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Ricordi di nonni

di Gabriella Nardacci
[1]

 .

“Nessuno può fare per i bambini piccoli ciò che fanno i nonni.
I nonni cospargono la polvere di stelle nella vita dei bambini”

Due nonni diversi: un nonno alto e robusto, un omino piccolo e magro l’altro.
Due nonni ‘uguali’ per come sapevano raccontare le storie della loro vita… fissandomi negli occhi quando me ne insegnavano la morale; guardando altrove quando mi invitavano a immaginare ciò che loro avevano vissuto.

Me li vedevo entrambi nel corteggiare le mie nonne fino al giorno del loro matrimonio. Me li vedevo in guerra e dentro la paura quando dovevano sfuggire al pericolo, o sparare su altri uomini, o nascondere le loro mogli e figlie dalle violenze di altri uomini.
Me li vedevo nelle camminate verso la campagna, tra i filari dell’uva e tra i secolari ulivi.
Me li vedevo cavare le patate con la zappetta, raccogliere le erbe che ‘guardavano in cielo’ perché quelle ‘so’ tutte bone’, piantare semi per nuove piante.

Me li vedevo nella gioia dell’attesa che i semi diventassero piantine per poi partorire frutti da riportare a casa insieme a un pezzo di pane impregnato di olio che chiamavamo ‘il pane della cornacchia’, l’avanzo di un pranzo frugale, sotto l’albero del fico o sotto quello del noce.

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Dopo la messa domenicale, era “obbligatorio” passare dai nonni per salutarli, ma spesso l’obbligatorietà non serviva. Trascorrere il tempo con loro era un piacere. Ci si andava anche quando mia madre non me lo ricordava.

C’era qualcosa che mi faceva sentire importante per loro, come loro lo erano per me.
I loro racconti rasentavano la ‘fantascienza’ e il mistero. Quelle storie – di fantasmi, di apparizioni, di amici straordinari persi in guerra, di semi che diventavano frutti, di paura che diventava forza – me li faceva sentire eroi. Averne due, era per me, motivo di orgoglio.

Le mie nonne, erano sempre silenziose quando loro parlavano. C’era una sorta di rispetto da parte loro verso i propri mariti benché fossero loro stesse a dirigere e amministrare la vita familiare; sapevano però anche loro darmi insegnamenti, anche solo con il loro silenzio e ascolto.

Dentro ogni discorso c’era sempre grande saggezza. Mi accorgevo di quanto fossero vere certe loro riflessioni pur essendo apparentemente ‘ovvie’. Mi portavano a ragionare su valori importanti come ‘rispetto’, ‘dignità’, ‘coraggio’…

A quell’epoca, forse, di questi valori neanche conoscevo il significato, ma ne ricordo esempi e storie e so che tutto ciò mi è rimasto nella memoria. Ha lavorato nel tempo e mi ha dato capacità di analisi, portandomi a conoscere illusione, delusione, amore.

I miei nonni erano uomini dotati di ironia e di tenerezza. Uno mi raccontava di mio padre bambino e l’altro di mia madre piccola come lo ero io in quel periodo; tutti e due ne sapevano tessere lodi e birbonerie. Io ridevo sonoramente e di ‘cuore’ e loro ridevano delle mie risate.

Il mio nonno magro e piccolo se ne andò da questa vita prima dell’altro. L’ultimo racconto che ascoltai da lui fu la sua permanenza in ospedale. In quell’occasione disse che nulla è più bello dello stare a casa durante un temporale. Fuori veniva giù una pioggia scrosciante, i lampi entravano dalla finestra e illuminavano i nostri volti. Eravamo davanti al caminetto acceso con accanto lui, mia madre e mia nonna. Aveva ragione. È l’ultimo ricordo che conservo di lui.

Mi rimase l’altro, che continuò a parlarmi di ogni cosa che gli tornava in mente, riguardante la sua vita e quella di mio padre che cresceva e che era ghiotto di caciottine e di come ne mancava sempre una ogni volta che lui le contava; della fame dei suoi figli che erano tanti e della sua fatica per campare… ma poi andava bene anche così perché se i ragazzi hanno fame…
Se i ragazzi hanno fame, possono avere sogni e solo con la fame si possono realizzare. Forse voleva dire questo perché mi son rimasti impressi i suoi occhi che guardavano i tetti dalla finestra e io che guardavo il suo… guardare.

Le mie nonne hanno sempre accennato il ‘sì’ con un cenno di testa e lo sguardo a terra quando loro parlavano. Madri che hanno provato orgoglio per i propri uomini, ma anche tenerezza di ‘madre’ quando essi si relazionavano con noi nipoti.

I miei nonni sono stati le persone che nella mia memoria hanno fatto riserva di legna da ardere negli inverni rigidi. Uomini e donne le cui vite sono state umiliate, bistrattate, affaticate dagli eventi, ma che hanno saputo rialzarsi e ricominciare.

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