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I discorsi del Papa e del presidente Mattarella

Segnalato dalla Redazione

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Ci scrive Tano Pirrone: “Se avessi ancora il mio blog stamattina pubblicherei per intero i discorsi che ieri Papa Francesco e il nostro presidente Sergio Mattarella hanno tenuto al popolo italiano, senza pubblico e in diretta tv.
I contenuti dei discorsi, i messaggi di vicinanza e solidarietà, le scenografie sono indimenticabili e segnano il livello umano più alto, senza retorica né schermi.
Il primo articolo è stato ripreso da repubblica-on-line; il secondo è il testo integrale del presidente Mattarella ((NdR)

Cupe nuvole coprono il cielo di Roma e scaricano pioggia. Prima della benedizione Urbi et Orbi, con la possibilità data a tutti di ricevere l’indulgenza plenaria, il Papa tiene una sua omelia dedicata alle difficoltà del momento presente. È la prima volta che piazza San Pietro è del tutto deserta in presenza del Papa; soltanto pochi fedeli sono presenti in piedi appena prima di via della Conciliazione, in piazza Pio XII.

“Ci siamo ritrovati impauriti e smarriti”, dice il Papa. E ancora, “tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda”. Tutti come i discepoli ripetiamo che “siamo perduti”. Anche noi “ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme”.

Francesco ricorda la mancanza di fede dei discepoli nel pieno della tempesta, ma anche la fiducia in Gesù. La tempesta smaschera la vulnerabilità e “lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità”. La tempesta “pone allo scoperto tutti i propositi di “imballare” e dimenticare ciò che ha nutrito l’anima dei nostri popoli; tutti quei tentativi di anestetizzare con abitudini apparentemente “salvatrici”, incapaci di fare appello alle nostre radici e di evocare la memoria dei nostri anziani, privandoci così dell’immunità necessaria per far fronte all’avversità”. Con la tempesta, ancora, “è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri ‘ego’ sempre preoccupati della propria immagine; ed è rimasta scoperta, ancora una volta, quella (benedetta) appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli”.

Coronavirus, la preghiera del Papa: “Siamo fragili, ci possiamo salvare solo insieme”

Il Papa ricorda cosa questa pandemia smaschera. Siamo “avidi di guadagno”, “ci siamo lasciati assorbire dalle cose e frastornare dalla fretta”. “Non ci siamo fermati davanti ai tuoi richiami, non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri, e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato. Ora, mentre stiamo in mare agitato, ti imploriamo: ‘Svegliati Signore!’”.

Così è “il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è”. In questi giorni, dice, “possiamo guardare a tanti compagni di viaggio esemplari, che, nella paura, hanno reagito donando la propria vita. È la forza operante dello Spirito riversata e plasmata in coraggiose e generose dedizioni. È la vita dello Spirito capace di riscattare, di valorizzare e di mostrare come le nostre vite sono tessute e sostenute da persone comuni – solitamente dimenticate – che non compaiono nei titoli dei giornali e delle riviste né nelle grandi passerelle dell’ultimo show ma, senza dubbio, stanno scrivendo oggi gli avvenimenti decisivi della nostra storia: medici, infermieri e infermiere, addetti dei supermercati, addetti alle pulizie, badanti, trasportatori, forze dell’ordine, volontari, sacerdoti, religiose e tanti ma tanti altri che hanno compreso che nessuno si salva da solo”.

“Davanti alla sofferenza, dove si misura il vero sviluppo dei nostri popoli, scopriamo e sperimentiamo la preghiera sacerdotale di Gesù: ‘che tutti siano una cosa sola’. Quanta gente esercita ogni giorno pazienza e infonde speranza, avendo cura di non seminare panico ma corresponsabilità. Quanti padri, madri, nonni e nonne, insegnanti mostrano ai nostri bambini, con gesti piccoli e quotidiani, come affrontare e attraversare una crisi riadattando abitudini, alzando gli sguardi e stimolando la preghiera. Quante persone pregano, offrono e intercedono per il bene di tutti. La preghiera e il servizio silenzioso: sono le nostre armi vincenti”.

Da questo colonnato “che abbraccia Roma e il mondo”, conclude il Papa, “scenda su di voi, come un abbraccio consolante, la benedizione di Dio. Signore, benedici il mondo, dona salute ai corpi e conforto ai cuori. Ci chiedi di non avere paura. Ma la nostra fede è debole e siamo timorosi. Però Tu, Signore, non lasciarci in balia della tempesta. Ripeti ancora: ‘Voi non abbiate paura’. E noi, insieme a Pietro, ‘gettiamo in Te ogni preoccupazione, perché Tu hai cura di noi’”.

 Il presidente della Repubblica parla al Paese dopo i nuovi drammatici dati sulla diffusione del coronavirus: 

“Mi permetto nuovamente, care concittadine e cari concittadini, di rivolgermi a voi, nel corso di questa difficile emergenza, per condividere alcune riflessioni. Ne avverto il dovere.

La prima si traduce in un pensiero rivolto alle persone che hanno perso la vita a causa di questa epidemia; e ai loro familiari.
Il dolore del distacco è stato ingigantito dalla sofferenza di non poter essere loro vicini e dalla tristezza dell’impossibilità di celebrare, come dovuto, il commiato dalle comunità di cui erano parte. Comunità che sono duramente impoverite dalla loro scomparsa.
Stiamo vivendo una pagina triste della nostra storia. Abbiamo visto immagini che sarà impossibile dimenticare. Alcuni territori – e in particolare la generazione più anziana – stanno pagando un prezzo altissimo.
Ho parlato, in questi giorni, con tanti amministratori e ho rappresentato loro la vicinanza e la solidarietà di tutti gli italiani.

Desidero anche esprimere rinnovata riconoscenza nei confronti di chi, per tutti noi, sta fronteggiando la malattia con instancabile abnegazione: i medici, gli infermieri, l’intero personale sanitario, cui occorre, in ogni modo, assicurare tutto il materiale necessario. Numerosi sono rimasti vittime del loro impegno generoso.
Insieme a loro ringrazio i farmacisti, gli agenti delle Forze dell’ordine, nazionali e locali, coloro che mantengono in funzione le linee alimentari, i servizi e le attività essenziali, coloro che trasportano i prodotti necessari, le Forze Armate.
A tutti loro va la riconoscenza della Repubblica, così come va agli scienziati, ai ricercatori che lavorano per trovare terapie e vaccini contro il virus, ai tanti volontari impegnati per alleviare le difficoltà delle persone più fragili, alla Protezione Civile che lavora senza soste e al Commissario nominato dal Governo, alle imprese che hanno riconvertito la loro produzione in beni necessari per l’emergenza, agli insegnanti che mantengono il dialogo con i loro studenti, a coloro che stanno assistendo i nostri connazionali all’estero. A quanti, in ogni modo e in ogni ruolo, sono impegnati su questo fronte giorno per giorno.
La risposta così pronta e numerosa di medici disponibili a recarsi negli ospedali più sotto pressione, dopo la richiesta della Protezione Civile, è un ennesimo segno della generosa solidarietà che sta attraversando l’Italia.

Vorrei inoltre ringraziare tutti voi. I sacrifici di comportamento che le misure indicate dal Governo richiedono a tutti sono accettati con grande senso civico, dimostrato in amplissima misura dalla cittadinanza.
Da alcuni giorni vi sono segnali di un rallentamento nella crescita di nuovi contagi rispetto alle settimane precedenti: non è un dato che possa rallegrarci, si tratta pur sempre di tanti nuovi malati e soprattutto perché accompagnato da tanti nuovi morti. Anche quest’oggi vi è un numero dolorosamente elevato di nuovi morti. Però quel fenomeno fa pensare che le misure di comportamento adottate stanno producendo effetti positivi e, quindi, rafforza la necessità di continuare a osservarle scrupolosamente finché sarà necessario.
Il senso di responsabilità dei cittadini è la risorsa più importante su cui può contare uno stato democratico in momenti come quello che stiamo vivendo.

La risposta collettiva che il popolo italiano sta dando all’emergenza è oggetto di ammirazione anche all’estero, come ho potuto constatare nei tanti colloqui telefonici con Capi di Stato stranieri.
Anche di questo avverto il dovere di rendervi conto: molti Capi di Stato, d’Europa e non soltanto, hanno espresso la loro vicinanza all’Italia. Da diversi dei loro Stati sono giunti sostegni concreti. Tutti mi hanno detto che i loro Paesi hanno preso decisioni seguendo le scelte fatte in Italia in questa emergenza.

Nell’Unione Europea la Banca Centrale e la Commissione, nei giorni scorsi, hanno assunto importanti e positive decisioni finanziarie ed economiche, sostenute dal Parlamento Europeo.
Non lo ha ancora fatto il Consiglio dei capi dei governi nazionali. Ci si attende che questo avvenga concretamente nei prossimi giorni.

Sono indispensabili ulteriori iniziative comuni, superando vecchi schemi ormai fuori dalla realtà delle drammatiche condizioni in cui si trova il nostro Continente. Mi auguro che tutti comprendano appieno, prima che sia troppo tardi, la gravità della minaccia per l’Europa. La solidarietà non è soltanto richiesta dai valori dell’Unione ma è anche nel comune interesse.

Nel nostro Paese, come ho ricordato, sono state prese misure rigorose ma indispensabili, con norme di legge – sia all’inizio che dopo la fase di necessario continuo aggiornamento – norme, quindi, sottoposte all’approvazione del Parlamento.
Sono stati approntati – e sono in corso di esame parlamentare – provvedimenti di sostegno per i tanti settori della vita sociale ed economica colpiti. Altri ne sono preannunciati.

Conosco – e comprendo bene – la profonda preoccupazione che molte persone provano per l’incertezza sul futuro del proprio lavoro. Dobbiamo compiere ogni sforzo per non lasciare indietro nessuno.
Ho auspicato – e continuo a farlo – che queste risposte possano essere il frutto di un impegno comune, fra tutti: soggetti politici, di maggioranza e di opposizione, soggetti sociali, governi dei territori.
Unità e coesione sociale sono indispensabili in questa condizione.

Un’ultima considerazione: mentre provvediamo ad applicare, con tempestività ed efficacia, gli strumenti contro le difficoltà economiche, dobbiamo iniziare a pensare al dopo emergenza: alle iniziative e alle modalità per rilanciare, gradualmente, la nostra vita sociale e la nostra economia.
Nella ricostruzione il nostro popolo ha sempre saputo esprimere il meglio di sé.
Le prospettive del futuro sono – ancora una volta – alla nostra portata.

Abbiamo altre volte superato periodi difficili e drammatici. Vi riusciremo certamente – insieme – anche questa volta”.

Roma, 27 marzo 2020.

1 Comment

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  1. Tano Pirrone

    28 Marzo 2020 at 08:56

    Sulla mia distanza dalle religioni, dai riti, dalle credenze non ho bisogno di portare testimonianze. Sono pure sbattezzato, mangiapreti, blasfemo immaginifico, irridente critico di barbari riti tribali. Sono altresì consapevolmente attratto dai legami profondi stabiliti fra grandi atei e grandi figure della Chiesa. È il caso dell’amicizia, spesso declinata in lunghi articoli di fondo, e in libri, espressasi fra Corrado Augias e il cardinale Martini ed Eugenio Scalfari e Papa Francesco.
    Nessun commento da parte mia sui temi religiosi. Lascio che ognuno, in momenti così difficili (e necessari?) esprima il proprio pensiero, il proprio sentimento nel modo che più gli è consono e che maggiormente gli procura conforto e serenità.
    È il piano estetico dell’evento che mi ha colpito: l’immenso vuoto metafisico nei luoghi ove le moltitudini sono state sempre presenti con qualunque tempo e in ogni occasione. Un vuoto assoluto, totale assenza di umani tranne Francesco, che sotto un baldacchino, che lo proteggeva dalla pioggia insistente, officiava, e un laico che con bellissima antichissima voce alzava una preghiera a nome di tutto il popolo della Chiesa romana. E, immagino, a nome e per conto di tutta l’Umanità, senza distinzioni di appartenenza religiosa, sesso, etnia, nazionalità, colore della pelle.
    L’immensa vuoto colto dalle telecamere poste in posizioni elevata e quindi con vastissima panoramica di piazza San Pietro, di via della Conciliazione e lo sfondo di una Roma, che sappiamo vuota, svuotata, azzerata del fiume umano che vi scorre abitualmente. Una scena che noi amanti dei film apocalittici abbiamo nel nostro immaginario. E che ha trovato l’apice della rappresentazione in “Io sono leggenda” (I am Legend), film del 2007 diretto da Francis Lawrence, basato sull’omonimo romanzo di Richard Matheson. Fortunata e feconda scrittura, dalla quale sono scaturiti altri due film: “L’ultimo uomo sulla terra” (The Last Man on Earth) dei registi Sidney Salkov e Ubaldo Ragona (1964) e “1975. Occhi bianchi sul pianeta Terra” (The Omega Man) di Boris Sagal.
    Francesco, unico uomo sulla Terra? No, per favore, non l’ho scritto e neanche pensato; prima di tutto perché sono tanti e tanti e tanti che stanno lottando con pochi mezzi e con spirito eroico, in tutti i luoghi roventi del mondo, e poi perché un altro uomo, cui va il nostro pensiero e il nostro affetto, ieri in televisione ci è venuto paternamente vicino a parlare a tutti gli Italiani, per ringraziare, esortare, infondere fiducia: Sergio Mattarella, il Presidente della nostra Repubblica. Ha chiamato l’appello di tutti quelli che combattono sul fronte del contrasto alla pandemia, sollecitato tutti a rispettare le regole date per limitare i danni e permettere il controllo più veloce dell’espansione dell’epidemia. I giornali ne parlano doviziosamente, ma vorrei che l’approccio superasse le modalità di routine e vi riconoscesse una, non la sola, virtù nostrana: la capacità, nei momenti più difficili per la nostra comunità nazionale, di sentirsi unita e forte. Questo il prerequisito per poter far fronte alla minaccia e ad essa resistere, resistere, resistere.
    Un’altra minaccia, altrettanto drammatica, incombe sulle nostre teste di europei italiani: il non impossibile disfacimento della comunità fortemente voluta dai padri fondatori e faticosamente costruita. Troppo facile trattare da crucchi i tedeschi, da falsi cugini senza bidet i francesi, da orgogliosi e sprezzanti snob gli inglesi, da glaciali capitalisti gli olandesi e gli scandinavi, da rozzi fascistoidi gli ultimi arrivati dell’Est europeo, troppo facile ed anche un po’ becero. Anche qui o ci salviamo tutti o saremo sommersi e resi trascurabili entità, marginalità senza peso; saremo espropriati dell’economia e dell’autonomia. E quindi della libertà di decidere del nostro destino. I falsi profeti, i poco eleganti condottieri, che cambiano veste, parole e comportamento a seconda di chi è l’interlocutore del momento, aspettano, da avvoltoi quali sono e furono.

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