe sentire ognuno di noi più sicuro.

Per fare tutto questo serve visione, serve strategia, serve un’unità dedicata al secondo tempo che pensi oggi a cosa fare domani, che non venga travolta dall’emergenza ma abbia a disposizione il tempo necessario per resettare. Resettare, riordinare le fila, patrimonializzare gli errori (troppi) commessi fino ad oggi.

[da Latina Oggi, di domenica 29 marzo 2020, pag. 19

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L’opinione di Domenico Starnone
da Internazionale – 27 marzo / 2 aprile 2020 pag. 14

Colpisce che, in questi giorni, “dopo” stia diventando più frequente di “adesso”.
La reclusione ha ridotto il qui e ora a una stanza, un po’ di strada dalla finestra, cento passi cauti fino al supermercato. L’unica vera forma di altruismo è proteggersi il più possibile dall’altro. Parenti, amici sono ormai voci-immagini che si manifestano sullo schermo di cellulari e pc per dire: siamo, sul momento, ancora sani. Il mondo è radio, telegiornali, bollettini della disfatta, della vittoria.
Ovvio, quindi, sognare il dopo. Ma anche sul dopo c’è parecchia confusione.
Ci sembrerà sufficiente tornare a prima del virus, con i felici pochi che posseggono tutto e i molti che stentano a sbarcare il lunario?
Ci piacerà un’Europa disunita che lascia sforare i deboli (a loro rischio e pericolo), solo quando urge che sforino i forti?
Torneremo globali, ci autarchizzeremo, ci iper-statalizzeremo, ci sovranizzeremo al seguito di un Putin europeizzante o altro uomo d’acciaio?
Scienziati, politici, economisti studieranno entusiasti il modo di costrizione asiatico e lo adatteranno alle nostre repubblichette presidenziali?
Metteremo fine all’americanizzazione e ci cinesizzeremo?
Lettere e arti rifioriranno sfornando innumerevoli “Io e il Covid-19”, “Elogio della clausura” eccetera?
O – sorpresa – ci adopereremo per rendere il mondo, al solito immondo, finalmente un pochino giocondo?

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