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Quella contro il Covid-19 è una guerra e dobbiamo muoverci di conseguenza. L’intervento di Mario Draghi

Proposto da Enzo Di Fazio

 

Conosciamo Mario Draghi soprattutto per essere stato Governatore della Banca d’Italia e presidente della BCE. In quest’ultimo ruolo abbiamo imparato ad apprezzarne le doti di competenza professionale e di autorevolezza riconosciutegli da tutti gli organismi europei e dalla maggior parte degli ambienti economico-finanziari internazionali, compresi quelli che non ne condividevano le scelte.
Uomo tecnico di poche parole, fedele al proprio ruolo, non si è mai lasciato andare a commenti o dichiarazioni che esulassero dal proprio ambito istituzionale.

Proprio per questi motivi diventa di notevole importanza l’analisi che ha fatto, affidandola qualche giorno fa alle pagine del Financial Times, della tragedia umana ed economica che, provocata dal Covid-19, sta sconvolgendo il mondo.
Non a caso la definisce di proporzioni bibliche.

Altra cosa importante è che le dichiarazioni arrivano, quasi come un monito, nel momento in cui in Europa, pur essendoci gli strumenti per intervenire, ancora si litiga per decidere dei provvedimenti da adottare.
Draghi non usa mezzi termini quando parla della necessità di fare massiccio ricorso al bilancio pubblico per sostenere il settore privato in difficoltà fino ad assorbirne se necessario, in tutto o in parte, i debiti che volutamente dovranno essere contratti per il riavvio delle attività.
E’ importante che la recessione, che sicuramente avremo quale conseguenza del forzato fermo economico, non si trasformi in depressione.
L’attuale situazione ha i caratteri dell’eccezionalità e dell’ emergenza proprie della guerra e, come in guerra, il ruolo dello Stato deve essere quello di proteggere l’economia del settore privato e i cittadini dagli shock di cui non sono responsabili.
Proteggerli ora, in questa particolare fase congiunturale, significa evitarne il fallimento domani con conseguenze sul bilancio pubblico (diminuzione delle entrate fiscali) e sull’apparato sociale (perdite di posti di lavoro) ben più gravi della spesa che si chiede di sostenere oggi.

L’editoriale di Draghi contiene molti passaggi che hanno a che fare con il disagio umano che sta attraversando tutti i popoli. Indica strumenti da adottare e strade da percorrere. Ogni parola ha peso e significato. Consiglio di leggerlo fino in fondo.

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Da ilfattoquotidiano.it del 26 marzo 2020 l’intervento integrale sul FT con traduzione a cura di Riccardo Antoniucci

La pandemia del Coronavirus è una tragedia umana di proporzioni potenzialmente bibliche. Molte persone, oggi, vivono nel timore per la propria vita o sono in lutto per i propri cari. Le azioni che i governi stanno intraprendendo per scongiurare la crisi dei loro sistemi sanitari sono coraggiose e necessarie, e devono essere sostenute.

Tuttavia, queste azioni comportano anche enormi e inevitabili costi economici. Molte persone rischiano la vita, e molte di più rischiano di perdere le loro fonti di sostentamento. Sul fronte economico le notizie peggiorano di giorno in giorno. Le aziende di tutti i settori si trovano ad affrontare un crollo degli introiti, e molte si stanno già ridimensionando e licenziando lavoratori. È inevitabile una profonda recessione.

La sfida cui ci troviamo di fronte attiene a come agire con sufficiente forza e velocità per evitare che la recessione si trasformi in una depressione prolungata, aggravata da un enorme numero di fallimenti che lasceranno danni irreparabili. Già adesso è chiaro che la risposta che dovremo dare a questa crisi dovrà comportare un significativo aumento del debito pubblico. La perdita di reddito nel settore privato, e tutti i debiti che saranno contratti per compensarla, devono essere assorbiti, totalmente o in parte, dai bilanci pubblici. Livelli di debito pubblico molto più elevati diventeranno una caratteristica permanente delle nostre economie e andranno di pari passo con misure di cancellazione del debito privato.

Il ruolo dello Stato è proprio quello di usare il bilancio per proteggere i cittadini e l’economia dagli shock di cui il settore privato non è responsabile e che non può assorbire. Gli Stati lo hanno sempre fatto durante le emergenze nazionali. Le guerre – il precedente più rilevante – sono state finanziate con l’aumento del debito pubblico. Durante la Prima guerra mondiale, solo una quota compresa tra il 6 e il 15% della spesa bellica di Italia e Germania è stata finanziata con le tasse, mentre in Austria-Ungheria, Russia e Francia non si è mai attinto alle tasse per pagare gli ingenti costi della guerra. Anni di guerra e di leva obbligatoria hanno eroso la base fiscale di tutti i paesi del mondo. Oggi la stessa cosa sta accadendo per la pandemia e per il conseguente blocco di molti paesi.

La questione fondamentale non è se, ma in che modo lo Stato possa fare buon uso del suo bilancio. La priorità, infatti, non deve essere solo fornire un reddito di base a chi perde il lavoro, ma si devono innanzitutto proteggere le persone dal rischio di perdere il lavoro. Se non lo faremo, usciremo da questa crisi con un’occupazione e una capacità produttiva danneggiate in modo permanente, ma le famiglie e le aziende faticheranno a riassestare i bilanci e a ricostruire patrimonio netto.

I sussidi di occupazione e di disoccupazione e il rinvio delle scadenze per le imposte sono passi importanti che sono già stati introdotti da molti governi, ma proteggere l’occupazione e la capacità produttiva in un momento di drammatica perdita di guadagni richiede un sostegno immediato in termini di liquidità. È un passo essenziale per tutte le aziende, per poter coprire le spese di gestione durante la crisi, sia per le grandi sia, ancor di più, per le piccole e medie imprese, per i lavoratori e imprenditori autonomi. Diversi governi hanno già introdotto misure positive per incanalare la liquidità verso le imprese in difficoltà, ma serve un approccio più globale.

I Paesi europei hanno strutture finanziarie e industriali diverse, perciò l’unico modo efficace per poter raggiungere ogni singola crepa nell’economia è quello di mobilitare la totalità dei loro sistemi finanziari: i mercati obbligazionari, principalmente per le grandi aziende, i sistemi bancari e, in alcuni Paesi, anche i sistemi postali. Tutto ciò deve essere fatto immediatamente, senza lungaggini burocratiche. Le banche, in particolare, si espandono in ogni angolo del sistema economico e possono creare denaro istantaneamente, consentendo lo scoperto o aprendo linee di credito. Per questo le banche devono cominciare rapidamente a prestare fondi a costo zero alle aziende disposte a salvare posti di lavoro, e poiché in questo modo diventano di fatto un veicolo di politiche pubbliche, il capitale di cui hanno bisogno per svolgere questa attività deve essere fornito dai governi, sotto forma di garanzie statali su ogni ulteriore concessione di linea di credito o di prestiti. Nessun ostacolo, né di natura regolamentare né in materia di garanzie, si deve frapporre alla creazione, nei bilanci delle banche, di tutto lo spazio necessario a questo scopo. Inoltre, il costo di queste garanzie non dovrebbe essere basato sul rischio di credito dell’azienda che ne beneficia, ma dovrebbe essere pari a zero indipendentemente dal costo di finanziamento del paese che le emette.

Le aziende, tuttavia, non devono attingere al supporto alla liquidità semplicemente perché il credito sarà conveniente. In alcuni casi, per esempio nel caso di imprese con un portafoglio ordini arretrato, le perdite saranno recuperabili e quindi il debito potrà essere ripagato. In altri settori probabilmente non sarà possibile.

Alcune aziende potrebbero essere in grado di assorbire la crisi per un breve lasso di tempo, indebitandosi allo scopo di mantenere in attività il loro personale, ma le perdite che accumulerebbero in questo modo rischiano di compromettere la loro capacità di investire in futuro. Inoltre, se l’epidemia di virus e i relativi blocchi dovessero perdurare più a lungo, realisticamente queste aziende potrebbero rimanere in attività solo nella misura in cui il debito accumulato per mantenere i dipendenti al lavoro finora venisse cancellato.

Le ipotesi sono due: o i governi compensano direttamente le spese di chi si indebita, oppure compenseranno le garanzie degli insolventi. Tra le due, sempre che si possa contenere il rischio morale, la prima ipotesi è migliore per l’economia, mentre la seconda sarà probabilmente meno onerosa per i bilanci. Se si vogliono proteggere i posti di lavoro e la capacità produttiva, in entrambi i casi i governi dovranno assorbire gran parte della perdita di reddito causata dalla chiusura del paese. I debiti pubblici cresceranno, ma l’alternativa – la distruzione permanente della capacità produttiva e quindi della base fiscale – sarebbe molto più dannosa per l’economia e, in ultima analisi, per la credibilità dei governi. Inoltre va ricordato che alla luce dei livelli attuali e dei probabili livelli futuri dei tassi d’interesse, l’aumento del debito pubblico non comporterà costi di servizio.

Sotto un certo punto di vista l’Europa è ben attrezzata per affrontare questa crisi straordinaria: ha una struttura finanziaria granulare, in grado di incanalare fondi verso ogni ramo dell’economia che ne avesse bisogno. Il settore pubblico è forte e in grado di dare una risposta politica rapida. E la rapidità è essenziale per essere efficaci.

Di fronte all’imprevedibilità delle circostanze è necessario un cambiamento di mentalità, al pari di quello operato in tempo di guerra. La crisi che stiamo affrontando non è ciclica, la perdita di guadagni non è colpa di nessuno di coloro che ne stanno soffrendo. Esitare adesso può avere conseguenze irreversibili: ci serva da monito la memoria delle sofferenze degli europei durante gli anni Venti.

La velocità a cui si stanno deteriorando i bilanci privati – a causa di una pure inevitabile e auspicabile chiusura di molti paesi – deve essere affrontata con altrettanta rapidità nel dispiegare le finanze pubbliche, nel mobilitare le banche e nel sostenerci l’un l’altro, come europei, per affrontare questa che è, evidentemente, una causa comune.

L’autore è Mario Draghi, ex Presidente della BCE

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Integrazione del 30 marzo 2020
come da commento all’articolo, da La Repubblica del 26 marzo 2020:
Dietro le parole di Draghi un appello alla Merkel (e il suo sostegno a Conte) 
di Tonia Mastrobuoni 

4 Comments

4 Comments

  1. silverio lamonica1

    29 Marzo 2020 at 12:07

    Caro Enzo, ho letto quanto hai scritto. Ma sono sempre più indignato di fronte all’ottuso egoismo di Olanda, Germania & Co “nordici”. Altiero Spinelli si sta rivoltando nella tomba, per cui ripropongo – alle soglie del mio euroscetticismo – il sonetto “Omaggio ad Altiero Spinelli”
    https://www.ponzaracconta.it/2016/08/23/omaggio-ad-altiero-spinelli/

  2. Enzo Di Fazio

    30 Marzo 2020 at 17:23

    L’analisi di Draghi della tragedia umana ed economica che sta sconvolgendo il mondo, sta facendo molto discutere, soprattutto in Italia ove da alcuni ambienti politici viene vista quasi come una candidatura, in questo particolare momento di difficoltà, alla guida del paese, al posto di Conte.
    A mio avviso, ma soprattutto secondo i commenti di tanti importanti opinionisti, Draghi non si è rivolto all’Italia ma all’Europa ed in particolare alla Merkel che, anche se più debole di qualche anno fa, guida ancora il paese economicamente più forte dell’UE e, pertanto, più degli altri in grado di influenzare i riottosi a prendere delle decisioni comuni.
    Draghi intravede nell’attuale situazione il pericolo di disgregamento dell’Europa (cresce infatti l’euroscetticismo ed il commento di Silverio lo dimostra), perciò insiste sull’urgenza di agire e di utilizzare mezzi straordinari ed eccezionali. Non nomina mai gli Eurobond o il Fondo Salva Stati (MES) ma fa appello all’unione e chiaramente dice che gli europei devono dimostrare di sapersi sostenere gli uni con gli altri nel perseguire quello che è obiettivamente un bene comune.
    Ad integrazione di quanto scritto riporto (in formato .pdf), in calce all’articolo di base, l’approfondimento di Tonia Mastrobuoni pubblicato su la Repubblica del 26 marzo 2020.

  3. vincenzo

    30 Marzo 2020 at 20:18

    Scusate l’intrusione nel vostro Ponzaracconta.

    Leggo appelli del Papa, un appello del mai ex banchiere Mario Draghi.
    Pensate cari ponzesi, che questa Europa (a cui tutti aspiriamo e in cui speriamo) – anche in un momento di così grave crisi economica, sociale, e con un mostro che sta mietendo vittime nel mondo e non solo tra i fannulloni italiani – bene, in questo momento, questa Europa, non si muove a pietà e ha bisogno di appelli.
    Ha bisogno che qualcuno faccia finta di spiegare come stanno le cose e come staranno peggio fra qualche mese.

    Appelli che fanno giri di parole ma dovrebbero dire: “Ma come fate a non capire che è il momento di scucire la grana, quella che non è vostra: basta stamparla”.
    Ma no, i dragoni europei sono peggio del virus: sono intelligenti, sono furbi, anzi sono rigorosi; sono i tutelari degli accordi.
    Infatti questa Europa quando deve sganciare la grana fa arrabbiare il padrone tedesco, che aizza il cane da guardia olandese, che ringhia ai fannulloni mediterranei: “Andate a lavorare, scansafatiche”. Ma poi c’è il portinaio di questa Europa che è francese, che a volte – quando non prende lo stipendio – minaccia di lasciare la porta aperta, da dove possono entrare i soliti mendicanti.

    Ringrazio Giuseppe Mazzella che ha scritto, secondo me, due ottimi articoli.
    Buona quarantena.

  4. Sandro Russo

    30 Marzo 2020 at 20:39

    Mi pareva strano che Vincenzo non rompeva il silenzio sabbatico in un’occasione come questa!
    Non gli sarà parso vero di maramaldeggiare contro un’Europa che nemmeno a noi piace!

    Caro Vincenzo, ti posso rispondere – perché mi piace ripetermi – con l’Amaca di Michele Serra dal giornale di sabato scorso?

    Bisogna correggere il nome
    di Michele Serra

    Il problema dell’Europa è il nome. Crea aspettative.
    Uno legge l’insegna, “Unione Europea”, e si aspetta di trovare quello che c’è scritto. Invece no. È come entrare in una panetteria e non trovare pane, in una latteria e non trovare latte. E siccome di Europa avremmo un disperato bisogno, proprio come del pane e del latte, ci rimaniamo molto male. E ci viene voglia di inoltrare reclamo.
    «Spettabile Unione Europea, la evidente discrepanza tra la Vostra ragione sociale e la Vostra effettiva attività è fonte continua di confusione e di imbarazzo. Voi non siete quasi per niente ciò che promettete, ovvero l’unione dei Paesi europei. Voi siete l’accrocco diffidente e litigioso dei singoli governi dei singoli Paesi europei che cercano, ognuno, di tirare la coperta dalla propria parte. Dev’essere questo il famoso sovranismo del quale tanto si parla: l’olandese che fa l’olandese, il francese che fa il francese, il tedesco che fa il tedesco, l’ungherese che fa l’ungherese, lo svedese che fa lo svedese, l’italiano che fa l’italiano, e nessuno che fa l’europeo, pensa in europeo, parla l’europeo».
    «Ai sensi delle normative (europee) sulla frode in commercio, vi invitiamo a porre rapidamente rimedio a questo increscioso equivoco, correggendo la ingannevole insegna “Unione Europea”, e tutta la comunicazione conseguente, e adottando un nome più fedele alla realtà delle cose, ovvero alla vostra effettiva capacità di offerta. Si suggerisce Neuropa, contrazione di Non Europa e allusione multilinguistica alla difficile condizione mentale nella quale versa il continente».

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