Feola Isidoro

Oriana Fallaci… a chi appartiene? (fosse d’a razza Mazzella? Bah!?)

di Isidoro Feola

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“Ora che il futuro s’era fatto corto e mi sfuggiva di mano con l’inesorabilità della sabbia che cola dentro una clessidra, mi capitava spesso di pensare al passato della mia esistenza: cercare lì le risposte con le quali sarebbe giusto morire.
Perché fossi nata, perché fossi vissuta, e chi o che cosa avesse plasmato il mosaico di persone che da un lontano giorno d’estate costituiva il mio Io.”
L’incipit del libro

“Un cappello pieno di ciliege”, pubblicato postumo, per Rizzoli nel 2008, è uno degli ultimi libri scritti da Oriana Fallaci (1929-2006). Con la sua consueta passione racconta il suo albero genealogico, sia di parte paterna che materna. La narrazione parte dagli inizi del 1700 e termina , ovviamente nel 1929, anno della sua nascita.

Già leggendo i risvolti della copertina si apprende come, dopo lunghi anni di ricerche da vera e propria storica, l’autrice ha visto la cronaca famigliare trasformarsi in una “fiaba da ricostruire con la fantasia”: “…la realtà prese a scivolare nell’immaginazione ed il vero si unì all’inventabile e poi all’inventato… e tutti quei nonni, nonne, bisnonni, bisnonne, trisnonni, trisnonne, arcavoli ed arcavole, insomma tutti quei miei genitori, diventarono miei figli. Perché talvolta ero io a partorire loro, a dargli, anzi a ridargli la vita, che essi avevano dato a me…”.  

Troviamo, nelle 859 pagine del libro, un’antenata leggendaria messa al rogo dall’Inquisizione, un avo rapito dai pirati ad Algeri; ma anche una storia dell’Italia rivoluzionaria di Napoleone, Mazzini, Garibaldi, Vittorio Emanuele II; oppure Carlo, che voleva piantare viti ed ulivi toscani nella Virginia di Thomas Jefferson; Francesco, marinaio e negriero; Giovanni che attentò alla vita di Carlo Alberto; ma anche tanti altri ancora……

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E veniamo, adesso a quello che forse può interessare noi ponzesi: Pasquale Mazzella e la moglie Lucia Mendoli che conducevano una vita molto grama a Genova decisero di trasferirsi a Livorno in cerca di miglior fortuna. Lucia era incinta e giunta a Livorno dopo qualche tempo diede alla luce una bambina, Mariarosa Mazzella; la puerpera morì durante il parto e dopo poco tempo morì anche Pasquale durante un’epidemia di tifo.
Ci troviamo nel 1821 e la piccola Mariarosa fu affidata ad un istituto di suore e, successivamente, fu accolta in casa di Giovanni Cantini e Teresa Nardini; quest’ultima era una sarta – rammendatrice e la piccola Mariarosa imparò così bene tale arte da risultare, poi, molto ricercata. Si racconta che era talmente brava da avere una vasta clientela privata che includeva gli esigenti turisti dell’Hotel Peverada, il più lussuoso della sua città. Mariarosa aveva “l’alopecia delle rammendatrici”: in pratica , quando doveva fare dei rammendi di tessuti pregiati, si strappava, con un colpo deciso, uno dei suoi lunghi capelli, di colore “biondo slavato”, che veniva appunto utilizzato, una volta infilato nella cruna dell’ago, per riparare con tale finezza il tessuto, in modo che del buco o dello strappo non restava il minimo segno.

Con il passare del tempo, giunta in età da marito, fu presa in sposa dal figlio della famiglia che la aveva accolta: Giovanni Battista Cantini (soprannominato Giobatta). Questi sono i trisavoli di Oriana Fallaci da parte di madre, e mi intriga molto l’idea che la nostra scrittrice possa avere qualcosa che riguardi Ponza nei suoi geni (a seguito del cognome Mazzella della sua antenata).

Mi fa piacere pensare che qualche suggestione ponzese si trovi anche nella descrizione che la scrittrice fa dell’arrivo di una tempesta di maestrale, che noi molto bene conosciamo…


Ci troviamo verso la fine del 1700 e la figlia segreta di un grande di Spagna (Maria Ignacia Josepha De Castro, detta Montserrat) si imbarca da Barcellona diretta a Genova su di un veliero danese, a bordo del quale incontra un nostromo livornese (Francesco Launaro) fino a quel momento misogino. Il veliero si chiama “Europa” e sta passando davanti a Perpignan (nel golfo di Lion).
Vediamo che succede nel racconto di Oriana:
“…la temperatura era calata; il vento inizia a venire da nord-est, il mistral, e nasce dalle depressioni termiche che dal nord-ovest della Francia spingono l’aria fredda verso sud-est. Dopo avere percorso l’intera vallata del Rodano cioè il solo varco che non gli opponga barriere di montagne irrompe nel Mediterraneo attraverso la gola di Carcassone, sicché il golfo di Lion è il primo ad esserne assalito. Non coglie mai di sorpresa. Si annuncia sempre con un calo di temperatura ed un buon marinaio ne prevede l’arrivo da due indizi: i cirri a strisce che Montserrat aveva definito nubi graziose e la brezza che era andata a godersi sul cassero di poppa. Una brezza che nelle ore calde può nascondere depressioni termiche. In compenso è davvero cattivo: le sue folate possono raggiungere gli ottanta o i cento nodi e sollevare ondate alte nove o dieci metri, stracciare le vele come se fossero fuscelli… Quel tratto di mare era un cimitero di velieri e la figura del nostromo era fondamentale e guai se avesse perso di vista una vela o un pennone o una cima: fino a Marsiglia non esistevano posti in cui rifugiarsi… Un poco alla volta il cielo prese ad intorbidarsi e le onde a divenire sempre più alte e più grosse tali da sembrare muraglioni di ferro: gigantesche pareti nere che avanzavano per crollare sulla nave, esplodere con un urto che minacciava di spaccarla in due. Tra parete e parete un abisso nel quale sprofondava la prua, a capofitto come una balena impazzita, e come tale riemergeva ed allora scrosci d’acqua schiumosa e rabbiosa spazzavano via qualsiasi cosa o persona non fosse ben fissata ad un appiglio. Questo mentre il vento investiva con ciclopiche mazzate le vele, abbattendosi parallelo alla loro superficie le sbatacchiava con tale furia che ad ogni mazzata i pennoni parevano staccarsi, gli alberi stroncarsi, e dall’apocalisse si levava un fragore infernale…”.

Tale maestralata si rilevò galeotta e Cupido provvide a scoccare la freccia che fece innamorare Montserrat e Francesco, anche loro antenati della Fallaci.

Ci sarebbe da raccontare di altri personaggi incredibili ed anche del perché il libro si intitola “Un cappello pieno di ciliege”, ma, oltre ad essere troppo prolisso, toglierei ad un eventuale lettore il gusto di scoprirlo da solo, leggendo per intero il volume, se sono stato capace di suscitarne la curiosità.

 

1 Comment

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  1. Maria Conte

    28 Marzo 2020 at 13:52

    Un guizzo di luce e di speranza nel grigio in cui annaspiamo, alla ricerca di un appiglio. L’articolo del dottor Feola del 26 marzo: esauriente, rasserenante, si fa leggere, pur corposo, tutto d’un fiato, spinti dalla curiosità di sapere il legame tra Ponza e la Fallaci, che ammiriamo come donna e come scrittrice.
    Egli riassume, con le dovute “appassionate” citazioni, il romanzo postumo della Fallaci “Un cappello pieno di ciliege”, nel quale l’autrice si immerge nella ricerca e nella descrizione del suo albero genealogico, nelle sue radici. E qui… mi accorgo, leggendo, che forse l’isolano intelligente abbia strizzato l’occhio al medico letterato: una trisavola della scrittrice si chiamava Mazzella… E allora? La Fallaci appartiene un po’ anche a noi.
    E, ad avvalorare la tesi, cita la suggestiva descrizione dell’arrivo di una tempesta di maestrale, come a dire: chi descrive in tal modo una burrasca marina, che “noi ben conosciamo…” deve avere per forza nel Dna l’amore sconfinato per il mare dei suoi antenati… un po’ ponzesi.
    Leggete il libro: ne trarrete serenità in questo tempo, non certo per noi felice…
    La letteratura, la musica, l’arte, la bellezza del Creato possono salvare una vita, quanto un vaccino… L’uomo non vive di solo pane.
    Ogni bene alla mia Ponza.

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