- Ponza Racconta - https://www.ponzaracconta.it -

Cronache da Ponza al tempo del Covid-19 (11)

di Enzo Di Giovanni

 

Oggi inizia la primavera. Non sapendo come iniziare questo pezzo, ce la caviamo con una affermazione generica.
Anche perché ieri abbiamo fatto il pieno (si fa per dire) dei fatti di cronaca ponzesi, e per un po’ ci deve bastare.
La verità vera, è che i giorni sono tutti uguali.
Soprattutto vi è la consapevolezza, sempre più diffusa, che questi giorni dureranno ancora a lungo.
Le stagioni si susseguono, hanno i loro ritmi, colori, temperature, scenari differenti. La nostra vita no, è sospesa nel nulla. Nella mia famiglia sono l’unico che ha accesso “al mondo di fuori”: per fare la spesa e portare il cane a spasso.

[1]

E non mi sento un privilegiato, per la mezz’ora d’aria, né costringo il povero Pluto a farla in più tempi: confesso che preferisco stare a casa, piuttosto che vedere la desolazione, l’angoscia che traspare in tutti i pochi “umani” che si incontrano, fugacemente e da lontano.
Ricordate le prime immagini di Wuhan che ci arrivavano via satellite? Le strade deserte, gli operatori bardati dalla testa ai piedi che spruzzavano disinfettanti, trascinavano le persone a forza dentro casa, o che costruivano a tempi di record ospedali da campo attrezzati?
Non erano immagini reali, per questo non ci interessavano più di tanto: era un film.
Ora questo film si è trasferito in Italia, giusto il tempo di farci fare un carnevale “bello contagioso”. Stare a casa consente quanto meno l’illusione di non vederlo, questo brutto film. Ma il fatto è che stiamo terminando anche le battute, e quando la satira finisce non è mai un bel segnale.

Qualcuna bella ancora c’è: vi segnaliamo questa, sentita ieri a Propaganda live: “…non posso uscire sul balcone a stiracchiarmi le braccia, che immediatamente si scatena la macarena di quartiere!
Viviamo con la sensazione di un copione già scritto, aspettando, tra un decreto e l’altro, che si arrivi ai titoli di coda.
Avere pazienza, stare a casa: è questo che si chiede a noi “soldati di retroguardia”, no?

La cosa che dovrebbe essere chiara a tutti, e prima o poi sarà così, è che da questa crisi se ne esce tutti insieme.
Lo stanno capendo paesi come la Gran Bretagna e gli USA, che dopo aver cercato una via anglosassone opposta alla nostra, quella della “immunità di gregge”, stanno ora facendo precipitosamente marcia indietro.
L’immunità di gregge naturale funziona così: non essendoci un vaccino, aspettiamo che la malattia faccia il suo corso. Quando saranno infettati i 3/4 del paese, il virus finirà naturalmente la sua corsa. Moriranno diverse centinaia di migliaia di persone, quelle improduttive, ma l’economia sarà salva.
Ma non funziona così. Perché bisogna mettere in conto i troppi decessi e l’impatto sociale che ne deriva, ed il fatto che una pandemia, essendo globale, la si risolve solo tutti insieme. Lo sa bene la Cina, che dopo aver domato l’infezione in casa, adesso teme il contagio da rientro: cioè da quelle persone che arrivando dall’estero potrebbero reinfettare di nuovo il paese.
Per questo fanno sorridere amaramente quanti, anche in questi giorni bui, la buttano in caciara: “chiudete i porti!”
I porti sono già chiusi. Le Ong stanno collaborando con le regioni più colpite, le “leghissime” Lombardia e Veneto (per un approfondimento, leggi qui [2]).
Gli sbarchi continuano ad esserci, esattamente come c’erano durante il precedente governo: attraverso i gommoni, sulle spiagge, e quelli non li fermi in nessun modo.
Chiudere i porti? No, aprire gli aiuti.
Solo potenziando i presidi sanitari nei paesi più deboli, meno strutturati, possiamo evitare il contagio da entrata. Anche perché, non dimentichiamo che il virus in Africa lo abbiamo portato noi: un tedesco è stato il paziente zero in Egitto, un italiano in Kenia, un francese in Senegal.
A proposito di porti: non abbiamo ancora visto la postazione sanitaria della Croce Rossa prevista a Formia. Vedremo.

[3]

Importante è monitorare i movimenti attraverso le autocertificazioni: la media attuale degli imbarchi a Ponza è di 2 furgoni e 4 persone. Più importante dotare chi è in prima linea di fuoco, cioè gli operatori sanitari, dei presidi necessari per lo svolgimento in sicurezza del proprio lavoro. Sicurezza per i medici e per i pazienti.
Il fatto che ad essi possano mancare le mascherine, come purtroppo pare succeda, è questo il vero scandalo, quella cosa che non dovrebbe mai succedere.

[4]

Chiudiamo con una bella citazione ripresa da Facebook:
Anni fa uno studente chiese all’antropologa Margaret Mead quale riteneva che fosse il primo segno di civiltà in una cultura. Lo studente si aspettava che Mead parlasse di ami, pentole di terracotta o macine di pietra. Ma non fu così.
Mead disse che il primo segno di civiltà in una cultura antica era un femore rotto e poi guarito. Spiegò che nel regno animale, se ti rompi una gamba, muori. Non puoi scappare dal pericolo, andare al fiume a bere qualcosa o cercare cibo. Sei carne per bestie predatrici che si aggirano intorno a te. Nessun animale sopravvive a un osso rotto abbastanza a lungo perché l’osso guarisca. 
Un femore rotto che è guarito è la prova che qualcuno si è preso il tempo di stare con colui che è caduto, ne ha bendato la ferita, lo ha portato in un luogo sicuro e lo ha aiutato a riprendersi.
Mead disse che aiutare qualcun altro nelle difficoltà è il punto in cui la civiltà inizia
”.