Attualità

I modi e i tempi della scuola: gli insegnanti (1)

di Pasquale Scarpati

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Gli insegnanti, brutta genia. Sono quelli che nella mente refrattaria degli alunni inculcano, inchiodano a colpi di martello, in vario modo, concetti e nozioni.
La mente, infatti, di per sé, come tutto, tenderebbe ad essere libera, a non essere obbligata a nulla.
A lei, per la conoscenza, basterebbero i cinque sensi: senza pensare ad altro. Così, ad esempio, se vede un palazzo penserebbe che quello sia sorto da solo senza né calcoli di ingegneri o di architetti né altre sostanze inventate dall’uomo come ad esempio i colori. Se vede un film penserebbe che le immagini o i suoni nascano direttamente sullo schermo ad opera di un mago.
Se avverte un profumo odoroso penserebbe che quello provenga dal cielo o chissà da dove, non da una chimica studiata appositamente dall’uomo e per l’uomo. Se tocca un oggetto duro o morbido come un mobile di legno o una stoffa di seta penserebbe che quelli si trovino così in natura o sui manichini che a loro volta siano sorti da se stessi. Se assapora qualche dolce o qualche cibo salato penserebbe che quello si cucini da solo senza alcun condimento che a sua volta nasce da altri studi e che il succo di frutta sia appeso direttamente agli alberi. Se ascolta della musica penserebbe che piatti e trombe e flauti ed ogni strumento suonino senza studio alcuno o senza solfeggi…
Insomma – la mente – vagherebbe libera e letteralmente “spensierata” senza pensare che se non ci fosse l’apprendimento (forzato) il mondo tornerebbe alla “casa” intesa come “capanna”. Come quando, persa quasi ogni cognizione, si era tornati quasi all’età della fionda e delle pietra.

Ma per fortuna che esiste, quella “brutta genia”, gli insegnanti.
A cui nessuno pensa, come se ogni cosa acquisita fosse discesa dal cielo sotto forma di fiammelle e si fosse insediata immediatamente nella mente.

Così la pensano molti “soloni”: quelli, cioè, che si vantano di offrire norme o soluzioni per un corretto insegnamento o che “inzeppano” ogni cosa nella scuola.
Essi, infatti, ipotizzano che di fronte all’insegnante ci sia sempre una classe (spesso molto numerosa) di alunni sempre tutti volenterosi, costantemente tutti attenti e soprattutto tutti dotati della memoria di… Pico della Mirandola.
Nel senso che tutto ciò che si dice o si fa da parte dell’insegnante venga immediatamente recepito e soprattutto assimilato da parte del discente.
Ma questo non è dimostrato. Anzi è dimostrato il contrario.
Ci vuole, cioè, tanto studio fatto di memoria, rilettura, ripasso, esercitazioni orali e scritte che impiegano tantissimo tempo. E ci vuole anche un po’ di “fatica” da parte del discente, mentre all’insegnante tocca il non facile compito di renderla quanto più agevole possibile.
Ma da una parte questa “ fatica” a molti non piace e quindi si adagiano; dall’altra c’è a chi fa comodo che non si “fatichi” tanto affinché poco si conosca. Pertanto, poiché le due cose vanno a braccetto, esse si sorreggono a vicenda adducendo mille motivazioni. Anzi a sentir parlare sembra che nella scuola, come in un polpettone, si debba inserire tutto ma proprio tutto, anche ciò che sta al di fuori delle discipline o materie scolastiche, come se, durante l’orario scolastico, lo scorrere del tempo si fermasse.

Innanzitutto deve… verificare. Sì, verificare. Brutta parola per il discente, ma obbligatoria per il docente altrimenti non può valutare i progressi o le difficoltà incontrate dal discente e con quale spirito le affronta. Perché, guarda un po’, anche ai discenti (anche a quelli più costanti nello studio) capita di avere poca volontà di studiare per i motivi più disparati: l’argomento trattato, uno stato di ansia dovuto a motivi extra scolastici, altri accidenti…
Ma il tempo, ahimè, scorre veloce anche nella verifica e soprattutto nel cercare di far superare le difficoltà che eventualmente il discente ha trovato.
Se non si verifica spesso, la maggior parte degli alunni, per quelle ragione addotte prima, tende ad “adagiarsi”. Pertanto la verifica da una parte stimola l’alunno, dall’altra lo fa crescere anche dal punto di vista formativo.
Ma per fare ciò c’è ancora bisogno di… tempo.

Così c’è bisogno di tempo per responsabilizzare gli alunni. I quali, a differenza degli elementi statici, si muovono e sono imprevedibili nelle loro azioni.
Una sedia, ad esempio, resterebbe ferma al suo posto per anni e per secoli se i tarli non la corrompessero o se nessuno la spostasse. Un discente, no. Lui si muove anche a suo piacimento e l’insegnante non lo sa né lo può prevedere. È forse un mago?
Così se, ad esempio, un discente usa una penna e poi volontariamente o involontariamente colpisce un compagno, può essere mai incolpato per questo un insegnante che sta in classe? Anche se avesse i cento occhi di Briareo o di Argo non potrebbe mai prevedere l’imprevedibile. Se un discente va al bagno, forse che l’insegnante deve lasciare la classe e seguirlo? Ed anche i collaboratori possono mai seguire tutti i discenti che escono dalle varie classi? O bisogna proibire di andare al bagno?
Per non parlare poi quando il docente, finita l’ora di lezione, deve recarsi in un’altra classe che spesso o a volte non si trova nelle vicinanze di quella da cui esce, ma su un altro piano o abbastanza distante. A sua volta, sull’uscio di un’altra classe lo attende con ansia un altro docente che deve recarsi, a sua volta, in un’altra classe.
Il buontempone dice: “Forse la soluzione esiste: uno starter che, con pistola alla mano, faccia scattare i docenti sui… cento metri”.
Il docente, invece, andando via dalla classe si fa un bel segno di croce e spera nel buon Dio… perché, se dovesse accadere qualche “accidenti”, nembi scurissimi si addensano sulla sua testa: pioggia “ giudiziaria” a catinelle e per lunghissimo tempo e grandine grossa da parte dei mass media si abbattono su di lui così da fargli “tremare le vene ai polsi”. Questi ultimi, poi, non si limitano a diffondere la notizia ma spesso tendono, velatamente o esplicitamente, ad emettere giudizi, come se conoscessero tutti i risvolti della problematica. Pur asserendo di essere… imparziali. Ma si sa: ciò che fa “scoop” è al di sopra di tutto!

Quale soluzione efficace? Cosa dicono quelli che “sanno tutto della scuola”?
Si può creare il famoso capoclasse che segni alla lavagna i birichini. Ma anche in questo caso il rimedio non è che sia molto efficace, anzi il più delle volte si genera astio tra gli alunni stessi. Qualcuno dice: “Mettiamo un… GPS così da localizzare e monitorare gli alunni (sic!)”
In conclusione voglio dire: dall’esterno tutto sembra facile e semplice. Anzi molti asseriscono, con convinzione, che gli insegnanti “non fanno nulla”. Perché pensano che essi si limitino a dettare e a spiegare le lezioni. Queste ultime, invece, vanno preparate già in precedenza e con cura, anche in base alle capacità individuali dei discenti; va fatta una programmazione giornaliera perché spesso accade che si entra in classe con un obiettivo ma, per esigenze dei discenti stessi, si parla o si affrontano altri temi, importanti e di attualità, che esulano dall’argomento programmato. Quindi ciò che si era programmato va riproposto in un secondo momento e così il piano di studi si procrastina nel tempo.
Vanno poi corretti, a casa o a scuola stessa, i compiti che servono affinché l’alunno superi le difficoltà. Poiché non serve a niente limitarsi a dare un voto o a scrivere un giudizio: è opportuno che il docente faccia capire al discente il motivo del suo eventuale errore. Ma per fare ciò ci vuole ancora una volta… tempo. Sia nella correzione in sé sia nell’obbligare l’alunno a capire l’eventuale errore. E anche in questo caso bisogna ancora una volta… verificare.

Dare merito agli insegnanti mi sembra doveroso anche perché a mio parere la loro professione è una delle più belle: come quella del contadino che dopo aver seminato vede le piantine crescere e svilupparsi. Ma è anche una delle più usuranti perché si ha a che fare costantemente con numerosi esseri pensanti, ognuno con peculiari esigenze. Quando, infatti, con il trascorrere degli anni, le forze fisiche e mentali vanno scemando, non si è più in grado, sia per le mutate metodologie sia per le nuove tecnologie, sia per altri motivi, di dare il meglio di sé. Ciò, tra l’altro, arreca grave danno ai discenti di quel momento. I quali potrebbero “approfittare” della “favorevole “(per loro) situazione, per lasciar “riposare “la loro mente, la quale, ribadisco, nella maggior parte dei soggetti, a causa dell’età, amerebbe correre libera e non essere obbligata ad immagazzinare cose, per lei in quel momento, “insulse e noiose”. Questo l’ho potuto sperimentare sia da alunno (anche se “quella” scuola da una parte era molto esigente nel richiedere nozioni mentre dall’altra era “menefreghista” perché non prendeva in alcuna considerazione i fattori, diciamo, extra scolastici), che da docente.

 

Nota della redazione
Tutte le foto che illustrano l’articolo sono state ripresa da Amarcord di Fellini (1973)

[I tempi nella scuola: gli insegnanti (1) – Continua]

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