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#Restoacasa (a tampasiàre)

di Riccardo Alongi

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Giorni di tampàsio, cari miei!
Sapete cosa significa tampasiàre?
No? Allora provo a spiegarvelo.

Avete presente quando vi svegliate col piede indeciso, andate in cucina e vi chiedete perché ci siete andati e, con passo lento, tornate a letto? Fissate il soffitto dieci secondi e vi rialzate, mettete dritto un quadro, lavate le tazzine da caffè, sistemate il cassetto delle posate, aprite un libro, lo richiudete. Questo è tampasiàre; fare cose assolutamente inutili e non concluderne nessuna. Mentre il corpo in autonomia gira e firrìa per la casa, la mente si rilassa, si stende e si stiracchia. Afferra cose, pensieri e sensazioni; li monta, li smonta e li rimonta, aggiungendo o sottraendo pezzi. La mente sistematizza e costruisce.
Ad esempio, questa settimana, ho tampasiàto tutto il giorno e mi è venuto in mente mio padre e due delle sue massime più celebri (le scrivo in idioma siculo):
– Siemu muru-muru cu spitale!
Si tutto va buonu, siemu ‘na merda…
Ho pensato che con la situazione attuale calzano a pennello!
La prima descrive egregiamente lo stato di fatto delle cose. La seconda, con rigore scientifico, proietta nel futuro la situazione attuale (da notare che nel siciliano non esiste la coniugazione del verbo al futuro). Quindi, come suggerisce mio padre, bene che vada saranno tempi duri.
La situazione attuale è abbastanza chiara. Tuttavia è quella futura che ci interessa maggiormente. Quel che succederà dipenderà dalla scelta tra “le decisioni facili e quelle giuste” (cercate chi lo ha detto, ne resterete incantati). Le “decisioni irrevocabili” (questa la sapete sicuro!) non le teniamo in considerazione perché sono metodologicamente e storicamente inappropriate anche se tirano ancora più di un carro di buoi (Mannaggia…).
Sarà molto probabilmente una stagione dura per l’isola. Se ci riusciremo, la nostra fase di crisi nazionale passerà a maggio-giugno. Nel resto dell’Europa ci vorrà più tempo. Dopo l’isolamento e la psicosi igienica, ci vorranno mesi per tornare al vecchio stile di vita. Ci aspetta una stagione estiva da non ricordare.
Immaginate:
tavoli dei bar e dei ristoranti a distanza di sicurezza per un massimo di 3 persone; donne delle pulizie vestite come i ghostbusters; i bus che possono portare cinque persone per volta; niente festini in giro fino al mattino.
– giro dell’isola di Palmarola… È compreso il pranzo, il caffè e la mascherina!

Le uniche note positive potrebbero essere la non “invasione degli ultracorpi pariolini” e l’outfit 2020 estate: tacco dodici, “leazza” in vista e guanti in lattice (solo per intenditori).
-Si tutto va buonu, siemu ‘na merda…

Respiriamo prima di arrivare a conclusioni affrettate. Continuiamo a tampasiàre, perché ancora non abbiamo centrato il busillis.
Il Coronavirus è l’ultimo degli avvenimenti che hanno messo in evidenza la vera questione che sembra ancora lontana, oltre l’orizzonte: la fragilità di un sistema che si basa esclusivamente sul turismo stagionale.
È bello, certo, soprattutto per chi riesce ad alzare valigie di soldi in 2 mesi di lavoro, ma anche molto fragile e delicato; quasi petaloso. Non è la prima volta che lo vediamo, no? Basta una pietra che cade, una falesia che frana, una fogna che scoppia, o più banalmente il meteo avverso a mettere in ginocchio, se non tutto il sistema, grosse fette dell’economia dell’isola e delle singole famiglie che vi abitano e vi lavorano.
Tampasiàmo. Tampasiàmo senza fretta. Oggi abbiamo un sacco di tempo.
Ci sono molte cose che dobbiamo fare che questo Corona-virus-maledetto sta mettendo in mostra; cose complicate che spesso non dipendono neanche da noi. Ma anche questo lo sappiamo.
Non sappiamo invece come farle, chi se ne dovrebbe occupare, come metterle a sistema, come farle funzionare al meglio. Oggi tampasiàmo e pensiamo a come rendere il sistema sanitario dell’isola più efficiente, a come far sì che eventi come Chiaia di Luna e Cala Fonte non accadano di nuovo, a come rendere l’isola un po’ più autonoma a livello di produzione alimentare. Tampasiàmo e cerchiamo di capire come possiamo diversificare il nostro petaloso sistema turistico stagionale, a come possiamo rilassarlo, stenderlo e stiracchiarlo.

Note dell’autore
Petaloso non è riferito a una persona. Prima di arrivare a Ponza, per me petaloso era un neologismo inventato da un bambino e sponsorizzato dalla sua maestra all’Accademia della Crusca. Fece tanto scalpore. Al petaloso dell’isola suggerirei di chiedere i diritti di autore a quell’antipaticone di bambino e alla sua perfida maestra!
I puristi degli studi di genere mi perdoneranno per l’espressione “donne delle pulizie”. “Donne delle pulizie”, “persone delle pulizie”, “personale preposto all’igienizzazione casalinga vacanziera” appesantivano troppo il testo. Lo so. Può sembrare sessista ma vi assicuro che non lo è.
L’utilizzo del noi, ossia dell’io e voi insieme, è una licenza poetica. So che ci vorranno ancora molti anni per non essere più considerato straniero.
Solo per i forestieri.
Volete sapere cos’è la leazza?
Non ve lo posso dire. Ho giurato sui Beatles che avrei mantenuto il segreto.