Ambiente e Natura

Ponza ai tempi del co… ronavirus

di Enzo Di Giovanni

.

Oggi è una giornata così così; cielo coperto, ma con qualche squarcio di azzurro, vento umido da sud: probabilmente stasera pioverà, ma non in maniera intensa.
La variabilità è nell’aria, ed è giusto così, sa di rassicurante, perché marzo è arrivato, e con esso l’attesa del rinnovamento.
Ma l’attesa quest’anno non c’è. E’ tutto a mezz’aria, persino l’attesa dell’attesa.
Anche se sospesi tra l’abbandono invernale e l’euforia dell’estate che garantisce i raccolti, ci eravamo abituati a viverne i ritmi, artificiali fin che si vuole, ma quanto meno reali: una rimembranza di un tempo passato, quando i ponzesi erano ancora ancorati ai sani valori della terra e del mare ed i raccolti garantiti dal ritmo delle stagioni, quelle sì naturali.

Certo, anche a quei tempi capitavano sconvolgimenti: anni di carestia, di epidemie, gelate improvvise e venti impetuosi in grado di distruggere in un attimo mesi di lavoro; ma “a quei tempi” eravamo avvezzi a sopravvivere.
Avevamo le risorse, l’organizzazione e le capacità di adattarci alle vacche magre, oggi non più.
A quei tempi, delle malattie si temeva la possibilità di morire, la miseria che scaturiva dalla perdita di braccia attive. Non c’erano orpelli come PIL e delocalizzazione. Era una vita più semplice, scandita dal pensiero semplice.
Oggi siamo passati dal “pensiero semplice“, che non può più esistere in una società così complessa, al “pensiero semplicistico“.
Il pensiero semplicistico è quello che ci propinano politici e tuttologi imperanti, che consiste nello spostare sempre altrove il problema: è colpa del governo se non funziona la prevenzione; no, è colpa dei media che non fanno corretta informazione; macché… è colpa piuttosto dei medici che sono solo baroni esibizionisti e non hanno capito nulla di questo virus.

La verità è che siamo tutti interconnessi. Non solo una pandemia non si può evitare, grave o leggera che sia, ma nemmeno le sue conseguenze socio-economiche, che sono quelle che al momento spaventano di più.
Il famoso ricco Nord-Est, che da solo copre circa il 50% del PIL italiano, rischia di fermarsi sul serio, e non solo per la quarantena di questi giorni. La maggior parte delle aziende è ferma in attesa di commesse, soprattutto provenienti dalla Cina, guarda caso, che ovviamente non possono arrivare. Si stima che il rischio concreto è di arrivare ad un -3% di PIL: solo le esportazioni dei prodotti agroalimentari verso la Cina, partner d’eccezione italiano, hanno al momento una flessione di circa il 12%, al netto dei topi vivi di Zaia. Il turismo, l’altra voce essenziale dell’economia italiana, subirà una perdita netta di circa 2,7 miliardi di euro solo nei prossimi 3 mesi. – Fonte Il Sole 24 ore

Tradotto in pensiero semplice, significa che c’è il rischio concreto che quest’anno i raccolti saranno molto scarsi, a Ponza. Gli addetti ai lavori, cioè quasi tutti i ponzesi interessati al turismo, dicono che le prenotazioni degli alloggi e le richieste di servizi in genere sono ferme.
Certo, sul virus possiamo fare ben poco: ma alcuni aspetti della questione ci dicono cose importanti.
Ci dicono che la delocalizzazione è stato un errore grave, che forse solo adesso vediamo per intero. Alle aziende conviene produrre componenti all’estero, in paesi in cui il costo del lavoro è minore, ma quando si ferma la produzione si fermano anche loro, oltre agli operai italiani che il posto di lavoro lo hanno perso prima.
Favorire l’occupazione locale invece aiuterebbe a difendere quel made in Italy che ormai è ridotto ad uno spot pubblicitario fine a se stesso, oltre a reagire meglio a crisi come questa.
Il made in Italy era garantito dalle condizioni storico-culturali e climatiche eccezionali del nostro paese.
Era la biodiversità, la capacità di produrre in un territorio tutto sommato piccolo una vastità di culture, conoscenze, prodotti.

Ma cosa c’entra Ponza in questo discorso?
A Ponza non produciamo più nulla. Viviamo di turismo, è vero, ma non abbiamo nulla da offrire.
Il mare non è nostro, le spiagge e le discese a mare nemmeno, nemmeno quelle poche che ancora non sono chiuse.
Non abbiamo artigianato, prodotti tipici, piatti. Abbiamo le storie, ma non sappiamo raccontarle.
Pensavo a questo a proposito del riconoscimento dei prodotti di Ponza tra le eccellenze del patrimonio italiano.
Diciamolo chiaramente, come sottolineato da Biagio Vitiello in commento all’articolo: la trippa di mare e la parmigiana di palette di fico d’india non esistono, se non nella fantasia di qualche apprezzabile ristoratore.
E’ vero che a volte, per qualche congiuntura favorevole, possono avere successo anche tradizioni inventate, vedi Ponza, L’avventura di Antonioni e l’invenzione della tradizione (2), ma solo quando entrano in sinergia con un tessuto autoctono sano, che a Ponza non c’è.
Il paradosso è che abbiamo come prodotti tipici cose che non esistono, e non siamo capaci di valorizzare invece ciò che esiste, come ad esempio i mustarde, a proposito di fichidindia, o i turtaniell’.

La parmigiana di palette di fico d’India

          Le mostarde con polpa di fico d’India


Che sia chiaro, questa mia osservazione non vuole essere una critica alle persone che hanno portato avanti questo progetto: iniziativa lodevole che nasce da idee apprezzabili, portate a compimento da persone validissime che conosco e stimo, ma non è ponzese.
La critica è piuttosto a noi stessi, che ci lamentiamo di non essere più una comunità, di perdere residenzialità, e ci scanniamo tra noi attraverso il pensiero semplicistico di dare colpe a chi va via perché “abbandona”, o a chi resta perché “incapace”, e nel frattempo perdiamo allegramente un patrimonio di conoscenze identitarie legate al territorio.
Non è più semplice ammettere di non essere interessati a diventare una vera comunità, preferendo la facile ma alla lunga perdente scorciatoia di essere colonizzati?
Consoliamoci (si fa per dire), considerando che è un vezzo tipicamente italiano: l’errore dei “sovranisti” oggi tanto di moda è di non aver capito, o voluto capire, che il problema non è “cacciare l’invasore” ma difendere la propria identità: fa più danni al made in Italy delocalizzare in Cina, piuttosto che accogliere barconi di persone disperate.

Fa più male alla nostra identità ed alla nostra umanità, che poi è lo stesso.

1 Comment

1 Comment

  1. Tano Pirrone

    3 Marzo 2020 at 11:56

    Caro Enzo (il tu mi sembra d’obbligo fra affluenti dello stesso fiume), molto bello, pacato e lucido il tuo articolo. L’amarezza è q.b., sennò si finisce nell’inospitale cunetta del “se vuoi stare bene lamentati”, che forse una volta era vera, ma oggi in epoche globalistiche, vera non è più: nessuno ti ascolta perché nessuno ormai c’è che ti ascolti (o forse c’è o dobbiamo lavorare per credere che ci sia sia e prendere nuova lena per ascoltarlo).
    Non spendo una parola in più sull’analisi pacata e convincente da te fatta. Solo due parole sul che ‘fare’, che sempre inquietò tutti quelli che si trovarono a fare scelte epocali, in cui se sbagli – e sbagli sempre, o quasi – ti trascini dietro i destini anonimi di tanti altri.
    Ponza non è al Nord, e da qui al tempo delle visite, forse, il peggio sarà passato. I responsabili dell’amministrazione locale dovrebbero rivolgersi al Centro Sud, stabilire delle reti, consolidare quelle che ci sono (se ci sono), promuovere il soggiorno nella splendida Ponza alle categorie sociali più in ombra, all’associazionismo (sempre meridionale), alle scuole o meglio agli studenti (offrendo pace, mare, possibilità di studio, cinema all’aperto, letture, buona cucina, relazioni, formazione tipo Upter, laboratori). Cercare, insomma, un livello mediano di offerta, che pochi hanno nelle loro corde: in troppi pensano al “mordi e fuggi”, alle notte pazze, alla caciara, ma Ponza può – deve – offrire esattamente l’opposto e al meglio. Un buon Direttore Artistico (tanto per dire), un piccolo Comitato, qualche volontario…
    L’è dura, Enzo, ma bisogna provarci. C’è solo da guadagnare e nulla da perdere. Alla fine resteranno solo pochi poveri pazzi!

È necessario effettuare il Login per commentare: Login

Leave a Reply

To Top