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È possibile una società di eguali?

di Francesco De Luca

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Inizio con questa citazione:
“La ragione fondamentale per cui in alcune epoche della mia vita ho avuto qualche interesse per la politica o, con altre parole, ho sentito, se non il dovere, parola troppo ambiziosa, l’esigenza di occuparmi di politica e qualche volta, se pure più raramente, di svolgere attività politica, è sempre stato il disagio di fronte allo spettacolo delle enormi disuguaglianze, tanto sproporzionate quanto ingiustificate, tra ricchi e poveri, tra chi sta in alto e chi sta in basso nella scala sociale, tra chi possiede potere, vale a dire capacità di determinare il comportamento altrui, sia nella sfera economica sia in quella politica e ideologica, e chi non ne ha”

È di Norberto Bobbio tratto da “Eguaglianza e libertà” – Einaudi, Roma 1955.

[2]

Il pensiero di Bobbio può farci da guida ma non dà risposte alla domanda del titolo. Ci può motivare nell’analisi, questo sì. Perché la domanda stessa nasce da una insoddisfazione profonda. Le diseguaglianze fra chi sta in alto nella scala sociale e chi sta in basso sono intollerabili per uno spirito che miri a modificare una realtà evidente. Evidente anche nella sfera umana, ma non tollerabile.
Quale realtà?
Quella che vede “le persone differenti (Micromega 1/2020 – Marco Bersani) per identità personale, storia biologica, relazionale e culturale, e diseguali per condizioni materiali di vita e appartenenza sociale”.
E allora? Quale diseguaglianza combattere?
Se gli uomini nascono differenti e diseguali propugnare una società di eguali è contro natura!

Qui occorre soffermarsi un poco sul concetto di eguaglianza. Sto parlando di eguaglianza sociale. Ad essa si associa l’ideale di eguaglianza politica. Insomma l’uomo, per spinta spirituale, tende a modificare la realtà che lo circonda secondo un principio che migliori il suo stato e quello del gruppo sociale cui appartiene. Seguendo questo impulso l’eguaglianza posta a obiettivo socio-politico ha come compito:
1° – il rispetto delle differenze, affinché non si operi un livellamento forzato delle identità e delle categorie sociali. Se lo si facesse si attuerebbe una società dispotica e autoritaria;
2° – opporsi alle diseguaglianze, affinché non ci sia sopraffazione di taluni sugli altri, non soffocamento delle libere dinamiche sociali.
I due compiti vanno perseguiti in modo complementare affinché ogni individuo tragga dal suo stato la propria identità primaria e trovi nelle dinamiche sociali gli obiettivi cui tendere per realizzare la sua piena identità.

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In pratica cosa vuol dire?
Vuol dire che l’individuo deve essere messo in grado di effettuare un percorso di vita che soddisfi la sua natura, nelle potenzialità e nelle carenze.

Ancora più in pratica vuol dire che progettare interventi amministrativi di importanza vitale per la comunità (vedi Piano Regolatore Portuale) senza tener presente le richieste di coloro che sono nei gradini bassi della scala sociale significa operare contro l’eguaglianza. Ogni categoria sociale deve poter esprimere le sue potenzialità, e non a discapito di quelle meno abbienti.

L’eguaglianza non si effettua livellando le differenze o sbraitando che in quella direzione si operi. Questa è demagogia. Operare secondo principi di eguaglianza significa mettere tutti in grado di partecipare alla vita sociale senza favoritismi e senza discriminazioni.